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Capitolo 12

Un debito urgente da pagare - Largizione del Re ai chierici dell'Oratorio - Nuovo edifizio lungo la via della Giardiniera - D. Bosco è certo dell'aiuto della divina provvidenza - Perchè nelle costruzioni non si eseguì un disegno regolare e prestabilito: Dio non promette soccorsi per le spese superflue - Elemosina straordinaria - Altri lavori - Il laboratorio de' fabbri ferrai - Disposizione di tutti i laboratorii: nuovi regolamenti - Disordine represso - Importanza della scelta di buoni maestri d'arte - Fine disgraziata di un operaio - Un eccellente capo dei fabbri.


Capitolo 12

da Memorie Biografiche

del 01 dicembre 2006

 Sospesa la lotteria, D. Bosco non interruppe l'esecuzione del disegno di innalzare un nuovo edificio nell'Oratorio, benchè si trovasse sempre al secco di moneta e aggravato di grossi debiti. Ciò argomentiamo da una lettera scritta alla Marchesa Fassati, che certamente ebbe una generosa risposta.

 

Torino, 26 Marzo 1862,

 

Benemerita Signora Marchesa,

 

Questa mattina mi trovo in un vero imbarazzo. Ho bisogno di pagare una somma pel cui totale mi mancano quattrocento franchi e non ne posso differire il pagamento. Se mai Ella potesse dire una parola al Sig. Marchese, perchè me li volesse dare in limosina, o semplicemente imprestarli, farebbe una vera opera di carità: in questo secondo caso potrei far fronte coi proventi che spero di ottenere dalla lotteria. Compatisca questo disturbo; il Signore non mancherà di dare largo compenso a Lei, al Sig. Marchese e a tutta la famiglia.

Con pienezza di gratitudine me Le professo rispettosamente.

   Di V. S. Benemerita

                                                                                                        Obbl.mo Servitore

Sac. Bosco Giovanni

 

 

Nello stesso tempo indirizzava una Supplica al Re sottoscritta da tutti i suoi chierici.

 

Sacra Real Maestà,

 

I Chierici infrascritti espongono rispettosamente che essendo orfani o figli di genitori poveri ebbero nell'impossibilità di progredire nello stato cui loro sembra essere da Dio chiamati. Per loro buona ventura furono caritatevolmente accolti nella casa dell'Oratorio di S. Francesco di Sales; ma ora si trovano in grande bisogno sia per provvedersi gli abiti opportuni nelle sacre funzioni ed anche per uso ordinario, sia anche per dare aiuto al sacerdote Bosco Giovanni loro superiore, che in questo momento pei molti giovani ricoverati sanno trovarsi in gravi strettezze.

Per questo motivo ricorrono alla nota bontà di V. S. R. M. supplicandola a voler loro accordare sopra la cassa dell'Economato quel maggiore caritatevole sussidio che a Lei sarà beneviso; o in capo di ciascuno degli infrascritti, oppure in capo del loro Superiore Sac. Bosco.

Pregando il cielo a voler spandere copiose benedizioni sopra di V. S. R. M. e sopra tutta la Real famiglia, colla massima gratitudine si professano.

1862.          

                                                                                                     Umili Supplicanti.

                                                                                                    (Seguono le firme).

 

 

Venne una risposta favorevole.

 

Regno d'Italia

Ministero di Grazia e Giustizia e de' Culti

              Div. 4 - N. 26241­

 

 

 

Torino, addì 23 Aprile 1862.

 

Il sottoscritto partecipa a V. S. M. Rev.da che sua Maestà in udienza del 21 corrente mese si è degnata di assegnare, a favore di varii giovani chierici ricoverati presso codesto stabilimento, un sussidio sul Regio Economato generale di lire 400 pagabili però alla S. V.

 

D'ordine del Ministro,

 

Il Direttore Superiore

A. Mauri.

 

A Don Bosco.

 

 

 

La nuova costruzione doveva innalzarsi lungo la via della Giardiniera ombreggiata da un filare di gelsi, cioè sullo stesso spazio occupato dalla tettoia appigionata un tempo dal Filippi al Visca ed ora proprietà di D. Bosco. Il nuovo edificio, alquanto più lungo della tettoia, doveva misurare metri 60 circa di lunghezza, 7, 20 di larghezza e 12 di altezza. Il pian terreno era destinato per la tipografia con numero duplicato di macchine, per il magazzeno delle somministranze, e per il laboratorio de' falegnami. Il secondo piano e le soffitte per dormitorii. In capo di questo edifizio a levante si doveva aprire una nuova comoda porteria coll'ingresso per i carri, colla sala di ricevimento per i parenti degli alunni, e l'abitazione del portinaio. La vecchia porteria, coll'androne e la sala annessa, chiuso il passaggio all'esterno, ridotta ad un sol corpo, doveva contenere un laboratorio ed il deposito della carta tipografica e de' libri stampati.

Era questo un lavoro di non lieve costo, ma D. Bosco avea detto sul principio dell'anno: - Quando io debbo fare una cosa che è di gloria a Dio, non mi regolo mai dal denaro che ho, ma solo dal bisogno in cui mi trovo; poichè son certo che la Divina Provvidenza in tal caso ci soccorre. Finora non ci venne mai meno.

D. Dalmazzo Francesco l'udì spesse volte ripetere fin dal 1861: che la piccola casa di Valdocco si sarebbe tramutata in una costruzione colossale con lunghi portici: che di qui la sua Pia Società si sarebbe diffusa nelle varie parti del mondo, che tanti suoi giovani divenuti sacerdoti sarebbero andati missionarii nella lontana America.

Il capo mastro Buzzetti Carlo, al quale Don Bosco aveva fatto conseguire la patente di costruttore, poneva mano all'opera.

Sarebbe stato grandemente vantaggioso il seguir fin dal principio un disegno generale di tutte le costruzioni future, e, secondo le linee regolari di questo, ingrandire a poco a poco l'Ospizio. E D. Bosco l'aveva in mente questo progetto ma, avendo fretta, fu necessario che si addattasse alle esigenze impostegli dall'economia, dalle angustie dell'area e da' bisogni speciali e pressanti. Quindi la fondamenta e una parte delle mura della tettoia sopraccennata furono conservate e sopra di esse sorse la fabbrica. Come ora si vede, coll'ingrandimento dell'Oratorio verso mezzogiorno, questa forma quasi una diagonale in mezzo ai cortili. D. Bosco disse poi più volte come quell'edifizio sarebbe coll'andar del tempo atterrato, qual deturpatore della simetria interna dell'Oratorio: ma che egli finchè fosse vissuto non avrebbe tollerato tale spreco. - Il Signore ci ha promesso, diceva, e ci dà tutti i mezzi necessarii per un'opera gigantesca, ma non li promette per le imprese di ornamento superfluo.

E i mezzi non mancarono. Narrava lo stesso D. Bosco ai suoi giovani nelle vacanze autunnali del 1862 un fatto accaduto nel mese di giugno, invero strepitoso o almeno provvidenziale comunque si spieghi. Il Capo mastro muratore erasi portato a lui chiedendo alcune migliaia di lire onde pagare i suoi subalterni. D. Bosco sapeva con certezza assoluta di non aver danaro, nondimeno non osò dargli risposta negativa, conoscendo le strettezze di Buzzetti. Poco dopo saliva in camera pensando in qual modo potesse trovare la somma richiesta; e mentre seduto al tavolino rivolgeva carte, lettere, stamponi, ecco affacciarsi un plico, del quale ignorava la provenienza. Lo apre e vi trova 5000 lire, che abbisognavano al Capo mastro, e con tranquillità discese e gliele consegnò. Tal fatto non può che dimostrare la gran cura che Dio ha de' suoi servi, sia che egli abbia ispirato qualcuno a portare segretamente que' danari, sia diciamolo pure, che prodigiosamente gli abbia fatti colà comparire. E tanto buono Iddio! D. Bosco però non potè mai sapere da qual mano gli venisse un tal dono.

Di un altro lavoro era incaricato Buzzetti. Una baracca di legno aperta, con tetto coperto di tegole, serviva per deposito degli attrezzi de' muratori e della calcina, sotto le finestre delle stanze di D. Bosco a mezzogiorno. Quivi si doveva innalzare un portico di pilastri, di metri 14 per lunghezza, alto 4, e largo 6, 75, che sosteneva un terrazzo a volte. Chiusi con muro gli spazii tra pilastro e pilastro ne riusciva una bella sala dove sarebbero state trasportate le macchine della prima tipografia, finchè fosse pronto il nuovo locale per esse destinato; e poscia la fonderia dei caratteri vi avrebbe occupato il suo posto.

Questi disegni furono a suo tempo eseguiti, ma richiedendo essi gran quantità di lavori in ferro, D. Bosco iniziava l'officina de' fabbri ferrai. Per questi destinò lo stanzone, ove, come abbiamo già esposto, il Maestro Miglietti aveva emigrato dalla vecchia portieria co' suoi alunni esterni; e a lui per scuola veniva assegnata una stanza nei primi portici a fianco de' laboratorii dei legatori de' Vibri, de' calzolai e de' falegnami. I  sarti lavoravano al primo piano dietro l'ufficio di D. Alasonatti e in un pianterreno della casa, una volta di Filippi, lavoravano alcuni tintori e cappellai.

Questo aumento progressivo di laboratorii induceva Don Bosco a modificare due successivi regolamenti anteriori, che attribuivano ai Capi d'arte la responsabilità del lavoro, del­l'economia, della disciplina e della moralità degli allievi.

Quindi ne preparava un nuovo, col quale affidava del tutto ogni laboratorio ad un assistente laico della casa, il quale però doveva essere coadiuvato dal Capo d'arte. Fra i primi assistenti furono Rossi Giuseppe e Buzzetti Giuseppe.

 Il Cav. Federico Oreglia di S. Stefano poco tempo dopo era messo a capo della tipografia e della legatoria.

Con questa modificazione di regolamento non erano ancora stabilite definitivamente tutte le norme per il buon ordine degli artigiani. Crescendo il numero di questi e l'importanza dei loro lavori, la parte disciplinare e morale venne affidata a' chierici ai quali fu dato il titolo di assistente, mentre ai laici confratelli rimaneva la direzione materiale ed economica. Quindi D. Bosco formolò un quarto regolamento che non fu, in sostanza, più mutato, ed è quello che nel 1877 fu stampato per le Case della Pia Società di S.Francesco di Sales.

Ma che intanto nel 1862 fosse necessario l'ordinamento dei laboratori lo dimostrò il fatto. Nell'officina dei fabbri ferrai accadde un grave disordine contro l'articolo 3 del regolamento.

Avvicinandosi la festa di S Eligio, protettore di quell'arte, i due operai esterni e i loro apprendisti si accordarono di celebrare quella ricorrenza con un buon pranzo o merenda che fosse. Si quotarono e si provvidero di vino e di commestibili. D. Bosco, avuto sentore della cosa, la vietò anche per i disordini che poteva cagionare; e perchè altri laboratorii avrebbero preteso in simile occasione di fare altrettanto, se avessero sperata una inconsulta tolleranza. Ma que' fabbri, in parte entrati da poco tempo nell'Oratorio e non ancora avvezzi all’obbedienza e insofferenti di giogo, spalleggiati da chi doveva contenerli, usando qualche precauzione, vollero egualmente fare baldoria.

D. Bosco però, che era così blando nel dare ordini, se la necessità lo costringeva a fare uso di un comando risoluto, allora sapeva far valere la sua autorità, nè tollerava impunita la resistenza. Tuttavia abborriva da ogni maniera precipitata e violenta; e atteso il domani diede i suoi ordini al Prefetto. Questi, chiamati i giovani colpevoli, dopo un rimprovero ragionato e calmo, li rimandò alle loro case. Fu una giusta ed utile lezione anche per altri dell'Oratorio, che avessero nutrita qualche velleità di ribellarsi al comando de' superiori, sicchè per molti anni - non accaddero trasgressioni importanti e collettive alle regole. Pestilente flagellato stultus sapientior erit, dice lo Spirito Santo (Prov. XIX, 25).

Tuttavia D. Bosco essendo stato supplicato da quegli artigiani espulsi che domandavano perdono e promettevano obbedienza ne riaccettò la maggior parte; ma stette fermo a non più ammettere in casa i due operai esterni. E ne aveva ben donde. Il Maestro d'arte ha più di ogni altro influenza sui giovani sia nel bene, sia nel male, perchè da lui direttamente dipende il loro avvenire professionale. Perciò D. Bosco doveva essere oculato in tale scelta e rigoroso nel togliere quell'ufficio a chi se ne fosse reso indegno. E talora parve che Dio confermasse la sua sentenza.

“ Mi incontrai, narrava Giuseppe Reano, presso la chiesa di S. Dalmazzo con un capo d'arte congedato dall'Oratorio, il quale mi disse: - Reano, devi sapere che D. Bosco e Don Savio avranno da fare con me!

” E perchè mi viene ora a parlare di queste cose? io risposi; sarei contento di saperne nulla, perchè soffro molto nell'udirle. -

” Ma l'altro essendosi riscaldato nelle sue recriminazioni, gli replicai: - Senta, signore, ascolti un mio consiglio: ciò che è stato, è stato ed io non posso erigermi a giudice del fatto. A lei non manca lavoro, lasci dunque andare l'acqua alla china. Vorrebbe dichiararsi avversario di D. Bosco? lo non avrei tanto coraggio, nemmeno per tutto l'oro di questo mondo.

” Alle mie parole questi andò sulle furie e venne al punto di offendere anche me, sicchè ci separammo sgarbatamente.

” Ma dopo pochi mesi la moglie di costui fuggì dal tetto coniugale, e quindi dopo alcune settimane gli fuggì di casa il figlio maggiore. Sei mesi dopo queste fughe, fu assalito da un colpo apopletico per cui gli rimase paralizzata una gamba, costringendolo a camminare appoggiato ad un bastone. Tra­ scorso un anno un altro colpo apopletico lo tolse di vita. Il suo secondo figlio, rimasto privo di padre e di madre, campava a gran stento la misera vita, soccorso talvolta da Don Bosco ”.

La Divina Provvidenza intanto aiutava D. Bosco mandandogli buoni capi d'arte ed alcuni veramente eccellenti, dei quali a suo tempo faremo menzione onorevole. Per ora ci contentiamo di nominare un solo, quello dei fabbri ferrai Garando Giovanni Battista. Era un bravo cristiano all'antica e vero artista nel suo mestiere. Per varii anni aveva accettati nella sua officina giovani raccomandati da D. Bosco e tutti furono molto contenti di un tale maestro. Per mancanza di committenti però e per disgrazie finanziarie aveva dovuto chiudere la sua bottega, costretto a lavorare come semplice operaio presso un padrone. Nel 1863 Pietro Enria che aveva lavorato per tre anni sotto la sua maestranza, lo incontrò per Torino, e fattegli molte feste gli chiese sue notizie. Quegli rispose che di sanità grazie a Dio non c'era male: - Ma vedi, gli soggiunse, a che punto sono ridotto a 7o anni! Mi tocca fare il garzone d'officina. - Enria gli rispose: - Caro Battista; vuol venire con me all'Oratorio? Sono sicuro che D. Bosco lo accetterà subito in casa tanto più che stenta ad avviare un laboratorio di fabbri. - Ahi esclamò Garando; se il Signore e la Madonna mi faranno questa grazia, io non verrò mai più via da quel luogo. -

D. Bosco l'accettò e il buon artista era così contento, che andava ripetendo: - Ma io sono entrato in paradiso! - Lavorava come un giovane sui vent'anni, addestrava con diligenza i suoi allievi, e vigilava perchè non dessero mai alcun dispiacere a D. Bosco. Fu egli che preparò poi tutte le ferramenta della Chiesa di Maria Ausiliatrice e specialmente le finestre. Visse quattro anni nell'Oratorio ripetendo fino nella estrema ora della sua Vita: Benedetto quel giorno nel quale D. Bosco mi accettò nella sua casa.

 

 

 

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