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Capitolo 22

D. Bosco annunzia un funerale pel mese di luglio - Sogno: il cavallo rosso - Rivoluzione: sventare le sue furie coll'ispirare ai popoli stima ed amore al Papa - Come giudicare se un libro sia buono o cattivo - Non può scrivere di D. Bosco chi non ha studiato il suo affetto pel Papa prudenza di D. Bosco nel parlare di politica ecclesiastica.


Capitolo 22

da Memorie Biografiche

del 01 dicembre 2006

   Le cronache del mese di luglio notano nuove meraviglie di D. Bosco.

D. Ruffino scrisse. “ I luglio 1862. - D. Bosco disse a pochi che gli stavano attorno dopo pranzo: - In questo mese ci toccherà fare un funerale. - Altre volte ripetè la stessa cosa, ma sempre a pochi ”.

Queste confidenze accendevano nei chierici una grande curiosità, sicchè nelle ore di ricreazione, permettendolo i loro doveri, si stringevano intorno a D. Bosco ripromettendosi di udire qualche novità, e una di queste fu come, più tardi compresero, il disegno di fondare istituti anche per le fanciulle. Infatti così ebbero a scrivere D. Bonetti e Chiala Cesare. Il 6 di luglio D. Bosco raccontò ad alcuni il seguente sogno fatto da lui nella notte dal 5 al 6 luglio. Erano presenti Francesia, Savio, Rua, Cerruti, Fusero, Bonetti, Cav. Oreglia, Anfossi, Durando, Provera e qualche altro.

Stanotte ho fatto un sogno singolare. Sognai di trovarmi insieme colla Marchesa di Barolo e passeggiavamo su di una piazzetta che metteva in una grande pianura. Io vedeva i giovani dell'Oratorio a correre, a saltare, a ricrearsi allegramente. Io voleva dare la destra alla Marchesa, ma ella mi disse: - No; resti dov'è.

Quindi si mise a discorrere dei miei giovani e mi diceva: - Va tanto bene che ella si occupi dei giovani, ma lasci a me soltanto la cura di occuparmi delle figlie; così andremo d'accordo. -

 - Io le risposi: - Ma, mi dica un poco; nostro Signore Gesù Cristo è venuto al mondo solo per redimere i giovanetti o non anche le ragazze ?

 - Lo so, ella mi rispondeva, che N. S. ha redenti tutti, ragazzi e ragazze.

 - Ebbene; io debbo procurare che il suo sangue non sia sparso inutilmente, tanto pei giovani, quanto per le fanciulle.

Mentre tenevamo questi discorsi ecco fra i miei giovani, che stavano sulla piazzetta, farsi un cupo silenzio. Tutti lasciano i loro trastulli e si mettono a fuggire, chi da una parte, chi dall'altra, pieni di spavento.

Io e la Marchesa arrestammo il passo e rimanemmo per un istante immobili. Cerco il motivo di quel terrore e quindi vo innanzi colla Marchesa. Alzo alquanto gli occhi ed ecco là in fondo nella pianura scorgo discendere a terra un cavallo grosso... ma così grosso!!.... Rimasi col sangue agghiacciato per la paura.

 - Era grosso come questa stanza? esclamò D. Francesia?

 - Ohi assai più, rispose D. Bosco. Sarà stato alto e grosso tre, o quattro volte di più del palazzo Madama. Insomma era una cosa straordinaria. Mentre io voleva fuggire, temendo che seguisse qualche catastrofe, la Marchesa di Barolo svenne e cadde per terra. Io quasi non poteva reggermi in piedi, tanto mi tremavano le ginocchia. Corsi a nascondermi dietro ad un casolare, che era non molto distante, ma di là mi scacciarono, gridando: - Vada, vada! Non venga qui! - Intanto io diceva fra me: - Chi sa che diavolo sia questo cavallo! Non voglio più fuggire, voglio farmi avanti ed osservarlo più da vicino, benchè tutto tremante, mi feci coraggio, ritornai indietro e mi avanzai.

Uh! che orrore! Con quelle orecchie ritte, con quel musaccio! Ora pareami che avesse tante gente addosso, ora che avesse le ali, cosicchè io esclamai: - Ma questo è un demonio!

Mentre lo contemplavo siccome ero accompagnato da altri, chiesi ad uno: - Che cosa è questo cavallaccio?

Mi fu risposto . - Questo è il cavallo rosso equus ruffis dell'Apocalisse.

Dopo mi svegliai e mi trovai sul letto tutto spaventato, e tutta questa mattina, dicendo messa, nel confessionale, aveva sempre davanti quella figuraccia. Adesso voglio che alcuno cerchi se questo equus rufus è veramente nominato nelle S. Scritture, e quale ne sia il significato.

E lasciò a Don Durando che cercasse di risolvere il problema. D. Rua osservò che veramente nell'Apocalisse al capo VI versicolo IV si parla del cavallo Rufo, simbolo della persecuzione sanguinosa contro la Chiesa come spiega nelle note alla Sacra Scrittura Mons. Martini. Così sta scritto: Et cum aperuisset sigillum secundum, audivi secundum animal, dicens: Veni et vide. Et exivit alius equus rufus: et qui sedebat super illum datum est ei ut sumeret pacem de terra, et ut invicem se interficiant et datus est ei gladius magnus.

Nel sogno di D. Bosco pare che il cavallo rosso rappresentasse la democrazia settaria, che, sbuffando per furore contro la Chiesa, si avanzava in danno dell'ordine sociale, senza arrestarsi di un passo; s'imponeva ai Governi, alle scuole, ai municipii, ai tribunali, e anelava a compiere l'opera devastatrice incominciata dalle sue complici autorità costituite, a danno d'ogni società religiosa, di ogni pio istituto, e del diritto comune di proprietà. D. Bosco diceva: - Bisognerebbe che tutti i buoni e anche noi, nel nostro piccolo, , con zelo e coraggio, procurassimo di torre un freno a questa bestia, che irrompe nei campi senza cavezza.

E in che modo? Mettendo in guardia i popoli coll'esercizio della carità e colle buone stampe, contro le false dottrine di tale mostro, volgendo le loro menti e i loro cuori alla cattedra di Pietro. Qui è il fondamento inconcusso di ogni autorità che viene da Dio, la chiave maestra che lega ogni ordine sociale, il codice immutabile dei doveri e dei diritti degli uomini, la luce divina che sfolgora gli errori delle malnate passioni; qui il fedele custode e tutore possente della morale evangelica e della naturale, qui la conferma della sanzione immutabile di premii eterni per chi osserva la legge del Signore e di pene egualmente eterne per i trasgressori. Ma Chiesa, Cattedra di S. Pietro e Papa sono la stessa cosa. Quindi per rendere accette tali verità, D. Bosco voleva che si facesse ogni sforzo, per sfatare le calunnie contro il Papa, si recassero le prove degli immensi beneficii da lui recati alla vita sociale, e si cercasse di accendere in tutti riconoscenza, fedeltà e amore verso di lui.

Così faceva D. Bosco che nell'amore al Sommo Pontefice, nei fatti e nelle parole, si mostrava veramente grande. Egli diceva che avrebbe baciato una per una le pagine della storia ecclesiastica del Salzano, appunto perchè questo storico italiano si mostrava in essa amante del Papa. Parlando ai chierici dei libri sospetti, dava loro fra le altre questa norma per giudicare se un libro fosse buono o cattivo: - Quando vedete che un autore scrive poco bene del Papa, sappiate che il suo non è un libro da leggersi. “ Quando parla ai giovani dei Papi, scrisse D. Bonetti in questo stesso anno 1862, più non la finirebbe; ha sempre da dire cose in loro lode, e le dice così belle e così attraenti che infiamma tutti quelli che lo ascoltano. In due argomenti specialmente egli si mostra ammirabile nel parlare: quando ragiona della virtù della modestia, e dei Papi. Allora ognuno rimane estatico, compreso di meraviglia. Di ciò potrà di leggieri convincersi chiunque leggerà le sue opere e specialmente le vite dei Sommi Pontefici, alle quali tutte noi rimandiamo colui, che dalla Divina Provvidenza sarà destinato a scrivere la biografia di questo suo servo fedele ”.

Regolavasi però con certo riserbo nel parlare con persone ostili al Papato, perchè ubi non est auditus, nec effundas sermonem, ed anche perchè ragionevolmente temeva che taluni fossero mandati ad interrogarlo ut caperent eum in sermone.

Frattanto il grido: - Vogliamo Roma; o Roma o morte udivasi ruggire da ogni parte d'Italia. Era quasi impossibile poter schivare questioni sul potere temporale del Papa. “ Quindi noi, chierici e i preti, si legge nella Cronaca di D. Bonetti, il 7 luglio alla sera dopo cena trovandoci con D. Bosco, cercammo di farlo entrare in ragionamento, affine di imparare il modo col quale dobbiamo regolarci, parlando in questi tempi così calamitosi; e senza che egli se ne accorgesse venimmo a trargli di bocca quanto segue: - Quest'oggi mi sono trovato in una casa dove ero circondato da una schiera di democratici e alcuni di questi Passagliani in sottana. Dopo aver parlato di diverse cose indifferenti, il discorso cadde sulle cose politiche del giorno. Quei liberaloni volevano sapere che cosa pensasse D. Bosco dell'andata dei Piemontesi a Roma e di ciò lo interrogavano apertamente. D. Bosco, vedendo che il mettersi a discorrere di tali cose e con gente tale era lo stesso che sfiatarsi senza trarne nessun vantaggio, rispose recisamente: - Io loro dirò subito quel che penso: io sono col Papa, son Cattolico, obbedisco al Papa ciecamente. Se il Papa dicesse ai Piemontesi: - Venite a Roma! - Io pure direi: - Andate! - Se il Papa dice che l'andata dei Piemontesi a Roma è, un latrocinio, allora io pure dico lo stesso.

” - Ma, si posero a gridare, sit rationabile obsequium vestrum !

” - Si; sia pure ragionevole il vostro ossequio, ma nel modo che dice S. Paolo; cioè, sia razionale il culto che prestate a Dio, il quale consiste nello spirito dei riti e nella santità della vita. Sia razionale nel modo, per es., col quale dobbiamo dire le nostre orazioni mattina e sera, nel modo che dobbiamo tenere nel fare un po' di meditazione ogni giorno; nell'ascoltare o celebrare la messa; in queste ed altre simili cose sit rationabile obsequium vestrum; ma in cose che riguardano un dogma di fede, o un precetto di morale, allora se vogliamo essere Cattolici, dobbiamo pensare a credere come pensa e crede il Papa.

” - Ma dica almeno quello che pensa sulla possibilità di questa andata.

” - Ecco quello che io penso e quel che loro dico: è un sogno che i Piemontesi vadano a Roma; è un sogno che i Piemontesi qualora andassero vi possano rimanere; e infine dico che alcune volte anche sognando uno può rompersi la testa.

” Tutti diedero in uno scroscio di risa e si mostrarono soddisfatti. - Questo è il modo di riportar vittoria senza entrare nelle questioni, dalle quali uno che sia contrario ai vostri principii, non esce se non colla testa scaldata e coll'animo ieppiù ostinato!

” Un'altra volta vi fu chi voleva discorrere meco sul potere temporale del Papa. Era uomo governativo, ma di poco comprendonio. Io subito gli domandai: - Vuole che trattiamo la questione in senso storico, o in senso teologico, o in senso filosofico, o in senso oratorio?

” L'altro rispose: - Non capisco che cosa voglia dire con queste parole. -

” Veda, replicai io, tale questione può essere trattata  secondo la storia, o secondo la teologia, o secondo la filosofia, o secondo l'arte oratoria.

” Il mio oppositore soggiunse: - Ma io non ho mai studiate tali cose!

” Allora io gli dissi: - Ebbene; procuri di istruirsi su tale questione e poi venga e parleremo: ma metterci a discorrere su due piedi di una cosa, di cui non abbiamo cognizione, è un volersi porre nel pericolo di dire errori uno più grosso dell'altro. Se bramasse studiare una tale questione io potrei indicarle gli autori che ne parlano. - E così quel signore si tacque ”.

 

 

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