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Capitolo 3. - PREGHIERA - MEDITAZIONE

Nell'infanzia della vita spirituale, quando abbiamo da poco incominciato ad affidarci alla guida di Dio, sentiamo molto forte e salda la mano che ci conduce; davanti a noi, chiaro come il sole, sta ciò che dobbiamo fare e che cosa dobbiamo lasciare. Ma poi non è sempre così. Chi appartiene a Cristo, deve vivere tutta la vita di Cristo.


Capitolo 3. - PREGHIERA - MEDITAZIONE

da L'autore

 

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PREGHIERA - MEDITAZIONE

Non dovrebbe forse essere realmente possibile trovare un’ora di mattina in cui non ci si disperda, ma anzi ci si raccolga, in cui non ci si esaurisca, ma anzi si acquisti forza, per combattere tutta la giornata? Ma certamente, serve più di un’ora. Si deve vivere nelle ore successive a partire da quell’ora, in modo da poter tornare indietro. Non è più possibile «lasciarsi andare», anche solo temporaneamente. Non ci si può sottrarre al giudizio di colui che si frequenta tutti i giorni. Anche se non ci si dice neanche una parola, si sente come gli altri si rapportano a noi. Si può cercare di adattarsi alle circostanze, e se questo è impossibile, la convivenza diviene un tormento.

La stessa cosa succede anche nel rapporto quotidiano con il Signore. Si acquista una sensibilità sempre maggiore per comprendere ciò che a lui piace e ciò che gli dispiace. Se prima si era nel complesso abbastanza contenti di sé, poi le cose vanno diversamente. Si trova che molto è sbagliato e si cambia, per quanto è possibile. Si scopre che esistono cose che non si possono considerare né belle né buone e che pure è così difficile cambiare. Allora si diventa a poco a poco molto modesti ed umili, si diventa pazienti ed indulgenti per le pagliuzze negli occhi degli altri, perché si vede la trave che è nei propri, e infine si impara anche a sapersi accettare nella luce inesorabile della presenza divina e a rimettersi alla misericordia di Dio, che sa venire a capo di tutto ciò che si fa beffe della nostra forza.

Nell’infanzia della vita spirituale, quando abbiamo da poco incominciato ad affidarci alla guida di Dio, sentiamo molto forte e salda la mano che ci conduce; davanti a noi, chiaro come il sole, sta ciò che dobbiamo fare e che cosa dobbiamo lasciare. Ma poi non è sempre così. Chi appartiene a Cristo, deve vivere tutta la vita di Cristo. Deve maturare fino all’età adulta di Cristo, deve percorrere una volta o l’altra la via della croce, dopo essere passato per il Getsemani e il Golgota. E tutte le sofferenze che provengono dall’esterno sono nulla in confronto alla notte buia dell’anima, quando non risplende più la luce divina e la voce del Signore non si fa più sentire. Dio è presente, ma è nascosto e tace.

Dalla soddisfazione di sé di un «buon cattolico», che «fa il suo dovere», legge un «buon giornale», «vota il partito giusto», ma altrimenti fa quello che gli pare, c’è un lungo cammino da percorrere fino a poter vivere una vita con la mano nella mano di Dio, guidata dalla sua mano, con la semplicità del bambino e l’umiltà del pubblicano. Ma chi ha percorso una volta quella strada non torna più indietro.

Il nostro animo è per natura pieno di sentimenti, tanto che l’uno soppianta sempre l’altro e tiene il nostro cuore in continuo movimento, spesso in tumulto ed inquietudine. Quando ci svegliamo la mattina, i doveri e le preoccupazioni del giorno cominciano già a molestarci (se non hanno già disturbato il riposo notturno). Allora si pone la domanda inquietante: Come si può risolvere tutto questo in un giorno? Quando farò questo, quando quello? Come devo affrontare questo o quel problema? Ci si vorrebbe scuotere e dar subito da fare. Allora bisogna prendere in mano le redini della situazione e dire: calma! Soprattutto ora, nulla mi deve disturbare. La mia prima ora del giorno appartiene al Signore. Voglio incominciare il lavoro giornaliero che il Signore mi affida, lui mi darà la forza di portarlo a termine. Voglio accostarmi all’altare di Dio. Non per me e per le mie piccole preoccupazioni, si tratta del grande sacrificio di riconciliazione.

Così comincia il lavoro giornaliero: magari a scuola, quattro o cinque ore di seguito. Ciò significa essere presenti, ogni ora in una situazione diversa. In questa o quell’ora non si riesce ad ottenere ciò che si voleva, o forse non succede mai. Stanchezza, interruzioni impreviste, difficoltà degli alunni, un cumulo di fatti spiacevoli, inquietanti, angoscianti.

Oppure il lavoro d’ufficio: relazioni con superiori e colleghi sgradevoli, pretese impossibili, rimproveri ingiusti, meschinità, e ancora difficoltà di ogni genere. Arriva mezzogiorno. Sfiniti, spossati, si torna a casa. E magari ti aspettano altri guai.

Dov’è allora la freschezza mattutina dell’anima? Di nuovo ci si vorrebbe agitare ed infuriare: sdegno, rabbia, rincrescimento. E ancora tanto da fare fino a sera! Si deve subito ricominciare? No, non prima che sia sopraggiunta, almeno per un istante, un po’ di pace.

Quando l’intelletto osa raggiungere il suo limite, trova allora i propri confini. Parte alla ricerca della verità suprema ed ultima e scopre che tutto il nostro sapere è frammentario. L’orgoglio allora si spezza e due sono le alternative: o si capovolge in disperazione, oppure si inchina con venerazione davanti alla verità impenetrabile e accetta umilmente con fede ciò che la naturale attività intellettiva non può conquistare. Allora l’intellettuale, alla luce della verità eterna, comprende il giusto atteggiamento nei con fronti del proprio intelletto.

Comprende che le verità supreme ed ultime non possono venire svelate dall’intelletto umano e che nelle questioni più essenziali e di conseguenza nell’orientamento pratico della propria vita la persona più semplice, se è ispirata dalla grazia divina, può essere migliore del più grande scienziato. Dall’altra parte riconosce l’ambito legittimo dell’attività intellettuale e li compie il suo lavoro, come il contadino considera il suo campo come qualcosa di buono ed utile, ma limitato nei suoi angusti confini come ogni altra opera umana.

Chi ha capito questo, non tratterà più nessuno «dall’alto in basso» Avrà quell’umanità schietta e genuina, la modestia sincera e profonda, che supera ogni barriera con semplicità e naturalezza. Potrà parlare senza timore tra la gente la sua lingua intellettuale, perché questa gli sarà così naturale come alla gente la propria lingua e perché evidentemente non la considererà migliore. Potrà approfondire i suoi problemi intellettuali, visto che questo è in fondo il suo mestiere naturale: userà il suo intelletto come il falegname la mano e la pialla, e se potrà aiutare gli altri con il suo lavoro, sarà ben disposto a farlo. E come ogni lavoro onesto, compiuto secondo la volontà di Dio e per la sua gloria, anche questo tipo di lavoro può diventare uno strumento di santificazione.

Così mi immagino san Tommaso: un uomo che aveva avuto da Dio una non comune capacità intellettuale e che aveva messo a frutto questo suo talento; un uomo che andava per la sua strada tranquillo e senza pretese e che si immergeva nei suoi problemi quando aveva un momento libero; un uomo che volentieri e di buon grado si rompeva il capo e cercava delle risposte quando gli si ponevano difficili questioni. Così è diventato una delle maggiori guide, proprio perché non aveva mai voluto esserlo.

Ognuno deve conoscersi o imparare a conoscersi, per sapere come e quando poter trovare un po’ di quiete. La cosa migliore sarebbe, se è possibile, trovare un momento di tanto in tanto per sgravarsi di tutte le preoccupazioni davanti al tabernacolo. Chi non può farlo, chi magari ha necessariamente bisogno anche di un po’ di riposo fisico, si conceda una pausa nella propria stanza per riprendere un po’ il fiato. E quando in nessun modo si può ottenere un po’ di riposo esteriore, quando non c’è un posto in cui potersi rifugiare, quando compiti improcrastinabili impediscono di concedersi un’ora tranquilla, allora almeno interiormente ci si isoli per un istante da tutto il resto e si cerchi rifugio nel Signore. Egli è presente e può darci in un solo istante ciò di cui abbiamo bisogno.

Così la giornata continuerà, forse con grande stanchezza e fatica, ma in pace. E quando giunge la notte e ripensando alla giornata trascorsa si vede che tutto è stato solo un lavoro frammentario ed imperfetto e che non si è fatto tutto quello che ci si era proposti, se riflessioni del genere suscitano profonda umiliazione e rammarico, allora si deve prendere la situazione così come è, riporla nelle mani di Dio ed affidarla a lui. Così si potrà riposare in lui, riposare davvero e iniziare il nuovo giorno come una nuova vita.

Bisognerebbe inoltre mostrare che la domenica dovrebbe essere una grande porta d’ingresso, attraverso la quale la vita eterna possa entrare nella quotidianità e possa dare la forza necessaria al lavoro di tutta la settimana, e che le grandi festività, i periodi di festa e di penitenza, vissuti nello spirito della Chiesa, possono far maturare un uomo di anno in anno e prepararlo al riposo del sabato eterno. Compito essenziale di ognuno sarà riflettere su come si debba organizzare la giornata e l’anno, secondo la propria disposizione e secondo le proprie condizioni di vita, per preparare la strada al Signore. L’organizzazione esteriore dovrà essere diversa per ognuno e con il passare del tempo dovrà adattarsi con elasticità alle diverse circostanze.

Anche la disposizione spirituale è diversa per ognuno. Per quanto riguarda i mezzi adatti a stabilire, mantenere o rianimare il contatto con l’eterno - meditazione, letture spirituali, partecipazione alla liturgia e alle diverse funzioni e così via - non tutti sono sempre e comunque fecondi per ognuno.

Ad esempio la meditazione non può essere praticata da tutti e sempre nello stesso modo. È importante scoprire il mezzo volta a volta più efficace e valersene.

Ci sono notoriamente due strade per unirsi a Dio e giungere così alla perfezione dell’amore: salire faticosamente a lui grazie ai propri sforzi, certo con l’aiuto della misericordia a Dio, ed essere portati in alto verso di lui, il che permette di risparmiare molta fatica personale, anche se prepararsi a questa esperienza e saperla vivere esigono un grande sforzo di volontà.

Nessuno è penetrato così a fondo nella profondità dell’anima come coloro che hanno abbracciato il mondo con fervore e sono poi stati liberati da quell’irretimento e spinti nel proprio intimo, nell’interiorità più profonda dalla forte mano di Dio. Accanto a Teresa d’Avila c’è in prima linea sant’Agostino, a lei profondamente simile e da lei così sentito. A questi maestri della conoscenza di sé furono svelate le segrete profondità dell’anima: per loro erano esperienze innegabili non solo i fenomeni, la movimentata superficie della vita dell’anima, ma anche le forze che si esplicano nella vita immediatamente cosciente, e infine persino l’essenza dell’anima stessa.

Cristo è la via per la vita interiore. Il suo sangue è la cortina attraverso cui entriamo nel sancta sanctorum della vita divina. Nel battesimo e nel sacramento della penitenza ci purifica dal peccato, ci apre gli occhi per la luce eterna, ci schiude le orecchie per sentire le parole divine e le labbra per elevare inni di lode, preghiere di espiazione, di supplica, di ringraziamento, che sono tutte solo forme diverse di adorazione, ossia di omaggio da parte della creatura di fronte all’onnipotente, alla bontà suprema. Nel sacramento della cresima segna e fortifica il soldato di Cristo affinchè professi lealmente la sua fede. Ma è soprattutto il sacramento in cui Cristo stesso è presente a renderci membra del suo corpo. In quanto partecipiamo al sacrificio e al banchetto sacrificale e ci cibiamo della carne e del sangue di Cristo, diveniamo noi stessi la sua carne e il suo sangue. Solo finché siamo membra del suo corpo, lo spirito di Gesù può darci nuova vita e vivere in noi.

Nel tacito dialogo con il Signore delle persone consacrate a Dio si preparano quelli che poi saranno gli eventi della storia della Chiesa che rinnovano la faccia della terra. La vergine che custodì nel suo cuore ogni parola a lei inviata da Dio è il modello di quelle persone in ascolto, nelle quali rivive sempre di nuovo la preghiera sacerdotale di Gesù.

Il Signore ha prediletto donne che come lei hanno completamente dimenticato se stesse per sprofondare nella vita e nella passione di Cristo, e le ha scelte come suoi strumenti per compiere grandi opere nella Chiesa: santa Brigida, Caterina da Siena. E quando santa Teresa, la grande riformatrice del suo Ordine nel tempo dell’apostasia, volle venire in aiuto alla Chiesa, comprese che il mezzo migliore era nel rinnovamento dell’autentica vita interiore.

Il centro dell’anima è il punto da cui si fa sentire la voce della coscienza, è il luogo della libera decisione personale. Proprio per questo e poiché nell’unione piena d’amore con Dio è necessaria la libera donazione personale, il luogo della libera decisione deve essere al tempo stesso il punto della libera unione con Dio. Partendo da questa considerazione, diviene anche comprensibile perché il dono della volontà a Dio fu considerato da Teresa d’Avila essenziale nell’unione mistica: il dono della nostra volontà è ciò che Dio esige da tutti noi ed è ciò che possiamo dargli. È la misura della nostra santità. È al tempo stesso la condizione dell’unione mistica, che non è in nostro potere, ma un dono gratuito di Dio. Perciò si da anche la possibilità di vivere a partire dal centro dell’anima, di forgiare se stessi e la propria vita, anche senza avere doti mistiche.

All’interno della Chiesa ci sono esperienze collettive del tipo più vario: devozione, entusiasmo collettivo, opere di misericordia e così via, ma la Chiesa non deve a questo la sua esistenza. Siccome il singolo sta davanti a Dio, libertà divina ed umana sono l’una di fronte all’altra, l’una per l’altra, gli è data allora la forza di essere disponibile per tutti e questo «uno per tutti e tutti per uno» costituisce la Chiesa... Tanto più si è pieni dell’amore divino, tanto meglio si riesce a mettersi al posto di ciascun altro.

Nell’aridità e nel vuoto l’anima diventa umile. L’orgoglio d’un tempo sparisce, quando non si trova più nulla in se stessi che autorizzi a guardare gli altri dall’alto in basso. Anzi, gli altri ci appaiono ora molto più perfetti e si desta nel cuore l’amore e la stima nei loro riguardi. Adesso poi si è troppo impegnati con la propria miseria per prestare attenzione agli altri. Preso atto della propria impotenza, l’anima diviene sottomessa ed ubbidiente, anela infatti ad una guida per mettersi sulla buona strada.

Lo spirito - che inteso in senso largo ed obiettivo non significa soltanto l’intelligenza ma anche il cuore - grazie alla meditazione giornaliera si è familiarizzato con Dio, lo conosce e lo ama. Tale conoscenza e tale amore sono divenuti parte integrante del suo essere: press’a poco come avviene nei rapporti con una persona con cui si vive da lungo tempo in compagnia e si è quindi in stretta confidenza.

Due persone così legate non hanno più bisogno di informarsi l’uno dell’altro o di riflettere lungamente l’uno sull’altro per conoscersi a fondo vicendevolmente e per convincersi di essere degni dell’amore che si portano. Si può dire che tra di loro non c’è quasi più nemmeno bisogno di parole. Va da sé che ogni nuovo incontro frutta un nuovo risveglio ed un rafforzamento dell’amore, forse anche un’ulteriore conoscenza di qualche nuovo particolare: ma questo si verifica quasi automaticamente, senza che ci sia bisogno di alcuno sforzo in tal senso. Così avviene anche nei rapporti di un’anima con Dio dopo un lungo allenamento nella vita spirituale. Non ha nemmeno più bisogno di meditare per conoscere Dio ed imparare ad amarlo. Ha già percorso la strada e l’ha lasciata assai indietro, ormai riposa sul traguardo. Non appena si mette a pregare, essa è già accanto a Dio, cullandosi nell’abbandono amoroso in sua presenza. Il suo silenzio gli è più caro di molte parole.

E una grazia che ci raggiunga il messaggio della fede, verità rivelata da Dio. È una grazia quella che ci da la forza di accogliere il messaggio della fede e di divenire credenti, anche se dobbiamo poi condurre a termine l’azione di grazia con un atto di libera determinazione. Senza il soccorso della grazia, non è possibile alcuna preghiera né alcuna meditazione. Eppure tutto ciò è compito della nostra libertà e si realizza con la collaborazione delle nostre energie.

Dipende pure da noi il dedicarsi alla preghiera, se e quanto a lungo ci abbandoniamo nella contemplazione.

La potente realtà del mondo naturale e dei doni soprannaturali deve venire scardinata da una realtà più potente ancora. Questo avviene nella notte passiva dell’anima. Senza di essa la notte attiva non arriverebbe mai allo scopo. È la stessa forte mano del Dio vivente che deve intervenire a liberare l’anima dalle pastoie del creato, attirandola a sé. Questo intervento è la contemplazione oscura, mistica, legata alla rinuncia di tutto ciò che precedentemente era stato fonte di luce, di ristoro e di consolazione.

L’anima lascerà a Dio mano libera di operare in lei ciò che egli mira ad ottenere con tali largizioni soprannaturali. Essa invece si contenterà di starsene nell’oscurità della fede, perché ormai non solo ha imparato, ma anche sperimentato, che tutto ciò non è Dio né è in grado di porgerle Dio, mentre possiede nella fede tutto ciò che le è necessario: Cristo stesso, che è l’eterna sapienza, e in lui l’incomprensibile Iddio. Sarà tanto più disposta a questa rinuncia e alla perseveranza, quanto più a fondo sarà già stata purificata nella notte oscura.

Siccome la ragione naturale non può afferrare la luce divina, deve essere condotta nell’oscurità dalla contemplazione.

Perciò l’anima deve considerare l’aridità e il buio come fausti presagi, come segni che Dio le sta al fianco per liberarla da se stessa, strappandole di mano l’iniziativa. Certo, avrebbe potuto far molto da sola, ma non sarebbe certo arrivata ad un’azione così completa, radicale e stabile come quella che subisce ora che Dio stesso la prende per mano. Egli la guida attraverso vie oscure, come se fosse cieca, senza che sappia nemmeno dove stia andando. Però è sicura di viaggiare su strade che non avrebbe mai scoperto, nonostante tutto il suo affannoso vagare e guardare dappertutto. Fa grandi progressi senza neppure accorgersene, pensando anzi di essere perduta.

Si è già espressa precedentemente l’idea che le sofferenze della notte oscura sono una partecipazione alla passione di Cristo, specialmente al dolore più lancinante: l’abbandono da parte di Dio. Ciò ha ricevuto un’ulteriore esplicita conferma nel «Cantico spirituale» (di Giovanni della Croce). In questo, il desiderio ardente del Dio nascosto è il tormento che domina tutta la via mistica. Non s’arresta neppure nella felicità dell’unione nuziale. Anzi - in un certo- senso - aumenta di intensità man mano che cresce la conoscenza e l’amore di Dio, perché diventa sempre più tangibile il presentimento di ciò che la chiara visione di Dio in gloria ci dovrà portare.

Edith Stein

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