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Capitolo 35

Una nuova campana in Vanchiglia. - Il maestro Mosca Giovanni catechista - Elogi del conte Cays alle conferenze annesse degli Oratori festivi - D. Bosco e i bisogni di S. Madre Chiesa - VITA E MARTIRIO DE' SOMMI PONTEFICI SAN LUCIO I E SANTO STEFANO I - Le cronache importanti di D. Ruffino e D. Bonelli per la biografia di D. Bosco - L'Emilia e la Toscana annesse al Piemonte - Il biglietto gratuito sulla ferrovia e il Cav. Bona - Lettera di un giovane artigiano a D. Bosco.


Capitolo 35

da Memorie Biografiche

del 30 novembre 2006

La quaresima incominciava il 22 febbraio e i tre Oratorii festivi si disponevano per i catechismi. In quel di Vanchiglia non s'udiva più la campana chiamare i giovani; perchè ignoti ladri, data la scalata al tetto, l'avevano tolta. La carità però di un eccelso benefattore rimediò a quello sfregio.

Il 19 febbraio così leggevasi nell'Armonia.

 

BENEFICENZA DI MONS. FRANSONI.

 

Sebbene l'amato nostro Arcivescovo sia costretto a vivere lontano dal suo gregge, e quantunque sia privato dei beni della mensa vescovile, non tralascia di venire in aiuto de' suoi diocesani. Appena udito che era stata rubata la piccola campana nell'Oratorio del Santo Angelo Custode in Vanchiglia, egli tosto, conscio delle strettezze in cui attualmente versa l'Opera degli Oratorii di D. Bosco, inviava la graziosa somma di fr. 200, perchè ne fosse comperata un'altra, e così i giovanetti potessero essere invitati con regolarità all'adempimento de' loro religiosi doveri.

L'Oratorio di S. Luigi Gonzaga a Portanuova acquistava un nuovo catechista nell'impareggiabile maestro municipale Giovanni Mosca, nativo di Alba. Egli con grande studio si occupava d'indirizzare alla pietà i giovanetti che gli erano affidati, e, non bastandogli la scuola a campo del suo zelo, era dei più assidui agli Oratorii festivi e segnatamente a quello dì S. Luigi, ove interveniva pure l'Abate Scolari di Maggiate con altri signori. Ogni anno lo si trovava con D. Bosco agli esercizi spirituali di S. Ignazio. Per far conoscere tutto il valore di questo uomo aggiungeremo che nel 1876 afflitto da una malattia agli organi vocali, dopo venti anni d'insegnamento, chiedeva di essere collocato a riposo, e vestiva l'abito clericale all'età di circa 50 anni. Moriva in Torino di 80 anni, nel 1904, essendo Rettore della SS. Trinità. Con zelo ardente era stato assiduo al tribunale di penitenza, direi quasi a somiglianza del parroco d'Ars, poichè affliggevalo fuor di modo lo stato delle anime in peccato mortale.

All'Oratorio di S. Francesco di Sales vi era D. Bosco.

Coll'istruzione catechistica continuavano in questi Oratorii le Conferenze annesse alla Società di S. Vincenzo de' Paoli.

Nella relazione ufficiale dell'11 marzo 1894 intitolata; Noces dor de la Societé de SI. Vincent de Paul a Nice 1844-1894 si legge a pag. 36 “All'assemblea generale del 19 febbraio (1860) è presente il Conte Cays, Presidente del Consiglio Superiore delle conferenze del Piemonte, che dà sulle conferenze di Torino le seguenti notizie:

” La città di Torino conta 10 conferenze delle quali le opere vanno ogni giorno più sviluppandosi. A queste Conferenze sono aggregate tre conferenze, composte di giovani appartenenti a famiglie, pochissimo favorite da beni di fortuna, essendo la maggior parte visitate dai membri della nostra società.

” Queste tre piccole conferenze seguono il regolamento ordinario, sotto la direzione del pio e caritatevole Abate Bosco. Presentava difficoltà l'articolo del regolamento che impone la questua in ciascuna seduta. Che cosa domandare per i poveri, a giovani poveri essi stessi? E bene! Non solamente la questua si fa, ma ognuno di questi poveri ragazzi dà tutto ciò che può economizzare, anche sulle cose necessarie; e ciò che non può dare in natura, lo dona in affetto e in spirito di sacrifizio.

” Nulla è più commovente che il vedere questi giovani circondare delle più tenere cure, di cure pressochè materne, garzoni più giovani, più deboli, più poveri, che loro sono affidati; essi esercitano sopra di quelli, in tutti i momenti, e in tutte le circostanze un vigilante e benevolo patronato. Sorvegliano la loro educazione, assai più che ai loro bisogni materiali. Insegnano loro a scrivere bene e si fanno loro veri istitutori.

” Il signor Conte Cays termina la sua interessante relazione, facendo riflettere giustamente che nelle Conferenze le risorse materiali sono meno importanti dello zelo e dello spirito di sacrifizio, dai quali è prodotto il bene ”.

Mentre i giovani degli Oratorii erano così vivamente animati dallo spirito di D. Bosco, questi non cessava un istante di prender parte alle angustie dolorose del Romano Pontefice. Pio IX vedeva attendati sui ristretti confini delle sue province minacciosi battaglioni; lo amareggiava la doppiezza esecrabile, sleale di Napoleone III; lo nauseavano a morte le arti ora subdole, ora insolenti di una diplomazia, che rinnovava con lui l'apologo del lupo e dell'agnello. Un gran numero di giornali italiani e stranieri empi e spudorati, fucine di menzogna, lo insultavano, lo calunniavano minacciandolo atrocemente. Nella stessa Roma le Congreghe settarie erano pagate lautamente da Torino, perchè eziandio coi mezzi più scellerati tentassero di ribellare il popolo. Qualcuno dei primi impiegati del Governo Pontificio trasmettevano fellonescamente le carte più gelose al nemico. Cavour meditava e poi ebbe l'audacia di proporre ai Cardinali Santini ed Antonelli un disegno di conciliazione, del quale il primo articolo portava che il Papa rinunziasse al dominio temporale su tutti i suoi Stati. Se la cosa fosse riuscita, prometteva larghi benefizii per essi e per le loro case.

D. Bosco adunque che era solito a dire: - Non dobbiamo lasciarci mai sfuggire un'occasione che il Signore ci presenta per fare del bene - non poteva certamente lasciare il Vicario di Gesù Cristo senza quel conforto che poteagli dare. In quegli anni, non era facile al Papa corrispondere coi Vescovi, poichè quanto partiva da Roma, o là era indirizzato metteva in sospetto gli avversari della Sede Apostolica. D. Bosco pertanto mentre faceva recitare tutti i giorni da' suoi allievi un Pater, Ave e Gloria per i bisogni di Santa madre Chiesa, con prudenza singolare a quando a quando scriveva su argomenti delicatissimi, o per casi di coscienza, o per norme di condotta, o di principii teologici o di diritto canonico, ora a Mons. Fransoni, ora alle Sacre Congregazioni: e raccomandava la lettera ad una terza persona sicura, o spediva espressamente un messo a portarla. Ricevendo risposte, consigli o avvisi da tali sacri personaggi, generalmente non li riteneva presso dì sè, ma le depositava in tali mani che potevano celarle senza provocare nessun sospetto, premendogli sopratutto che l'Autorità ecclesiastica rimanesse salva.

Riguardo alla persona veneranda del Sommo Pontefice cercava di portargli sollievo e consolarlo in ogni modo a lui possibile. Gli scriveva lettere piene di amor figliale e gli faceva conoscere le trame che dalle sette si andavano macchinando contro di lui. “ Io stesso, ci narrò Don Savio Angelo, una volta in quegli anni fui mandato da D. Bosco a Mons. Tortone abitante in Torino, ed incaricato di affari presso la Santa Sede, a comunicargli a voce notizie su tale argomento, non avendo egli creduto cosa prudente il partecipargliele per iscritto ”. Di simile commissione fu anche poi incaricato D. Paolo Albera.

D. Bosco considerava come suoi gli interessi del Papa e diceva: “La sua parola deve essere la nostra regola in tutto e per tutto ”. Ordinava quindi che le encicliche e altri documenti pontifici fossero letti alla mensa comune, e le faceva anche da taluni tradurre in Italiano, perchè li ritenessero a memoria.

Non dissimulava i suoi principii, ma li sosteneva vigorosamente e pi√π volte anche dinanzi agli oppositori che gli entravano in argomento; ed ancora in questi giorni glorificava il Papato colla sua penna.

Paravia preparava pel mese d'aprile il fascicolo: Vita e martirio dei Sommi Pontefici San Lucio I e Santo Stefano I per cura del Sacerdote Bosco Giovanni (J).

Riportato per intero il Breve di sua Santità, in data del 7 gennaio, con queste due vite vien dimostrato come i Papi avendo giurisdizione universale sulla Chiesa, riconosciuta formalmente da S. Cipriano, in Roma consecrassero nuovi Vescovi e li mandassero a fondare Diocesi in ogni parte del mondo; e come Santo Stefano deponesse dalle loro sedi alcuni Vescovi indegni della Gallia e della Spagna. Si fa risaltare come S. Lucio esigesse che i giovani aspiranti allo Stato Ecclesiastico fossero di provata castità e come fulminasse la scomunica contro que' cristiani che s'imposessassero dei beni della Chiesa. Si parla dei miracoli operati dalle reliquie di questi due Pontefici e martiri e si confrontano con quelli del Divin Salvatore e degli Apostoli. Infine si descrivono le gloriose morti di confessori della fede loro contemporanei.

Ma gli avvenimenti pubblici s'incalzavano sempre pi√π a danno della Chiesa.

E qui prima di continuare i nostri racconti dobbiamo dar ragione ai lettori di quanto siamo per iscrivere. Ruffino Domenico ordinato prete nel 1863, fornito di scienza teologica, di virtù, di pietà e d'ingegno e criterio non comune, nel 1859 incominciò a notare diligentemente i detti e i fatti di D. Bosco, dei quali era testimonio; le sue predizioni degli avvenimenti pubblici e privati, e delle morti dei giovani della casa, notando con esattezza l'anno, il mese e il giorno, vuoi delle profezie, vuoi dell'avveramento. Per dare più chiara idea di questo carissimo confratello, aggiungeremo che nell'anno scolastico 1861-62 fu destinato a far scuola di religione in tutte le classi del ginnasio; nel 1862-63 insegnò ai chierici la Storia Ecclesiastica, che conosceva molto bene, preparando volta per volta le sue lezioni, non salendo mai in cattedra per umiltà, ma stando sempre in piedi vicino a questa; nel 1863-64 ebbe l'ufficio di consigliere scolastico, cioè la direzione degli studii nelle scuole dell'Oratorio. Nell'ottobre del 1864 D. Bosco lo mandava ad aprire e a dirigere il collegio di Lanzo, e quindi doveva cessare dallo scrivere le sue preziose memorie che abbracciano lo spazio di cinque  anni.

Anche l'autore de' Cinque Lustri di Storia dell'Oratorio Salesiano, D. Giovanni Bonetti ordinato sacerdote nel 1864, dandosi l'intesa con D. Ruffino, scrisse una, cronaca sugli avvenimenti dell'Oratorio accaduti sotto i suoi occhi dal 1858 all'autunno del 1863, quando egli pure cessò di scrivere, perchè mandato a fare scuola di ginnasio nel Collegio di Mirabello. Nessuno dei confratelli ignora quanto vaste fossero le cognizioni di D. Bonetti, specialmente in teologia; gli alti ufficii che gli conferirono la confidenza di D. Bosco e la stima de' Capitoli generali; e i meriti grandi che si acquistò coadiuvando D. Bosco nella direzione della Pia Società di S. Francesco di Sales, e dell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice.

D. Ruffino adunque e D. Bonetti sono testimoni degni d'ogni fede, e noi abbiamo già ricorso alla loro autorità nei capitoli precedenti. Noi perciò uniremo in una sola le due cronache sicchè una completi l'altra. Citeremo i nomi dei due relatori, se i fatti riportati saranno diversi, e quando ambedue dicono la stessa cosa ci limiteremo a citare semplicemente la Cronaca. Alle loro testimonianze aggiungeremo quelle autorevolissime di D. Rua Michele, di Mons. Cagliero, e di altri veterani Sacerdoti e laici della nostra Congregazione. Non ommetteremo per nostra parte le prove storiche di quanto saremo per asserire.

Intanto ripigliamo il nostro racconto sotto la guida dei due citati manoscritti.

D. Ruffino scrive: “ Nei primi giorni di gennaio 1860 D. Bosco ragionando delle prove dolorose che sovrastavano alla Santa Sede e dello stato politico dell'Italia aveva detto: - Aspettiamo il mese di marzo! ” - I giovani che non lasciavano cadere una sola parola di D. Bosco vedevano incominciare il marzo con viva aspettazione. E i fatti diedero ragione a D. Bosco.

L'11 e il 12 marzo essendo state invitate le popolazioni della Toscana e dell'Emilia (ossia Parma, Modena e Legazioni) a manifestare i loro desiderii intorno al Governo preferito, per mezzo di una votazione, si ebbe il risultato voluto, e che era da prevedersi. Una immensa maggioranza fu per l'annessione al Piemonte.

Il 18 marzo i voti dell'Emilia per mezzo del Dittatore Cav. Farini, e il 22 quelli della Toscana per il Dittatore Barone Ricasoli, erano presentati al Re in Torino, il quale li accoglieva festosamente alla presenza dei grandi ufficiali del Governo e sanciva la desiderata unione con due decreti, i quali dichiaravano far quelle provincie parte integrante del Regno Sabaudo.

Così il Papa fu spogliato definitivamente delle sue Legazioni.

La sera di quei giorni furono in Torino illuminati i pubblici edifizii, ma non ostante l'invito del Sindaco pochissimi privati posero i lumi alle finestre. Il Ministero aveva pur fatto sentire alla Curia il desiderio che la Domenica 25 marzo si cantasse un Te Deum nella Cattedrale; ma il Vicario Generale Can. Fissore stette fermo nella negativa. In Torino tuttavia lo cantò un parroco Cavaliere, ed in Chieri il Capitolo del Duomo col Rettore del Seminario che venne subito dalla Curia rimosso da quell'ufficio. In tutto il Regno volle il Governo si festeggiassero quelle annessioni. In Milano si suonarono le campane, ma al primo colpo cadde il battocchio ad una campana e ad un'altra si spezzò la corda. In Genova il campanone della Torre che in tempo della repubblica suonava per le assemblee popolari, e al tempo presente nelle feste dello Statuto e della Chiesa, in questo giorno al primo colpo si ruppe.

Il giorno 24 marzo mediante un trattato, si era fatta dal Re la cessione di Nizza e Savoia alla Francia, approvata di poi il 29 maggio dalle Camere e confermata da un plebiscito, il quale riuscì come volle. Napoleone, ma non senza promesse e minacce. Era il premio per aver aiutate le imprese del Piemonte.

Finalmente il 4 di aprile ebbe luogo la prima tornata del Parlamento sotto la presidenza del Generale Zanone Quaglia decano di età; ma in quel giorno medesimo avvenne un caso che gettò il terrore nell'interno della Camera e fuori. Sulle ore tre e mezzo pomeridiane, dopo che il Presidente ebbe proclamato i deputati di Bologna e di Ravenna, fu colto da un colpo apopletico: svenne e cadde; la tornata si dovette chiudere all'istante. Il Presidente venne recato semivivo dai questori e dai segretarii nelle stanze vicine, ove gli si praticarono dei salassi. Ma il poveretto moriva due giorni dopo.

Intanto D. Bosco per estendere maggiormente l'azione della sua attività a vantaggio dei giovani poveri ed abbandonati, e fors'anco per tastar terreno e conoscere quali fossero gli umori riguardo a lui nel Ministero dell'Interno, aveva fatta domanda a Farini per ottenere un biglietto personale gratuito sulle Ferrovie. Il Ministro trasmetteva la domanda al Ministero dei lavori pubblici, dal quale D. Bosco riceveva la risposta:

 

MINISTERO DEI LAVORI PUBBLICI. - Direzione delle strade ferrate.

Torino, 22 marzo 1860.

 

In vista del lodevole scopo cui tende la domanda sporta dalla S. V. al Ministero dell'Interno, si è lo scrivente disposto ad accordarle un permesso gratuito di circolazione, sulle ferrovie esercitate dallo Stato, valevole per l'anno corrente.

Pregiasi quindi lo scrivente di trasmetterle il relativo biglietto, che venne rilasciato, in data d'oggi, a di lei favore.

Il Direttore Generale

BONA.

 

Il Cav. Bona Bartolomeo senatore del Regno era stato Direttore generale nel Ministero dei lavori pubblici nel 1855 - 56 - 57; Ministro e Segretario di Stato nello stesso Ministero gli anni 1858 - 59; ed ora occupava l'importante carica di Direttore Generale delle strade ferrate. Egli adunque largheggiò nel favorir D. Bosco. Per più anni concesse per lui e per chi lo accompagnava il biglietto gratuito di ferrovia di seconda classe, su qualunque linea del Piemonte; e a tutti i giovani dell'Oratorio il 75% di ribasso. Talora mise a disposizione di D. Bosco uno o due vagoni, e senza spesa, perchè conducesse i giovani nelle passeggiate autunnali; ed è perciò che più di una volta una schiera di questi lasciata la via di Chieri, per andare ai Becchi, scendeva a Villanuova d'Asti, quantunque rimanesse ancora a percorrere una strada non breve a piedi. D. Bosco però contraccambiava tanta benevolenza, con una grande carità che già prima d'allora aveva prodotti i suoi effetti. Alla morte disgraziata e prematura di certi impiegati delle vie ferrate, i loro orfani rimanendo sprovvisti di tutto, e talora in mezzo ad una strada, D. Bosco ne ricoverava molti nel suo Ospizio. Capi di divisione, conoscendolo personalmente, volentieri prestavansi a raccomandarli, e D. Bosco con ogni premura soddisfaceva ai loro desiderii. Quest'opera di beneficenza mettevalo in buona vista anche presso tutto il personale subalterno.

In quanto poi al Cav. Bona, che aveva una grande influenza in tutti i dicasteri del Governo, gli portava vero affetto, si dichiarava suo amicissimo, molte volte si compiaceva di conversare a lungo con lui e talvolta gli diede generosa elemosina. Poco tempo prima della sua morte, venuto un giorno a visitarlo nell'Oratorio, intrattenevalo passeggiando per più ore nella biblioteca. Oh certamente il Servo di Dio non tralasciò di ripetergli una parola di vita eterna!

A noi adunque sembra che con tali benemerenze, con tale concessione dal Ministero dei lavori pubblici, e colla benevolenza del Cav. Bona, D. Bosco potesse anche sperare di avere quando che sia aiuto e difesa.

La sua fiducia però non si appoggiava sulle speranze umane, sibbene nella protezione di Maria SS. e sulle preghiere dei suoi alunni. Uno di questi, artigiano modello di pietà e di illibati costumi, nel mese d'aprile, gli scriveva una lettera confidenziale, che D. Bosco conservò per la grande stima ed amore che gli portava.

 

Superiore Rev.mo,

 

Una notte vidi presentarsi ai miei occhi un uomo poveramente, ma decentemente vestito, il quale con volto benigno, ma spirante maestà e saviezza, si avanzava con un bastone in mano e coi sandali ai piedi.

Questo personaggio, dopo avermi fatto vedere varie cose future, stendendo il braccio sinistro verso terra, mi disse: - Segui le mie pedate. Io lo seguii, ed entrammo in un lungo a me sconosciuto. Qui mi fece in modo chiaro intendere e scolpire nella mia mente che nell'Oratorio il numero dei giovani aumenterà, diventerà florido, trionferà a vantaggio ognora della Chiesa, se con assiduità si andrà vegliando nell'orazione, se tutti pregheranno divotamente. Ma quando si comincerà a provar noia degli esercizi di pietà cristiana, quando si trascurerà la frequenza dei Sacramenti, quando si reciteranno sbadatamente le preghiere, masticando le parole, quando insomma si tralascerà di amare Iddio, per andare dietro alle vane felicità del mondo (come pur troppo si fa già da taluni), allora diminuirà il numero dei giovani e del clero e piangeranno amaramente e saranno desolati coloro che vedranno gli oltraggi con cui si ferisce Dio stesso. Il Superiore perderà la stima dei soggetti, verrà dispregiato e persino perseguitato, come se volesse disperdere le antiche usanze della religione nell'Oratorio; e tale cosa incuterà minaccioso spavento in chi ne conoscerà la cagione.

Per ora sia persuaso che non v'è questo pericolo, imperocchè ha giovani che colla loro ottima condotta ed innocenza lo possono aiutare molto ”.

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