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Capitolo 13

I saltimbanchi - Giovanni si esercita nei giuochi di ginnastica e di prestigio - Un cavadenti.


Capitolo 13

da Memorie Biografiche

del 04 ottobre 2006

In quel tempo nacque in Giovanni un vivo desiderio di andare sui mercati e sulle fiere dei paesi vicini, per assistere a quei giuochi di prestigio e di forza, che mai non mancano in simili occasioni. Istintivamente si sentiva portato a primeggiare fra i suoi conterranei per giovare alle anime loro. Ma egli non aveva nulla che potesse attirare a sè l'attenzione degli altri: non studi, non ricchezze, non posizione sociale. Per soprappiù la sua casa era isolata, e non si trovava neppur in un centro ove potesse trattare con molti. D'altronde per entrare nell'animo di gente rozza e che naturalmente non si sarebbe assoggettata ad ascoltare le lezioni di un bambino, ci voleva per allettarla qualche speciale industria. Giovanni vide che la novità di un piacevole divertimento lo avrebbe reso padrone degli animi; ed eccolo a studiare il modo di rendersi valente nei giuochi di destrezza. Ne chiese licenza alla madre, esponendole un certo suo disegno, che poi vedremo da lui eseguito. La madre, dopo aver pensato alquanto, accondiscese volentieri, ma siccome era necessario far qualche spesa: - Aggiústati come vuoi e come sai, gli disse, ma non chiedermi soldi perchè non ne ho! - Lasciate a me il pensiero di questo; saprò io cavarmi dall'impiccio: rispose Giovanni.

- Vedremo nei capitoli seguenti come seppe industriarsi per aver danaro.

Fa meravigliare che una madre così prudente desse simile licenza al figlio, ma bisogna sapere che quei tempi erano diversi dai nostri; nelle popolazioni regnava maggiore semplicità di costumi, e fra i ciarlatani ve n'erano di quelli che poteano passare per gente onesta e morigerata. Il famoso Orcorte, la cui abilità è ancor ricordata adesso fra la gente dopo tanti anni che è morto, era inappuntabile in quanto a castigatezza di modi e di parole. L'autorità civile vegliava eziandio con bastante premura a tutela della pubblica moralità, e prestava mano forte al parroci, quando eravi un disordine da togliere. Ei poi non andava solo, ma accompagnato dalla madre o da persone sicure, alle quali la mamma affidavalo.

Giovanni incominciò pertanto ad andare alle fiere che due volte all'anno si facevano a Castelnuovo, e si trovava spesso sui mercati pel solo fine di incontrarsi coi ciarlatani e coi saltimbanchi. Appena sapeva giunto in qualche borgata chi ballava sulla corda o faceva giuochi difficili, subito là correva. Non già che si dilettasse dello spettacolo: voleva imparare. Andava risoluto di osservare attentamente ogni loro più piccola prodezza. Colà pagava due soldi per vederli lavorare più da vicino. Era tutt'occhi per sorprendere ogni loro modo o gesto più impercettibile, onde portarsi via le loro astuzie ed apprendere la loro destrezza. Ritornato a casa, si industriava e si esercitava a ripetere quei giuochi, finchè non avesse imparato a fare altrettanto. Nessuno può immaginarsi le scosse, gli urti, le cadute, i capitomboli, cui ad ogni momento andava soggetto in questi esercizii. Ma nulla importavagli; incominciava a fare un salto ed anche due, ma al terzo stramazzava per terra sì da perdere il fiato. Rialzavasi, riposava un momento e poi ritornava alle sue prove. S'accingeva a ballare sulla corda; stendeva questa a certa altezza, con un rozzo bilanciere da lui fabbricato vi saliva sopra e quindi tentava quell'aerea passeggiata. Talora sbatteva al suolo così pericolosamente, da dover rimaner morto; ma per fortuna non si fece mai alcun male notabile, nè mai si perdette di coraggio. Con questa costanza, chi il crederebbe? a undici anni erasi fatto abile in ogni specie di salti e di giuochi. Sapeva i giuochi dei bussolotti, il salto mortale, la rondinella, camminava sulle mani, saltava e danzava sulla corda come un saltimbanco di professione. Avea pure imparato molti di quei prestigii, che fanno meravigliare coloro che non conoscono simili segreti. Oltre a ciò, egli, che non si dava pace finchè di quanto gli veniva sott'occhio non avesse avuta l'intera spiegazione, aveva seguìto con insistente osservazione ogni atto di un certo saltimbanco nel cavare i denti, arte nella quale era quegli peritissimo; e colla sua investigazione era riuscito a conoscere il modo di maneggiare la chiave inglese, la conformazione del dente incastonato nella gengiva, e il movimento della mano per strapparlo in un sol colpo.

L'assiduità di Giovanni a tali spettacoli sulle fiere, la sua attenzione, certe osservazioni fatte, certe interrogazioni mosse, aveano fatto nascere sospetti e diffidenze nei soliti ciarlatani, i quali si mostravano infastiditi della sua presenza, perchè lo conoscevano omai per uno che tentava di rubare loro il mestiere. Più di una volta si avvidero che avea penetrati i loro segreti. Ciò loro dava molta noia. Per conseguenza cercavano ogni mezzo per eluderne con destrezza l'attenzione, o volgendogli le spalle, o collocando qualche persona in modo che gli rimanesse celato il tavolino. Ma Giovanni cambiava posto, e si poneva sempre loro in faccia o di fianco, sicchè riuscivano inutili quelle precauzioni.

Fra i varii aneddoti, che gli accaddero in questi tempi, non passo sotto silenzio il seguente, che egli raccontava spesse volte a' suoi figliuoli per ricrearli. Queste sono per noi così care rimembranze, che quasi ci fan risuonare all'orecchio l'amabile voce, che nella nostra giovinezza ci fece passare tante ore felici di ricreazione. Lo scherzo e l'ameno racconto fluiva continuamente dalle sue labbra. Questa giovialità fu il carattere di tutta la sua vita, anche in mezzo alle cure più spinose, ai dispiaceri più grandi.

Sulla piazza, adunque, di un paese vicino era venuto a far sue prove un cantambanco, con musica e gran cassa. Giovanni in mezzo alla folla si era spinto tanto innanzi, che era giunto presso la carrozza. Il ciarlatano di sua conoscenza voleva levarlo di là, ma non ci fu verso. - La piazza è pubblica - diceva Giovanni. Dall'alto della vettura il ciarlatano incominciò a raccontare le sue fanfaluche come fosse venuto dal Gran Mogol, avesse percorsa tutta la Cina, fosse amico intimo di tutti i principi della Persia, avesse miracolosamente guarito il gran Kan di Tartaria, il Michado del Giappone ecc. ecc. ecc. Continuava come pel bene dell'umanità avesse per lunghi anni fatti studii profondi sulle erbe al chiaro della luna, e avesse scoperto dei segreti di natura così benéfici da far trasecolare lo stesso Salomone, se fosse ancor stato a questo mondo. Rinforzando la voce, annunziava urbi et orbi come avesse trovato un mezzo miracoloso per cavare i denti al suo uditorio, o con una spada, o con un martello, o col dito, ma però senza che il paziente avesse a soffrire il minimo dolore. Ciò asseriva doversi attribuire ad una certa polvere, che egli era venuto a vendere in quel paese a prezzi modicissimi, polvere che avea la portentosa virtù di guarire eziandio mille altri mali. Per provare la sua asserzione sfoderava pergamene, lettere, patenti, attestati di benemerenza e faceva ciondolare in aria i sigilli di tutte le teste coronate del mondo. Affermava essere venuto in quel paese solamente pel bene dell'umanità sofferente, e quindi annunziava che chiunque avesse bisogno di guarire dal mal di denti, oppure di farsi togliere denti guasti si facesse pure avanti, chè egli senza il minimo suo dolore lo avrebbe servito.

Finita la magniloquente sua orazione, durante la quale aveva lanciato di quando in quando occhiate poco benevoli, anzi dirò sospettose sopra di Giovanni, mentre si asciugava il sudore, fece dare per un breve istante fiato alle trombe. Cessata la musica, ecco presentarsi un contadino a pregarlo di cavargli un dente, causa di atroci dolori. Il ciurmatore, fatto salire il paziente in alto sul cassetto del cocchiere, lo invitò ad assidersi, comprimendo un atto d'impazienza, che chiaro gli si leggeva tra le rughe della fronte. Il contadino, confuso per essere così esposto al pubblico, interrogò il ciarlatano:

- Quanto volete per paga?

- Uomo senza riputazione: rispose il ciarlatano. Io non lavoro per paga. Nessun danaro può pagare la mia abilità. Se vorrete farmi un dono dopo l'operazione, mi degnerò d'accettarlo per farvi piacere.

- E... non mi farete proprio nessun male?

- Lo stesso male come se neppur vi toccassi; aprite la bocca. - E il paziente aperse la bocca che sembrava un forno.

- Qual è il dente che vi duole?

- Questo! - rispose il contadino; e gli mostrò col dito un dente mascellare. Il ciarlatano allora si volse alla moltitudine degli spettatori, e magnificò il miracolo che presto tutti avrebbero visto della sua abilità. Il contadino replicò: - Ma non fatemi male neh!

- State tranquillo, e vedrete che cosa sono capace di fare io!

Intanto Giovanni, appoggiato alle ruote della carrozza, osservava la scena cogli occhi sbarrati, con sulle labbra un certo sorriso sardonico e rattenendo quasi il fiato. Il ciarlatano, che lo teneva d'occhio, crollò il capo. Era uno scrutatore importuno per un uomo, la cui fisonomia manifestava essere contrariato da qualche circostanza imprevista. Forse aspettava qualcuno indettato per fare il giuoco, e quel villanzone inatteso avea furate le mosse all'altro. Fosse caso o combinazione, un forestiero erasi avvicinato alla carrozza pochi istanti dopo la comparsa di quel baggeo e aveva ammiccato cogli occhi il ciarlatano. Comunque fosse la cosa, il fatto sta che il ciarlatano non si perdette di animo, e messo un po' della sua polvere sul dente cariato: - Or su, chiese; a vostra scelta: volete che adoperi la spada, il martello o semplicemente le dita? - Naturalmente rispose l'altro: - Le dita! - Il ciarlatano si accinse all'operazione. Giovanni, che non perdeva un solo de’ suoi gesti, si accorse che dalla manica avea fatto correre nella mano una chiave inglese, e fece un atto che indicava di aver compresa la cosa. Il ciarlatano gli diede un'occhiata fulminante, e mise le dita in bocca al villano. Il dente saltò fuori con stento, ed un ahi! formidabile uscì da quella bocca, appena potè formare il grido. Quell'urlo fu coperto da un - benissimo! - prolungato e contemporaneamente ancor più poderoso dell'urlo. Giovanni non potè trattenere le risa. Il ciarlatano sembrò imbrogliato per un istante, ma si mantenne a sangue freddo. Il villano si alzò gridando: - Contacc, bugiardo, impostore, mi avete assassinato, mi avete sconquassato le gengive!

- La voce però era fioca sia pel dolore, sia pel sangue che dovea sputare. Ed il ciarlatano coprendola ripeteva:

- Benissimo! signori! sentano cosa dice quest'uomo! Esso non ha sofferto verun dolore! - Il villano inviperito continuava a protestare, e il ciarlatano tenendolo per le braccia, perchè temeva una colluttazione, gridava più forte: - Grazie, grazie! non incomodatevi: l'ho fatto per carità. - E lo spingeva a scendere, mentre quel forestiero vicino alla carrozza lo tirava giù prendendolo a braccetto, conducendolo via, come se fosse suo amico, e facendogli splendere innanzi agli occhi una moneta d'argento perchè tacesse. Una fragorosa sinfonia soffocò le sue ultime voci, mentre i contadini, che di nulla si erano accorti, si accalcavano per comprare la polvere meravigliosa. Giovanni, che solo avea goduto quella scena per essere vicino alla carrozza, continuava a ridere, ma nulla disse ai circostanti. Fu questa una delle ultime volte che presenziò i giuochi dei ciarlatani.

Tornato a casa raccontò alla mamma il lepido fatto, e del terzetto eseguito dalle grida del ciarlatano e del contadino, accompagnate dal zunne e zunne della gran cassa. Rise la buona madre; e: - Vedi, gli disse, fuggi sempre dai luoghi ove si fa fracasso; è un minchione chi vi si lascia cogliere: gli cavano i denti. Sai per qual ragione dove si giuoca, dove si beve, si sente urlare e cantare? Perchè ai disgraziati, che si lasciano circondare dalle cattive compagnie, in mezzo al frastuono si possa più facilmente strappare danaro, onore, stima, e soprattutto la grazia di Dio. Quanti incauti fanno a questo mondo una figura ancor più ridicola di colui, che hai visto sulla carrozza del ciarlatano!

Ma ora che cosa diremo noi di questo modo e di questi esercizii di Giovanni? Questa è certamente una pagina che potrà sembrar strana nella vita di un servo di Dio, e pochi riscontri si troveranno in altre biografie di Santi. Ma lo Spirito del Signore spira dove vuole e come vuole. Il ricreare i giovanetti per attirarli agli Oratorii festivi doveva essere una necessità per i tempi che si preparavano, e il Signore in Giovanni avea creato la necessaria inclinazione, che rende più facile ciò che per altri sarebbe una croce insopportabile. Che cosa poteva trovar di meglio un povero contadinello, isolato in una borgata, senza un consigliere od un appoggio? E poi il suo fine era santo. “E noi sappiamo, dice S. Paolo, che le cose tutte tornano a bene per coloro che amano Dio”.

Un altro grande pensiero si affacciava inoltre allora alla mente di Giovanni, e che più tardi gli faceva parlare con gusto di queste geste ciarlatanesche. Se tutti i sacerdoti, se tutti i cristiani nel sostenere l'onore di Dio coll'esempio e colla parola, nel perorare la causa dell'orfano e del derelitto, nell'imporre silenzio a coloro, i quali con scandalosi discorsi attentano alla fede e alla morale, avessero la franchezza dei ciarlatani nel raccontare le loro storie, nel vendere i loro cerotti, quale bene immenso si farebbe! I ciarlatani non hanno rispetto umano, si espongono al pubblico franchi, liberi da ogni timore, e traggono così la gente dalla loro parte per fare i propri interessi. Se il coraggio inspirato dalla carità, unito alla prudenza cristiana, ovunque e sempre mettesse in pratica il praedicate super tecta del divin Salvatore, quanto se ne avvantaggerebbero gli interessi divini per la salute delle anime!

 

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