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Capitolo 10

Ultime cose del 1886.


Capitolo 10

da Memorie Biografiche

del 11 dicembre 2006

A autunno avanzato, quando la vendemmia è da tempo finita, piace andare in cerca di racimoli sfuggiti all'occhio dei vendemmiatori e trovatine si piluccano con particolare diletto. Così faremo ora noi, racimolando dagli ultimi quattro mesi del 1886 detti e fatti di Don Bosco, che non poterono trovare luogo nelle pagine precedenti, ma che pure hanno qualche valore.

  A ottobre furono riprese le uscite pomeridiane in vettura. Giunto all'aperta campagna, discendeva e ora sorretto da Don Viglietti, ora senza appoggi avanzava passo passo, discorrendo intanto di molte cose. Era questo per lui un vero riposo. Una sera ritornando s'imbattè nella carrozza del Cardinale, che riconosciutolo fece fermare, balzò a terra e si avvicinò a Don Bosco, chiedendogli premurosamente sue nuove e dicendogli affettuose parole. Allontanato ch'egli si fu, Don Bosco, avviandosi a casa, magnificava la bontà del grande Prelato.

  Un'altra volta nel ritorno visitò le Suore del Buon Pastore, presso le quali fin dai primi anni della sua dimora a Torino aveva esercitato a lungo il sacro ministero. Si compiacque di conversare familiarmente un'oretta con le religiose, riandando quei tempi lontani e le vicende per la fondazione dell'Oratorio. Infine benedisse Suore e ricoverate, lasciando di quell'ultima sua visita caro e Imperituro ricordo.

Ripigliò pure le sue settimanali conferenze agli alunni delle classi superiori, tenendoseli attorno talvolta anche per un'ora intera. Prima diceva loro qualche buona parola e poi chi voleva, si confessava. Certe volte gli costava molto udire quelle confessioni, data la prostrazione delle sue forze. Un giorno Don Viglietti per suggerimento del medico lo pregò di desistere da tale fatica. - Già, già! gli rispose ridendo. Tu ne hai fatto qualcuno di quei grossi e non vuoi venirti a confessare, non è così? - Poi, prendendolo per mano: - Eh, caro Viglietti, continuò, se non confesso almeno i giovani, che cosa farò io ancora per essi? Ho promesso a Dio che fin l'ultimo mio respiro sarebbe stato per i miei poveri giovani.

  Con siffatte adunanze egli mirava soprattutto a illuminarli circa la scelta dello stato. Per essi e per tutti i giovani che si trovavano nelle medesime condizioni aveva fatto tradurre dal francese e stampare l'opuscoletto intitolato: Sentimenti di S. Tommaso d'Aquino e di S. Alfonso Maria de' Liguori intorno all'entrata in religione . Migliaia di copie ne furono spedite ai parroci delle diocesi pedemontane ed a Cooperatori salesiani, affinchè, quanti ignoravano l'importanza dello stato religioso, v'imparassero a non porre ostacoli alle vocazioni .

  Per consultare Don Bosco sulla sua vocazione venne a Torino una giovane francese che doveva diventare una colonna dell'Istituto fondato in Africa dal cardinale Lavigerie. Era essa in dubbio se farsi religiosa nelle Missioni del Cardinale o claustrale in Francia o figlia di Maria Ausiliatrice. Sapendola ricchissima, il Santo usò grande cautela di linguaggio; non bisognava dare appiglio ad accuse ch'egli mirasse a carpire eredità e doti. Due cose in ogni modo sono certe: che la giovane si sarebbe fatta suora di Maria Ausiliatrice, se Don Bosco ve l'avesse consigliata, e che Don Bosco ve l'avrebbe consigliata, se tale gli fosse apparso il volere di Dio. Le parlò dunque così: - Se le piace conservare un po' del genere di vita condotto finora presso i suoi parenti, entri in una comunità di Francia, dove di buone ce ne son tante. Invece se cerca solamente Gesù e la sua croce, se vuole veramente soffrire con Gesù, vada nelle Missioni. - In queste ultime parole essa intese la divina chiamata. Nel discorso della vestizione il Cardinale fece menzione del fatto, che ricordò poi nuovamente in una conferenza sulla tratta degli schiavi, da lui tenuta l'anno seguente nella chiesa di S. Giuseppe a Marsiglia; poichè in tale conferenza parlò pure della necessità di avere suore e diede notizia della sua fondazione. La prima volta accennò genericamente a un “ grande uomo di Dio, consultato a Torino ” ; ma la seconda volta, come i nostri Confratelli udirono, pronunziò il nome di Don Bosco, aggiungendo nuove particolarità.

    La signorina erasi prima rivolta al Cardinale per consiglio. In essa egli aveva riscontrato la stoffa di una suora, quale si augurava di trovare per il buon avviamento della sua recente fondazione africana. La madre però si opponeva risolutamente alla vocazione della figlia e l'opposizione era sostenuta da motivi non disprezzabili. Il Cardinale, non sapendo che cosa decidere, prima di dire l'ultima parola pensò di non fidarsi del suo giudizio, ma decise di rimettersi ad un altro che giudicasse di quella vocazione. “ Mi rimisi ” diss'egli, “ ad uno che non è in Francia, ma fuori, ad un sacerdote la cui esistenza è tutta consacrata al bene delle anime, che arde tutto di divozione per Maria Santissima, dalla quale è continuamente protetto in modo visibile, fondatore di una Congregazione religiosa che ormai si estende in ogni parte della terra, dotto, umile, la cui lunga esperienza dei cuori dà ogni fiducia nella rettitudine de' suoi consigli, i cui miracoli non si contano più perchè continui ”. Consigliò pertanto madre e figlia a recarsi da lui perchè decidesse. Elleno obbedienti vennero da Don Bosco, che le ascoltò separatamente e poi disse loro:

 - Non si potrebbero accomodare le cose con una transazione?

   - Quale? risposero.

 - Che anche la madre si faccia suora insieme con la figlia! Alla madre parve quella una voce del cielo. Ritornata al Cardinale, gli offerse tutta se stessa, perchè la consacrasse al Signore. Allora si trovava in Africa con la figliuola .

  Venne da Don Bosco per consiglio anche un parroco di Torino, il teologo Domenico Muriana, curato di S. Teresa e già allievo dell'Oratorio. Egli si trovava in grossi guai per i debiti lasciati dal suo antecessore. Subito dopo la nomina a quell'ufficio era stato dal Santo perchè gli dicesse come doveva regolarsi per ben esercitarlo, e n'aveva avuto i tre consigli ch'ei soleva dare in casi simili: aver cura dei fanciulli, degl'infermi e dei vecchi. Allora il Santo gli domandò se li avesse praticati. Don Muriana gli rispose di sì e che n'era contentissimo, vedendosi circondato dall'affetto della popolazione. - Ebbene, riguardo ai debiti, ripigliò Don Bosco, c'è un rimedio facilissimo.

 - Quale sarà mai questo rimedio?

   - Giuoca al lotto.

 - Ma vincerò?

   - Vincerai sicuramente.

 - Se è così, compia l'opera e mi dia i numeri.

   - Eccoli. Sono tre; ma ascolta e intendi. Fede, Speranza, Carità. Non fare però come ha fatto qualcuno che, strappatemi le tre parole, andò da un cabalista a farsi dare i numeri relativi.

- Sono poi usciti quei numeri?

   - Neppur uno! Tu giuoca bene queste tre virtù e pagherai tutti i tuoi debiti.

  Il giovane parroco nel 1891, raccontando il colloquio al pranzo dell'Oratorio per la festa dell'Immacolata, disse che in tempo relativamente breve aveva pagato tutti i suoi debiti. Nessuno più di Don Bosco avrebbe potuto dare simile consiglio, avendone fatta in tutta la sua vita una sì lunga e felice esperienza.

         La sua fede infatti non otteneva miracoli? Alle tante grazie straordinarie narrate fin qui aggiungiamo queste due, attribuite alle sue preghiere. La comunità delle Orsoline addette al loro collegio di Piacenza, trovandosi in una gravissima angustia, avevano invocato le preghiere e la benedizione del Santo. Egli rispose loro: “ Il Signore accorderà la grazia, ma nella maniera che sarà più proficua alle anime ”. Iddio lo esaudì al disopra delle speranze . L'altra grazia fu concessa al francese Girolamo Suttil, che da più anni dimorava nell'Oratorio, occupandosi di cose librarie. Da vari mesi soffriva tanto ad una gamba, che dovette essere trasferito all'ospedale; un'infezione causata dallo scambio di una medicina per un'altra, sembrava esigere l'amputazione. Un mattino con sorpresa sua e dei medici la gamba fu trovata in ottimo stato. Quando l'infermo almanaccava per indovinare il perchè di così subito mutamento, ecco giungere a lui il chierico Festa per annunziargli da parte di Don Bosco la salute. Il miglioramento erasi verificato fra le sette e mezzo e le otto, nel tempo cioè che il Santo celebrava la Messa. La guarigione venne completa .

    A proposito di miracoli è da ricordare un episodio occorso a Don Trione. Il zelantissimo salesiano, allora catechista degli studenti nell'Oratorio, di ritorno da una breve missione, riferì a Don Bosco i frutti mirabili delle sue prediche. Il Santo gli disse sorridendo: - Ti voglio ottenere da Dio il dono dei miracoli. - Ed egli intrepido come sempre nella sua semplicità: - Niente di meglio! Così potrò più facilmente convertire i peccatori. - Allora Don Bosco si fece serio in volto e riprese con gravità: - Se tu avessi questo dono, ben presto, piangendo, pregheresti Dio che te lo togliesse. - il Servo di Dio dovette pensare in quel momento alla tremenda responsabilità che ha dinanzi al Signore chi riceve da lui doni sì straordinari.

    Tra i miracoli di Don Bosco bisognerà mettere anche l'eroica fortezza, con cui sostenne lunghe e fiere contraddizioni e la sua pazienza invitta nel sopportare diuturne e penose infermità.

    Quante e quali vicende per ottenere la comunicazione dei privilegi! A cose fatte, commise a Don Berto di riunire e ordinare tutti i privilegi ottenuti, lavoro lungo e difficile, che i nostri archivi custodiscono in un incartamento assai voluminoso. Allorchè la compilazione era quasi al termine, il compilatore ne diede notizia a Don Bosco, dicendogli che s'aveva motivo di andar lieti della comunicazione, che toglieva di mezzo per l'avvenire molte difficoltà. Il Santo con profondo sentimento gli rispose: - Ma per giungere a questo punto, abbiamo dovuto passare il mar Rosso.

    Del suo stato di salute in quei due ultimi anni Don Cerruti depose nel, processo informativo : “ Quando e il mal di capo e il petto affranto e gli occhi semispenti non gli permettevano più affatto di occuparsi, era doloroso e confortante spettacolo vederlo passare le lunghe ore seduto nel suo povero sofà, in luogo talvolta semioscuro, perchè i suoi occhi non pativano il lume, pure sempre tranquillo e sorridente con la sua corona in mano, le labbra che articolavano giaculatorie e le mani che si alzavano di tratto in tratto a manifestare nel loro muto linguaggio quella unione e intiera conformità alla volontà di Dio, che per troppa stanchezza non poteva più esternare con parole. Quanto a me sono intimamente persuaso che la sua vita negli ultimi anni soprattutto fu una preghiera continua a Dio. Così opinano anche gli altri. Tanto è vero che entrati in sua camera per vederlo e parlargli, lo trovavamo sempre come uno che attende alla più profonda meditazione, pur senza darne segno esteriore, chè il suo volto era sempre lieto, sereno e tranquillo, com'erano di pace, di carità e di fede le parole che gli uscivano di bocca ”.

   Così Don Cerruti. Una sera di quell'autunno Don Berto, andato da Don Bosco verso le cinque, lo trovò che passeggiava nella sua galleria strascinandosi con grande stento. Il Santo vedendolo gli disse ripetutamente: Iam delibor, iam delibor . Poi, fissandolo in volto, aggiunse mesto e commosso: Tempus resolittionis meae instal. Cursum consummavi . Allora il segretario ripigliando: - Ma S. Paolo dice pure: Bonum certamen certavi, fidem servavi. In reliquo reposita est mihi corona iustiliae, quam reddet mihi Dominus in ila die iustus iudex . Il Servo di Dio cambiò discorso.

Abbiamo menzionato Don Cerruti. A lui come Consigliere scolastico della Congregazione Don. Bosco indicò un compito importante e urgente, dicendo in Capitolo il 19 novembre: - Bisogna l'anno venturo pensare al modo di avere maestri patentati e fare iscrivere una decina dei nostri chierici a qualche Università. È vero che si è stabilito di mandare i soli preti alle Università, per il guasto che queste scuole producono nelle anime inesperte, e per le defezioni che cagionano; ma se fra questi chierici vi fosse qualche sacerdote serio, si potrebbe sperare che servirebbe di antidoto e di guardia. Si studierà il modo, ma bisogna assolutamente darci d'attorno e provvedere insegnanti legali. Oggi bisogna combattere il nemico più con lo scudo che con le armi. A questa incalzante spinta di Don Bosco la parola incitatrice di Don Cerruti fece sì che numerosi Confratelli, anche quando era già trascorso per essi il tempo più confacente, si dedicassero a laboriosi studi per mettersi in grado di conseguire i titoli legali indispensabili a poter impartire l'insegnamento negli istituti privati.

  Torna a sua vera e grande lode l'aver sistemato gli studi e le scuole della nostra Società. Non già che prima non si fosse fatto nulla questo riguardo. “ S'era fatto molto, moltissimo, scrive Don Luchelli, buon testimonio di quel periodo anteriore , e il nome di Don Celestino Durando resterà scritto a caratteri d'oro nei nostri annali. Ma era quello ancora il periodo a dir così eroico della nostra storia. La Pia nostra Società contava pochi anni di vita. Vasto, sconfinato era il campo che si apriva all'azione: esiguo, ristrettissimo, impari affatto al bisogno, il numero degli operai. Il tempo dunque a mala pena bastava al lavoro della giornata, obbligato ciascuno a moltiplicare se stesso, compiendo da solo gli uffici di parecchi. E intanto Dio arrideva benedicendo agli animosi che pieni di buona volontà, infiammati dallo zelo che attingevano al contatto di Don Bosco, affrontavano le fatiche dell'apostolato coi santi ardimenti con cui il pastorello Davide, armato di fionda, aveva affrontato il gigante Golia; nè mai forse vi fu lavoro più fecondo di frutti ”. Non si poteva però durarla sempre così; si facevano anzi voti per una  regolare formazione dei maestri e degli educatori salesiani. Alla nobile impresa Don Cerruti dedicò tutta la sua energia .

Don Cerruti fu uno di quegli uomini provvidenziali, che Don Bosco, cresciutili fin da piccoli nell'Oratorio, si trovò ai fianchi nell'ora opportuna, allorchè in sul declinare egli abbisognava per la sua opera di potenti ausiliari, che la reggessero con mano ferma, la organizzassero saldamente e provvedessero alla sua espansione. Dotato di spirito metodico, di forte volontà e di senno pratico, portò nel disimpegno del trentennale suo ufficio somma prudenza, calma e costanza. Il quale ufficio si estendeva pure all'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice e alla direzione della stampa salesiana. In ogni suo campo egli fu un suscitatore di energie, possedendo in alto grado l'arte d'inanimire all'azione. In tutto poi il suo operare nulla ebbe più a cuore che tener vivo tra i Confratelli lo spirito del Fondatore. Festeggiandosi il venticinquesimo anniversario della sua elezione a Direttore generale degli studi, scrisse in un pubblico ringraziamento ai Soci: “ Ogni giorno che passa mi persuade ognor più della necessità, che per noi è dovere, di stare attaccatissimi agli insegnamenti di Don Bosco anche in fatto di istruzione e di educazione, e da questi insegnamenti non dipartirci mai, neppur d'un punto. Lungi da noi i novatori! ”.

    Una bella giornata si trascorse intorno a Don Bosco il 30 novembre nel collegio di Valsalice. Vi si festeggiava la distribuzione dei premi ai nobili convittori. Il cardinale Alimonda e il teologo Margotti passarono alcune ore del mattino e della sera con il Santo. Al saggio Sua Eminenza fece sul valore e sull'efficacia della disciplina una delle sue affascinanti improvvisazioni. Verso le diciotto Don Bosco ritornò all'Oratorio . La sera di quel giorno il Cardinale scrisse a monsignor Cagliero: “ Oggi ho passato quasi tutta la giornata al Collegio di Valsalice: era la distribuzione dei premi, e riuscì bella, interessante come tutte le feste salesiane. Ma nulla ci interessa quanto il carissimo Don Bosco il quale era con noi, sempre gioviale, sempre sereno e contento, non peggiorato di salute, benchè soggetto ai soliti incomodi. Il Signore vorrà riservarlo a molte belle imprese ancora, tra cui non è a trascurare la partenza di un bel drappello di missionari stabilita per posdomani. Non voglio privarmi della consolazione di assistervi e di pregare sull'eletta schiera tutte le benedizioni del Cielo ” . Ben a ragione Don Cerruti aveva scritto a Monsignore : “ Il Cardinale Alimonda è sempre il nostro affettuosissimo protettore e certo uno dei più grandi conforti e sostegni all'amatissimo Don Bosco ”.

  Sul principio dell'anno Don Bosco aveva fatto litografare i ricordi confidenziali scritti da lui e mandati ai Direttori delle case nel 1871, ponendovi con la firma la data seguente: “ Torino, 1886. Festa dell'Immacolata Concezione di Maria SS. 450 anniversario della fondazione dell'Oratorio ”. Ne inviò copia a tutti i Direttori, premettendovi per intestazione: “ Strenna natalizia ” .

  Due salesiani, da lui mandati a predicare una missione nella parrocchia di S. Antonio a Bra, dov'era Vicario il suo ex - allievo Don Luigi Pautasso, tornarono narrando mirabilia di quei buoni cristiani. Il Santo, ciò udito, scrisse al Vicario questa letterina.

 

                                        Carissimo Sig. Vicario,

 

Con somma consolazione ricevo la notizia del buon successo ottenuto dagli Esercizi che i nostri Sacerdoti hanno dettato in questa tua Parrocchia. Dio sia sempre benedetto in tutte le cose, e Maria A. ci aiuti e sempre ci protegga per conservare il frutto. Di tutto buon

cuore benedico te, tutti i tuoi parocchiani, e la misericordia divina ci assista sempre a vivere e morire tutti nella sua santa grazia.

Pregate anche per me che sarò sempre in G. C.

Torino, 19 dicembre 1886.

Aff.mo amico

Sac. Giov. Bosco.

 

Il 20 dicembre cessò di vivere a Torino il venerando barone Manuel in età molto avanzata, Gentiluomo assai benefico avrebbe voluto da vecchio ritirarsi dalla Società di S. Vincenzo de' Paoli e da altre Opere pie; prima però di far questo, pensò di prendere consiglio da Don Bosco. - Continui, gli rispose il Santo. Lavoriamo fino all'ultimo della vita a fare tutto il bene possibile. - “ E così ho deciso di fare ” , lasciò egli scritto nelle sue memorie.

  Quel giorno vi fu adunanza capitolare, nella quale Don Bosco prese più volte la parola, dicendo cose interessanti e utili, che trarremo alla luce dai verbali della seduta. Assisteva anche Don Albera, perchè si doveva trattare di vari cambiamenti del personale nelle case di Francia; fra gli altri, Don Cartier, direttore a S. Margherita, sarebbe dovuto passare come vicedirettore in quella di Nizza, per poi occuparvi il posto del direttore Don Ronchail, destinato per l'anno seguente a Parigi. Ma si affacciò una difficoltà. - Nizza Marittima, osservò taluno, è centro di Cooperatori non solo della Francia, ma dell'Europa intiera e dell'America, perchè in questa città convengono forestieri da ogni parte del mondo, e qui appunto si fanno ascrivere, qui si stringono con essi relazioni, qui si procura che facciano poi proseliti nelle loro patrie. Ora non sembra che il naturale di Don Cartier e la sua poca attitudine a questuare sia quello che potrà maggiormente giovare alla nostra Pia Società.

    Don Bosco rispose: - Perchè il naturale concentrato di Don Cartier non sia di ostacolo alle relazioni con i Cooperatori, Don Ronchail lo accompagni e lo presenti a tutte le case dei benefattori. Certo è che il saper questuare non è un dono che abbiano tutti. Ci vuole franchezza, umiltà prontezza nell'assoggettarsi a sacrifizi, saper parlare accaparrandosi gli animi ed essere misurati nelle parole per non offendere le suscettibilità. Per far conoscere il nuovo direttore servirsi del Bollettino che ne dia l'annunzio . Pubblicare una lettera circolare, in cui si dica: “ Le convenienze hanno chiamato Don Ronchail a direttore della casa di Parigi. I Superiori han giudicato che io, Don Cartier, venissi a fare le sue veci. Mentre ho l'onore di annunciarle la mia scelta, mi raccomando alla loro carità e ai loro consigli ecc. ecc. ”. Lo stesso Ronchail, giunto a Parigi, scriva una circolare somigliante ai Cooperatori di quella metropoli. - Oggi, quanti conoscono Don Cartier, sanno che egli è diventato a Nizza un questuante insuperabile; per questo negli ultimi anni di crisi economica generale è riuscito a innalzare in breve tempo una chiesa a Maria Ausiliatrice, spendendovi parecchi milioni. A proposito di Parigi, Don Rua disse che Don Bellamy, girando tutto un giorno per la città, non aveva raccolto che sette franchi. Don Bosco replicò: - In questi casi di bisogno il Direttore faccia litografare un centinaio di lettere che dicano: “ La casa di Ménilmontant si trova in grave bisogno; manca della tale e tal altra cosa. Nel tal giorno passerò per ricevere l'obolo della sua carità ecc. ecc. ”. In questo modo si raccoglierà qualche somma; altrimenti, se si va a fare una visita inaspettati, all'improvviso, non conosciuti senza dimostrare il proprio titolo e autorizzazione, non si fa nulla. Potrebbe anche farsi un biglietto di visita, facendovi stampare sotto il proprio nome questa riga: Raccomando al Signor (il nome in bianco per poi scriverlo a penna) i poveri giovani della casa tale di cui sono Direttore, pregandolo che voglia tenermi a memoria nella sua carità. Questi biglietti di visita potrebbero stamparsi per tutti i Direttori di quelle case che vivono di beneficenza. Vi si potrebbe anche mettere il motto: Chi dà ai poveri sarà largamente ricompensato dal Signore.

  Don Albera chiese di poter comprare un terreno che rinquadrava il cortile della casa di S. Leone; si sarebbero dovuti pagare ventimila franchi in rogito. Il Capitolo approvò, e Don Bosco disse: - Anche in questo caso si potrebbe scrivere una circolare dopo fatto il compromesso col proprietario e formularla così: “ Abbiamo in casa tanti giovani: ci sarebbe necessità di nuove costruzioni e allora ritireremo tanti altri fanciulli di più (50, 80 100 ecc.). Ci vorrebbe la tale somma. La Signoria Vostra è pregata di firmarsi per quella somma di danaro che crederà, acciocchè noi possiamo sapere su quali capitali ci sia dato di contare ” . E si va oggi da un benefattore, domani da un altro con un quaderno nel quale raccogliere le firme.

  Il Capitolo rise nel vedere con quanta facilità Don Bosco escogitava mezzi pratici per avere elemosine. Ed egli riprese a dire: - Una volta poteva io lavorare andando attorno in cerca di soccorsi; ma ora mi limito a lavorare di continuo con la mente. Formato un progetto, esamino il pro e il contro, lo determino, lo stabilisco... Ora si tratta della compera di quel terreno. Ebbene Don Albera mi mandi la nota dei principali signori della città di Marsiglia; io scriverò loro. Qualche grazia di Maria Ausiliatrice farà il resto.

  Altra volta si era già trattata la compera di una tipografia, che il signor Mingardon marsigliese voleva cedere a condizioni favorevolissime; ma non si era concluso nulla. Don Albera rinnovò la proposta. Don Bosco disse: - Ci vorrà un'amministrazione, perchè si possa da noi ricavare vantaggio con simile contratto; ma ciò che ha anche solamente ombra di commercio fu sempre fatale agli Ordini religiosi.

  A Natale fu inaugurato il nuovo refettorio del Capitolo Superiore al secondo piano, attiguo alla biblioteca e vicinissimo all'appartamento di Don Bosco, che così vi si sarebbe

potuto recare senza difficoltà . Nella medesima circostanza venne festeggiata la prima Messa di Don Viglietti.

  Dopo Natale accadde nell'Oratorio una novità. Nel giorno di S. Giovanni Evangelista per la prima volta tutti gli artigiani si accordarono per celebrare il vero onomastico di Don Bosco; quindi ogni laboratorio gli mandò il suo indirizzo firmato dai singoli giovani, non che dai rispettivi capi e assistenti. Ognuno prometteva comunioni, visite a Gesù Sacramentato e a Maria Ausiliatrice e preghiere .

  Pregavano per Don Bosco anche tanti Vescovi d'Italia, come ci tenevano ad assicurarlo rispondendo al suo appello di ottobre. Uno di essi che da quando era canonico a Vercelli aveva pei lunghi anni sempre teneramente venerato e aiutato il Santo, monsignor Degaudenzi; vescovo di Vigevano, scriveva a Don Rua il 4 gennaio 1887: “ Unisco a questa mia una tenuissima offerta per le missioni dei Salesiani di Don Bosco . Quanto sono spiacente di non potere di più! Faccio questa piccolissima offerta anche per ottenere che ci conservi il Signore codesto uomo di Dio che è il Sig. Don Bosco. Gli faccia animo per parte mia. L'assicuri che qui si prega, si prega al Seminario, alle case religiose per la sua salute. E nel triduo che nei due ultimi giorni dell'anno precedente e nel primo del corrente si fece in tutte le chiese della Diocesi pel Santo Padre in onore del SS. Cuore di Gesù, io alla Benedizione del SS. che diedi in Duomo, feci pregare pubblicamente pel caro e venerato Don Bosco. Benedico all'ammirabile uomo che scorre la sua vita beneficando ” .

  La menzione fatta pocanzi degli artigiani ci porta a ricordare un fatto che li riguarda. Nel 1886, per poter esaudire maggior numero di domande, Don Bosco aveva fatto costruire tre vasti ambienti lunghi circa venticinque metri e larghi sette nell'angolo del primo cortile, dove sorge presentemente la casa capitolare. Il nuovo locale non era ancora bene asciutto, quando i superiori dell'Oratorio vi misero una cinquantina di alunni. Il catechista Don Ghione, che li visitava mattino e sera nell'ora della levata e del riposo, vedeva i loro letti pieni di umidità gocciolata dalle travi del soffitto; perciò, temendo che si ammalassero tutti, espose a Don Bosco il caso. Il buon Padre gli domandò, se fosse possibile trasportare i letti altrove; Don Ghione gli rispose che si era pensato, ma senza poter trovare dove. Allora egli si raccolse un istante in silenzio, poi disse - Eh!... lasciali dove sono.

   - Ma quest'inverno ammaleranno tutti, replicò il catechista; anzi le dirò che l'assistente è già ammalato, da tre giorni.

   - Sta' tranquillo, ripigliò il Santo; neppure un ammalerà.

  Infatti, neppur uno in tutto l'inverno cadde ammalato; anzi l'assistente in breve guarì .

  Frattanto s'era giunti all'ultimo dell'anno. Che Don Bosco fosse per discendere in Maria Ausiliatrice dopo le orazioni della sera, nessuno osava pensarlo. Che si fece dunque? Tutti, artigiani, studenti e Confratelli si radunarono poco prima del tramonto sotto le sue finestre e là cantarono in coro con entusiastico slancio la nota canzoncina:

 

Andiamo, compagni,

Don Bosco ci aspetta:

La gioia perfetta

Si desta nel cuor.

 

Il Santo Vegliardo, sorretto da due sacerdoti, si affacciò commosso, si appoggiò alla ringhiera del ballatoio e sporgendosi quanto poteva, ringraziò e augurò a tutti buona fine e buon principio con la benedizione del Signore e della Madonna.

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