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Capitolo 38

A Busca D. Bosco predice l'avvenire di una bambina - Chiede al Vicario Capitolare di essere dispensato di mandare i suoi chierici alle scuole di Filosofia e Teologia in Seminario - Risposta sfavorevole - Nuova sua domanda per stabilire nell'Oratorio una scuola per i soli chierici studenti di Filosofia: Il Vicario acconsente - Largizione di un Prelato Romano per la Chiesa - Il colera - D. Bosco assicura che non morirà di contagio chi con offerte concorre alla costruzione della Chiesa di Maria Ausiliatrice - La Madonna mantiene questa promessa - D. Bosco suggerisce ai giovani i mezzi perchè siano preservati da quel flagello - Prudenti precauzioni - Bontà di cuore verso un chierico - Ribellione a Palermo - Soppressione degli Ordini Religiosi in Sicilia.


Capitolo 38

da Memorie Biografiche

del 06 dicembre 2006

 Don Bosco, congedati a Trofarello i suoi cari discepoli, mantenendo la parola data al prof. Carlo Bacchialoni, docente di Letteratura greca nella Regia Università di Torino, si recava a passare qualche giorno nella sua villeggiatura a Busca. Questo distinto letterato, fervente cattolico, padre di famiglia esemplarissimo, non è a dire come accogliesse D. Bosco, il quale, ovunque andasse, recava l'allegrezza e la benedizione di Dio. Se n'ebbe una prova anche in quella casa, come attesta D. Giovanni Garino.

“Era l'anno 1866 e nel mese di settembre D. Bosco trovavasi a Busca in casa del Cavaliere Prof. Bacchialoni. Un dopo pranzo la bambina di Bacchialoni, in età allora di due anni, non so che avesse, faceva inquietare un po' la madre.

”D. Bosco, che era presente, pose la mano sulla testa della bambina e disse:

” - Questa la faremo una monaca; e che monaca! Piena di zelo e di amor di Dio!

” La bambina che si chiamava Adelaide, cresciuta in età, si fece monaca tra le religiose del SS. Sacramento, tra cui morì a Vigevano nel 1889. Mons. De Gaudenzi, Vescovo di Vigevano, suo confessore, attestò alla madre, che Adelaide era veramente una santa e che morì consumata dall'amor di Dio, chè ardentemente desiderava di andare in Paradiso. La madre, che mi raccontò ieri, 3 marzo 1891, questo fatto, aggiunse che lo stesso le fu detto dal confessore dell'Adelaide quando stette per qualche tempo a Vicenza ”.

Col professore Bacchialoni, degno di tutta la confidenza e che soleva prestarsi con grande cordialità a dare gli esami finali ai giovani dell'Oratorio e dei collegi di Mirabello e di Lanzo, Don Bosco dovette certo parlare di una innovazione ormai indispensabile all'Oratorio.

Il Servo di Dio, volendo rimediare a qualche inconveniente nell'educazione dei suoi chierici, aveva pensato di ordinarne le scuole nell'Ospizio di Valdocco. Difatti, sul finir di agosto, aveva fatto questa proposta al Vicario Capitolare, Can. Mons. Giuseppe Zappata.

 

Reverendissimo Mons. Vicario Generale,

 

I moniti al Clero che V. S. Rev.ma saviamente fece precedere al Calendario dell'anno corrente furono per me oggetto di molti riflessi e di serie considerazioni; specialmente le patetiche espressioni con cui lamenta la diminuzione di vocazioni allo stato ecclesiastico. Sebbene nella mia pochezza io debba limitarmi alla buona volontà, tuttavia desidero ardentemente di unire li miei deboli sforzi affinchè la voce del Superiore, per quanto è in me, sorta il suo effetto.

Ella pertanto raccomandò caldamente di adoperarci per educare e coltivare nella pietà la studiosa gioventù per riempire i vuoti gravemente sentiti per la morte di quei sacerdoti che ogni anno Dio chiama agli eterni riposi.

Per corrispondere a questa esortazione abbiamo deliberato che, senza pubblicarlo, i giovani di questa Casa e del Collegio di Lanzo fossero con sollecitudine speciale coltivati nella pietà e nello spirito ecclesiastico. Anzi fu stabilito di regola ordinaria che per l'avvenire niun giovanetto sia accettato come studente nell'Oratorio di S. Francesco di Sales, se non ha intenzione di abbracciare lo stato ecclesiastico, lasciandosi poi a ciascuno piena libertà di scegliere la sua vocazione, terminato il corso ginnasiale. La media dei giovanetti che domandano di iniziarsi nella milizia clericale è da circa cinquanta a cinquantacinque all'anno; di cui da venticinque a trenta appartengono e chieggono di essere aggregati alla diocesi di Torino. Ho fondata speranza che negli anni successivi questo numero possa sensibilmente aumentare.

Riguardo a quelli che hanno già indossate le divise clericali si manifesta un male che ardentemente desidero per mia parte rimediare nel modo possibile. Questo male è il ritorno frequente di chierici allo stato laicale. Negli anni passati fu caso rarissimo che i giovanetti usciti da questa Casa abbandonassero l'abito ecclesiastico; ma purtroppo da qualche tempo tali casi vannosi verificando con dolorosa frequenza e in quelli che tornano dal Seminario e in quelli stessi che dimorano nell'Oratorio. Saranno i tempi, le circostanze politiche, le poche speranze di agiatezza del sacerdote, saranno i libri, i giornali che con facilità pervengono alle loro mani, ma il fatto sta che la deposizione dell'abito clericale è assai frequente, come Ella medesima ne è certamente informata.

Fra i chierici di questa Casa, sebbene da qualche tempo siano aumentati i mezzi di assistenza, di istruzione e predicazione, vediamo tuttavia codesti ritorni alla divisa del secolo.

A fine pertanto di rimediare a questo male, ed unicamente pel desiderio della maggior gloria di Dio, io farei a V. S. Rev.ma l'umile domanda che i chierici addetti all'Oratorio possano fare il corso scolastico in questa casa come segue:

1°. Gli studi si farebbero secondo l'ordine, le materie, i trattati del Seminario Arcivescovile e gli allievi andrebbero a subire gli esami cogli altri chierici della diocesi nel giorno dai Superiori stabilito.

2°. Dopo un anno di prova, se non si avranno risultati favorevoli per lo studio e per la pietà, ritorneranno alle scuole del Seminario, siccome sarà a Lei beneviso.

Con questi provvedimenti io credo di poter allontanare questi chierici da molti pericoli, specialmente dalla vista delle caricature e delle fotografie lubriche; dalle voci dei giornalai, dagli scherzi e dagli insulti delle vie e delle piazze, di cui, specialmente i pi√π piccoli di statura, furono pi√π volte fatti segno nell'andata e nel ritorno dalla scuola.

Creda, signor Vicario, che queste cose hanno prodotto in alcuni sensibili raffreddamenti nella pietà, in altri la deliberazione di abbandonare uno stato che li mette a sì frequenti e dure prove.

Mentre questi chierici godrebbero in certo modo la medesima agevolezza che godono quelli del Collegio di Lanzo e credo anche quelli del Seminario di Giaveno, procurerebbero poi un sentito vantaggio ai nostri giovani, che così potrebbero essere regolarmente assistiti, mercè un orario in cui il tempo delle scuole degli uni coincida con quello degli altri.

Dal foglio ivi unito vedrà il personale che propongo, e chè modificherei a di Lei gradimento qualora l'umile domanda fosse accolta.

Ho semplicemente esposto il mio parere; ora rimetto tutto a quanto nell'illuminata di Lei saviezza Ella sarà per deliberare.

Noi preghiamo ogni giorno il Signore Iddio per la preziosa di Lei conservazione, perchè possa lungo tempo promuovere il maggior bene della Religione, e nel raccomandarci unanimi alla carità delle sante sue preghiere, ho l'onore di potermi a nome di tutti i Sacerdoti e chierici di questa Casa professare,

Di V. S. Ill.ma e Rev.ma,

Torino, addì 27 agosto 1866,

Obb.mo Servitore

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

La lettera aveva questa postilla autografa.

 

P. S. Ho fatto scrivere la presente da un'altra mano, affinchè le torni meno incomoda la lettura.

 

Il foglio, che andava unito alla lettera, diceva:

 

Maestri proposti per insegnanti ai chierici che dimorano nell'Oratorio di S. Francesco di Sales.

Filosofia.

Letteratura Latina: -- Sac. Francesia Prof. Giovanni.

Aritmetica, Geometria e fisica - Sac. Savio Angelo, patentato di scuole normali superiori: oppure il Ch. Bonetti Enrico, studente all'Università delle facoltà di matematica.

Logica, Metafisica, Etica: - Sac. Rua Michele, professore di belle lettere, che ha eziandio insegnate tali materie.

 

 

Teologia.

Il Can. Lorenzo Gastaldi; il Teologo Costamagna; il Sac. Cagliero, se si volesse sostituire a qualcheduno dei sopra notati.

 

Questo progetto di D. Bosco, dettato dalla necessità, come risulta dalle ragioni addotte, e dalla sua missione che lo conduceva fin d'allora ad una certa libertà nell'educazione ed istruzione dei suoi dipendenti, aveva la seguente risposta:

 

Seminario Arcivescovile di Torino.

3 settembre 1866.

 

Molto Rev. Signor mio,

 

Il Sig. Vicario Generale ebbe la bontà di darmi comunicazione della dimanda fattagli da V. S. per mezzo del qui acchiuso memoriale e di manifestarmi nel tempo stesso il rispettabile suo parere col quale mi trovai perfettamente d'accordo. Abbiamo conchiuso d'invitare la S. V. a ritirare la domanda, ed è perciò che gliela rimando quivi compiegata.

Le sono intanto con distinta stima,

Dev.mo Servitore

Can. AL. VOGLIOTTI, Provicario Gen. C.

 

 

D. Bosco rispettosamente replicava al Can. Vogliotti:

 

Ill.mo Sig. Rettore,

 

Ho ricevuta la memoria che d'accordo col Sig. Vicario Generale mi fu rinviata. Se mi avesse almeno fatto qualche osservazione sarei in qualche modo appagato: ma il rifiuto nudo e crudo mi ha non poco afflitto, tanto più che, come Ella sa, questo permesso mi era già stato dato e fu poi dal Vicario Fissore sospeso alla sola ragione delle conseguenze che sarebbero temute qualora il numero dei chierici dei Seminario fosse stato troppo ridotto e ciò per parte dell'Ab. Vacchetta. Adesso provo ancora a dimandare pei filosofi; se mi si vuole concedere, lo credo vantaggioso per me e per i giovani, altrimenti mi rimetto totalmente a quello che il Signore inspirerà a lei ed al Sig. Vicario. Sempre pronto ad ubbidirla ed a servirla in tutto quello che potrò, ho l'onore di potermi professare con pienezza di stima

Di V. S. Ill.ma,

Torino, 6 settembre 1866,

Obbl.mo Servitore

Sac. GIOVANNI Bosco.

 

 

Dopo qualche tempo venne risposta favorevole a questa seconda domanda, e i chierici studenti di filosofia ebbero la scuola nell'Oratorio.

Mentre era occupato in queste trattative, il Servo di Dio riceveva graziosa oblazione da un illustre prelato, che un giorno doveva appartenere al Sacro Collegio dei Cardinali.

 

Ill.mo Sig. D. Bosco,

 

Con foglio a stampa del 12 maggio p. p. mi giunse l'invito da V. S. Ill.ma indirizzatomi di prender parte alla lotteria che Ella divisò, per raccorre mezzi al compimento di una Chiesa in cotesta città sotto il titolo di Maria Ausiliatrice, al quale effetto mi trasmetteva numero dieci dozzine di biglietti. Desideroso anche in tale congiuntura di concorrere a sì religiosa intrapresa, Le faccio tenere col mezzo del sig. De Gaetano Tortone, cui vado oggi stesso a commettere l'incarico, il corrispondente prezzo nella somma complessiva di franchi 50. La ringrazio della relativa stampa in pari tempo speditami, e nella fiducia che il Signore benedica un'opera consacrata al particolar culto della Regina degli angioli, ho il piacere di confermarle i sensi della mia distinta stima.

Di V. S. Ill.ma,

Roma, 4 settembre 1866,

Servo Devot.mo

TOMMASO MARTINELLI.

 

La fiducia di una special protezione di Maria Ausiliatrice nell'infierire di un terribile morbo si andava diffondendo.

Il colera aveva riprese le sue geste micidiali nel mese di maggio, in Russia, nel Belgio e nell'Inghilterra. Nell'Austria vi erano stati 200,000 casi e 100.000 morti; nell'Ungheria 40,000 casi e 22,000 vittime; nella Moravia 68.000 colpiti e morti 28.000. Nel luglio e nell'agosto si sviluppava a Marsiglia, ad Amiéns e altrove, e nel solo dipartimento della Senna durava interrottamente quasi un anno mandando al sepolcro 5.700 persone. Nello stesso tempo compariva a Genova, si diffondeva a Napoli, toccava Ancona e si spargeva in varie regioni dell'Alta Italia.

Fin dal principio dell'anno si era diffusa la voce che gli oblatori per la costruzione della chiesa di Maria Ausiliatrice sarebbero stati illesi dal colera. Da Firenze si scriveva a D. Bosco.

 

M. R. Signore,

 

Perdoni l'ardire che mi prendo di scriverle, ma mi trovo assai, assai inquieta nel dubbio di avere male intese le sue parole.

Parlandosi del dare poco o molto per l'edificazione della sua nuova chiesa, udii alcune Signore asserire aver Ella detto e assicurato di poter dire con certezza che non morirà certo di colèra chiunque desse anche un solo centesimo per quest'opera.

Così pure a me era parso d'intendere. D'altra parte ascoltai diversi Sacerdoti e ben stimabili, da Lei pure molto conosciuti, negare che Ella abbia fatto o potuto fare simile discorso: anzi aggiungere aver Ella detto loro che questi non erano che discorsi interpretati da menti vive, ma non da Lei fatti. Quindi la pregherei caldamente a volersi degnare di scrivermi al più presto se Ella intende veramente di dare tal sicurezza, ovvero se questa è un nostro malinteso: tanto più che non vorrei far danno all'opera, continuando a sparger tale assicurazione.

 

Firenze, 7 gennaio 1866.

EUFROSINA COVONI.

 

A questo proposito non crediamo che le riferite parole di D. Bosco, se pur le disse come sono esposte, dovettero essere state fraintese da que'sacerdoti. Per giudicarle bisognerebbe sapere in quali circostanze le abbia pronunziate, quale estensione dessero quelle buone signore alla sua promessa e di più se nel loro entusiasmo non attribuissero alle virtù del Servo di Dio quella preservazione così straordinaria dal morbo. Tanto più che D. Bosco, senza dare importanza a quanto diceva od operava di meraviglioso, cercava, come abbiamo altre volte rilevato, di nascondere sempre la sua persona, e anche le benedizioni che guarivano gli infermi, soleva accompagnarle con tale giovialità, imitando S. Filippo Neri, che ben pochi se ne accorgevano.

Quale risposta egli abbia fatto alla signora Covoni non ci consta; ma che la sua speranza non fosse un'illusione si argomenta da queste linee di una lettera scritta da Firenze il 13 settembre 1866 dalla Marchesa Isabella Gerini al Venerabile.

“ Mi consola non poco la conferma che V. S. mi fa che saremo liberati dal colera! Avremo certo gran confidenza nella protezione di Maria SS. Ausiliatrice, e ad Essa mi raccomando ben di cuore. Speriamo che ci liberi ancora da tutti i mali che ci sovrastano. Preghi, preghi, per tutti i bisogni del mondo intiero! Godo molto di rilevare le sue buone nuove di salute e gliele auguro buonissime per mille anni, e ne supplico caldamente il Signore, affinchè possa compiere tutte le sante opere che ha cominciato, e che col suo zelo saprà ideare e compiere in avvenire e perchè possa continuare ad essere utile a tutti, come fin quì è stato”.

Anche vari fatti attestavano la materna benevolenza di Maria Ausiliatrice per coloro che si adoperavano ad aiutare D. Bosco nella costruzione della chiesa di Valdocco.

Da Milano il 25 febbraio 1909 ci scrisse la signora Carolina Rivolta Guenzati:

“ Nel 1866 il colera infieriva per l'Italia tutta. I miei genitori avevano ricevuto molti biglietti di una lotteria e D. Bosco prometteva che nessuno degli acquirenti sarebbe morto del terribile flagello. Infatti mia madre può asserire che neppur uno di quanti acquistarono i biglietti, che ella stessa aveva distribuiti, morì di colera; solamente una persona fu colpita dal contagio, ma questa stessa non morì ”.

D. Bosco aveva assicurati anche i suoi giovani che se avessero tenuto lontano dal cuore il peccato e portata al collo la medaglia della Madonna, questa celeste Madre li avrebbe preservati dal flagello.

Con ciò non trascurava di mettere in pratica quelle precauzioni suggerite dalla prudenza, non volendo tentare Iddio.

“ Era l'anno 1866, scrisse D. Giovanni Garino, ed il colera infieriva in Busca, mia patria.. Avendo dovuto recarmi al paese poco prima che scoppiasse il morbo, al suo comparire decisi di affrettarmi ad aggiustare i miei interessi, e ritornare a Mirabello Monferrato, dove in quell'anno era occupato nell'insegnamento. D. Bosco, affinchè ritornando io da paese gravemente infetto dal morbo, non lo comunicassi ad altri, mi fe' scrivere di fermarmi in Busca ed intanto come chierico aiutassi il parroco nel suo ministero. Ma sapendo D. Bosco, come il mio stato finanziario fosse non troppo soddisfacente, mi provvide per due e più mesi che dovetti fermarmi a casa con larghi sussidii. Questo fo noto e attesto, perchè si conosca la grande carità di D. Bosco, la quale provvedeva a tutti, e non dimenticava nessuno.

” Posso inoltre attestare - continua D. Garino, rendendo omaggio alla bontà del cuore di D. Bosco - che essendo io nei primi anni del mio chiericato all'Oratorio, D. Bosco mi cercò una ricca signora, la quale si prendesse cura di me, per quanto mi potesse occorrere. E veramente la pia signora si prese di me le più sollecite cure, mandando a D. Bosco, a tempi fissi, certa somma di danaro destinata per me. Ed a dati tempi era certo che D. Bosco mi chiamava, se avessi bisogno di questo o di quello: che esponessi liberamente, che nulla mai mi sarebbe per mancare. Io allora richiamava a mente, come ricordo ancora adesso, le parole che D. Bosco dissemi nel febbraio del 1858, quando ebbi la disgrazia di perdere mio padre: Ricordati, Garino, che in me avrai sempre un padre; e così fu mai sempre sinchè morì ”.

Mentre nella penisola le popolazioni vivevano in timore e continuavano le trattative di pace tra l'Italia e l'Austria, la notte del 15 al 16 settembre la città di Palermo fu di repente invasa ed occupata da bande di briganti, spalleggiati da più migliaia di renitenti alla leva e da schiere di repubblicani con berretto e bandiera rossa, tutti ben forniti di armi e munizioni. Era effetto di una vasta congiura di Siciliani per togliersi dal collo un governo che odiavano, ripromettendosi, dopo Custoza e Lissa, la dissoluzione dell'unità italiana e la propria autonomia. Per cinque giorni intieri la metropoli della Sicilia fu quasi del tutto alla mercè de' rivoltosi che gridavano Viva la repubblica. Molta plebe della città e dei sobborghi li sosteneva. I 1500 soldati di guarnigione mal potevano reggere agli incessanti assalti di quelle turbe furibonde, che si abbandonavano a saccheggi, incendii ed assassinii. Ma il giorno 20, la flotta sbarcava due intiere divisioni di ogni arma, comandate dal generale Raffaele Cadorna, al quale erano stati conferiti amplissimi poteri. Il 21 si dava un vigoroso assalto alla città; bombardata dalle corazzate, fu occupata dopo molte ore di accanito combattimento e grande strage. Molti de' sollevati riuscirono con la fuga a scampare nella campagna ed a gettarsi ai monti. Alla sera in segno di gioia la città era illuminata, ma fu bandito lo stato d'assedio anche per tutta la provincia. Per più giorni si procedette ad arresti numerosissimi ed a fucilazioni per processo militare sommario.

Ma pur troppo sopra il Clero e sopra gli Ordini Religiosi dovevano cadere le conseguenze della ribellione. I diarii del gabinetto di Firenze furono solleciti a bandire come i sommovitori della plebe fossero preti, frati e monache; e senz'altro il Ministero risolvette di cogliere un'occasione di confiscare i loro beni sui quali, attese le condizioni di que' popoli, non aveva ancora ardito metter la mano.

Il pretesto fu facile: “ I ribelli erano trincerati nei conventi e nei monasteri! ” Questi si trovavano in luoghi opportuni e i rivoltosi vi erano entrati con violenza. Epperò preti, frati e anche monache furono lasciate in balia della soldatesca, irritata per le fazioni sanguinose che aveva dovuto sostenere. Si accoglievano le denunzie di delitti inventati da infimi arnesi di polizia.

Fu insultato dal Cadorna, con una lettera piena di ingiuste accuse, l'ottuagenario Mons. Naselli, Arcivescovo di Palermo, che non era uscito dall'Episcopio, essendo questo occupato dalle truppe; e il suo coetaneo Mons. d'Acquisto, Arcivescovo di Monreale, benchè infermo, fu tolto dal suo letto e gettato in prigione.

Eppure il Clero aveva fatto quello che aveva potuto per attenuare il male e il commendatore Torelli, Prefetto della città, dando relazione particolareggiata di que' fatti al Governo, parlò distesamente dei molti soldati che furono salvati dai Benedettini e da altri religiosi.

Tuttavia il Cadorna fu sollecito ad impossessarsi di tutti i conventi della Sicilia, a scacciarne gli abitatori e confiscarne i beni. Ai religiosi sbandati vietò di vestire l'abito dell'ordine e comandò che nel termine di dieci giorni tutti si riducessero nel comune d'origine o presso la propria famiglia. Più centinaia di religiosi, senza accuse legali, senza processo, vennero deportati a domicilio coatto, parte in Sardegna e parte in varie città della Liguria, del Piemonte e della Lombardia coll'assegnamento di pochi centesimi al giorno, senza riguardo nè ad età, nè ad infermità, nè a crudezza di clima micidiale pe' Siciliani. Le monache che non poterono o non vollero essere ricettate nelle loro famiglie, vennero espulse dai loro monasteri e stivate nei conventi più miseri, senza riguardo alla differenza degli Istituti e senza compassione alle loro angoscie. Bastava essere prete o religioso o monaca, per essere fuori della legge, anche quando un decreto reale aveva abolito i provvedimenti straordinari banditi per la Sicilia. E ciò, mentre la Gazzetta Ufficiale del 18 agosto aveva pubblicato un decreto reale di amnistia che rimetteva in piena grazia ed in pieno possesso dei diritti civili tutti coloro che, imputati o condannati, avevano preso parte alle cospirazioni mazziniane o garibaldine contro l'autorità regia o la Monarchia di Casa Savoia, fra cui era Giuseppe Mazzini!

Il colera intanto a metà settembre scoppiava dapprima a Palermo, facendo salire a centinaia i colpiti quotidianamente; estendendosi poi ad Adernò, Catania, Messina, Trapani e dappertutto, ove giungevano fuggiaschi dalla metropoli. In Italia la strage fu maggiore di quella dell'anno scorso. Nel 1866 il colera visitava 49 provincie, senza contare le Venete, e 540 comuni: i casi denunziati salivano a 23.244 e i morti a 13.570. Così le statistiche ufficiali.

 

 

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