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Capitolo 29

Lo Statuto - L'Emancipazione degli Ebrei - La seconda edizione della 'Storia Ecclesiastica' - Prudenza nel confutare i Protestanti e gli altri nemici della Chiesa - Giudizioso ammonimento - Silvio Pellico ed il vocabolario.


Capitolo 29

da Memorie Biografiche

del 08 novembre 2006

 Le sette cosmopolite mantenevano i patti reciproci, e subito dopo i tumulti e le rovine di Francia e Sicilia incominciavano sommosse e mutazioni in tutti gli Stati della Germania, non senza incendi, saccheggi e scontri tra il popolo e le truppe. Da ogni parte si gridava libertà. Ebrei, socialisti, repubblicani, razionalisti commovevano le plebi, e migliaia di studenti e di operai si gettavano allo sbaraglio. Le moltitudini non premunite, dai governi fiacchi e irreligiosi, ed ingannate dai settari che promettevano la rivendicazione di diritti stati rapiti e speranze di beni desiderati, erano con loro. I fieri moti di Vienna strappavano la Costituzione all'Imperatore Ferdinando I, e il Re di Prussia era pur costretto a concederla ai suoi popoli.

Intanto a Roma essendo la rivoluzione passata dalle ipocrisie, alle minacce ed alle violenze, Pio IX non ebbe più forza a resistere, e cedette; nel giorno 14 marzo dava la Costituzione, salvi però tutti i diritti della Chiesa, le sue leggi e l'integrità del potere temporale.

Eziandio Carlo Alberto il 4 marzo aveva posto la sua firma al nuovo Statuto fondamentale del Regno, che venne solennemente promulgato da una loggia del Palazzo reale prospiciente Piazza Castello. Le luminarie, le ovazioni, i canti popolari, le allegrezze durarono pi√π giorni in Torino e nelle province. Gli 84 articoli dello Statuto erano preceduti da una affettuosa dichiarazione:

“ Con lealtà di Re e con affetto di Padre Noi veniamo oggi a compiere quanto avevamo annunziato ai nostri amatissimi sudditi col nostro proclama dell'8 dell'ultimo scorso, febbraio, nella fiducia che Dio benedirà le pure Nostre intenzioni, e che la Nazione, libera, forte e felice si mostrerà sempre più degna dell'antica fama, e saprà meritarsi un glorioso avvenire ”.

Alcuni di questi articoli erano scritti per le insistenze dello stesso Sovrano, e qui conviene riportarli essendo una guarantigia per la Chiesa.

ART. I. - La Religione Cattolica Apostolica Romana è la sola religione dello Stato. Gli altri culti ora esistenti sono tollerati conformemente alle leggi.

ART. XXVIII. - La stampa sarà libera, ma una legge reprime gli abusi. Tuttavia le Bibbie, i catechismi, i libri liturgici e di preghiera non potranno essere stampati senza il preventivo permesso del Vescovo.

ART. XXIX. - Tutte le proprietà senza alcuna eccezione sono inviolabili.

Al Conte Cesare Balbo fu dato l'incarico della formazione del primo Ministero Costituzionale, e con ciò era stabilito il principio che il Sovrano regna e non governa. Il 17 marzo si pubblicava la legge elettorale: il 7 aprile vennero nominati i Senatori del regno in numero di sessantasei, strano miscuglio di Vescovi, di sinceri cattolici e di settari. Assai peggio riuscirono le elezioni dei deputati, ed ebbero il mandato di legislatori molti personaggi notissimi per l'avversione al Cattolicismo e per legami stretti con settari d'ogni paese.

D. Bosco, che studiava attentamente gli avvenimenti dei giorno, si recò alcuna volta ad assistere alle discussioni del Parlamento nei primi mesi della sua apertura, e intese subito la piega che avrebbero prese le cose pubbliche riguardo alla Chiesa. L'ambiente era saturo di volterianismo, e la maggioranza teneva come programma: “ Appartenere allo Stato il diritto senza limiti di determinare da sè solo e a proprio talento la sfera dei diritti e delle libertà di cui la Chiesa può godere ”.

Uno dei primi atti del nuovo Governo fu l'emancipazione degli Ebrei, ai quali si era già provvisto coll'art. 24 dello Statuto che dichiarava tutti i regnicoli, qualunque fosse il loro titolo o grado, essere eguali in faccia alla legge; tuttavia il 29 marzo un decreto reale li dichiarava ammessi a godere i diritti civili e a conseguire i gradi accademici. Il 6 aprile, in una nuova legge sulla stampa, si decretava la carcere e una multa di danaro contro chi deridesse ed oltraggiasse i culti permessi nello Stato.

D. Bosco conosceva il movente, le intenzioni, e il fine di certi legislatori; ma come aveva fatto e sempre farà, voleva procedere impavido per la sua via, schermendosi però dalle offese.

La prudenza cristiana deve sempre tendere ad un fine, cioè a Dio solo. Essendo buoni i motivi che la muovono ad operare, sceglie i mezzi che reputa più convenienti, regola le azioni e le parole, e fa tutto con maturità, peso, numero e misura, eziandio per vincere gli ostacoli e schivare i pericoli che sa prevedere. E non consulta solamente la ragione, ma tiene fissi gli occhi nelle massime di fede e di condotta morale insegnateci da N.S. Gesù Cristo. Con questa prudenza D. Bosco, in mezzo all'imperversare delle scatenate passioni politiche e religiose, lavorava alla seconda edizione della Storia Ecclesiastica. Voleva dire ai giovanetti tutta la verità anche su certi fatti contemporanei, voleva indicare loro quali fossero i nemici attuali della Chiesa; ma d'altra parte conosceva la necessità di non provocarne l'ira sopra i suoi Oratorii. Perciò, seguendo, come già si disse, un suo piano ben maturato, non specificava accuse in capitoli distinti, ma presentava le sue asserzioni, svolgeva i fatti qua e là secondo l'ordine cronologico, senza invettive, senza apparir battagliero e senza palesare il suo fine, che era di combatterli. Questa ristampa procedeva, come la prima edizione, per domande e risposte; era quasi un'intiera riproduzione di questa, ma recava alcune notevoli varianti, ispirate dai tempi, e che più non trovandosi oggigiorno nella sua “Storia Ecclesiastica” che abbiamo tra le mani, non conviene che vadano perdute.

Nella prima pagina egli stampava lo stemma del Sommo Pontefice e sotto a questo una vignetta che rappresentava S. Pietro inginocchiato innanzi al Divin Salvatore che a lui porge le chiavi, con l'iscrizione: Et tibi dabo claves regni coelorum. Matt. XVI, 19. Di fronte il suo nome e cognome era come una professione della propria fede.

Quindi non tralasciando nessuna occasione per far risaltare le divine prerogative del Papa e della Chiesa, passa in rivista i loro nemici ossia i Protestanti, gli Ebrei, e i settari di varie specie.

E in primo luogo i Protestanti. Dei Valdesi narrava brevemente l'origine, l'ignoranza delle Sacre Scritture, le eresie, la fuga da Lione, la venuta nella valle di Luzerna presso Pinerolo, la condanna dei loro errori pronunciata nel Concilio Lateranense III da 302 Vescovi presieduti da Alessandro III, le ribellioni ai Sovrani represse con gravissimi castighi, e la fusione coi Protestanti ai tempi di Calvino. Dai Valdesi giunto D. Bosco nel corso della sua storia alle luride, empie e sanguinarie figure di Lutero, di Calvino e di Arrigo VIII, loro contrapponeva la celeste visione dei figli della Chiesa Cattolica che vissero ad esse contemporanei: S. Gaetano di Thiene, S. Girolamo Emiliani, S. Giovanni di Dio, S.Tommaso da Villanova, S. Ignazio di Lojola, S. Francesco Zaverio, S. Pietro d'Alcantara, S. Filippo Neri, S. Pio V.S. Teresa, S. Carlo Borromeo, S. Francesco di Sales, S. Vincenzo de Paoli, S. Luigi Gonzaga e cento altri. La santità è una cosa sola con la verità.

Altro modo adottò nello svelare gli errori dei Protestanti, cioè con l'accennarli mentre esponeva le antiche eresie. Per es.: dopo aver detto che il settimo Concilio ecumenico, secondo di Nicea, aveva condannato gli Iconoclasti, ossia i distruttori delle sacre immagini, notava: I Protestanti seguono anche gli errori degli iconoclasti. Presa eziandio nota dell'orribile bestemmia di Gottescalco, insegnante che come Dio predestina alcuni alla gloria eterna, così destina altri all'inferno non volendo che tutti siano salvi, soggiungeva: Questi errori furono poi riprodotti da Lutero e da Calvino.

Finalmente siccome i Protestanti affermano, la presente Chiesa Cattolica non essere pi√π, quella dei primi secoli fondata da Ges√π Cristo, egli senza fare allusione a questi eretici dimostra coi fatti come sia sempre la stessa.

Nel primo secolo, scrive, fu istituita la celebrazione della Domenica, del Natale di N.S., dell'Epifania, della Pasqua, dell'Ascensione e della Pentecoste fu istituito ed osservato il digiuno della quaresima, delle quattro tempora per tradizione apostolica, l'uso dell'acqua benedetta contro le infestazioni del demonio ed altri mali spirituali e corporali, la lavanda dei piedi nel giovedì santo, il segno della santa croce; fu pure ingiunto che mentre si celebrava il santo sacrificio della messa si ponessero sull'altare due candelieri accesi con un crocifisso nel mezzo. Nel secondo secolo nella notte del Santo Natale già da ogni sacerdote si celebravano tre messe. Nel terzo secolo Papa Zeffirino ordinava a tutti i cristiani sotto precetto di fare la S. Comunione al tempo Pasquale. Nel quinto secolo S. Zosimo Papa stabiliva che nella settimana santa in ogni parrocchia si benedicesse il cero pasquale, e furono istituite le pubbliche rogazioni. Nell'anno 431 il Concilio di Efeso approvato da Celestino I definiva solennemente essere la Vergine Maria, vera Madre di Dio; e l'anno 1136 cominciava la Chiesa di Lione a celebrare solennemente la festa dell'Immacolata Concezione della Madonna, argomento che dimostra come nei secoli trascorsi già esistesse tale credenza nei popoli. Nel 491 Papa Gelasio teneva in Roma un concilio di molti Vescovi e decretava quali fossero i libri autentici del nuovo e del vecchio Testamento e quali gli apocrifi; ordinava un libro disseminato “Sacramentale” in cui si contiene l'ordine di quasi tutte le messe che abbiamo nel Messale Romano e la formula per impartire le benedizioni; istituì la processione colla candela in mano nella festa della Purificazione di Maria SS.; stabilì le ordinazioni degli Ecclesiastici alle quattro tempora. S. Gregorio il grande, eletto Papa nel 590, nelle cui mani si cangiò in carne una particola consacrata, componeva l'antifonario ed il breviario che la Chiesa usa ancora ai giorni nostri; istituiva le litanie dei santi, la processione per la festa di S. Marco, e l'imposizione delle ceneri nel primo giorno di quaresima. Da questi libri e da queste preghiere apparisce evidente la credenza della presenza reale di Gesù Cristo nella SS. Eucaristia, l'uso d'invocare Maria SS. ed i Santi, l'esistenza del purgatorio, e la confessione auricolare e gli altri sacramenti. In fine, per tagliar corto, nel 553 Papa Vigilio e il Concilio Costantinopolitano II porgeva una prova luminosa dei potere che ha la Chiesa di condannare gli scritti cattivi, di pronunciare sul senso di detti libri e di esigere che i fedeli si sottomettano al suo giudizio.

A questi e ad altri argomenti recati da D. Bosco come potrebbero i Protestanti negare senza un'insigne malafede che la Chiesa Cattolica non faccia e non creda ciò che faceva e credeva nei primi secoli?

Dai Protestanti D. Bosco passava agli Ebrei. Descriveva avverata da Tito e da Giuliano apostata la profezia di Gesù Cristo nella distruzione di Gerusalemme, mentre coi libri ispirati affermava che negli ultimi tempi del mondo tutto il popolo d'Israele si renderà cristiano. Accennava all'atrocissima persecuzione nella Spagna al tempo dei Mori contro i cristiani per costringerli ad abbracciare l'Ebraismo o a farsi seguaci di Maometto. Dimostrava quanto l'Ebreo odia il Cristiano coll'orribile martirio di tre giorni fatto da essi soffrire al santo giovanetto Vincenzo Verner di Treves nella Francia, l'anno 1287; e colla morte egualmente dolorosa del Padre Tommaso di Sardegna a Damasco negli ultimi anni di Gregorio XVI. “ Questi fatti ” non si peritava a stampare “ devono rendere avvertiti i Cristiani a guardarsi bene dal trattare e dal famigliarizzare con questa razza di gente ”.

In terzo luogo, risalendo alle cause dell'aberrazione di tanti cristiani e dei fatti dolorosi che ultimamente contristavano la Chiesa, veniva a parlare dei razionalisti e sedicenti moderni filosofi, i quali avendo per corifei Voltaire e Rousseau rigettano ogni sorta di religione, ogni legge, ogni diritto e coi pretesto di seguire il puro lume della ragione, fanno quanto il capriccio suggerisce. Scrive ancora: “ È difficile il definire quale fosse la loro dottrina, poichè non ne avevano alcuna; chi legge attentamente i loro scritti conchiude che negare ogni verità, calunniare qualunque virtù, insegnare tutti gli errori, incoraggiare a qualsiasi delitto, cavillare onde rimuovere dal cuor dell'uomo la dolce speranza della vita futura, insomma ridurre l'uomo al grado delle bestie forma la moderna filosofia. I Franchi Muratori macchinavano in segreto, i filosofi diedero loro mano con pubblici scritti e col porne in pratica la dottrina; e per riuscirvi, cominciarono a levarsi contro gli Ordini religiosi screditandoli colle più sozze calunnie. Egli fu in mezzo a questi trambusti che Clemente XIV, dopo lungo esitare, ad istanza delle Corti di Francia, di Napoli, di Portogallo e di altre Potenze, soppresse la Compagnia di Gesù l'anno 1774. Pio VII poi considerati i vantaggi che questa Compagnia poteva prestare alla Chiesa, la reintegrò tra gli Ordini religiosi. Ai nostri giorni quest'Ordine venne quasi disfatto, e gli individui vennero perseguitati ed espulsi dalla Svizzera e da tutta l'Italia. E per non mancare alla verità storica, conviene aggiungere che questi religiosi in più luoghi vennero cacciati in modo indegno, insultati nella loro miseria, vilipesi contro ogni legge e fin contro la naturale equità. Così Vincenzo Gioberti ”.

D. Bosco mostrava un gran coraggio nel prendere le difese di un Ordine religioso, perseguitato in questo stesso anno, ma usava eziandio una ammirabile prudenza nel citare le parole stesse del più acerrimo nemico dei Gesuiti. E alcune pagine dopo scrivendo di Pio IX non esitava a dire: “ Il gran Gioberti chiamava il giorno che lo vide il più bello di sua vita ”. Non era adulazione poichè uno può esser detto grande per motivi diversi. D. Bosco seguiva l'esempio del Sommo Pontefice che il 30 settembre 1847 aveva scritto a Torino al suo messo straordinario presso il Re, Mons. Corboli Bussi, affinchè fosse cauto e andasse a rilento nel parlare del Gioberti, idolo momentaneo della rivoluzione, levato a cielo da tutti i faziosi e novatori.

In fine D. Bosco, senza entrare in considerazioni politiche di nessun genere, dichiara colla storia alcuni diritti della Chiesa che gli adoratori del Dio Stato le avrebbero negati.

“ Nel primo secolo, egli scrive, ebbero principio i libri con cui si registravano i nomi dei battezzati e dei defunti che noi appelliamo libri di nascita e di morte. - Nel terzo secolo si cominciarono a consacrare i cimiteri, che rimanevano proprietà della Chiesa. - Già nel sesto secolo niuno dei preti o chierici andava soggetto ai giudici laici, ma soltanto ai giudici ecclesiastici. - Nel Concilio Lateranense V si stabilirono regolamenti per l'uso della stampa da poco tempo inventata, proibendo di stampare qualsiasi libro il quale non si fosse esaminato e approvato dall'autorità ecclesiastica, sotto pena di scomunica da essere pronunciata senza indugio ”.

Così D. Bosco, sparsi qua e là nella sua 'Storia Ecclesiastica', dava ai suoi giovani i giusti criteri per giudicare i fatti che andavano svolgendosi sotto i loro occhi a danno della Chiesa, sapendo poi a voce far risaltare quelli che isolati servivano al suo scopo, ovvero assumerne molti insieme quando abbisognava d'una dimostrazione completa. È questo eziandio il motivo per cui quasi sorvola il medio evo. La circospezione però non essendo mai troppa, poichè i tempi si facevano ognora più turbolenti, D. Bosco dando uno sguardo allo stato prospero della Chiesa, nell'Europa e nelle missioni estere, benchè fra le persecuzioni e gli ostacoli; considerando il discredito ognora crescente nel quale il protestantesimo cadeva ogni giorno più nell'Inghilterra, affermava di sembrargli che Dio preparasse una reazione con vantaggio universale. E soggiungeva: “ E vero che nel movimento generale, in cui tutti gli Stati si trovano per le vertenti forme di governo, la religione deve superare gravi difficoltà, specialmente da parte di quelli che rozzi affatto delle cose ecclesiastiche ne vogliono dare il loro giudizio, bestemmiando perciò quello che ignorano; ma noi italiani abbiamo a capo il gran Pio IX e il religioso e valoroso Carlo Alberto, onde non possiamo aspettarci che un felice avvenire, pieno di avvenimenti onorevoli al trono, alla religione gloriosi ”.

Era questo il voto ardentissimo del suo cuore, ma che non scevro di fondati timori, alcune pagine prima, fatto un magnifico elogio di Pio IX, gli dettava le seguenti parole: “ Noi Cattolici preghiamo Iddio di agevolargli le vie opportune per impedire i danni che i malvagi tentano cagionare alla Chiesa e a dargli aiuto per governarla con nuovi trionfi ”.

Concludeva il libro con una bella perorazione:

“ Dalla Storia Ecclesiastica noi dobbiamo imparare primieramente che tutti quelli che si sono ribellati contro alla Chiesa, per lo più provarono anche nella vita presente i più tremendi castighi divini... e che tutte le altre sette religiose, non essendo nella Chiesa di Gesù Cristo Salvatore, appartengono alla Sinagoga dell'Anticristo in ogni tempo la Chiesa Cattolica fu sempre col ferro e cogli scritti combat­tuta; e sempre trionfò. Ella vide i regni, le repubbliche egli imperi a sè d'intorno crollare e rovinare affatto; essa sola è rimasta ferma ed immobile. Corre il secolo decimonono da che venne fondata e si mostra tutto giorno nella più florida età. Verranno altri dopo di noi e la vedranno sempre fiorente.

E retta dalla mano divina, supererà tutte le vicende del mondo, vincerà tutti i suoi nemici, e si avanzerà con piè fermo a traverso dei secoli e dei rivolgimenti umani sino al finire dei tempi, per fare poi di tutti i suoi figli un solo regno nella patria dei Beati ”.

D. Bosco nel consegnare questo suo libro ai giovani, spiegandolo in pubblico e nelle conversazioni private, rammentava loro di non schierarsi in alcun modo tra gli avversari della Chiesa, perchè sarebbe stato un fabbricarsi la propria rovina: “ Combattere la Chiesa, diceva, è lo stesso che dare un pugno sulla punta aguzza di un chiodo ”.

Questa seconda edizione non incontrò ostacoli; ebbe un grandissimo spaccio anche nelle scuole e così D. Bosco ottenne il suo intento. Gli era però costata molta e paziente fatica. Volendo che la semplicità dello stile la rendesse popolare ebbe la costanza di leggerla a sua madre, la quale fraintese che l'imperator Costantino avesse perseguitati i cristiani. D. Bosco ritoccò quel racconto, e allora solo fu contento quando conobbe che sua madre lo aveva perfettamente compreso.

È anche degno di nota il riserbo nello scrivere, che diede occasione ad un suo giudizioso ammonimento. Andando un giorno a Borgo Cornalense per visitare la Duchessa di Montmorency, s'incontrò col giovanotto Tomatis Carlo. Questi vedendogli in mano le bozze di stampa della Storia Ecclesiastica, gli chiese come si regolerebbe quando si fosse imbattuto in punti difficili a trattarsi, dovendo p. es. dir male di qualche personaggio. D. Bosco rispose: “ Ove posso dir bene lo dico, ed ove dovrei dir male, taccio.

 - E la verità?

 - Io scrivo non per i dotti, ma specialmente per gli ignoranti e per i giovanetti. Se narrando un fatto poco onorevole e controverso io turbassi la fede di un'anima semplice, non è questo indurla in errore? Se io espongo ad una mente rozza il difetto di un membro di una congregazione, non è vero che in quella nascono dubbi che la inducono a provar ripugnanza per l'intera comunità? E questo non è errore? Solo chi ha sott'occhi l'intera storia di due mila anni può vedere che le colpe di uomini anche eminentissimi per nulla offuscano la santità della Chiesa; anzi sono una prova della sua divinità, perchè se si mantenne sempre indefettibile, vuol dire che il braccio di Dio l'ha sempre sostenuta e la sostiene. E questo pure intenderebbero i giovani quando potessero integrare i loro studi. Del resto ricordati che le sinistre impressioni, ricevute in tenera età per un parlare imprudente, portano sovente lagrimevoli conseguenze per la fede e pel buon costume ”.

Aggiungeremo in ultimo che D. Bosco scrivendo non si fidava del proprio giudizio. Abbiamo già detto come stringesse relazioni amichevoli con Silvio Pellico, ammirando in lui un; umiltà che gli impediva di far pompa del proprio ingegno, quantunque il suo nome fosse celebrato in tutta l'Europa.

Spesse volte si recava a visitarlo in Torino e a Moncalieri e non di rado Silvio veniva a restituirgli la visita e a compiacersi dello spettacolo dell'Oratorio. Si scrissero a vicenda varie lettere, e finalmente D. Bosco lo pregò a voler dare il suo giudizio sul compendio di Storia Ecclesiastica che stava per pubblicare. Silvio Pellico esaminò attentamente quel manoscritto, vi fece qualche correzione e lo commendò.

Di un suo consiglio D. Bosco tenne sempre memoria. Un giorno Silvio Pellico lo aveva interrogato se, come scrittore, facesse molto uso del vocabolario. D. Bosco gli rispose, sembrargli di possedere sufficientemente la lingua italiana e in mezzo a tante faccende non aver tempo a ricercare i vocaboli.

  - No, mio caro D. Bosco, continuò Silvio Pellico; non si fidi troppo ed abbia pazienza. Io, veda, non posso scrivere un foglio senza adoperare il vocabolario, e se lasciassi di consultarlo, non di rado cadrei in errori. È cosa troppo necessaria per conoscere tutta la forza ed esattezza delle parole, come pure per la ortografia. Molti termini ci sembra di conoscerli, ed in realtà c'inganniamo. Non di rado si può cadere in francesismi, in locuzioni latine o anche del dialetto. Segua il mio parere; tenga sempre il vocabolario sopra il suo scrittoio. Adoperandolo, vedrà come io abbia ragione, nel permettermi di darle simile avviso.

Da quel momento D. Bosco non solo seguì quel consiglio, ma ne' suoi viaggi continui non dimenticava mai di porre nella valigia il vocabolario. Fu questo poi l'avviso che spesse volte egli dava ai chierici e ai preti della sua Congregazione: Usi il vocabolario? - Lo tieni sul tavolino? - Più di una volta l'interrogato sorrideva come di una domanda da farsi ad uno scolaretto di grammatica e non ad un uomo che aveva compiuti i suoi studi. Ma D. Bosco insisteva nella sua interrogazione, e se la risposta era negativa, inculcava l'uso continuo di quel libro, concludendo: - Silvio Pellico me lo ha detto; io l'ho provato: per iscrivere senza errori bisogna avere alle mani sempre un vocabolario di pregio. Questa sua amicizia preziosa, anche pel vantaggio letterario, ebbe solo termine, quando Silvio Pellico fu chiamato da Dio all'eternità nel 1854.

 

 

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