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Capitolo 37

Desiderio di convertire il mondo - Spirito di vita religiosa insinuato nei giovani - La nuova chiesa di S. Francesco di Sales è terminata - Benedizione di un tabernacolo e di una campana - I Vescovi di Vercelli e d'Ivrea non possono intervenire alla dedicazione della chiesa - Invito e risposta del Sindaco, del Vicesindaco e dei Professore Baruffi - Poesia - D. Bosco nostro Re.


Capitolo 37

da Memorie Biografiche

del 27 novembre 2006

Don Bosco intanto non perdeva di mira la Congregazione che doveva fondare. Sovente, e ciò per molti anni, trovandosi in mezzo ad un crocchio dei suoi giovani o dei chierici, scherzando al solito, finiva con sedersi in terra colle gambe incrociate e cogli alunni intorno a lui egualmente seduti. Egli teneva allora in mano il suo bianco fazzoletto e formatane come una palla la faceva saltare da una mano all'altra. I giovani silenziosi osservavano quel giuoco, ed: - Oh! esclamava ad un tratto; se potessi avere con me dodici giovani dei quali io fossi padrone di disporre come dispongo di questo fazzoletto, vorrei spargere il nome di N. S. Gesù Cristo non solo in tutta l'Europa, ma al di là, fuori de' suoi confini, nelle terre lontane lontane. E non aggiungeva altra spiegazione. Queste parole le ripeteva nel 1857 essendo presente e ancor giovanetto D. Piano, Oggi (1904) parroco della Gran Madre di Dio in Torino. Nello stesso tempo D. Bosco cercava nelle prediche, nelle conferenze e ne' discorsi d'insinuare l'amore per una vita tutta consecrata a Dio e alla salute delle anime. Talora parlava ai giovani del vantaggio della vita comune, del non dover pensare all'avvenire, del non aver fastidii nel procurarsi il necessario alla vita, della bontà della Provvidenza che non abbandona mai i suoi servi. Ragionava però sempre indirettamente, non facendo allusione alla vita religiosa. Descriveva eziandio qualche tratto glorioso dei santi che avevano consecrati a Dio i loro giorni nei conventi; ma dal lato poetico ed attraente, in modo che si comprendesse la perfezione di quello stato, e senza che per nulla sembrasse raccomandarlo. L'unico invito che faceva agli alunni si era di volerlo aiutare; e facendosi forte dell'amore che gli portavano, esprimeva il desiderio di averli sempre al fianco, di poterli sempre guidare verso il paradiso, di poter stare un giorno per sempre insieme con essi nella beata eternità.

Talora servivasi di motti misteriosi per provocare la loro curiosità. - Ho bisogno da te di una cosa: quando farai la confessione della vita futura?

Ad un altro: - Sei allegro? Stai bene? Ora adunque bisogna che ti prepari a fare la confessione di tutta la tua vita futura. - Con ciò intendeva parlare specialmente della loro vocazione ecclesiastica, insistendo sull'importanza di pensarvi seriamente e per tempo.

Di quando in quando a questo e a quello Vuoi ti tagli la testa? Ho bisogno che ti lasci tagliar la testa! Con ciò indicava la perfetta obbedienza al Direttore dell'Oratorio, della quale descriveva sovente i vantaggi ed i pregi; ma senza indicare in quale stato specialmente questa si può osservare. In quanto alla virtù, si prefisse di non esigere di più da essi di quello che si richiede ad un buon cristiano per salvar l'anima. Quindi non parlava di meditazioni metodiche, nè  di ritiri spirituali prolungati. Già d'allora suppliva pienamente con altri mezzi, e si videro giovani salire al più alto grado di perfezione. Se avesse dato alla sua Casa un aspetto di vita troppo regolare o monastica, avrebbe perduto tutto. Nel decorso di questa storia lo vedremo ascendere sempre, ma insensibilmente, verso il suo ideale, cioè fino a condurre le cose al punto, da porre al pari di ogni altra Congregazione la Pia Società Salesiana.

Egli lavorava indefessamente a questo scopo, ma la parola Congregazione non la pronunziò se non dopo quattordici anni dacchè preparava il terreno. Prevedeva eziandio che appena avesse sollevato alquanto il velo che copriva il suo progetto, non pochi gli avrebbero mosso opposizioni e guerra ostinata, non solo il mondo, ma e vescovi e parroci e i parenti dei giovani e i giovani stessi. Aveva argomenti di prevederlo. E così fu. Infatti, se prima molti lo ammiravano, lo gridavano uomo grande e santo, dopo fu per essi un fanatico, un ostinato, un presuntuoso, un fautore di discordie, un uomo che voleva sottrarsi all'altrui giurisdizione e fare regno a parte. Ma Dio così voleva.

Quindi per superare gli ostacoli preveduti, studiava e si valeva di ogni vincolo possibile onde legare i giovani a sè ; ecco la ragione per cui di quando in quando parlava della sua persona, di quello che il Signore operava per mezzo suo, che raccontava certi sogni i quali si avveravano sotto gli occhi di tutti, che faceva intendere aver desso una missione speciale per vantaggio dei giovani, che dimostrava ad ogni istante la protezione speciale della Madonna sull'Oratorio. Tutto ciò dovea servire per far intendere quanto fortunati sarebbero quelli che si fermassero a prestar l'opera loro in un luogo tante, prediletto a Maria.

Tuttavia a quando a quando raccontando a' suoi giovani i fatti antichi avvenuti all'Oratorio, per escludere l'idea dalle loro menti che in qualche modo egli potesse farlo per suo vanto, diceva: - Narro di tanto in tanto cose relative all'Oratorio antico ed anche riguardanti a me. Mi sembra di poter dire: Meminisse invabit, perchè questi fatti dimostrano mirabilmente la potenza di Dio. Non mi pare che in questi racconti ci entri la vanagloria; oh no, non c'entra, ringraziando il Signore. Questi racconti insegnano molte cose. Dio ha voluto compiacersi di operare cose grandi, servendosi di un misero strumento. Desidero che ciò si conosca, perchè innalziamo il nostro pensiero a Dio per ringraziarlo di quanto volle fare in nostro vantaggio.

Ed egli ringraziavalo continuamente il Signore, e non solo dei tanti benefizii che gli aveva largiti, sibbene delle molte grazie che sapeva essere per lui preparate. Basta che ricordiamo ciò che già abbiamo detto.

Quando D. Bosco nel 1846 e nel 1849 faceva adunanze con D. Pacchiotti ed i preti impiegati con lui al Rifugio, con D. Cocchis e con varii altri e si parlava e si discuteva sul modo di ordinare stabilmente l'Oratorio festivo, egli finiva sempre con rispondere alle difficoltà che gli erano mosse come e chierici e preti, tutti suoi, sarebbero venuti in suo aiuto e che avrebbero condotto ogni cosa a compimento. Allora varii di que' sacerdoti che sembravano tanto zelanti per gli Oratori, abbandonandolo un dopo l'altro, sembrava dessero una smentita anticipata alla profezia, che era per essi oggetto di risa. Eppure non tardarono a comparire i primi chierici predetti. Questi erano già benevisi ad ogni classe di persone, perchè in pubblico e in privato si prestavano a molte opere di carità, sia pei loro compagni assistendoli, sia facendo scuola serale e il catechismo nei varii Oratorii festivi, sia raccogliendo i giovani sparsi alla Domenica per i prati, cercando per loro un padrone quando erano disoccupati, visitandoli sul lavoro, recandosi talvolta alle loro case quando erano infermi, secondo le indicazioni loro date da D. Bosco; e nello stesso tempo studiavano per sè , frequentando le rispettive scuole.

Nel 1852 il Teol. Pacchiotti predicava nell'Oratorio la novena dello Spirito Santo. Egli era molto amato dai giovani e il giorno della festa dopo la predica fu accompagnato a prendere qualche rinfresco in una camera a pian terreno. Vennero pure con lui otto chierici, e si assisero tutt'intorno. Entrò allora D. Bosco, e D. Pacchiotti dandogli una leggera palmata sulla spalla e fissandolo commosso, gli disse: Adesso credo che avrai preti e chierici. - Adesso credo che hai una chiesa ed una casa, gli ripetè  ritornato un'altra volta a Torino quando la costruzione della casa nuova era alquanto avanzata. - E alcuni di quelli che gli davano prima del pazzo venuti a predicare nella chiesa di S. Francesco, non poterono a meno di ricordare come essi avessero creduto impossibile ciò che ora constatavano coi loro occhi. Eppure ciò che essi vedevano non era che un esiguo principio, un tentativo di ciò che avrebbero visto poi.

E D. Bosco prendevasi gran cura di preparare per quel giorno sospirato alcuni tra i più buoni e più fervorosi avvezzandoli a qualche pia usanza delle società religiose.

Quindi a quando a quando continuava a tenere a questi soli qualche conferenza. Fra essi era il Diacono Guanti Gioachino che faceva scuola di lingua latina. Il 5 giugno 1852 D. Bosco li radunava e li esortava a scegliersi fra i compagni un monitore segreto, il quale caritatevolmente avvertisse colui che lo aveva scelto a questo uffizio dei difetti nei quali fosse caduto per guardarsene. Rua Michele per suo monitore segreto scelse Reviglio, e ci assicurava che gli avvisi dati dall'amico gli giovarono immensamente. Di questa conferenza abbiamo memoria in una cartolina scritta da Rua Michele in questi termini:

D. Bosco, D. Guanti, Bellia, Buzzetti, Gianinati, Savio Angelo, Savio Stefano, Marchisio, Turchi, Rocchietti 1°, Francesia, Bosco Francesco, Cagliero, Germano, Rua.

Si radunarono questi per la conferenza il sabato sera degli 5 giugno 1852. In questa conferenza si stabilì di dover dire ogni domenica le sette allegrezze di Maria SS. L'anno venturo si osserverà chi di questi avrà perseverato ad eseguire ciò che si è stabilito sino al sabato prefisso, cioè il primo sabato del mese di maggio.

O Ges√π e Maria, fate tutti santi coloro che sono scritti in questo piccolo foglio.

 

Il motivo non palesato di queste preghiere era di poter dare vita alla Pia Società Salesiana. E furono perseveranti osservatori di ciò che aveva loro consigliato D. Bosco; persuasi che loro ne sarebbe venuto un gran bene.

Intanto i lavori della chiesa di S. Francesco si promossero con tanta alacrità, che nel mese di giugno del 1852 questa era terminata. Il dottor Francesco Vallauri, la signora sua consorte e il degnissimo loro figlio il sacerdote D. Pietro, provvidero l'altare maggiore. Il comm. Giuseppe Duprè  fece abbellire la cappella a sinistra entrando, dedicata a S. Luigi Gonzaga, e procurò un altare di marmo. I nobili coniugi Marchese Domenico e Marchesa Maria Fassati si assunsero la spesa del secondo altare laterale ad onore della Santissima Vergine, e lo adornarono di una bella statua della Madonna. Il signor Michele Scanagatti regalò candelieri eleganti; Don Giuseppe Cafasso pagò la spesa del pulpito; altro benefattore ordinò l'orchestra, fornita poscia di un piccolo organo. Insomma, se D. Bosco spiegò in quell'occasione una grande attività ed uno zelo straordinario, la pietà cittadina, o meglio la divina Provvidenza lo confortò sempre del suo validissimo appoggio.

Il 7 aprile il Provicario Generale Celestino Fissore aveva concesso a D. Bosco la facoltà di benedire un tabernacolo nuovo per servizio degli Oratorii, e nella domenica a sera 22 maggio il R. D. Gattino, Curato di SS. Simone e Giuda aveva benedetta la nuova campana che era stata posta sul campanile costrutto a fianco della Chiesa di S. Francesco di Sales.

Questa pure attendeva la sua benedizione e D. Bosco desiderava avere qualche Prelato per compiere la sacra funzione colla massima solennità. Quindi si rivolse prima all'Arcivescovo di Vercelli, e poi al Vescovo d'Ivrea, col quale si era già intrattenuto con un suo progetto di associazione di libri popolari. Ambedue però non potevano venire, per le ragioni che si leggono nelle loro risposte.

 

M. R. e M. Illustre Signore,

 

Ben volentieri lo verrei a prendere parte alla consolazione di V. S. M. R. al cui zelo va debitrice cotesta Capitale del nuovo Oratorio di S. Francesco di Sales, destinato all'istruzione della gioventù torinese e così trovarmi fra la schiera dei numerosi giovanetti, che allietano una festa così commovente. Ma alla vigilia di compiere 72, anni, perseguitato dalla tosse e da alcuni incomodi inseparabili compagni della grave età non sono in grado di poter corrispondere al grazioso di Lei invito. Quindi mentre ne La ringrazio nella speranza che Ella ben converrà meco della ragionevolezza del motivo da cui sono impedito, La riverisco profondamente e mi professo con profonda stima....

Vercelli, 8 giugno 1852.

ALESSANDRO Arcivescovo.

 

Pregiatissimo Sig. D. Bosco,

 

Con singolare piacere in altre circostanze sarei venuto a compiere le sacre funzioni per la benedizione e l'apertura della nuova Chiesa da V. S. Pre.ma e dai zelanti cooperatori innalzata; e ciò avrei fatto con verace gioia per l'opera stessa, per Lei, e pel Sig. Dottore Vallauri Priore di quest'anno, a cui porto tanta stima. Ma è proprio così: non possum venire. Ho di già fissa per quel giorno una funzione pubblica in città coll'amministrazione della S. Confermazione; alla domane ricorre il mio giorno onomastico, ed altra funzione nel piccolo Seminario; poi l'anniversario del mio battesimo: giorni questi che passo volentieri ritirato in casa; e contemporaneamente occorrono gli esami finali dei chierici studenti di teologia e di filosofia. Mi rincresce veramente; non possum.

Gradirò moltissimo di leggere il manoscritto: Avviso ai Cattolici. Dal mio segretario ricevei altresì una nota sulle due Filadelfie. Parlai con alcun Ecclesiastico forestiero della piccola Biblioteca e tutti convengono della necessità e dell'immanchevole successo.

Desidero vivamente, e prego il Signore che sia bella e feconda d'ogni miglior bene quella festa a cui assisterò in ispirito; e frattanto ho caro di dirmi con distinta parzialissima stima....

Ivrea, 12 giugno 1852.

LUIGI Vescovo d'Ivrea.

 

 

Ricevute queste lettere, D. Bosco presentò la sua domanda in Curia.

 

Ill.mo e Rev.mo sig. Vicario,

 

La fabbrica della nuova chiesa per l'Oratorio di S. Francesco di Sales in Valdocco essendo ridotta a segno di potervi decentemente celebrare i divini misteri, il sacerdote D. Giovanni Bosco supplica umilmente V. S. Ill.ma e Rev.ma a permettergli la traslazione dei pii esercizi dal primo Oratorio nella suddetta chiesa, riducendo quello ad uso profano, come pure di degnarsi la S. V. Ill.ma a benedire la nuova chiesa, oppure delegare a questo uffizio qualche Ecclesiastico.

 

Il suddetto.

 

La Curia faceva pervenire sollecitamente il suo rescritto.

 

“V. Si delega il sig. Curato di Borgo Dora a benedire il nuovo Oratorio, secondo la forma del Rituale Romano, dopo la quale benedizione si dichiarano in esso trasportati i pii esercizi e le facoltà concesse all'antico, che si permette ridursi ad uso profano.

Torino, 19 giugno 1852.

FILIPPO RAVINA Vic. Gen.

T. G. CAVIASSI Segr.

 

D. Bosco aveva intanto mandato ai benefattori l'invito perchè intervenissero alla funzione.

 

Ill.mo Signore,

 

Giorno di grande consolazione per me, e credo altrettanto per V. S. Ill.ma, è la Domenica del 20 corrente giugno, in cui sono appagati i nostri desiderii, le nostre aspettazioni, colla benedizione della novella chiesa di S. Francesco di Sales, al cui favore ha in tante guise voluto adoperare zelo e carità.

E’ vero che il sacro edifizio non è ancora ultimato, ma le operazioni sono al punto che già si può benedire, celebrarvi convenevolmente le sacre funzioni, e soddisfare così al grave nostro bisogno.

La sacra funzione comincerà alle ore 8 e ½ del mattino. Alla benedizione seguirà il santo sacrifizio della messa per tutti i benefattori dell'Oratorio; tra la messa alcuni giovani faranno la loro comunione. Indi avrà luogo analogo discorso e termineranno le funzioni colla benedizione del SS. Sacramento. La sera alle 3 e ½, ci sarà vespro, solita predica e benedizione col SS. Sacramento.

Nell'uscire di chiesa, Ella è pregata di recarsi nel locale della chiesa vecchia per trattenersi alcuni minuti cogli altri benefattori dell'Oratorio, e così insieme consolarci col Signore che in modo sì straordinario ci ha aiutati a compiere l'opera sua.

Ella avrà un posto stabilito per assistere comodamente alla sacra funzione, ed è mia precisa intenzione di usarle in tal giorno tutti i riguardi che la sperimentata di Lei carità e condizione si meritano se però nella moltiplicità delle cose non si potranno usare tutti quei tratti di rispetto, che per più titoli Ella si merita, La prego a volermi dare benigno compatimento, chè di certo non è mancanza di buona volontà.

Venga V. S. con quelle persone che Le sono di particolare conoscenza, e che sa essersi in qualche modo adoperate per quest'opera di cristiana pietà; comune è la festa, comune sia la gloria che in tal giorno al Signore si rende, comune spero che sia altresì il bene che ridonderà alle anime nostre.

Persuaso che nella sua carità voglia continuare a promuovere il bene di questo nostro Oratorio, coi sentimenti della più viva gratitudine La ringrazio di tutto cuore, assicurandola che mi sarà sempre un grande onore tutte le volte che mi potrò dire

Di V. S. Ill.ma

Dall'Oratorio, 16 Giugno 1852.

Obb.mo servitore

Sac. BOSCO GIOVANNI.

 

D. Bosco aveva pure invitato il sig. Sindaco di Torino. Egli vi sarebbe intervenuto di buon grado, come fatto aveva al collocamento della pietra fondamentale; ma ne venne trattenuto da impedimenti, che si degnò manifestare con lettera, la quale è testimonianza della religiosità del capo del Municipio Torinese e della stima che aveva dell'opera dell'Oratorio. Ecco che cosa scriveva a D. Bosco, in data del 18 giugno:

 

Egli si è con ben sentita soddisfazione che il Sindaco sottoscritto ha ricevuto il grazioso invito che la S. V. Ill.ma e M. R. gli porge coll'apprezzato di Lei foglio contro indicato; ed è pari il suo rincrescimento che la funzione religiosa al mattino per la ricorrenza della festività di M. V. della Consolata, cui deve intervenire insieme colla rappresentanza comunale, e la congrega al dopo pranzo della Congregazione di Carità di Reaglie, cui è chiamato altresì ad assistere, gli tolgano di profittarne come sarebbe suo ben vivo desiderio. Egli è lieto di veder instaurata la istituzione dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, per le di Lei zelanti sollecitudini sorta a vantaggio della nostra gioventù artiera, che troverà così modo di educarsi a religione ed a civile virtù.

Ei prega quindi la S. V. a voler accogliere l'attestato di sua ossequiosa devozione.

 

Il Sindaco BELLONO.

 

Consimili motivi trattenevano anche il Vicesindaco.

 

MUNICIPIO Di TORINO. GABINETTO DEL VICE SINDACO.

 

Torino, addì 17 di giugno 1852.

 

Domenica 20 alle ore 9 del mattino celebrandosi una messa nel Santuario della Consolata con intervento del Municipio il sottoscritto con suo rincrescimento non potrà assistere alla funzione per cui riceve il gentile invito dal V. Sac. D. Giovanni Bosco col foglio del 16 corrente. Quando la necessità di passare qualche ora nel palazzo civico per la spedizione delle cose urgenti, e parecchi doveri di famiglia gliene lascino il tempo si troverà molto volentieri alle 3½ pomeridiane nell'Oratorio, ed al successivo colloquio nel locale della Chiesa Vecchia.

Sa il sottoscritto distinguere nel cortesissimo invito la parte che ai suoi colleghi e non a lui può soltanto essere giustamente indirizzata: giacchè egli non solo fu il minimo dei cooperatori alla santa opera, ma anche come minimo conosce essere molto addietro da quelli che avranno il più poco operato. Se ha una parte eguale agli altri si è soltanto nel contento della bene riuscita impresa e nella sincera estimazione del promotore ed autore della medesima V. Sac. Bosco, al quale professa la maggior considerazione, e la gratitudine dì cittadino, e l'affezione di buon cristiano per tutto il bene che egli opera colla guida e protezione di Dio.

 

COTTIN.

 

Anche il famoso naturalista ed archeologo Baruffi così scriveva a D. Bosco in questa occasione

 

 

Egregio Signore,

 

Ringrazio vivamente la S. V. del cortese invito per la bella solennità di Domenica, cui mi duole davvero di non poter intervenire, perchè devo assentarmi da Torino per un po' di giorni.

Mi associo però di gran cuore a quest'opera santa, e Le prego dal cielo la continuazione dei suoi favori, acciò Ella possa avere la consolazione di vedere compiuti così onesti ed evangelici desideri.

Il nome della S. V. resterà scolpito a caratteri indelebili nel cuore dei Torinesi e di quanti conoscono e sanno apprezzare le caritatevoli sollecitudini ed i sacrifizi continui che Ella fa a pro dei poveri giovani abbandonati per ricondurli sulla buona via e procurare loro col pane materiale anche quello dell'anima.

Aggradisca i miei rispetti e augurii cordiali di prosperità per la sua degna persona, acciò l'Oratorio da Lei fondato possa svilupparsi ogni dì vieppiù e produrre quei frutti che la civiltà e la religione si aspettano.

Mi è dolce la presente occasione in cui posso ripeterle l'espressione dei sentimenti della mia alta considerazione e professarmi

Della S. V. M. Reverenda

Torino, 1852 il dì 18 giugno.

      

Dev.mo ed Obb.mo. Servo

G. T. BARUFFI.

 

D. Bosco, sebbene in que' dì occupatissimo, tuttavia seppe invocare la musa, e compose un'ode di circostanza, soavissima nella sua semplicità e che noi qui riproduciamo. Portava questa intestazione: Nel giorno in cui si benediceva la nuova Chiesa dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, i giovani al medesimo addetti, nel colmo della loro gioia, i sentimenti dello più sincera gratitudine verso i loro benefattori così esprimevano.

Quest'ode fu stampata a migliaia di copie, messa in musica, e i giovani l'avevano imparata.

In mezzo ai preparativi della festa nell'Oratorio, interni ed esterni erano tutti in gioia e questa manifestossi con impeto irresistibile il giorno 14 di giugno.

Così narrava il prof. Raineri che frequentò l'Oratorio dal 1846 al 1853.

“Era nel pomeriggio di una Domenica; D. Bosco ci aveva narrato con tanta evidenza, con quel suo modo espositivo naturale che incantava, la storia del pastorello Davide divenuto Re e terminò coll'esclamazione: Ecco il pastorello divenuto re! - Noi tosto esclamammo: - Evviva D. Bosco nostro Re! Detto fatto: i giovani più alti e robusti gentilmente sollevarono sulle spalle D. Bosco e lo portarono in trionfo per il cortile giardino, e noi seguendolo in giro cantammo la canzone imparata in quei giorni

 

Come augel di ramo in ramo

  Va cercando albergo fido ecc.

 

con immenso nostro, e forse suo, diletto. Non altrimenti facevano i popoli antichi quando eleggevano a Duce un loro valente e lo alzavano sugli scudi. Oh sì! D. Bosco poteva ben essere nostro duce, nostro re! D. Bosco ne' suoi ammaestramenti ci dava regole auree, le quali, se s'addicono a tutti, sono però meglio indicate per la gioventù ed è bene ricordarle: eccone alcune:

- Operate oggi in modo che non abbiate ad arrossire domani.

- Non mandate al domani il bene che potete fare oggi, perchè forse domani non avrete più tempo.

- Facciamo in guisa di star bene in questo mondo e nell'altro.

- Siate lenti nel giudicare.

- Volete voi che il vostro compagno vi stimi? pensate sempre bene di tutti, e siate pronti ad aiutare il vostro prossimo e sarete contenti.

“E dopo le funzioni di chiesa passava un po' per tutto fra quei giovanetti differenti per età, indole, costumi, condizione ed educazione, tutti vispi ed intesi a giuocare, osservando l'indole di ciascuno, avendo una parola per ognuno, una parola cara, una parola che consolava, che ci rendeva contenti e pareva che egli ci leggesse nell'animo e ciascuno di noi tacitamente diceva: D. Bosco ci Vuol bene! - Oh sì, Don Bosco voleva bene a tutti... Come è bello riandare col pensiero que' nostri anni giovanili”

“E D. Bosco, aggiungeva Mons. Cagliero, a tarda sera li accompagnava egli stesso sino all'entrata della città per assicurarsi che andassero tosto per gruppi alle loro case. Nel passar pel Rondò, ove allora si eseguivano le sentenze capitali, più di una volta si udirono dirsi a vicenda i più giovani tra i figli del popolo: - D. Bosco ci vuol tanto bene, che se ci conducessero sulla forca, troverebbe egli ancora il modo di salvarci. - Lo stesso affermava D. Reviglio.

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