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Capitolo 22

I finanzieri del secolo - D. Bosco e la banca della Divina Provvidenza - Progetto della Chiesa di S. Francesco di Sales - Il Carnovale in Valdocco - Catechismi della Quaresima - D. Bosco all'Oratorio di S. Luigi - Disegni dei Deputati contro gli Ordini religiosi e la legge della Manomorta - Gli scavi per le fondamenta della nuova chiesa.


Capitolo 22

da Memorie Biografiche

del 24 novembre 2006

Don bosco, comprando e rivendendo casa Moretta, acquistando il campo che noi diremo di Maria Ausiliatrice, divenendo proprietario della casa Pinardi, mentre i poco sagaci potevano crederlo interessato al proprio vantaggio, faceva invece i primi passi in un arringo nuovo, al quale chiamavalo il Signore.

Innanzi ad un secolo materiale e finanziere, nel quale tengono i primi posti le scienze dette economiche, la meccanica colle svariate sue macchine, i monopolii coll'accumulamento di milioni; in mezzo a tanti uomini speculatori, banchieri, egoisti, noncuranti o sprezzatori superbi della Divina Provvidenza, solo avidi di accumulare ricchezze, perchè tutto obbedisce al danaro; Iddio faceva sorgere un uomo il quale, senza capitali, senza nome sulle piazze del commercio, senza associazioni di azionisti, senza pratica dei moderni sistemi economici, condurrà le opere sue a proporzioni colossali, maneggerà milioni e milioni, provvedutigli dalla carità e che tutti saranno da lui spesi per la gloria del suo Signore e per la salute delle anime. Il danaro, al quale non porterà ombra d'affetto, non sarà che un mezzo per raggiungere il fine.

Si rifletta un istante sull'intera vita di D. Bosco. Egli sentiva in sè  la dignità e la sicurezza di amministratore dei tesori della Divina Provvidenza; ma come servo fedele incominciò a negoziare i talenti che il Padre di famiglia gli aveva consegnati. Sua regola fu la massima di S. Ignazio di Loiola: “Lavorare come se l'esito di un affare dipendesse unicamente dai nostri sudori, e nello stesso tempo diffidare di noi come se ogni cosa dipendesse unicamente dal Signore”. È questo principio la causa di quei mille mezzi che egli escogitò per fare appello alla beneficenza cristiana dei fedeli, non stancandosi mai fino ad imprese compiute e a costo di ogni più grave fatica e patimento. E il servo fedele non ne vide mai fallire nessuna, perchè Dio rimunerava le sue virtù. Quando gli mancavano i denari, la banca alla quale ricorreva era quella della Divina Provvidenza; e per staccarne da questa i mandati di pagamento visse egli, e volle che vivessero anche i suoi alunni, nella vera povertà evangelica. Prima però d'intraprendere tante sue opere, le aveva meditate lungamente nell'orazione, erasi raccomandato alle preghiere de' suoi figli e di altre anime pie, e per assicurarsi sempre meglio della volontà, del Signore, fu costante fino a' suoi ultimi giorni nel chiedere consiglio a sacerdoti prudenti, a superiori ecclesiastici e allo stesso Romano Pontefice. Di quanto diciamo fa ampia testimonianza D. Rua e quanti vissero con D. Bosco.

La povertà volontaria adunque, la preghiera continua, l'umiltà sincera lo rendevano degno di questa sua missione. Si aggiunga la sicurezza della sua confidenza in Dio. Così Mons. Cagliero e D. Rua ci poterono dettare la seguente pagina: “D. Bosco soleva dire, e noi l'udimmo più volte: - Il padrone delle mie opere è Iddio, Iddio l'ispiratore e il sostenitore, e Don Bosco non è altro che lo strumento; perciò Iddio si trova impegnato a non far cattive figure. Maria SS. poi è la mia protettrice, è la mia tesoriera. - E quando era maggiore la deficienza di mezzi, o più grandi le difficoltà o tribolazioni, lo si vedeva più allegro del solito, tantochè nel vederlo più frequente e spiritoso nel dir facezie, dicevamo: - Bisogna che Don Bosco sia ben nei fastidi, giacchè si mostra così sorridente. - Infatti, esaminando le circostanze nelle quali si trovava allora, ed interrogandolo, venivamo a scoprire i nuovi e gravi ostacoli che gli si paravano avanti. Ma Don Bosco ripeteva sempre quelle parole di S. Paolo. - Omnia possum in eo qui me confortat. - Era sicuro che Iddio come altre volte, dopo averlo messo alla prova, lo avrebbe esaudito. Nessuno scorgeva in lui fastidio o noia. Queste continue sollecitudini erano per Don Bosco cose tanto naturali, che quasi non se ne avvedeva, e vi durava da mane a sera e un giorno dopo l'altro; e sempre come se non fosse lui a sostenerne il peso. Non si dava alcuna pretesa, e si vedeva umile come chi avesse nulla a fare, ed avesse fatto nulla”.

Eppure non potea dirsi facile il maneggio dei tesori che la Provvidenza Divina deponeva nelle sue mani, perchè in questa amministrazione egli doveva necessariamente valersi dell'opera altrui. Era oculato nel predisporre ogni disegno, attento nella scelta delle persone, minutissimo nel cercare che si risparmiasse il più che si poteva, esatto nel chiedere di esaminare i contratti, ma nello stesso tempo non diffidente. Scelta una persona che aveva fama di onestà, si regolava come il Pontefice Iojada ai tempi del Re Gioas nella riparazione del tempio. “Non si faceva render conto a quelli i quali ricevevano il danaro per pagare gli artefici, ma lo amministravano sulla loro fede”.

Tuttavia egli, di cuore aperto, incapace d'ingannare, credette talora essere negli altri quello stesso amore alla giustizia che egli adoperava in ogni contratto; e non conoscendo le trame usate dalla gente del mondo, nei loro commerci fu più volte ingannato, basando i suoi calcoli su una preventiva di spesa che poi vide salire a somme più elevate. Talvolta i provveditori, specialmente ne' suoi primordi, lo tradirono in varie maniere; tal altra, stretto da circostanze imperiose, s'incontrò in persone poco delicate, che lo costrinsero a vendere per poco ciò che valeva molto, e a comprare per molto ciò che valeva poco. Non mancarono e frodi e furti, perchè Don Bosco non poteva sempre tener l'occhio a tutto. Nè  ciò deve far meraviglia. Gesù benedetto non aveva affidato ad un Giuda la borsa delle elemosine? Moltiplicate le aziende, egli cercò persone del suo Istituto che lo coadiuvassero in questi svariati bisogni; e trovò finalmente uomini onestissimi, fidati a tutta prova, ma taluni non sempre pratici degli affari, non atti a certe operazioni commerciali, e tutti sprovvisti sovente del denaro che era indispensabile, perchè D. Bosco aveva la cassa vuota. Aggiungiamo ancora che i debiti dell'Oratorio salivano spesso a somme enormi, e ciò senza un centesimo di reddito. Eppure Don Bosco quasi passeggiando sull'orlo di un fallimento, fece sempre fronte a tutti i suoi impegni; i suoi creditori non perdettero mai un centesimo; continuamente si innalzarono edifizii; ed i suoi giovani in numero sterminato e sempre crescente non mancarono mai di nulla. Perchè le fabbriche di Francia, d'Austria, d'Inghilterra facessero spedizione di quantità di merci alle sue case, bastava per garanzia il suo nome; molti imprestiti gli furono concessi sulla semplice parola o con una carta senza forma legale, e vi furono banche nell'America che prima versarono ai Salesiani grosse somme e poi mandarono a Don Bosco, al quale era intestato il mutuo, le cambiali in bianco perchè le firmasse, come egli fece.

Tutto ciò non fu un miracolo strepitoso, continuo per quasi mezzo secolo? Non è evidente che Don Bosco fu l'uomo che Dio volle presentare al secolo materialista, per fargli toccar con mano che cosa può, senza i calcoli e le arti umane, l'appoggio della Divina Provvidenza, a chi ripone in Lei una confidenza senza limiti?

Anche di questa missione di Don Bosco è adunque da tenersi conto nel procedere nella nostra narrazione, mentre qui dobbiamo dire che nel 1851 egli con D. Cafasso, col Teol. Borel e con D. Giacomelli aveva più volte manifestato il suo pensiero di mettere presto mano all'opera per la costruzione del suo futuro e grandioso Oratorio. Anzi un giorno sul principiar dell'anno, mentre era attorniato da' suoi giovani, loro parlò dello splendido avvenire della casa di Valdocco, di un porticato che avrebbe attorniato un ampio cortile, descrivendo eziandio, come se già ciò avvenisse, le feste che si sarebbero celebrate in una grande chiesa, e le musiche stupende che vi avrebbero risuonato, e il concorso dei popoli accorrenti ai piedi degli altari.

Don Bosco pertanto nel mese di marzo risolveva di incominciar subito la fabbrica di una cappella più decorosa pel divin culto, e più acconcia al crescente bisogno. L'antica, come abbiamo già esposto, coll'aggiunta di alcune camerette, si era bensì alquanto ingrandita, ma non cessava di essere insufficiente e disadatta. Siccome per entrarvi bisognava discendere due scalini, così d'inverno e in tempo piovoso era sovente allagata ed inumidita. D'estate poi, a causa della bassezza e della poca ventilazione, vi si veniva meno e soffocavasi per l'eccessivo caldo, onde passavano ben pochi giorni di festa, senza che qualche giovanetto venisse colto da sfinimento, e portatone fuori come asfissiato. Era dunque non solo utile, ma necessario che si desse mano ad un sacro edifizio più divoto, più capace e più salubre.

Ma di quali mezzi poteva disporre Don Bosco, mentre da poche settimane aveva pagata la casa Pinardi? Brosio Giuseppe così scriveva a D. Bonetti Giovanni: “Un giorno feriale sono andato a fargli visita e lo trovai nel cortile che pensieroso teneva una lettera in mano. Dubitando qual fosse la cagione di quella preoccupazione, lo interrogai; e Don Bosco mi porse la lettera perchè la leggessi. Era un fornitore che minacciava di farlo chiamare in giudizio se non gli sborsava subito circa duemila lire in acconto del suo avere. Terminata di leggere quella lettera, chinai la testa riflettendo qual dispiacere e vergogna sarebbe per Don Bosco dover comparire in giudizio e sentirsi condannato per debiti; e mi sfuggì un lungo sospiro. Don Bosco invece tutto tranquillo mi disse: - Come, caro Brosio, tu sospiri per questo? Credi tu che la Provvidenza Divina mi abbandoni? Preghiamo e vedrai quello che farà la Madonna per l'Oratorio! - E siamo andati a pregare in cappella. Terminata la preghiera, ecco presentarsi un signore che desiderava parlare con Don Bosco e gli consegnava i denari necessari per quel pagamento.

Questa somma riparava un solo sdruscio, rimanendogli ancora altre partite da spegnere, non contando le spese continue da farsi. La chiesuola era troppo piccola per contenere tanti giovani, il locale angustissimo per dare alloggio ai ricoverati. Come fare? Dove prendere tanti danari per provvedere a tutte le necessità? Avendo io esposte queste osservazioni a Don Bosco egli mi disse: - Ho intenzione a suo tempo di fare una lotteria; manca però il locale e gli oggetti che dovrebbero servire come premio agli oblatori. Dove mai prendere tutta questa roba? - E così dicendo sorrideva. Lei, gli risposi, che conosce tanti signori, domandi ad essi gli oggetti necessarii, ed io farò quello che potrò presso negozianti di mia conoscenza, e vedrà una lotteria che riuscirà sorprendente. - E in ciò abbiamo convenuto. Ma Don Bosco tenne per sè  i suoi disegni, sui fini e sul modo di fare appello alla pubblica carità. La costruzione della chiesa doveva provvedere le somme necessarie per innalzare l'Ospizio e per ricoverare i giovani. E questi tre scopi li seppe conseguire ogni volta che si accingeva ad un'impresa grandiosa che era la principale: questa doveva sostenerne due altre eziandio importanti”.

Di quegli stessi giorni Don Bosco una sera diceva a sua madre: -Ora voglio che innalziamo una bella chiesa in onore di S. Francesco di Sales. - Ma dove prenderai i danari? gli domandò la buona Margherita. Sai che di nostro non abbiamo più nulla; tutto fu già fatto fuori per dare vitto e vestito a questi poveri giovani. Quindi prima di assoggettarti alle spese di una chiesa, devi pensarci due volte, e intenderti bene col Signore. - E faremo appunto così. Se aveste del danaro me ne dareste voi? - Puoi immaginarti con quanto piacere. - Or bene, conchiuse il figlio, Iddio, che è tanto più buono e più generoso di voi, del danaro ne ha per tutto il mondo, e per un'opera che deve tornare alla sua maggior gloria, spero che me ne manderà a tempo e luogo.

Con questa fiducia Don Bosco fece un giorno chiamare l'ingegnere, il signor cav. Blachier, lo condusse sul luogo da destinarsi al sacro edifizio, e lo pregò di fare un disegno; quasi nel medesimo tempo, avuto a sè  un certo sig. Federico Bocca, gli domandò se voleva assumersi l'impresa di eseguirlo. - Di buon grado, rispose quegli. - Ma l'avverto, soggiunse Don Bosco, che potrebbe darsi che qualche volta io non avessi il danaro per le opportune spese. - E allora andremo più adagio nei lavori. - Ma no, che io vorrei che andassimo in fretta, e tra un anno avessimo la chiesa bell'e fatta. - E andremo anche in fretta, riprese l'impresario. - Dunque incominci, conchiuse Don Bosco. Qualche cosa di fondo vi è già; il resto la Divina Provvidenza ce lo spedirà a suo tempo.

Mentre si prendevano queste disposizioni, si avvicinava la quaresima, e negli ultimi giorni di carnovale in mattine diverse i giovani interni ed esterni dell'Oratorio compivano l'esercizio della buona morte. “Ricordo, ci scriveva il Can. Anfossi, che ogni anno nel carnovale in compenso di tanti disordini che si commettono, Don Bosco ci esortava a ricevere la SS. Eucarestia ed a fare delle ore di adorazione innanzi al tabernacolo. E mentre parlava, pensando agli insulti che riceveva Gesù Sacramentato, specialmente in quei giorni, piangeva e faceva piangere anche noi. Ci raccomandava eziandio di compiere le nostre pratiche di pietà il più divotamente che fosse possibile coll'intenzione di acquistare l'annessa indulgenza plenaria, e diceva: Procuriamo un buon carnevale alle povere anime purganti, cooperando a farle entrare più presto nei gaudii del paradiso.

Insisteva anche perchè nelle preghiere non dimenticassimo i nostri benefattori. Quindi, sebbene in Torino si facesse sfoggio di molti divertimenti pubblici e tutta la città fosse in moto colle sue maschere, noi ragazzi non sentivamo punto il bisogno di uscire per Torino; non ci veniva neanche il pensiero di chiederne il permesso; Don Bosco però in compenso ci procurava qualche divertimento nel cortile e nel teatrino”.

L'11 marzo i catechismi quadragesimali erano ordinati. Nell'Oratorio di S. Luigi il Direttore Sac. D. Pietro Ponte ebbe con sè  il giovane Teologo Sac. Felice Rossi. Il Teol. Leonardo Murialdo incominciava a frequentare l'Oratorio dell'Angelo Custode in Vanchiglia, diretto poi dal Teol. Roberto Murialdo suo cugino, e vi si portava tutte le feste a farvi il catechismo. In aiuto di questi e di altri zelanti sacerdoti Don Bosco mandava da Valdocco non solo chierici ma i suoi giovani medesimi più sodi e più sicuri, esercitando essi quell'ufficio anche tutte le domeniche dell'anno. Nel 1851 per deferenza al Parroco di Borgo Dora, nella cui parrocchia trovavasi l'Oratorio di Valdocco, prese eziandio a mandarli a fare il catechismo nella sua chiesa dei Ss. Simone e Giuda e così continuò sempre, tolte brevi interruzioni, per lunghi anni.

D. Bosco catechizzava nell'Oratorio di Valdocco, ma sorvegliava su tutto e su tutti.

Abbiamo la testimonianza a noi data dal sig. Cristino Nicolao: “Fui dei primi ad intervenire all'Oratorio di San Luigi e lo frequentai per più anni. D. Bosco molte volte vi si recava, sia nella quaresima sia lungo l'anno e talora accompagnato da nobili e distinti personaggi della città che lo coadiuvavano, ed era accolto con un entusiasmo difficile a descriversi. Presiedeva ai catechismi e alle funzioni, predicava ed eccitava lo zelo de' suoi cooperatori. Io ammirai spesso l'ascendente che D. Bosco aveva su quei giovanetti.

Talora alcuni infuriati si battevano e D. Bosco si avvicinava con tutta calma dicendo: - Eh là! Eh là! - e prendevali, come accarezzandoli, per un orecchio; e a quell'atto istantaneamente si pacificavano.

”Talora, in premio ai più diligenti, li conduceva a pranzo, o nella villeggiatura del Teol. Vola a S. Margherita, o a Sassi presso quel buon parroco. Stando in mezzo ai giovani, ne studiava attentamente le inclinazioni, la pietà e la condotta, per scorgere se scoprisse indizii di vocazione ecclesiastica. Fra gli altri, parendogli che io potessi fare buona riuscita, mi affidò al Teol. D. Pietro Ponte, perchè mi facesse incominciare lo studio della lingua latina. Ma non riuscii, perchè il mio fratello maggiore non pazientò nell'attendere che il corso degli studii rendesse più chiaramente palese la mia vocazione, e perciò dovetti applicarmi ad un'arte liberale. Ma altri da D. Bosco aiutati direttamente furono insigniti del sacerdozio; altri appresero onorevoli professioni, tutti lo amarono, molti gli si mostrarono riconoscenti, e sovente andavano a visitarlo in Valdocco. Ed io, dal giorno che morì, non posso fare a meno di recarmi tutte le settimane a visitarne la tomba a Valsalice”.

Le stesse cure D. Bosco prestava all'Oratorio di Vanchiglia.

Avvicinandosi la festa di Pasqua, che nel 1851 occorreva il 20 aprile, ferveva l'opera santa dei tridui e delle confessioni, e i Cappuccini del Monte a Portanuova e gli Oblati di Maria della Consolata in Valdocco, si prestavano, come altre volte nell'anno, ad esercitare con loro disagio il sacro ministero. I cori dei giovanetti preparati alla prima comunione cantavano la laude che D. Bosco aveva loro insegnata, e aggiunta in quest'anno al Giovane Provveduto:

 

Anche a noi concesso alfine,

    E’ degli Angioli il Convito, ecc.

 

E il clero secolare e regolare affaticavasi in città e in provincia nel santificare le anime e nello stesso tempo, convien pur dirlo, a formare dei buoni cittadini fedeli al Sovrano e obbedienti alle leggi dello Stato; senza far menzione degli altri innumerevoli benefizii morali e materiali che recavano ai popoli. Ma i settarii non volevano, anzi odiavano il vero bene e anelavano a togliere ogni influenza alla religione.

Nel Parlamento, che ormai aveva l'aspetto di un sinedrio di protestanti, verso il fine di marzo, tra le villanie e gli insulti al clero, era stata proposta una riforma degli Ordini monastici, volendosi vietare l'emissione dei voti solenni ai novizii prima dei ventun anno, e imporre che nei due anni precedenti la professione i novizii e le novizie vivessero almeno sei mesi continui fuori del chiostro: chi avesse accettato una professione religiosa non permessa dalle leggi fosse condannato alla relegazione e il professante privato dei diritti civili. Non si venne però al voto, e pochi giorni dopo, non essendo ancora ben maturati i disegni di soppressione dei Benefizii e degli Ordini religiosi, si cominciò ad imporre su questi gravi balzelli, e, lasciando esenti le chiese, si colpivano le abitazioni dei parroci e dei beneficiati. Il 15 aprile il Re firmava la nuova legge che aboliva le decime in Sardegna, e il 23 maggio sanciva quella della manomorta, la quale estendevasi alle province, ai comuni e agli istituti di carità e beneficenza; ma mentre per questi ultimi la quota era del mezzo per cento, per le Istituzioni Ecclesiastiche fu elevata al quattro.

Intanto Don Bosco in sul finire di maggio, demolito in parte il muro interno che divideva i due cortili, fece incominciare gli scavi per l'erezione della Chiesa progettata, cosicchè sul principio dell'estate se ne poterono gettare le prime fondamenta. Ma siccome i muratori di quando in quando

si lasciavano andare a bestemmie, Don Bosco li chiamò a sè , pregolli a non più bestemmiare, e per impedire l'offesa al Signore, promise che ogni sabato avrebbe loro dato uno ed anche due bicchieri di vino a ciascuno, purchè lasciassero quella brutta abitudine. I muratori promisero e mantennero la parola, e per più di un anno ogni sabato Margherita recava ad essi una botticella, che era vuotata a onore di Dio, a merito di D. Bosco e a refrigerio dell'ugola di quegli operai.

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