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Capitolo 31

Giovanni ritorna a Chieri ed entra nella classe di Grammatica latina - Stima che ne hanno il professore ed i compagni - Sua umiltà - Ripetizione ai giovani chieresi - Riceve il Sacramento della Confermazione - Il Magistrato della Riforma e gli esami finali - Scuola domenicale a Morialdo - La prima Messa di D. Giuseppe Cafasso.


Capitolo 31

da Memorie Biografiche

del 11 ottobre 2006

  Venuto il novembre del 1832, Giovanni ritornò a Chieri in casa della signora Lucia Matta, che gli affidava di bel nuovo il suo figliuolo e lo dispensava dal pagare la pensione e dal provvedersi il vitto. Al collegio, per avere l'ammissione alla scuola, presentò l'attestato del parroco di aver egli frequentato le funzioni della parrocchia e fatta una volta al mese la Confessione sacramentale, come prescriveva agli alunni la legge in sul principiare di ogni anno scolastico. Promosso con buoni voti, Giovanni fece il suo ingresso, sicuro di sè, nella classe di grammatica, che corrispondeva alla nostra terza ginnasiale. Era per lui un trionfo. Il Can. Francesco Calosso e il Sac. Prof. Teol. Giovanni Bosco di Chieri, che poi fu dottore in lettere e filosofia nell'Accademia militare di Torino e professore di sacra eloquenza nella Regia Università, più volte parlarono con Monsignor Giovanni Cagliero e con altri della meravigliosa sua applicazione, per cui incominciando lo studio del latino in un sol anno avesse percorso tre classi e con splendida riuscita.

Suo professore di grammatica fu il P. Domenico Giusiana, dei Predicatori, al quale Giovanni portava grande affetto e da cui era riamato con singolare tenerezza. Il buon discepolo ne era ben degno. Il dottor Carlo Allora di Castelnuovo d'Asti, suo compagno di scuola a Chieri, nel 1888 ricordava con viva compiacenza come il nostro Giovanni in quegli anni non faceva nessuna pompa delle sue doti, non mostrava nel suo contegno neppur l'ombra di affettazione o di ambizione e dalla sua persona traspariva un non so che di straordinario e soprannaturale: quale studente, egli era come il sorvegliante di tutti i compagni, e sebbene non incaricato in modo speciale, pure era tenuto come superiore, perchè tutti stavano a quanto lui diceva. Fin da quei tempi era un santo! esclamava entusiasmato della giovinezza di Giovanni. Questi infatti, fra le altre virtù, dava prova di umiltà nel trattare coi condiscepoli. In quell'anno stesso un compagno, carpitogli segretamente un quaderno, vi ricopiava un sonetto, mutando solo alcune parole, e quindi lo mandava in giro fra i condiscepoli, attestando essere desso opera sua. Mentre assaporava le lodi che da tutti venivangli fatte, dopo qualche giorno, quel foglio capitò nelle mani di Giovanni, il quale, senza offendersi di quell'indelicatezza, nè rivendicare a sè l'onore di tal lavoro, tacque, ripugnandogli svergognare l'amico; ma scrittovi in calce il motto: Est ne de sacco ista farina tuo? lo ripiegò e lo fece restituire a quel vanerello.

Conosciutasi in Chieri la sua pietà e morigeratezza, la sua abilità e il suo profitto meraviglioso nello studio, molte famiglie lo ricercarono per ripetitore ai loro figliuoli, non solo suoi compagni di classe, ma eziandio a quelli iscritti alle classi superiori di umanità e di retorica; e così incominciò a far scuola ed assistere allievi nelle case private. Lo scopo primario di Giovanni era di far del bene, ma non rifiutava le piccole retribuzioni che gli erano offerte. Con ciò la divina Provvidenza lo metteva in grado di provvedersi quanto eragli necessario per abiti, lingeria, oggetti di scuola e le altre varie spese, senza cagionare alcun disturbo alla famiglia. Da tutte parti inoltre egli veniva richiesto per dare trattenimenti nelle famiglie, cui prestavasi volentieri ogni volta che poteva, senza pregiudicare i suoi studi o la virtù. Abbiamo udito esclamare da più d'uno che trattò con lui in quegli anni : - Era tanto buono che non poteva esserlo di più! - Presso i compagni era il mentore, il pacificatore ed anche il maestro nella via della perfezione. Infatti la Società dell'Allegria continuava, con grande vantaggio degli associati.

Intanto egli era vicino a compiere i diciotto anni e non aveva ancora ricevuto il Sacramento della Confermazione. In quei tempi l'amministrazione della Cresima nei paesi di campagna non era troppo frequente. In quell'anno però lo zelo del Teol. Vaccarino procurava a' suoi parrocchiani non ancor cresimati questa grande fortuna. E Giovanni si mise subito in viaggio, e fu cresimato in Buttigliera d'Asti il 4 agosto 1833 da Mons. Giovanni Antonio Gianotti, Arcivescovo di Sassari, essendo padrino il Sig. Giuseppe Marsano e madrina la contessa Giuseppina Melina. Non ci furono trasmesse memorie sul modo, col quale il nostro Giovanni si preparò a questo grande atto; ma dagli effetti, che in lui manifestarono così luminosi i doni del Santo Divino Spirito, possiamo benissimo argomentare la vivezza della sua fede.

In sul finire dell'anno scolastico le scuole di Chieri ebbero una visita del Magistrato della Riforma nella persona dell'avvocato professore D. Giuseppe Gozzani, uomo di molto merito. Veniva a presiedere la Commissione esaminatrice e a verificare lo stato degli studi. Il suo nome era il terrore degli studenti, poichè era giusto, ma di una giustizia legale, inesorabile. Sparsasi la nuova del suo arrivo, la scolaresca si mise in gran fermento, si faceva un gran dire, si udivano parole sommesse di minaccia. D. Gozzani, uomo calcolatore e di sangue freddo, prevenuto delle poche buone accoglienze che gli avrebbero fatto gli alunni, appena giunto a Chieri, li radunò e fece loro un discorso, promettendo che non solo non avrebbe usato rigore, ma neppur severità. Così calmati al quanto gli animi, dettò il tema per gli esami in iscritto, e ritirate le pagine, partì all'improvviso per Torino. Di là mandò i voti, che furono tutt'altro che benigni. Tuttavia i condiscepoli di Giovanni, in numero di quarantacinque, furono tutti promossi alla classe superiore di umanità, che corrisponde alla nostra quarta ginnasiale. Egli però corse gran pericolo di essere ritenuto, per aver dato copia del lavoro ad altri; se venne promosso, lo dovette alla protezione del venerando suo professore P. Domenico Giusiana, che gli ottenne un nuovo tema, il quale, riuscitogli bene, gli procurò la promozione a pieni voti. 

Egli aveva incontrate le simpatie di D. Gozzani, che gli usò molta benevolenza nel concedergli il secondo esperimento. E di ciò Giovanni conservò gratitudine e buona memoria, a segno che si tenne di poi sempre in istretta ed amichevole relazione con questo sacerdote, il quale, andato a vivere in Multedo Superiore, presso Oneglia sua patria, fra le molte opere di carità fondò un posto gratuito nel Collegio Salesiano di Alassio per un giovanetto che desiderasse studiare per lo stato ecclesiastico. Era allora lodevole consuetudine che in ogni corso, almeno uno studente, a titolo di premio, venisse dal Municipio dispensato dal minervale di lire 12. Per ottenere questo favore era necessario riportare pieni voti negli esami e nella condotta. Giovanni fu sempre favorito dalla sorte, ed in ogni corso ottenne la dispensa di quel pagamento. Noi abbiamo negli archivi l'attestato di promozione colla data del 22 agosto 1833, firmato dal Padre Sibilla, prefetto degli studi: e nei singoli bimestri le firme del Can. Clapiè e di D. Piovani, direttori spirituali, del professore P. Giusiana e del prefetto dimostrano la sua diligenza nello studio e l'ottima condotta.

Col finire dell'anno scolastico 1832- 33, il figlio della signora Lucia aveva compiuto i suoi corsi, e Giovanni si licenziò da quella casa ospitale, dalla quale aveva ricevuto gran bene, ma che egli aveva rallegrata con una perenne felicità di educazione e di edificazione cristiana. Giovanni Battista Matta, divenuto poi adulto, mise un negozio di drogheria in Castelnuovo d'Asti sua patria, ove fu sindaco per molti anni, e nel 1869 collocava in educazione un suo fanciulletto nell'Oratorio di Torino, ove lo lasciò per tre anni. D. Bosco lo volle sempre a mensa con sè, e gli usò tanti riguardi, da cagionare ammirazione in coloro che non conoscevano la causa di tale preferenza. Era questo un segno di quell'imperitura gratitudine che ognora viva conservava verso di quella famiglia.

Giovanni, tornato al Susambrino, trovò che le nozze del fratello Giuseppe avevano condotto ai fianchi di mamma Margherita una buona creatura, che a lei rendeva tutte quelle premure che essa aveva esercitate verso la nonna. Perciò egli gran parte del tempo si ritirava ai Becchi, ove nei giorni festivi radunava i ragazzi del borgo per istruirli nel Catechismo ed anche insegnar loro a leggere e a scrivere, chiedendo solo per retribuzione che andassero una volta al mese ai SS. Sacramenti. E noi qui vediamo i principii delle scuole domenicali e serali per i poveri figli del popolo, che si aggiungono all'Oratorio festivo. Nei giorni feriali invece, dopo aver lungamente meditati i suoi temi e gli autori di testo, occupavasi nel fabbricare quei mobili, dei quali la famiglia mancava. E noi abbiamo veduto una tavola e qualche scanno, opera delle sue mani, che tuttora esiste. Metteva anche a profitto l'arte del calzolaio, che aveva imparato a Chieri in quell'anno, e benchè non facesse scarpe fine, pure riusciva a rattopparle, se sdruscite, e ridurle quasi a nuovo. Questa sua industria, consigliata pur dalla povertà, gli fu cagione di non pochi risparmi. Nel suo piccolo laboratorio pertanto, al fornello da ferraio, al tavolo da sarto, al banco da falegname aggiunse pure il deschetto da calzolaio.

Queste stesse vacanze furono per lui segnate da un solenne avvenimento. Il pio chierico Giuseppe Cafasso, fatti gli esercizi spirituali nella canonica di Moncucco sotto la direzione del prevosto Can. Cottino, ed ordinato sacerdote nel sabato delle Quattro Tempora d'autunno, 21 settembre, celebrava, il giorno dopo, la sua prima Messa in Castelnuovo, tra il giubilo e le feste de' suoi compaesani. Giovanni dovette piangere di santa invidia quando lo vide ascendere all'altare; tanto più che da anni il cuore spingevalo a desiderarne l’amicizia e sempre nuovi ostacoli lo avevano tenuto da lui lontano. Ma, finito il santo sacrifizio, avvicinandosi a lui in mezzo al popolo per baciargli la prima volta la sacra mano, io credo che uno sguardo affettuoso del novello sacerdote, gli abbia fatto conoscere come il suo voto fosse esaudito e che egli avrebbe trovato in lui un padre, un arco, un consigliere, un benefattore costante. Giovanni però non poteva allora prevedere fino a quale punto sarebbesi stretto, per mano della divina Provvidenza, il vincolo d’amicizia fra lui e D. Cafasso; nè che di quella indimenticabile festa sarebbe a lui toccato di perpetuare la memoria co' suoi scritti, e tanto meno che egli avrebbe potuto svelare al mondo i più intimi sentimenti destati dall'amore di Dio in quel giorno nell'anima del suo nuovo ministro. “D. Cafasso, stampò D. Bosco nel 1866, lasciò scritte le deliberazioni che prese sul principio del suo sacerdozio. Si portò un giorno a piè del Crocifisso, e: - Signore, disse, Voi siete la mia eredità: Dominus pars kaereditatis meae. Questa è la scelta che volontariamente ho fatto nel memorando giorno della sacra mia ordinazione. Sì, o mio Dio, Voi siete la mia eredità, la mia delizia, la vita del mio cuore in eterno: Deus cordis mei, et pars mea Deus in aeternum. Ma non solo, o mio Dio, voglio essere tutto vostro, ma voglio farmi santo; e, siccome non so se breve o lunga sarà la mia vita, così vi protesto che voglio farmi santo e presto santo. Cerchi pure il mondo le vanità, i piaceri, gli onori, le grandezze della terra: io non voglio, non cerco e non desidero che farmi santo, e sarò il più felice degli uomini facendomi santo, presto santo e gran santo. - Questo disse, e mantenne la parola”. Infatti fu la santità della vita e della dottrina di D. Cafasso che doveva trasfondersi in Giovanni e in centinaia di sacerdoti per sostenere la lotta, che le sêtte dei congiurati andavano preparando contro il trono e contro l'altare.

Fra queste, quella che metteva maggiormente sopra pensiero l'autorità civile era La Giovine Italia, creata e diffusa - con ardore da Giuseppe Mazzini per mezzo d'una pubblicazione periodica che portava quel nome. La Gazzetta Piemontese, nel N.99 del 1833, nel riprodurre un tratto delle istruzioni che da quella si andavano divulgando, scriveva: “Il fine dell'associazione è libertà, indipendenza, umanità, uguaglianza. La tendenza è la repubblica. Il giornale La Giovine Italia, sviluppa questo principio. Lo spargerne un gran numero di esemplari è un cooperarvi grandemente. La propagazione indurrà i proprietari a tirarsi dietro i contadini. I parrochi delle campagne soprattutto sono da tentarsi, ma colla maggior avvedutezza: conviene prima studiare il debole della bestia e da quel lato assaltarla e vincerla. A ottenere tal fine sarà necessario non essersi mai mostrati dispregiatori della religione, dissimulare anche i loro difetti. La bandiera della indipendenza italiana deve sventolare presso l'altare, come si mostra il cereo pasquale, e sul campanile della parrocchia: senza di ciò l'idiota non aggiungerà la sua forza bestiale alla nostra. Quando di buon cuore il parroco operi questa congiunzione e la proclami dall'altare, la vittoria è certa. Bisogna ricordare gli Spagnuoli nella guerra dell'indipendenza. Il Cristo sull'asta della bandiera vada avanti, nelle mani del prete il Vangelo: poi acque avvelenate, agguati d'ogni maniera, terreno che copra voragini ove cada il nemico, i comuni responsabili per non aver messo a fuoco e per non essersi ritirati, tele inchiodate per impedire la cavalleria, rotture di ponti e di strade, barricate nelle città, olio ed acqua bollente, tizzoni accesi, cenere gittata dalle finestre, le pesti tutte infernali che si possono cavar dall'inferno, inventarne di nuove, avanzare, se si può, lo scaltrimento di Pluto”.

Tuttochè si vigilasse attentamente, pure queste dottrine ed eccitamenti cominciavano a divulgarsi e farsi strada fra il popolo, fra l'ardente gioventù di più bell'ingegno, ed anche fra l'esercito. Alcuni giudizialmente convinti di avervi pigliato parte, furono condannati a durissime pene; nel 1833 il Consiglio di guerra in Torino proferiva sentenza di morte contro l'Avv. Scovazzi e l'Avv. Cariolo di Saluzzo, colpevoli di insubordinazione ed eccitamento a far parte di società, sovvertitrici del Governo, e contro sei militari imputati di alto tradimento: anche in Chambery nello stesso anno avevano luogo condanne capitali: un medico Rufini, arrestato in Genova, si toglieva da sè la vita nel carcere: sangue spargevasi in Alessandria ed altre città del Piemonte. Queste sentenze non valsero a estirpare le società segrete, ma soltanto a renderle più caute nelle loro operazioni e nel disporre più tardi nuovi e più arditi rivolgimenti. A base delle loro operazioni contro la Chiesa avevano posto il Piemonte.

Il Governo cercava di premunirsi, ma la sola forza materiale non bastava. Egli poi aveva in sè il torto del Cesarismo. Come ottenere rispetto alla propria autorità, mentre non si professa sottomissione alla più sublime delle autorità, a Gesù Cristo, rappresentato dalla sua Chiesa?

Nel 1832, per invito del Re Carlo Alberto, era stata istituita con lettere pontificie una Delegazione Apostolica o, Consiglio di Vescovi, per riordinare le cose religiose in Piemonte. Col pieno accordo e l'aiuto del Re, essi fondarono, la celebre Accademia di Superga, nella quale dovevansi, formare agli alti studi di religione i più eletti ingegni dei sacerdoti già laureati in teologia e in leggi: riordinarono le Provincie degli Ordini religiosi e abolirono alcuni conventi ove era rilassata l'osservanza delle regole: pensarono di promuovere l'osservanza delle leggi canoniche e togliere quegli abusi che fossero invalsi nel clero, con un regolamento conforme per tutte le diocesi: si proposero di porre l'insegnamento della teologia sotto l'unica direzione del Vescovo, fondar piccoli seminari, erigere cattedre di pubblico insegnamento, lasciando soltanto all'università le facoltà di legge, medicina, chirurgia, ed introdurre nelle città e terre i Fratelli delle Scuole Cristiane, le Suore di S. Giuseppe, le Figlie della Carità. Ma questa Delegazione Apostolica sin da' suoi primordi aveva contraddizioni dal Senato del Piemonte, che ricusò di riconoscerla e di interinare le lettere apostoliche di creazione.

Nel 1835, la Commissione Civile per la revisione dei libri non volle sottostare ai Revisori Ecclesiastici. Essa non permetteva stampe o scritti, nei quali l'empietà fosse insegnata, la moralità offesa; ma impediva che s'insegnasse come i Vescovi fossero dipendenti dalla S. Sede: proscriveva gli autori, che combattessero le idee gallicane e sostenessero i diritti della Chiesa: tollerava quanti erano favorevoli alle massime della filosofia moderna, sia in fatto di religione che di politica, incagliando la diffusione dei libri che impugnavano tali errori.

Il Re Carlo Alberto, religioso di mente e di cuore, aveva senno pratico, elevatezza di mente, era esattissimo nelle pratiche di pietà, rigido verso se stesso, conoscitore delle perfidie che si nascondono nelle adulazioni; tuttavia per la sua inclinazione alle mezze misure e per le aspirazioni ad un regno italico, non aveva la rotta affatto cogli uomini della rivoluzione, coi quali si era affiatato da giovane. Si pigliava per ministro il De la Tour e poi il Solaro la Margherita schiettamente cattolici; ma accoglieva pure nel gabinetto i liberali Villamarina e Barbaroux, i quali facilmente non curavano i concordati conchiusi colla S. Sede, nè le leggi, e le disposizioni ed i regolamenti su materie ecclesiastiche, che in vari  tempi i sovrani sabaudi avevano promulgato.

Dividevano le loro opinioni non pochi teologi, i quali, avendo appreso falsi principi di diritto canonico dai dottori cesaristi dell'università, invece di essere i naturali difensori delle ragioni della Chiesa, ne divenivano disgraziatamente gli oppositori. E questo era un gran male e profondamente radicato. Ma D. Cafasso era l'uomo destinato a porvi rimedio, continuando l'opera incominciata dal Teol. Guala nel convitto di S. Francesco d'Assisi. Insegnando la morale al giovane clero, saprà trasfondergli nel cuore tale rispetto, amore obbedienza al Romano Pontefice e con tale chiarezza esporgli i suoi sacri diritti nelle relazioni cogli Stati, da formare una nuova generazione di leviti, sprezzatori dei sofismi gallicani e sostenitori invitti della supremazia ed infallibilità papale. Tutte le Diocesi dei Piemonte risentiranno il vantaggio di un tale insegnamento di verità, giustizia e carità. E D. Cafasso compirà pure l'istruzione ecclesiastica del nostro Giovanni, formandone uno strenuo difensore della Chiesa, dandogli norme sicure per conoscere tutta l'estensione particolareggiata dei diritti e privilegi divini ed umani di lei, che è precisamente il regno di Dio sulla terra. Giovanni Bosco infatti, incontrandosi più volte con ecclesiastici dell'antica scuola, colla sua umile dolcezza non lascerà mai di prendere le difese del Papa e della Chiesa, e sarà bello il vederlo in sul finir della disputa, dopo brevissima pausa, sorridendo, concludere: Massime dell'università!

 

 

 

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