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Capitolo 3

Largizione della Banca Nazionale - Lettere affettuose dei benefattori a D. Bosco - Sua lettera a Mons. Berardi e risposta del Prelato -Chierici che domandano aiuti spirituali a D. Bosco - Richiesta di un favore pecuniario al Rettore del Seminario di Torino -Risposta al Ministro di agricoltura, industria e commercio - Il Conte Cibrario e le decorazioni - Un fine di D. Bosco nel chiedere favori alle Autorità - Parlate di D. Bosco: Annunzia gli esami semestrali per i giovani e per i chierici; morti improvvise in Torino; predizione della morte di un alunno nell'Oratorio; S. Biagio e la benedizione della gola - Maggior comodità di confessarsi concessa agli studenti di rettorica; quale frequenza D. Bosco desidera ai sacramenti - Un sogno: gattone che tenta di strappare i mazzolini di fiori dalle mani dei giovani - D. Bosco al letto di un morente che non voleva confessarsi; tutto si paga, eccettuata la morte - Guardarsi dal criticare: santificare il carnevale.


Capitolo 3

da Memorie Biografiche

del 04 dicembre 2006

Coordinando i documenti di questo mese conservati negli archivi, troviamo in primo luogo come fossero riconosciuti i vantaggi che arrecavano alla città di Torino gli Oratori festivi. Dalla Banca Nazionale, sede di Torino, il 18 gennaio D. Bosco riceveva il seguente annunzio:

“ Il Consiglio di Reggenza di questa Sede della Banca Nazionale, in sua tornata d'oggi, nel ripartir il fondo assegnato per opere di beneficenza, decideva di allegare a cotesto Oratorio di S. Francesco di Sales, a Portanuova, Vanchiglia, Valdocco, lire 250”

Possediamo anche lettere affettuose di nobili signori che promettevano o recavano oblazioni per il mantenimento degli alunni, e davano notizie particolareggiate di ogni membro della propria famiglia, conoscendo l'affetto che D. Bosco nutriva per ciascuno di essi. Così faceva il generoso Conte Carlo De Maistre. Il giorno 30 gli scriveva dal suo castello di Beausmesnil, assicurandolo di ricordarsi sovente della felicità provata in que' tempi, nei quali aveva il piacere di vederlo, di parlargli e di andarlo a visitare nell'Oratorio. “E' da qualche mese soggiungeva, che io ne' giorni festivi raduno i ragazzi del nostro villaggio per ricrearli, cercando di fare del bene alle loro anime. Oh! signor abate, quanto io sarei felice, se voi foste qui! Quanti buoni consigli mi dareste! Quali lezioni potrei ascoltare per fare come fate voi ”.

E gli annunziava che la zia Duchessa di Montmorency si trovava a Roma.

D. Bosco già lo sapeva, perchè alla Duchessa, quand'era in sul partire, egli aveva consegnato un libro ed una lettera per Mons. Giuseppe Berardi, Arcivescovo di Nicea, Sostituto della Segreteria di Stato e Segretario della Cifra, del quale desiderava l'appoggio per la Pia Società; e Monsignore gli aveva risposto.

 

Ill.mo Signore,

 

A pi√π nobile portatrice non poteva V. S. Ill.ma affidare la consegna dell'esemplare del libretto da lei pubblicato per uso della studiosa giovent√π; e della lettera del 20 corrente da cui era accompagnato. Riguardando sempre pregevoli i doni che da Lei mi pervengono, ho gradita assai l'offerta che si compiacque di farmi del libretto medesimo, e gliene rendo sincere grazie.

E' ben poco quanto Ella mi riferisce della Duchessa di Montorency. Sarebbe assai a desiderarsi che certe matrone, le quali si adoperano con tanto zelo a pro dei poverelli, si moltiplicassero. Ella prosegua nella santa sua opera, ed io non cesserò d'implorare sopra di Lei e su cotesti giovanetti alle sue cure affidati le celesti benedizioni, affinchè prosperino nella religiosa e civile educazione.

Mi tenga raccomandato nelle sue orazioni, e, siccome non dubito di vedere accolta questa mia preghiera, così l'accerto della mia riconoscenza. Con tali sentimenti uniti a quelli di una particolare e distinta stima mi pregio di confermarmi,

Della S. V. Ill.ma,

Roma, 24 gennaio 1865,

Dev.mo e Umil.mo Servitore

GIUSEPPE BERARDI, Arc. di Nicea.

 

Abbiamo anche qualche foglio di chierici, i quali dai loro Seminarii chiedevano a D. Bosco consigli e preghiere per vincere battaglie spirituali. Da Alba uno di questi gli scriveva:

“ Mentre sono in continue afflizioni ed angustie paurose, un'ispirazione divina mi passò pel capo e non si dileguò finchè io non l'ebbi ascoltata. Ed è questa: -Raccomàndati a Don Giovanni Bosco, uomo santo, e tosto sarai liberato da questi pensieri indemoniati. -Io sperando e confidando mi prostro ai suoi piedi umilmente, e la supplico a volermi usare misericordia, pregando per me il Signore Iddio e Maria SS. Madre pietosa ”.

Di D. Bosco ci restano due lettere. Colla prima egli chiedeva al rev.mo Canonico Vogliotti, Rettore del Seminario e Provicario Diocesano, un favore pecuniario per i suoi chierici.

 

Ill.mo è Rev.mo Mons. Vicario,

 

L'anno scorso V. S. Ill.ma e Rev.ma mi assegnava fr. 400 sopra il Seminario a favore dei poveri chierici che studiano e lavorano in questa casa. Questo favore mi sarebbe di gran lunga più necessario ora, pei gravi bisogni in cui versa questa casa medesima e per un debito (due anni di interessi) di fr. 400, di cui sono in mora verso lo stesso Seminario. È vero che quando mi si concedeva quel sussidio mi si diceva che era straordinario e senza tratto successivo, ed io fo l'umile mia dimanda nello stesso senso, cioè in questo caso eccezionale. Supplico pertanto V. S. Ill.ma e Rev.ma a fare questa opera di carità a questi nostri poveri giovani: e specialmente ai chierici che, frequentando la scuola del Seminario, prestano assistenza in questa casa e fanno il catechismo negli oratori maschili di questa città.

Persuaso che questa Supplica sia presa in benigna considerazione, auguro ogni bene dal cielo a Lei ed a tutta l'amministrazione del Seminario, mentre ho l'alto onore di potermi professare con pienezza di stima e di gratitudine di V. S. Illma. e Rev.ma

Torino, 8 febbraio 1865,

Obbl.mo Servitore

Sac. GIOVANNI Bosco.

 

Con altra lettera egli rispondeva ad un foglio, scrittogli a nome del Ministro di Agricoltura, industria e commercio, dal Segretario generale, il I0 febbraio.

 

Onorevol.mo Signore,

 

Veduta la speciale e viva raccomandazione fatta da V. S. Ill.ma a favore del giovane Ferreri Giuseppe e considerato il particolare bisogno del medesimo, ho deliberato di accoglierlo per via eccezionale in questa casa, senza che egli debba attendere il tempo in cui sarebbesi fatto posto a suo turno. Partecipi dunque al mentovato giovanetto che egli può venire quando che sia e se gli terrà posto preparato.

Attesi poi i bisogni eccezionali in cui attualmente versa questa casa, mi raccomando alla bontà di lei per qualche sussidio a favore del medesimo. Questo dico soltanto come preghiera, non come condizione esclusiva.

Dio la conservi e le doni giorni felici, mentre ho l'alto onore di potermi con pienezza di stima professare

Di V. S. Ill.ma,

Torino, 14 febbraio 1865,

Obbl.mo Servitore

Sac. BOSCO GIOVANNI.

 

Egli aveva eziandio rivolte alcune suppliche al Gran Magistero dell'Ordine Mauriziano per ottenere decorazioni a benefattori dell'Oratorio, i quali avevano sborsate o erano pronti a dare a favore dei giovani ricoverati parecchie migliaia  di lire. Il Conte Luigi Cibrario, Primo Segretario di Sua Maestà nel Gran Magistero dell'Ordine Mauriziano e Grande Uffiziale dello Stato, era dispostissimo a secondare le pie intenzioni di D. Bosco con tali distinzioni onorifiche e non poche ne ottenne dal Re, mentre col Servo di Dio trattava con una cortesia amichevole e sincera, anche quando era costretto talvolta a non accogliere la sua domanda.

 

Ill.mo e M. R. Signore,

 

Le informazioni che ho raccolto da personaggi distinti ed imparziali (escluso il sig. Prefetto) sono riuscite sfavorevolissime al Sig. Farmacista G… Tutti mi hanno assicurato che se ottenesse la distinzione chiesta per lui la città di… ne sarebbe commossa e sdegnata. Io ho pertanto sempre maggior motivo di desiderare che la Divina Provvidenza venga in soccorso dell'utilissimo di lei Istituto per altre vie; e intanto non fo, ben inteso, nessun carico a Lei per l'indegnità della persona raccomandata, essendo certo della perfetta di

Lei buona fede.

Mi creda sempre con perfetta osservanza,

Torino, 22 marzo 1865,

Suo dev.mo Servo

LUIGI CIBRARIO.

 

Queste suppliche per ottenere decorazioni erano come un nuovo ruscello che D. Bosco aveva aperto per introdurre nuove acque di beneficenza nell'Oratorio per le sue opere. In appendice diamo un saggio dello stile da lui usato per formulare simili domande; e intanto osserviamo come degne di nota la fecondità della sua mente nel concepire e la sua attività nel conseguire i suoi intenti in varii modi e sotto diverso aspetto presso tutti i personaggi che prendevano parte al Governo dello Stato. Ricordiamo quanto abbiamo già scritto di lui dal 1846 in poi, e lo vedremo perseverare nella stessa via finchè visse. Si rivolgeva sovente al Re, ai Ministri, ai Senatori, ai Deputati, alle Autorità militari, ai Prefetti, ai Sindaci e a quanti maneggiavano la cosa pubblica.

Non pochi tra questi erano settari, capi di congiure, nemici della Chiesa Cattolica e del Papato, persecutori dei Vescovi, avversari dichiarati dei Religiosi e delle loro scuole. E il Servo di Dio con un coraggio tanto più grande quanto più umile, affrontava le loro ripulse, li ammansava co' suoi modi affabili; ed esponendo i bisogni di tanti poveri giovani, le sue preghiere ebbero moltissime volte benigna risposta e furono esaudite. Era evidente come nulla riservasse per sè e tutto fosse per gli altri; ma ciò che non era palese era un alto fine di carità, cioè che questi oblatori avessero il merito di una beneficenza riparatrice, poichè tornava alla Chiesa una piccolissima parte di ciò che le era stato tolto. Più volte a noi egli manifestava una tale intenzione. Faceva ciò che al Padre Ludovico da Casoria, come narra il Cardinale Capecelatro, aveva consigliato il Santo Padre Pio IX:

“ Il Padre Lodovico aveva detto al Papa nel 1860:

- Beatissimo Padre, viene la rivoluzione. Che debbo fare io? Debbo chiudermi nella cella a pregare o cacciarmi in mezzo .al fuoco per operare? Essi vorrebbero servirsi di noi per fare il male. Possiamo noi servirci di loro per fare il bene? - A cui il Santo Padre tutto infiammato dallo zelo di Dio, rispose:

- Torna pure, o figliuolo di S. Francesco, a Napoli; esci dalla cella, e cacciati come tu dici in mezzo al fuoco ad operare, serviti degli stessi nemici per fare il bene, e ne avrai merito avanti a Dio ”.

Queste parole dànno molta luce al modo di agire di Don Bosco e servono di risposta a chi più di una volta lo accusava di essere troppo amico dei governanti o dei liberali.

Ed ora riapriamo la cronaca per trascrivere altre parlate.

 

1° febbraio.

 

Motus in fine velocior. L'anno s'inoltra e, più s'inoltra, con maggior rapidità precipitano i giorni. Siamo già ai primi di febbraio ed è imminente l'esame semestrale. Quelli che hanno studiato giorno per giorno ciò che veniva insegnato dai maestri, si troveranno contenti: quelli che hanno fatto qualche poco il poltrone si troveranno imbrogliati, essendosi accumulate le materie delle quali è difficile che si mettano al corrente in queste settimane. Contuttociò eziandio costoro si facciano coraggio che non saranno abbandonati in simile frangente. I professori vi aiuteranno a superare le difficoltà che incontrerete nel prepararvi all'esame, dandovi anche qualche ripetizione sulle lezioni già fatte.

Intanto mi raccomando a voi di una cosa. I chierici hanno anch'essi da prendere a giorni il loro esame, e mi preme assai che facciano una buona figura; quindi procurate di recar loro meno disturbo che sia possibile, acciocchè possano prepararsi bene. I chierici poi, se avessero qualche carica che fosse loro troppo di peso e impedisse in questi giorni lo studio, mel dicano, chè io procurerò di agevolar loro con ogni mezzo la facilità di studiare.

Un'altra cosa ho da dirvi. In Torino da qualche tempo accadono certi generi di morti, che ci avvisano di stare ben preparati. Il padre di uno dei giovani dell'Oratorio (Ruffino) l'altra sera andava a dormire. Al mattino è chiamato per le sue incombenze e viene trovato freddo cadavere. Ieri in una famiglia distinta un giovanetto va a letto: il cameriere aspetta che sia coricato e si avvicina per domandargli se ha bisogno di niente. Il signorino non risponde: il cameriere lo chiama, lo scuote. Era morto! In una farmacia, vicino al palazzo di città corre un garzone di caffè a chiamare un medico per un signore, al quale era venuto male mentre giuocava a tarocchi nella sala da caffè. Corre il medico, gli mette la mano sul cuore, ma era già morto. Che passaggio, dal giuoco all'eternità!

Figliuoli miei, ho ancora da annunziarvi una notizia. Un giovane dell'Oratorio ha da morire, forse prima che si faccia in questo mese l'apparecchio alla morte: e certamente se arriverà a farlo ancora una volta sarà il massimo del tempo che gli potrà essere concesso. Spero che costui si troverà ben preparato.

Disceso dalla cattedra D. Bosco disse in un orecchio allo scrittore di queste memorie una sola parola:

-Ferraris.

Era un segreto e un incarico che ci confidava; e noi qui ripeteremo ciò, di cui altrove abbiamo fatto cenno.

Queste previsioni erano d'immenso vantaggio per i giovani che Dio chiamava all'altra vita, poichè D. Bosco si prendeva di essi specialissima cura e confidando il segreto a qualche prudente compagno, lo incaricava a far da angelo custode al morituro. Il compagno cercava di farselo amico con giuochi, teneva d'occhio gli altri amici che frequentava, invitavalo ad accostarsi sovente alla Confessione e alla Comunione, conducevalo a visitare il SS. Sacramento, e suggerivagli quei consigli che gli sembravano più opportuni. Ciò faceva però con naturalezza, senza insistere, e non solo senza svelare il segreto, ma senza neppur dar sospetto di esso. Vi sono ancora nell'Oratorio di quelli che ebbero simile geloso incarico.

Si noti ancora, che quando D. Bosco parlava, più di 500, 700, 800 erano in varie circostanze i testimonii auricolari presenti a queste predizioni, e purtroppo non tutti disposti a prestargli fede. Anzi eranvi talora fra gli adulti dei nuovi arrivati, contradditori, seminatori di zizzania, spiriti maligni, i quali cercavano di mettere in discredito le parole del superiore. Non è quindi il caso di sognare che D. Bosco potesse impunemente sorprendere le fantasie dei giovani e, qualora non si avverasse il suo pronostico, trovar mezzi termini per far credere ciò che non era. Si trattava di predizioni precise, accompagnate da circostanze indicanti o luogo, o persona, o tempo. Molti giovani la stessa sera e all'indomani mattina scrivevano ciò che D. Bosco aveva detto, confrontavano i loro scritti, ne facevano argomento dei loro discorsi, congetturavano, cercavano d'indovinare, osservavano e non cessavano di stare all'erta, finchè la profezia non fosse compiuta. Ed erano giudici che volevano veder la cosa a fondo! Di tutte le predizioni che fece D. Bosco di due o tre solamente non possiamo testificare che si siano avverate, perchè erano forse condizionate o perchè non si potè avere notizia dell'avveramento. Di tutte le altre mirabilmente comprovate, e sono centinaia, ponno far fede quanti furono nell'Oratorio.

Il 2 di febbraio, alla sera, D. Bosco tenne il seguente discorso:

Domani è la festa di S. Biagio, Vescovo di Sebaste nell'Armenia, martirizzato ai tempi di Licinio imperatore nel 315; e domani si fa la bella cerimonia della benedizione della gola. Sapete perchè fu istituita questa usanza e perchè fu dichiarato S. Biagio patrono degli uomini contro le malattie della gola? Udite. Una donna aveva un figliuoletto da lei molto amato. A questi, mangiando del pesce, si era conficcata una spina nella gola e i medici chiamati a curarlo avevano dichiarato che la loro arte non poteva giovare a nulla e che presto sarebbe morto. La desolata madre si stava seduta nella sua casa col moribondo figlio sulle ginocchia: e non poteva trovar conforto al suo dolore, mentre contemplava il suo piccolino che in mezzo ai più atroci dolori si avvicinava alla morte. Quand'ecco all'improvviso si udì una voce, la quale le dicea: - Alzati, prendi il tuo figlio: il martire Biagio è condotto al martirio; pregalo di benedire tuo figlio, e tuo figlio risanerà. Corse la madre, il martire intenerito alle sue lagrime fece una breve preghiera, benedisse il fanciulletto nel nome di Gesù, e la spina usci da sè dalle sue fauci e il figliuoletto fu salvo.

Andiamo dunque a farci benedire la gola pei meriti di questo Santo, acciocchè Iddio ci preservi da ciò che può nuocere entrando, ovvero uscendo dalla nostra gola. Ciò che entra sono i cibi che possono essere nocivi e cagionare indigestione, sono i veleni che talora per caso o per malizia taluno potrebbe prendere, ecc., ecc. perchè dice lo Spirito Santo che ne uccide più la gola che la spada. Ciò che esce sono gli sbocchi di sangue, i vomiti in certe malattie, le angine, ecc., ecc. Ma sopratutto pregatelo che vi preservi da tutto ciò che esce e può far male alla nostra anima, cioè i discorsi cattivi, le bestemmie, le imprecazioni, le calunnie, le bugie; da ciò che entra, come i cibi proibiti dalla Chiesa, le intemperanze nel mangiare e nel bere. Domani adunque pregate S. Biagio che vi liberi da tutti i mali di gola materiali e spirituali.

 

5 febbraio.

 

Vi voglio dire qualche cosa intorno l'interpellanza di D. Francesia. Quei di prima e seconda rettorica se vorranno venire da me a confessarsi, vengano pure un'ora avanti che si dia l'avviso delle confessioni. I pi√π piccoli diranno: i rettorici hanno forse essi l'anima pi√π

grossa della nostra perchè si debbano usare ad essi preferenze? dirò che essi hanno qualche diritto di precedenza, perchè essendo i figli miei più grandi od anche i più vecchi della casa, hanno diritto che si usi loro qualche riguardo.

Ho da dirvi ancora qualche cosa in quanto ai Sacramenti.

Per trar frutto dalla Confessione non basta accostarvisi sovente, ma bisogna sforzarsi di non fare peccati. Quindi desidero che ogni giovane si accosti alla confessione una volta al mese alla più lunga; non però più di frequente di una volta alla settimana, tolti i casi speciali indicati dal confessore, perchè altrimenti togliete agli altri il comodo di confessarsi. Procurate poi da una confessione all'altra di non far peccati e sarà questo il più bel frutto della confessione. Alla Comunione accostatevi più sovente che potete e tutte le volte che vi vien detto dal confessore e quando la coscienza di nulla vi rimorda.

Chi poi vuol tenere un giusto mezzo nel confessarsi, si accosti a questo Sacramento ogni quindici giorni ed io son contento. Ma da tutti si procuri di far meno peccati che sia possibile.

D. Bosco aveva risposto colla solita prudenza alla domanda fattagli in pubblico, di voler concedere maggior comodità di confessarsi agli studenti del ginnasio superiore. Eglino infatti erano contrariati dalla folla degli alunni delle classi inferiori che correndo per i primi assiepavano il luogo ove D. Bosco confessava: mentre avrebbero voluto spicciarsi senza troppo lunga aspettazione per ritornare ai loro studi.

Si noti che, a quando a quando, interpellanze di vario genere, sull'andamento o sui bisogni dei giovani, si facevano a D. Bosco salito sulla cattedra alla sera, ora di spontanea volontà dell'interpellante, ed ora per incarico avuto dallo stesso Servo di Dio. Con questo mezzo si destava maggior attenzione, la parola faceva miglior effetto, e chi parlava aveva maggior libertà nel riprovare certe mancanze o far valere i motivi di certe disposizioni dei Superiori.

 

6 febbraio.

 

Due o tre sere fa io sognai: volete che vi racconti il mio sogno? Siccome io amo i miei giovani, quindi sogno sempre di essere in loro compagnia.

Mi pareva adunque di trovarmi qui in mezzo al cortile, circondato dai miei cari figliuoli, e tutti aveano in mano un bel fiore. Chi aveva una rosa, chi un giglio, chi una violetta, chi la rosa ed il giglio insieme, ecc. ecc. Insomma chi un fiore, chi un altro. Quando ad un tratto comparve un brutto gattone, colle corna, tutto nero, grosso come un cane, cogli occhi accesi come bragia, che avea le unghie grosse come un chiodo ed un ventre sconciamente gonfio. La brutta bestia si avvicinava quietamente ai giovani e girando in mezzo a loro, ora dava un colpo di zampa al fiore che uno aveva e strappandoglielo di mano lo gettava per terra, ora faceva lo stesso ad un altro e così via via.

Alla comparsa di questo gattone io mi spaventai tutto e mi fece meraviglia il vedere come i giovani non se ne turbassero niente e tranquillamente si stessero come se nulla fosse.

Quando vidi che il gatto s'inoltrava verso di me per prendere i miei fiori, mi posi a fuggire.

Ma fui fermato e mi venne detto: - Non fuggire e di' ai tuoi giovani che innalzino il braccio e il gatto non potrà arrivare a toglier loro di mano i fiori. -Io mi fermai e alzai il braccio: il gatto si sforzava di togliermi i fiori, saltava per arrivarvi, ma siccome era molto pesante, non poteva arrivarvi e cadeva goffamente in terra.

Il giglio, miei cari figliuoli, è la bella virtù della modestia alla quale il diavolo muove sempre guerra. Guai a quei giovani che tengono il fiore in basso! Il demonio lo porta via, lo fa cadere. Coloro che lo tengono basso, sono quelli che accarezzano il loro corpo mangiando disordinatamente e fuori di tempo; sono coloro che fuggono la fatica, lo studio e si dànno all'ozio; sono coloro ai quali piacciono certi discorsi, che leggono certi libri, che sfuggono la mortificazione. Per carità, combattete questo nemico altrimenti egli diventerà vostro padrone.

Queste vittorie sono difficili, ma l'eterna sapienza ci ha detto il mezzo

per conseguirle: - Hoc genus daemoniorum non ejicitur nisi per orationem et jejunium. - Alzate il vostro braccio, sollevate in aria il vostro fiore e sarete sicuri. La modestia è una virtù celeste e chi vuole conservarla bisogna che si innalzi verso il cielo. Salvatevi adunque coll'orazione.

Orazione che vi innalza al cielo sono le preghiere del mattino e della sera dette bene; orazione è la meditazione e la messa; orazione è la frequente Confessione e la frequente Comunione; orazione sono le prediche e le esortazioni del Superiore; orazione è la visita al SS. Sacramento; orazione il Rosario; orazione lo studio. Con questa il vostro cuore si dilaterà come un pallone e vi eleverà verso il cielo e così potrete dire quello che diceva Davidde: Viam mandatorum tuorum cucurri, cum dilatasti cor meum. Così porrete in salvo la più bella delle virtù ed il vostro nemico, per quanti sforzi faccia, non potrà strapparla dalle vostre mani.

 

7 febbraio.

 

Ieri vi ho raccontato un sogno, oggi voglio raccontarvi un fatto. Un ricco signore era ammalato già da due mesi e la malattia andava ognor più aggravandosi. Un suo amico, buon cristiano, gli fece notare come sarebbe stato meglio che accomodasse tutti gli affari temporali e facesse testamento. Nello stesso tempo si azzardò di accennargli come fosse cosa prudente e conveniente chiamare il prete.

- Oh no, rispose l'ammalato, confessarmi no! Non voglio che venga nessun prete! Non voglio preti per casa.

- Ma pure sarebbe meglio per lei!

- Io finchè era sano non volli mai sapere di confessarmi; molto meno ora che sono ammalato.

- E se venisse D. Bosco?

- D. Bosco lo vedrò volentierissimo; venga pure, ma ad un patto: che non mi parli di confessione.

Si venne all'Oratorio ad invitarmi ed io sabbato scorso mi portai presso questo ammalato. Quei di casa, sapendo l'oggetto della mia visita, mi accolsero cortesemente e mi condussero nella camera dell'infermo. L'infermo si mostrò contentissimo della mia venuta, ed io incominciai, come uso far quasi sempre con gente di simil sorte, e con salutare effetto, a raccontargli allegre storielle e burle e frizzi così ridicoli, che tutti e due ridevamo a più non posso; al punto che l'ammalato mi pregò di cessare, perchè ormai il suo riso era così convulsivo che ne soffriva.

- Or bene, io gli dissi; parliamo dunque di qualche cosa seria.

- Don Bosco! si ricordi che non mi voglio confessare! È questo il patto che io feci con la mia gente.

- Ma, signor mio, come vuole che io non ne parli, mentre lei me la nomina? Lei me ne mette la voglia. No, non la confesserò, ma deve permettermi che io le parli della confessione.

Ed incominciai a parlargli della sua vita passata, gli misi sott'occhio la necessità di mettersi in grazia di Dio e gli descrissi minutamente lo stato lacrimevole della sua coscienza. L'infermo mi ascoltò in silenzio con tutta attenzione e quando ebbi finito mi disse:

- Ma, D. Bosco! come ella ha fatto a conoscere così bene tutte le mie azioni?

- Io ho quattro parole: Otis, botis, pia, tutis! colle quali leggo nell'anima a chi voglio.

- Or dunque è inutile che io mi confessi; poichè ella sa già tutto, la confessione è fatta!

- Signor mio, avrà ora difficoltà a dichiararsi colpevole di tutti questi peccati, a pentirsene, a domandare perdono a Dio, a fare un proponimento fermo di cambiar vita se il Signore la rimettesse in sanità?

-Oh, no!

-Or bene, continuai prendendo i giornali proibiti ed i libri cattivi che erano sul tavolino, mi permette che io li cacci sul fuoco?

- E perchè questo?

- Perchè o vanno questi libri sul fuoco o ella andrà nelle fiamme dell'inferno per tutta l'eternità.

- Vadano pure i libri!

E una viva fiamma si destò quando li gettai nel camino.

-Ma non basta, signore; bisogna che allontani subito quella persona che ella sa. - Qui l'ammalato muoveva moltissime difficoltà, ma con grande stento finalmente si indusse a seguir il mio imperioso consiglio.

- Ed ora, conclusi, le darò l'assoluzione. - Il poveretto era abbastanza pentito. Gli parlai della Comunione, ed egli mi rispose che ciò avrebbe recato disturbo alla casa, che non vi era tanta necessità. Io vedendo che il più era fatto, perchè si era confessato e con sufficienti disposizioni, non insistetti. Uscendo, dissi a quei di casa che qualora l'ammalato domandasse il Viatico, mandassero pure ad avvisare in parrocchia perchè erasi confessato; e qualora peggiorasse, si mandasse a darmene avviso. Aspettava, ma non venne nessuno. Allora tornai per vederlo, ma trovai che era già andato all'eternità. Egli soffriva per il catarro che lo soffocava, ma aveva ancor speranza di guarire; quindi chiamava i migliori medici e diceva loro: - Guaritemi ed io vi darò quanto vorrete. Dieci, venti, quaranta, cinquantamila franchi! - La vigilia della sua morte un amico andò per avvisarlo del pericolo nel quale si trovava e gli disse: -Amico mio, tutto si paga, coi denari si ottiene tutto: la morte sola non si può pagare; quindi bisogna pensare seriamente alla vita avvenire.

L'ammalato si acquetò con cristiana rassegnazione, soffri ancora per qualche tempo e poi se ne morì.

Naturalmente, miei cari figliuoli, questa non è una morte che io vi possa proporre a modello, tuttavia siccome spirò, ricevuti i sacramenti e con cristiana rassegnazione, è da sperare che il Signore gli abbia usato misericordia. Noterò una cosa per vostro vantaggio: le parole dette da quell'amico al moribondo: Tutto si paga, la morte sola non si può pagare! Bisogna star pronti, perchè quand'essa verrà, per niun conto la si può mandare indietro.

 

9 febbraio.

 

Stassera vi voglio avvisare di una cosa. Mi rincresce udire che voi chiamate con certi sopranomi dispregiativi la minestra e altri cibi. Certi burloni quando possono inventare un epiteto ridicolo, lo comunicano ai compagni. Che diranno i vostri parenti, tornando voi a casa, se dai vostri parlari si accorgeranno che non sapete dare alle cose il loro proprio nome? Voi siete studenti! Dunque come studenti dovete mostrarvi serii e belle educati in ogni circostanza. Che cosa direste, se vedeste per es. il generale Lamarmora giuocare alle palle di neve in piazza Castello col generale Cialdini? Vi porreste a ridere alle loro spalle. Quindi anche voi procurate che nessuno rida alle vostre. Agite come vedete agire gli altri uomini rispettabili: non vi dirò di imitare D. Bosco, D. Francesia, D. Durando, ecc.; ma agite come vedete agire tanti uomini serii e prudenti. Anzi abbiate suggezione di voi stessi. Dite: che farei in questo istante se fossero presenti i miei genitori, se fosse presente il parroco, se mi trovassi al cospetto de' miei amici? E facendo così, opererete e parlerete sempre saggiamente.

Passiamo ad altro. Il Carnevale se ne va a gran passi: continuiamo a santificarlo come abbiamo proposto. Tutti i giorni facciamo la comunione o sacramentale o spirituale, come ci è dato, e non lasciamo di profferire qualche giaculatoria lungo la giornata. Se poi volete che per domani vi dia un fioretto, ve lo darò. Domani è venerdì, giorno nel quale il Signore è morto per noi. Or bene domani per amore di Gesù perdonerete qualunque offesa vi sia fatta, soffrirete con pazienza qualunque molestia vi apportino i compagni e patirete per amor di Gesù il dovervi alzare da letto la mattina quando suona il campanello della levata e l'importunità degli assistenti che verranno a scuotervi.

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