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Capitolo 25

La fine.


Capitolo 25

da Memorie Biografiche

del 11 dicembre 2006

Quelle persone che sono molto amate, sembra che non debbano mai morire. Le menti e i cuori, avvezzi da tempo a trovare in esse la luce e il conforto della vita, stentano a persuadersi che un tanto bene possa venir loro a mancare. Questo stato d'animo durò nell'Oratorio fino agli ultimi giorni di gennaio; in taluni anzi si protrasse oltre il credibile. La ragione è che si sperava in un miracoloso intervento del cielo.

  Nella notte sul 30 volse un pochino il capo verso Enria, suo perpetuo assistente notturno, e gli disse: - Dì... ma... ma... ti saluto! Poi adagio adagio recitò l'atto di contrizione. Qualche volta esclamò: Miserere nostri, Domine. Nel cuore della notte, alzando di tratto in tratto le braccia al cielo e giungendo le mani, ripeteva: - Sia fatta la vostra santa volontà! - Appresso, paralizzataglisi a poco a poco tutta la parte destra, il braccio destro posava abbandonato e immobile sul letto; ma egli non cessava di alzare il sinistro, ripetendo ancora qualche volta: - Sia fatta la vostra santa volontà! - In seguito non parlava più; ma tutto il resto del giorno 30 e la notte dopo continuò ad alzare la mano sinistra nello stesso modo, indicando con ogni probabilità la rinnovata offerta a Dio della propria esistenza.

  In casa tutti sapevano quanto Don Bosco fosse aggravato. Pure, nella festa di S. Francesco, alcuni giovani scrissero sopra un foglio: “ O Gesù Sacramentato, Maria SS. Ausiliatrice dei Cristiani, S. Francesco di Sales nostro Patrono, i poveri sottoscritti I° Dondina Pietro - 2. Orione Luigi - 3. Martinasso Giovanni - 4. Rossi Giuseppe di I° ginn. inferiore - 5° Aimerito Gabriele - 6. Bertazzoni Augusto - 7. Sac. Gioachino Berto - al fine di ottenere la conservazione del loro amatissimo Padre e Superiore Don Bosco offrono in cambio la propria vita. Deh, vi supplichiamo, degnatevi di gradire l'offerta ed esaudirci ”. Questa supplica venne posta sotto il corporale durante una Messa celebrata per Don Bosco all'altare di S. Anna da Don Berto e servita dal giovane Luigi Orione. Altri sei giovani sottoscrissero poi la medesima carta e fecero per lo stesso fine la comunione . Il Signore non avrà mancato di benedire la santa e generosa intenzione dì quei dodici buoni figliuoli.

  Tutte le speranze si erano purtroppo dileguate; la scienza dovette ritirarsi impotente a rianimare quel corpo sfatto da mezzo secolo di lotte e di fatiche. Il nuovo peggioramento della malattia, verificatosi il 20 gennaio, primo giorno della novena di S. Francesco di Sales, era continuato lento lento fino alla festa del Santo Protettore, nella quale il venerato infermo fu sopraffatto dalla paralisi e perdette l'uso della favella.

  Dacchè non parlò più, sembrava affatto fuori dì sè. Alle dieci monsignor Cagliero gli recitò le Litaniae pro agonizantibus; quindi gl'impartì la benedizione del Carmine, standogli d'intorno alcuni direttori. Gli si suggerivano giaculatorie. Don Viglietti gl'inumidiva continuamente le labbra con vino. Don Berto, per molti anni suo primo segretario e suo braccio forte nelle più critiche circostanze , volle per sè una parte di quel pietoso uffizio. Don Sala gli stese sulle spalle una camicia del santo Pontefice Pio IX, la quale Don Bosco aveva tenuta gelosamente custodita.

I medici dissero che a sera o prima che sorgesse il sole del giorno seguente, Don Bosco non sarebbe stato più in vita. La notizia si diffuse in un baleno per l'Oratorio, straziando i cuori. I confratelli chiedevano di vederlo ancora una volta. Don Rua permise che tutti gli andassero a baciare la mano. Silenziosi si radunavano a piccoli gruppi nella cappella, donde sfilavano uno a uno presso l'agonizzante. Egli era là disteso sul suo letticciuolo; aveva il capo alquanto rialzato, chino un po' sull'omero destro e appoggiato a tre guanciali. Calmo il viso non scarno; gli occhi socchiusi; la mano destra distesa sulla coltre. Aveva sul petto un crocifisso, un altro ne stringeva con la sinistra, e a pie' del letto pendeva la stola violacea, insegna del sacerdozio.

  I figli lacrimanti si accostavano in punta di piedi, gli s'inginocchiavano a lato e imprimevano l'ultimo bacio su quella sacra mano che tante volte si era alzata su di loro soccorritrice. Vi accorsero anche quelli che avevano stanza nei collegi vicini di S. Giovanni, di Valsalice e di S. Benigno. Con questi si alternavano i giovani delle classi superiori e gli artigiani più grandicelli. Tutto il giorno continuò la mesta e tenerissima processione. I più portavano a toccare medaglie, crocifissi, rosari, immagini da conservarsi poi quali care e benedette memorie.

  Dalla Repubblica dell'Equatore giunse un telegramma che annunziava l'arrivo dei nostri a Guaiaquil. Don Rua glielo disse, parlando come si fa con chi è duro d'orecchi. Sembrò a taluno di vedere ch'egli aprisse gli occhi e rivolgesse le pupille al cielo.

  Alle dodici e tre quarti, essendo per un istante soli vicino al letto il segretario e Giuseppe Buzzetti, spalancò gli occhi, guardò a lungo per due volte Don Viglietti e alzata la mano sinistra che aveva libera, gliela posò sul capo. Buzzetti a quell'atto scoppiò in pianto e: - Sono gli ultimi addii, esclamò. Ritornò poscia nell'immobilità di prima. Il segretario gli veniva ripetendo giaculatorie. Si alternarono quindi in questo pio ufficio monsignor Cagliero e monsignor Leto. Don Dalmazzo gli diede la benedizione dell'agonia e gli recitò le preghiere annesse.

  Verso le sedici venne a vederlo il conte Radicati, grande benefattore dell'Oratorio. Il padre Eugenio Francesco, già compagno di Don Bosco a Chieri, stette per un'ora piangendo in un angolo della stanza. Alle diciotto comparve Don Giacomelli, si mise la stola e lesse alcune preci del rituale. Ad ora tarda, non sembrando vicina la morte, alcuni dei Superiori si ritirarono, ma Don Rua e altri non si mossero. L'agonizzante respirava immobile e con affanno; la durò così tutta la notte. Nell'archidiocesi di Torino ricorreva l'ufficio dell'Orazione di Gesù nell'Orto, quando il Redentore, con tre discepoli da presso, agonizzava e sudava sangue. Don Bosco, circondato dai primi e principali suoi allievi, versava in penosa agonia, e il sudore della morte gli bagnava la fronte.

  In agonia era all'una e tre quarti. Don Rua, quando vide che le cose precipitavano, si mise la stola e ripigliò le preghiere degli agonizzanti, già da lui cominciate due ore innanzi. Furono chiamati in fretta gli altri Superiori; una trentina fra sacerdoti, chierici e laici riempivano la camera. Inginocchiati pregavano.

  Sopraggiunto monsignor Cagliero, Don Rua gli cedette la stola, passò alla destra di Don Bosco e chinatosi all'orecchio del caro Padre: - Don Bosco, gli disse con voce soffocata dal dolore, siamo qui noi, i suoi figli. Le domandiamo perdono di tutti i dispiaceri che per causa nostra ha dovuto soffrire, e per segno di perdono e di paterna benevolenza ci dia ancora una volta la sua benedizione. Io le condurrò la mano e pronuncerò la formula della benedizione. - Tutte le fronti si curvarono a terra. Don Rua, facendo forza all'animo, ne alzò la destra paralizzata e disse le parole di benedizione sui Salesiani presenti e assenti e in particolare sui più lontani.

Alle tre arrivò un telegramma del cardinale Rampolla con la benedizione apostolica. Monsignore aveva già letto il Proficiscere. Alle quattro e mezzo la campana di Maria Ausiliatrice suonava l'Avemaria; tutti recitarono sommessamente l'Angelus. Don Bonetti susurrò all'orecchio di Don Bosco il Viva Maria dei giorni innanzi. Il rantolo che si faceva udire da circa un'ora e mezza, cessò. Il respiro divenne libero e tranquillo; ma fu cosa di pochi istanti: poi mancò. - Don Bosco muore! - esclamò Don Belmonte. Coloro che stanchi si erano seduti, balzarono in piedi e si fecero vicino al letto... Emise, tre respiri a breve intervallo... Don  Bosco realmente moriva. Monsignor Cagliero, fissando in lui gli occhi, diceva: - Gesù, Giuseppe, Maria, vi dono il mio cuore e l'anima mia... Gesù, Giuseppe, Maria, assistetemi nell'ultima agonia... Gesù, Giuseppe, Maria, spiri in pace con voi l'anima mia.

  Don Rua e gli altri, formando corona intorno, agonizzavano anch'essi di dolore col. Padre... Don Bosco era morto!... Monsignor Cagliero intonò sospirando il Subvenite, Sancti Dei; occurrite, Angeli Domini... suscipientes animam eius... Suscipiat te Christus, qui vocavit te... E, benedettone il sacro cadavere, gli pregò da Dio l'eterna requie. Quindi, la sua stola fu messa al collo del venerato estinto e nelle mani congiunte si pose il crocifisso da lui tante volte baciato. Erano le quattro e quarantacinque. Aveva settantadue anni, più cinque mesi e mezzo, d'età.

  Tutti si prostrarono a recitare il De profundis, rotto da sospiri, gemiti e singhiozzi. Dinanzi a quella spoglia, esanime, se alcuno doveva parlare, la parola era a Don Rua, e Don Rua parlò e disse: - Siamo doppiamente orfani. Ma consoliamoci. Se abbiamo perduto un padre sulla terra, un protettore abbiamo acquistato in cielo. E noi dimostriamoci degni di lui, seguendone i santi esempi .

La camera fino alle dieci fu piena di Salesiani, che pregavano sciogliendosi in lacrime. Nel vano della finestra che a sinistra del letto si apriva sulla loggia coperta, venne posta una croce fra quattro candele accese.

  I giovani alla Messa della comunità dissero il rosario da morto e tutte le Messe furono celebrate in suffragio dell'anima di Don Bosco. Alle dieci si cantò solennemente la Messa funebre. La desolazione si vedeva scolpita su tutte le fronti.

  In quell'ora gl'infermieri, assistiti, diretti e coadiuvati dai medici Albertotti e Bonelli, che vollero fino all'ultimo testificare il loro amore vivissimo per l'amico estinto, lavarono il corpo, lo vestirono e, rasagli la barba da Enria, lo collocarono sopra un seggiolone a bracciuoli. Il fotografo Deasti e il pittore Rollini ne presero così la fotografia. L'avevano già ritrattato quando giaceva ancora sul letto nella posizione in cui era spirato. Dai superiori non si era creduto bene di acconsentire che fosse presa la maschera, ripugnando loro dover vedere intonacata di gesso la faccia dell'amatissimo Padre. Per lo stesso rispetto non ne permisero l'imbalsamazione. Il dottor Fissore medesimo aveva detto: - Conosco Don Bosco da molti anni. Ho tanto rispetto al suo corpo che non mi sentirei di profanarlo con l'imbalsamazione. - Il medesimo dottore, quando udì le perfide insinuazioni del Secolo XIX, protestò dinanzi a tutto il Capitolo Superiore, dicendo che l'arte medica non poteva neppur venire in sospetto che la malattia non fosse originata dall'unica causa dell'enorme lavoro.

  Nelle prime ore del, pomeriggio la dolorosa notizia, diffusasi largamente in città, produsse generale e profonda impressione. Molte botteghe e negozi stavano chiusi con la scritta: Chiuso per la morte di Don Bosco. La gente si affollava in porteria, domandando di vedere la salma. Essendo troppo ristretto lo spazio, si concedette l'accesso unicamente alle persone più conosciute. Agli altri si diceva che l'avrebbero veduta il giorno dopo nella chiesa di S. Francesco, la quale intanto si veniva riducendo a cappella ardente.

  Il cadavere era assiso sulla poltrona nella galleria retrostante alla cappella privata. Indossava i paramenti da Messa violacei. Aveva il crocifisso nelle mani e scoperto il capo; la sua berretta stava là alla sua destra sopra un inginocchiatoio, sul quale si ergeva un crocifisso fra due ceri. Il defunto volgeva il viso a oriente. I lineamenti apparivano inalterati. Se non fosse stato il pallore di morte che contrastava col paonazzo della pianeta, si sarebbe detto che Don Bosco placidamente dormiva. I figli suoi si succedevano pregando a baciargli la mano. Stuoli di sacerdoti, patrizi in gran numero, pie matrone stimavano sommo favore l'essere ammessi a vederlo. Camminavano a passi lenti e in punta di piedi, quasi temessero di svegliarlo dal sonno. Nessuno provava ribrezzo a posare le labbra su quelle mani d'alabastro. Nella stanza regnava un raccoglimento riverente e devoto. Sul crepuscolo venne una schiera di Figlie di Maria Ausiliatrice per baciare la mano del santo loro Fondatore e Padre anche a nome delle consorelle lontane. Finchè non fu spenta la luce del giorno, il mesto pellegrinaggio continuò senza interruzione.

  Per le vie di Torino andavano a ruba i giornali. Il Corriere Nazionale dovette fare tre edizioni, esaurite in brevissimo tempo. Il nome di Don Bosco passava di bocca in bocca fra segni di viva commozione.

  Bisognava pensare presto alla sepoltura. Il Capitolo Superiore, radunatosi alle ore venti, promise a Maria Ausiliatrice che se per grazia sua l'autorità civile concedesse di seppellire Don Bosco sotto la chiesa di lei o almeno nella casa di Valsalice, si sarebbe prontamente posto mano ai lavori per la decorazione del suo santuario, opera che stava già a cuore al Servo di Dio. Mentre però si domandava l'aiuto del cielo, non si trascuravano le opportune diligenze sulla terra, come vedremo nel capo seguente. “ Oh sera! oh notte! - scriveva in quella trepida ora Don Bonetti. - La prima che noi passiamo con Don Bosco morto! Oh, sera, oh notte sopraggiunta troppo presto! O Don Bosco, o Padre! Presiedi dal cielo al nostro sonno, presiedi e sorridi dal cielo alle nostre veglie ”.

Don Rua, il solerte Vicario di Don Bosco, assoggettando all'idea del dovere i sentimenti del cuore, aveva già dato per telegramma il mesto annunzio al Santo Padre, al cardinale Alimonda, alle case salesiane e a un certo numero di benefattori . Egli aveva pure steso e fatto stampare la lettera circolare seguente, della quale furono spedite trentaduemila copie. Tredicimila copie andarono nella traduzione francese e ottomila in quella spagnuola.

 

Ai Salesiani, alle Figlie di Maria Ausiliatrice, ai Cooperatori e alle Cooperatrici Salesiane,

 

Coll'angoscia nel cuore, cogli occhi gonfi di pianto, con mano tremante vi do l'annunzio più doloroso, che io abbia mai dato, e possa ancor dare in vita mia; vi annunzio che il nostro carissimo Padre in Gesù Cristo, il nostro fondatore, l'amico, il consigliere, la guida della nostra vita, è morto. Ahi! parola che trapassa l'anima, che trafigge il cuore da parte a parte, che apre la vena ad un profluvio di lagrime! .

  Le private e pubbliche preghiere innalzate al Cielo per la sua conservazione hanno ritardato al nostro cuore questo colpo, questa ferita, questa piaga amarissima; ma non valsero a risparmiarcela, come avevamo sperato.

  Nulla ci conforta in questi istanti fuorchè il pensiero che così volle Iddio, il quale infinitamente buono nulla fa che non sia giusto, sapiente e santo. Quindi rassegnati chiniamo riverenti la fronte e adoriamo i suoi alti consigli.

  Per ora non occorre che io vi dica come Don Bosco ha fatto la morte del giusto, calma e serena, munito per tempo di tutti i conforti della religione, benedetto più volte dal Vicario di Gesù Cristo, visitato con insigne pietà da prelati ed incliti personaggi ecclesiastici e laici, nostrani ed esteri, assistito con amore figliale dai suoi alunni, curato con affetto e perizia singolare da celebri dottori. Neppure vi dirò qui delle sue virtù e delle opere sue, chè il tempo stringe e il cuore non regge.

         Pel momento vi notifico solo che, ancor pochi giorni sono, Don Bosco disse, che l'opera sua non avrebbe sofferto per la sua morte, perchè protetta dalla valida intercessione di Maria Ausiliatrice, perchè sostenuta dalla carità dei Cooperatori e Cooperatrici, che avrebbero continuato a favorirla.

  Dal canto nostro possiamo aggiungere ancora che abbiamo la più grande fiducia che sarà così, perchè Don Bosco dal Cielo, ove fondatamente lo speriamo già accolto in gloria, ci farà ora più che mai da amorosissimo padre, e presso il trono di Gesù Cristo e della Divina sua Madre eserciterà più efficacemente la sua carità verso di noi, e più abbondanti ci farà piovere le celesti benedizioni.

  Incaricato di tenerne le veci, farò del mio meglio per corrispondere alla comune aspettazione. Coadiuvato dall'opera e dai consigli dei miei confratelli, son certo che la Pia Società di San Francesco di Sales, sostenuta dal braccio di Dio, assistita dalla protezione di Maria Ausiliatrice, confortata dalla carità dei benemeriti Cooperatori Salesiani e delle benemerite Cooperatrici, continuerà le opere dal suo esimio e compianto Fondatore iniziate, specialmente per la coltura della gioventù povera ed abbandonata e le estere missioni.

  Ancora un pensiero. Ad esempio del glorioso nostro Patrono San Francesco di Sales, più volte Don Bosco, udendo o leggendo certe espressioni, che le persone benevoli usavano inverso di lui, ebbe a manifestare il timore che dopo sua morte, creduto non bisognevole di suffragi, lo si lasciasse in purgatorio. Pertanto, giusta il suo desiderio, e per debito di figliale affetto, raccomando a tutti che vogliano tosto far calde preghiere in suffragio dell'anima sua, ben conoscendo che il Signore saprà a chi applicarne l'efficacia.

Salesiani, Figlie di Maria Ausiliatrice, Cooperatori e Cooperatrici, giovanetti e giovanette alla nostra cura affidati, noi non abbiamo pi√π il nostro buon padre in terra: ma lo rivedremo in Cielo, se faremo tesoro dei suoi consigli e ne seguiremo fedelmente le virtuose pedate.

 

Torino, li 31 gennaio 1888.

 

Vostro aff.mo Confratello ed Amico

           Sac. MICHELE RUA.

 

NB. - il Venerando Don Bosco morì il giorno 31 gennaio alle ore 4 e tre quarti antimeridiane. La sepoltura avrà luogo giovedì 2 febbraio, alle ore 3 pom., e la Messa funebre alle ore 9 ½ del mattino nella Chiesa di Maria Ausiliatrice.

Un sacerdote di Moncrivello, Don Perotti, scrivendo il 2 febbraio a Don Bonetti, espresse felicemente l'impressione generalmente provata da quanti lessero questa lettera. Diceva: “ Mi piacquero assai le calme ed assicuranti parole di Don Rua nella sua circolare. Essa ha tenuta e quasi rialzata la confidenza pubblica nella continuazione delle opere di Don Bosco ”.

  Dopo i Superiori e gli appartenenti alla famiglia salesiana, nessuno poteva sentire maggiormente la perdita di Don Bosco che i suoi primi figli dell'Oratorio. Perciò il loro comitato diramò subito una propria circolare agli antichi allievi .

  Al plebiscito di preghiere per la sua guarigione e a quello dei rallegramenti per il suo migliorare succedette il terzo immenso plebiscito delle condoglianze. I vicini vennero in persona. Il primo a confortare Don Rua fu il celebre gesuita padre Secondo Franco, il quale passato a vedere Don Durando, gli disse: - Vengo a congratularmi con voi, perchè avete un santo in Paradiso. - Molti scrissero i propri nomi nell'apposito registro . Telegrammi e lettere arrivavano a fasci, anche da remote contrade. Non potendone rendere conto, faremo una sola eccezione per colui che fu a Don Bosco angelo consolatore negli ultimi quattro anni della sua vita. Il cardinale Alimonda, giunto a Genova il 31 gennaio, aveva telegrafato per chiedere se, ripartendo subito, poteva sperare di trovare Don Bosco ancora in vita. Saputane la morte, scrisse a Don Rua: “ È inutile che io le dica quanto amara mi sia riuscita la notizia recatami dal suo telegramma! Il venerato e caro mio Don Giovanni non ha voluto aspettarmi, perchè una volta ancora baciassi la sacra sua mano e mi raccomandassi alla sua intercessione appresso Dio! Uniformiamoci alla volontà del Signore! ”. In queste lettere di condoglianza il tema, diciamo così, obbligato era che Don Bosco non aveva più bisogno di preghiere, ma che piuttosto doveva essere pregato, Chi in un modo chi in un altro tutti lo proclamavano santo. Non pochi domandavano per sommo favore qualche oggetto da lui usato o un pizzico de' suoi capelli .

  La stampa d'ogni colore e d'ogni nazione tessè le lodi del defunto, fatta eccezione della torinese Gazzetta del Popolo; forse perchè non ne poteva dir male, preferì tacere, o, peggio ancora, ne annunziò la morte nell'ordinario elenco necrologico della città, trasmesso quotidianamente dal Municipio. Ma perfino un periodico umoristico di Torino, scritto in dialetto piemontese, benchè fosse anticlericale, ebbe la franchezza di applicare al direttore di quel giornale il proverbio subalpino, dicendogli che con quell'atto egli aveva dimostrato esser vero che, venendo vecchio, si perde il meglio .

  Nelle prime ore del I° febbraio il benedetto corpo venne religiosamente trasportato nella chiesa di S. Francesco. Poco prima del trasporto sembra che una vera grazia fosse accordata al coadiutore Bona, che teneva il secchiello dell'acqua santa. Da più d'un mese lo tormentavano dolori a una gamba; quella stessa mattina faticava assai a salire e scendere le scale. Si raccomandò dunque mentalmente al buon Padre e nell'atto che Don Bonetti ne asperse il cadavere, si sentì completamente libero dal male .

  La chiesa era tutta vestita di ampie gramaglie. Il corpo del Santo non fu adagiato sul letto funebre, come si suole, ma assiso sul seggiolone, che un palco rilevava da terra. Ardevano intorno molti ceri. Tosto i giovani sfilarono dinanzi rimirando con occhi lacrimosi il loro Padre, che era là nella sua posa di dormiente, con la testa leggermente inclinata dal lato sinistro, col sembiante calmo, composto e quasi sorridente, con gli occhi semichiusi e fissi nell'immagine di Gesù crocifisso, che stringeva fra le mani giunte.

  La chiesetta fu aperta al pubblico verso le otto. Il flusso e riflusso dei visitatori durò dal mattino alla sera così numeroso che dovettero intervenire le guardie per regolarlo, disponendo che l'uscita fosse diversa dall'entrata. Chi vide allora i viali di Valdocco, provò l'impressione che l'intera Torino si riversasse nell'Oratorio. Nell'interno della casa si faceva un gran pregare.

  Una voce si udiva continuamente, ripetuta, quasi parola d'ordine: Era un santo! Moltissimi davano a un sacerdote medaglie, immagini, corone, fazzoletti, libri di pietà, perchè li accostasse alle venerate spoglie o li deponesse per un istante su quelle sacre mani. Quanta commozione! quante lacrime! Nel pomeriggio il concorso crebbe a dismisura, sicchè si dovette sospendere il far toccare oggetti alla salma. Anche la chiesa di Maria Ausiliatrice fu tutto il giorno stipata di popolo. Alle venti si chiusero tutte le entrate; ma più tardi bisognò riaprire per contentare numerosi visitatori giunti allora da diversi paesi del Piemonte.

Il momento più commovente della giornata fu quando a tarda sera i figli di Don Bosco diedero l'addio alla salma del loro Padre. Alle ventuna tutti i giovani dell'Oratorio, portatisi nella chiesina e prostrati a terra, recitarono le loro preghiere; poi in mezzo a solenne silenzio si alzò Don Francesia e a quelle centinaia di giovani inginocchiati diede la consueta 'buona notte'. - Vedete qui, disse, il nostro caro Padre, con quella calma, quella tranquillità, quel sorriso che gli sfiora il labbro? Pare ch'ei voglia parlarvi, e voi quasi attendete che si alzi e vi rivolga la parola. Ma egli purtroppo non può ripetervi quei dolci santi ammaestramenti che tante tante volte ci ha dati: egli non può più parlarci. I Superiori perciò hanno mandato me a fare le sue veci. Ma che cosa vi dirò io da questo luogo, ove Don Bosco tanto fece per voi? Non farò altro che ripetervi l'ultima parola da lui lasciatavi. Interrogato quale ricordo volesse lasciare ai suoi giovani, rispose: Dite ai giovani che io li attendo tutti in Paradiso. Il raccoglimento generale era così intimo e assoluto, che pareva di sentire l'alito affannoso degli ascoltatori. E Don Bosco nella calma serenità della morte sembrava benedire i suoi amati figliuoli, che non sapevano staccarsi da lui. Dato l'avviso di muoversi per andare ogni classe al proprio dormitorio, tutti, come se non avessero udito, stavano là fermi e lacrimanti a contemplare per l'ultima volta quelle amabili sembianze. Avviandosi finalmente per uscire, tenevano fino alla porta la faccia rivolta indietro.

  Per tutta la notte i Salesiani vegliarono la salma pregando. Don Rua vi restò genuflesso accanto per lungo tempo; era assorto in profonda meditazione.

  Prima delle otto del giovedì 2 febbraio il cadavere fu rimosso e deposto in triplice cassa, rivestito com'era dei paramenti sacri. In quel punto fu condotta presso la bara una Figlia di Maria Ausiliatrice, invocante la grazia della vista. Si chiamava Adele Marchese. Dal settembre del 1887 medici specialisti l'avevano dichiarata affetta da gutta serena, malattia

ribelle ad ogni cura. Arrivata appena in tempo vicino alla salma, ne prese la mano e se la accostò agli occhi. Allora: - Io lo vedo, - disse. Riaccostata agli occhi la mano, esclamò più forte: - Io vedo tutto, io vedo bene. - La superiora le mise un fazzoletto alla bocca per impedirle di gridare e Don Bonetti la fece tosto menar via. Aveva realmente riacquistato il vedere. Don Lemoyne scrive: “ lo non la conosceva. Chiamato una notte ad assistere una suora morente, vidi una fra le inferme, il cui sguardo brillava in modo singolare nella penombra di un lumicino che rischiarava la stanza. Mi venne un'idea. - Voi, le dissi, siete quella, a cui Don Bosco ha ridonata la vista? - Sissignore, mi rispose ”. Testimonio oculare della prodigiosa guarigione fu quel cileno Barros, venuto a Torino con monsignor Cagliero in compagnia di due suoi cugini e ritornato qui con essi il giorno della morte. Rimpatriato, ne parlò e ne scrisse con entusiasmo.

  Per la porta laterale la bara venne portata nella chiesa di Maria Ausiliatrice e posata sul catafalco eretto sotto la cupola. Facevano ala al suo passaggio attraverso il cortile, fra gli altri, molti pellegrini francesi, svizzeri e irlandesi diretti a Roma. Nell'interno del tempio lo spazio riservato al pubblico era già occupato da parecchie ore. Da fuori saliva il mormorio dell'ingente moltitudine affollata sulla piazza e rimescolantesi nei corsi che fanno ventaglio sul rondò. Pontificò monsignor Cagliero, del quale i cantori eseguirono la Messa composta nel 1862. La chiesa presentava l'aspetto di una grandiosa cappella ardente, illuminata da numerosi doppieri e lampade.

  Il feretro si sarebbe dovuto chiudere e sigillare prima che fosse recato nel santuario; ma si ottenne dal Municipio di poter sospendere, perchè avessero la consolazione di vedere il volto del Padre tanti confratelli che stavano per giungere da lontano.

  La chiusura ufficiale della bara fu fatta alle ore quattordici, presenti i membri del Capitolo Superiore e un centinaio fra Salesiani ed estranei. Don Bonetti aveva composto e il calligrafo Don Ernesto Vespignani copiato il verbale, che con le firme dei Superiori e di alcune personalità venne deposto ai piedi della salma, ermeticamente chiuso entro un tubo di vetro : Saldata sul feretro la lastra di piombo, vi si sovrappose e assicurò con viti il coperchio di noce. “ Addio, sante spoglie di Don Bosco, scrisse un giornale torinese, esprimendo assai bene i sentimenti che agitavano l'animo di tutti in quel momento . Voi scomparite per sempre. Con Voi scompare l'astro della beneficenza, l'apostolo dei giovani, il padre del popolo. Con voi si seppellisce quello sguardo dolcissimo che convertiva, quella voce armoniosa che favellando evangelizzava, quella mano che alzandosi benediceva, quel piede che camminando portava benefizi. Addio, spoglie venerate. Voi scendete sotterra, ma a noi rimane la grand'anima di Lui aleggiante ne' suoi istituti e viva e parlante ne' suoi esempi ”.

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