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Capitolo 39

La virtù della fortezza - D. Bosco ossequente alle autorità civili - Sua prudenza nelle questioni politiche - Sospetti del Governo e delazioni calunniose - Il Ministro Farina - D. Bosco sorvegliato dalla polizia - l'ufficio di verificazione alla posta - D. Bosco avvertito del pericolo che sovrasta all'Oratorio - Articoli violenti dei giornali, che domandano la chiusura dell'Oratorio - Il decreto di perquisizione permesso da Cavour - Sequestro di una lettera di Mons. Fransoni - Un sogno provvidenziale - Distruzione di preziosi documenti - D. Bosco scrive e conserva le memorie delle perquisizioni - Prefazione al manoscritto.


Capitolo 39

da Memorie Biografiche

del 30 novembre 2006

Renditi umile, forte e robusto! - aveva comandato a D. Bosco nel sogno la Vergine SS.; ed egli tale si rese eziandio coll'esercizio delle pi√π ardue virt√π, e tale si mantenne nelle tante imprese a lui imposte dalla missione Divina.

Il Can. Ballesio ci scriveva: “ La fortezza cristiana parve mirabile in D. Bosco, così da comparire a noi, che pure gli stavamo quasi sempre attorno, come immune dalle miserie umane. Forte contro tutte le tentazioni dello spirito e della carne, forte contro lo scoramento nelle difficoltà di ogni sorta, che circondavano l'opera sua, forte contro la superbia e la vanità, contro le minacce e le lusinghe degli eretici ”.

Ci ripeteva Mons. Cagliero: “ Vissuto al suo fianco per tanti anni, scorsi sempre una rara imperturbabilità e grandezza d'animo nell'incominciare e sostenere tra mille opposizioni le molte sue intraprese per la gloria di Dio e la salute delle anime. Ei non perdette mai la sua calma, nè la dolcezza e serenità di mente e di cuore per quanto fossero gravi le calunnie, sprezzanti le ingratitudini, opprimenti gli affari, ripetuti gli assalti contro la sua persona è la sua Congregazione dicendoci sempre: Est Deus in Israel! Niente ci turbi! ”

Noteremo ancora con D. Cerruti Francesco: “ La sua eroica fortezza appariva in modo anche più splendido nelle pene morali e fisiche che lo accompagnarono più o meno per tutta la sua vita. Era cosa mirabile e per noi di più grande conforto nel vederlo tranquillo e sorridente in mezzo ai più grandi dispiaceri, alle più amare umiliazioni alle più gravi fatiche; sempre fermo e costante anche in quei momenti nei quali Dio lo sottometteva a prove inaspettate, o sembrava che la pubblica carità gli venisse meno. Pareva un miracolo che egli non soccombesse, ed è cosa che io non so spiegare senza riconoscere l'intervento della divina Provvidenza ”.

Di tale fortezza, che è il complesso di tutte le virtù, poichè non si giunge a tal grado d'eroismo se non a forza di mortificazioni e di una costante uniformità ai voleri di Dio, egli ne dava anche in quest'anno una splendida prova. Il suo amore immenso pel Sommo Pontefice, che per lui era una seconda vita, doveva esser causa di gran pericolo all'opera sua.

Ma prima di entrare in argomento noteremo come in D. Bosco alla virtù della fortezza andassero congiunte in sommo grado la giustizia e la prudenza. In tempi così difficili egli seppe diportarsi in modo di compiere dappertutto e sempre il suo dovere di prete e di cattolico, senza mancare de' necessari riguardi all'autorità costituita: sapeva distinguere questa dagli uomini che la esercitano. Gli uomini possono abusarne, ma da questo abuso non ne viene, per legittima conseguenza, che sia da aversi, in dispregio l'autorità medesima e sia lecito ai sudditi la rivolta.

S. Pietro primo Papa, scriveva nella sua lettera indirizzata agli Ebrei dell'Asia minore convertiti alla fede di Gesù Cristo: “ Siate per riguardo a Dio soggetti tanto al Re, come uomo posto sopra di tutti, quanto ai presidi come spediti da lui... Rispettate tutti, amate i fratelli, temete Dio, rendete onore al Re ” E il re in quegli anni era Nerone.

Tali erano i princípi che D. Bosco praticava, e non ostante i molti contrasti che ebbe colle autorità civili, fu sempre ossequente in tutto ciò che non era contrario alla legge di Dio e della Chiesa. Presentandosi l'occasione raccomandava l'obbedienza e il rispetto ai governanti. Non lasciavasi mai sfuggire parola di disprezzo contro di loro, e imponeva a' suoi coadiutori lo stesso riguardo. Soleva invitare i Prefetti della città e i Sindaci a venire a visitare l'Oratorio e sempre li accoglieva con segni di grande rispetto.

Era sempre pronto a concorrere, per quanto le sue forze lo permettevano, al sollievo delle pubbliche sventure. Si prestava volentieri, quando vi era bisogno dell'opera sua in certi momenti, in servizio di personaggi costituiti in dignità, in quanto non si comprometteva la sua coscienza ed il suo carattere sacerdotale. Di ció ne fu più volte conscio D. Rua.

Faceva pregare pro regibus et omnibus qui in sublimitate sunt, ut quietam et tranquillam vitam agamus.

“ Mi lascino, ei diceva, in pace, perchè io possa lavorare e fare un po' di bene alla gioventù ”. E pregava pel suo augusto e leggittimo Sovrano, per la Reale Famiglia e per tutti quelli che erano al Governo, affinchè Iddio concedesse loro que' lumi e quella forza che si richieggono in chi presiede al pubblico bene.

Ma non entrava mai in questioni di confederazioni italiche, di interventi stranieri, di forma di governo. Esortava i chierici a non occuparsi di politica e non comparire mai in pubblico con giornali che ne trattassero: e osservava e faceva osservare altre simili giudiziose precauzioni. Usava grande cautela nelle stampe che uscivano sotto il suo nome, togliendo qualunque espressione che avesse potuto porgere motivo di malignare. E dava ragione di queste circospezioni. - Siamo in tempi molto difficili! Gli avversari hanno la spada alla mano e con un colpo possono toglierci la possibilità di fare del bene.

Tuttavia nè la sua leale sudditanza alle giuste leggi della sua patria, nè le misure necessarie prese da una saggia prudenza lo sottrassero ai colpi del partito settario. Era cosa notoria il suo grande ed illimitato attaccamento alla Santa Sede e quanto si adoperasse nel promuoverlo tra i fedeli. Perciò fu ritenuto come uno dei capi del partito cattolico e si temette che potesse imbarazzare i nuovi assalti che meditavansi contro il Papa. Di qui la guerra che gli fu dichiarata nel 1860, e D. Bosco potè giustamente ripetere al Signore le parole del salmo decimosesto: Propter verba labiorum tuorum ego custodivi vias duras.

Nell'animo di alcuni uomini del Governo, malgrado le sue belle opere che destavano ammirazione e gli avevano guadagnato il favore di molti così detti liberali, si erano ingenerati sospetti che nell'Oratorio esistesse un focolare di cospirazione ed un centro di attiva propaganda contro lo Stato. Certi nemici occulti e vili delatori, per entrare nelle grazie dei Ministri, sussurravano loro alle orecchie che D. Bosco teneva segreti e compromettenti relazioni coi Gesuiti, coll'Arcivescovo Mons. Fransoni, col Cardinale Antonelli, con Pio IX e persino coll'Austria allo scopo di seminare il malcontento tra il popolo e preparare una reazione contro il presente ordine della pubblica cosa. Credevano che D. Bosco tenesse continuamente informato il Papa degli avvenimenti, che dopo il 1848 sempre più si erano avvicendati per l'indipendenza d'Italia e che gli segnalasse, per così dire, le tappe che la rivoluzione faceva. Il Breve a lui diretto da Pio IX in data del 7 gennaio faceva supporre corrispondenze che osteggiassero il Governo.

Si giunse persino a dare ad intendere che nell'Oratorio vi era una camera piena di fucili, onde in data circostanza armare i giovani; ma evidentemente i delatori avevano presa la stanza delle pagnotte per quella delle armi.

Il Dottor Carlo Luigi Farini Ministro dell'Interno, promotore primario delle rivoluzioni italiane, nella sua ricca villa di Saluggia ove aveva sovente raccolti i suoi amici per cospirare, venne ripetutamente assicurato che nell'Oratorio di Valdocco esistevano prove della complicità di D. Bosco coi nemici dell'Italia.

Anche l'avversione al Papa faceva velo a suoi occhi, poichè stava scrivendo la quarta parte della sua storia sullo Stato Romano, calunniando il Papato e Pio IX, malignando sopra i fatti e sopra le intenzioni.

Diede quindi i suoi ordini alla polizia di sorvegliare D. Bosco. In altre circostanze l'Oratorio aveva già dovuto subire varie noie, come abbiamo veduto nei primi volumi delle nostre Memorie, ma allora provenivano da persone private, o municipali e le autorità del Regno sorgevano in aiuto di D. Bosco, come fece lo stesso Re Carlo Alberto. Tempo dopo era stato più volte chiamato ad audiendum verbum, ma la cosa erasi limitata a cortesi rimproveri ed a consigli. Ora tutto mutava d'aspetto, poichè entrava in campo contro l'Oratorio un nemico che rappresentava il Governo ed aveva in mano la forza.

   D. Bosco era venuto in qualche sospetto, perchè varie lettere di eccelsi personaggi non gli erano state recapitate. Il sequestrare le lettere alla posta era in quel tempo molto in voga, come lo ebbero a provare parecchi fatti; anzi in ogni dipartimento postale era persino stabilito un ufficio apposito detto di verificazione, fra le attribuzioni del quale, la più importante era quel  la appunto di verificare, se partivano o arrivavano lettere dirette a persone tenute, come si diceva, per nemiche del nuovo ordine di cose. E tutto ciò si faceva in barba dello Statuto e ad onore e gloria della libertà.

Intanto sul principio dell'anno D. Bosco era stato avvertito da persone intrigate nelle faccende politiche, come nelle loggie Massoniche fosse stata decisa la guerra contro di lui anche per impedirgli di proseguire in una missione così contraria alle bieche loro mire. Un alto impiegato addetto al Ministro degli Interni suo amico gli fece sapere come fosse decisa la chiusura dell'Oratorio; quindi si preparasse e cercasse di sventare il pericolo.

Un mese dopo dacchè gli erano pervenuti quegli avvisi, i giornali liberali cominciarono a scrivergli contro con grande accanimento. Con violenti invettive, calunnie e frasi triviali, sfolgoravano l'opera di D. Bosco come contraria alla libertà, all'indipendenza d'Italia e lui come nemico della patria e delle istituzioni che la reggevano. Descrivevano l'Oratorio come un covo di cospiratori assoldati dal Papa e chiedevano altamente che venisse chiuso.

Un giornalaccio scriveva come esistessero nella casa di D. Bosco colpevoli documenti; si cercassero a dovere si trovebbero. - Il Governo mandi colà uomini accorti spregiudicati, e verrà a scoprire le file della trama ordita, scriveva un altro portavoce della setta. - E la Gazzetta del Popolo per farla finita stampava: “ L'Oratorio di S. Francesco di Sales è il centro della reazione; il Ministero non riuscirà mai ad allontanare il pericolo che gli sovrasta, finchè lascia sussistere il coviglio di Valdocco ”.

Così formavasi l'opinione pubblica e preparavasi al Governo la strada, perchè senza troppa odiosità potesse fare il colpo che meditava. Con una improvvisa perquisizione nella casa dell'Oratorio si sperava di sorprendere qualche documento che potesse dare appiglio a sospetti e sul quale fabbricare un processo. La minima frase equivoca di una lettera doveva bastare. Si era sicuri di raggiungere lo scopo, poichè si voleva trovarlo colpevole a qualunque costo e o chiuderlo in prigione, o mandarlo a domicilio coatto.

L'opera dell'Oratorio che nel corso di 19 anni aveva costato tante sollecitudini, tante fatiche e sudori a D. Bosco e a suoi collaboratori correva adunque pericolo di essere distrutta come da un turbine. Rumoreggiava la minaccia di imprigionare quegli che provvedeva il pane ai ricoverati e loro procacciava un avvenire onorato; si temeva che venisse chiuso l'istituto, sbanditi tutti i giovanetti o gettandoli sopra una pubblica via o consegnandoli alle loro povere famiglie, troncando così a mezzo le loro speranze. E crescevano i timori per la chiusura in que' medesimi giorni di varie case di educazione, e per la prigionia di onesti personaggi dell'uno e dell'altro clero.

D. Bosco però senza turbarsi, come consta anche dalle narrazioni dei precedenti capitoli, attendeva l'intervento della Madonna.

Finalmente Farini dopo aver temporeggiato, comandò al Questore di procedere ad una visita fiscale nell'Oratorio.

Ma non fu egli solo responsabile delle vessazioni che soffrì l'Istituto; ebbe pure una parte di responsabilità il conte Camillo di Cavour. Era suo carattere: buone promesse, cortesie con tutti, e poi brutti fatti dietro alle spalle. Il decreto di perquisizione non venne firmato da lui, ma egli n'era consapevole, e come presidente del Ministero avrebbe potuto e dovuto impedirlo. Diciamo dovuto, perchè era persuaso che l'Oratorio non fosse quello che i calunniatori e i giornali dipingevano, perchè conosceva da molti anni D. Bosco, perchè aveva prove dell'indole pacifica e benefica di questa istituzione. Anzi, come già abbiamo narrato, nei primordii dell'Oratorio egli veniva nei giorni festivi ad intrattenersi coi giovani, discorreva con essi, si deliziava nell'osservarli in ricreazione. Che più? Prendeva parte alle loro sacre funzioni e solennità, e più di una volta intervenne alla processione in onore di S. Luigi Gonzaga, portando da una mano il cereo e dall'altra il libro, e cantando con noi l'inno: Infensus hostis gloriae in onore del Santo. Quante volte aveva obbligato D. Bosco ad andare a pranzo da lui accogliendolo con ogni più squisita  affabilità, passando la sera con lui in lunghe conversazioni e interrogandolo sull'Oratorio, sui giovani e sul sistema educativo! Malgrado di tutto ciò, egli ligio alle sette, permise le perquisizioni, e, come venne riferito in quei giorni a D. Bosco, si limitò a dire a' suoi colleghi: - In quanto a me, giudico inutile perquisire D. Bosco, perchè egli è più furbo di noi: o non si è compromesso, oppure a quest'ora ha già prese le sue precauzioni; tuttavia fate come credete.

A questa tirannica decisione aveva dato motivo una lettera di Mons. Luigi Fransoni da Lione indirizzata a D. Bosco, colla quale l'illustre esigliato lo avvertiva di aver fatto conto su di lui per un affare geloso, che gli stava sommamente a cuore, e col quale avrebbe reso un gran servizio all'Archidiocesi. Pregavalo perciò ad incaricarsi di far recapitare ai parroci una sua confidenziale lettera pastorale, nella quale dava loro certe norme necessarie sul modo di regolarsi in mezzo a tante lotte, che dovevano sostenere per la giustizia. Nello stesso tempo lo pregava ad indicargli il modo col quale potesse fargli con sicurezza pervenire quelle circolari, senza che vi fosse timore che cadessero in mano al Governo. Se avesse avute difficoltà o timore di compromettersi glielo facesse sapere. A tutti i modi lo favorisse di sollecita risposta.

La lettera non era giunta a destinazione. Dopo qualche tempo però fu consegnato a D. Bosco un biglietto dello stesso Arcivescovo, recatogli a mano da un amico, nel quale il Prelato lamentavasi non avergli D. Bosco risposto; e dicevasi non occorrere più nulla riguardo a quel servizio del quale era stato pregato, e che erasi rivolto ad altre persone, per far giungere al loro destino quelle istruzioni.

Solo qualche anno dopo D. Bosco potè conoscere questo nuovo segno di fiducia che gli aveva dato il suo Arcivescovo.

Ma come erasi sviata quella prima lettera? L'avevano riconosciuta e aperta alla posta e sequestrata per ordine del Ministero.

D. Bosco nulla sapendo di una tal cosa compromettente, stavasene tranquillo, quando tre giorni prima della perquisizione, la notte dal mercoledì al giovedì, fece un sogno il quale, comunque si voglia spiegare, gli tornò di gran vantaggio. Ecco come narra D. Bosco stesso:

“ Mi sembrò di vedere una schiera di malandrini entrare in mia camera, impadronirsi della mia persona, rovistare nelle carte, in ogni forziere, mettere sossopra ogni scritto.

” In quel momento un di loro con aspetto benevole assai ebbe a dirmi: - Perchè non avete allontanato il tale e tale scritto? Sareste contento che si trovassero quelle lettere dell'Arcivescovo, che potrebbero essere causa di male a voi e a lui? E quelle lettere di Roma, che quasi dimenticate, sono poste qui (e indicava i luoghi) e quelle altre là? Se le aveste tolte vi sareste liberato da ogni molestia. - Fattosi giorno, scherzando ho raccontato il sogno come lavoro di fantasia; ciò nulla di meno ho messo parecchie cose in ordine, ed alcuni scritti che potevano essere interpretati a mio danno li ho allontanati. Questi scritti erano alcune lettere confidenziali affatto estranee a politica o a cose di governo. Poteva però essere considerato come delitto ogni istruzione ricevuta dal Papa o dall'Arcivescovo sul modo di regolarsi i sacerdoti riguardo a certi dubbi di coscienza. Quando per tanto cominciarono le perquisizioni io aveva trasportato altrove tutto ciò che avesse potuto dare il minimo appiglio di relazioni o allusioni politiche nelle cose nostre”.

Questo è il motivo per cui scarseggiano certe carte autentiche dei primi tempi dell'Oratorio. D. Bosco dovette servirsi in questo trafugamento di alcuni suoi giovani più fidati, i quali in quella premura, non avendo bene intesi gli ordini, parte degli scritti bruciarono, parte nascosero, parte consegnarono in Torino a persone sicure. Perciò il maggior numero dei preziosi documenti, che riguardavano le relazioni colla Sede Apostolica, alcune lettere di Pio IX, le copie delle lettere di D. Bosco al Papa; la corrispondenza dal 1851 coll'Arcivescovo di Torino; il carteggio con uomini di Stato specialmente coi Ministri passati; le memorie e gli appunti sopra i sogni, che D. Bosco soleva scrivere e conservare per suo conforto; la narrazione di grazie concesse dalla Madonna, di fatti miracolosi e anche di azioni straordinarie dei giovani, come oggetti o di pericolo o di pura curiosità, andarono perduti. Non vi era tempo per fare una scelta giudiziosa. Varii di questi fogli da tempo li conservava presso di sè Giuseppe Buzzetti e senza badare ad altro li distrusse per la sicurezza di Don Bosco. Di alcuni fu dimenticato il nascondiglio e furono scoperti anni dopo sotto un trave della chiesa di S. Francesco.

Non deve però recar meraviglia, questo che si potrebbe dire improvvido sperpero, perchè il fatto dimostra come quella fretta fosse necessaria; e ciò che fece stupire Don Bosco si fu, che i persecutori cercarono e rovistarono specialmente in quei siti, dove prima erano tali carte, cioè i luoghi che nel sogno gli erano stati indicati.

Di questi dolorosi avvenimenti D. Bosco tenne memoria, come pure di altre perquisizioni avvenute tre anni dopo, facendo precedere al manoscritto una prefazione. Da alcune frasi di questa si può argomentare che egli volesse dare un maggiore sviluppo a quel suo lavoro e trattare delle condizioni nelle quali si trovava la Chiesa nell'Italia in genere e nel Piemonte in ispecie. Quindi esporre i varii motivi dell'astio settario contro il Papa e contro il clero a lui fedele e ossequente a quella antica legge di disciplina: Miles pro duce; Dux pro causa militat.

Tuttavia o non ebbe tempo a compiere la trattazione, ovvero mutato parere si restrinse alla pura narrazione dei fatti; e tenne per sè quel manoscritto dal quale noi ricaviamo quanto abbiamo esposto e siamo per esporre, aggiungendo alcune circostanze sapute dagli allievi di que' tempi e da lui ommesse.

Presentiamo al lettore la prefazione accennata, la quale porta il titolo: -Ragione di questo scritto.

Per appagare le molte richieste che mi vengono ripetute per conservare memoria di alcuni fatti del 186o, ho giudicato opportuno scrivere le principali cose successe nelle perquisizioni, che le autorità governative fecero nella casa di Valdocco.

La mia intenzione è di tessere un fedele racconto di quanto avvenne in quei momenti di prova: li esporrò letteralmente secondo verità, senza pretendere nè di assolvere, nè di condannare alcuno. Se mai in qualche cosa avessi sbagliato, o avessi proferito pensieri, opinioni, non quali si convengono ad un prete Cattolico, io intendo revocare tutto quello che in rapporto alla religione ivi possa trovarsi meritevole di biasimo.

Ho scritto per i miei figli Salesiani e spero che loro serviranno di norma e di ammonimento. Di norma. Qualora la Divina Provvidenza permettesse che talun nostro socio dovesse trovarsi in casi somiglianti, egli cerchi di poter parlare colle prime autorità. Io osservai che in certe misure odiose, prolungate a danno dei Cattolici, i Ministri vi entravano nell'ordinare le prime mosse, e poi non si curavano più che tanto di andare fino alle estreme conseguenze dei loro comandi. Erano quasi sempre i loro subalterni che spingevano oltre ogni misura le loro indegne vessazioni.

Questi sono sempre i più imbroglioni, ostentano zelo sperando di avanzarsi nella loro carriera: ad essi poco importa schiacciare un uomo: spesso travisano i fatti per dar prova di essere spregiudicati: vogliono aver lode di oculati: col pretesto che non sono essi che fecero le leggi o le ordinanze, si mostrano inflessibili e talora inurbani. Invece i Capi, sia perchè non hanno alcun superiore da rendergli conto della lor gestione, sia perchè han più nulla da sperare avendo tutto ottenuto, sia per la popolarità che desiderano e ambiscono per mantenersi al loro posto; l'amore della quiete necessaria per godere delle loro posizioni; talvolta il piacere di vedersi lodati e che si ricorra con fiducia alla lor lealtà più o meno vera; il pensare che un giorno potrebbero aver bisogno del supplicante o del ceto cui appartiene; l'educazione che hanno ricevuta, il buon nome e la stima che desiderano acquistarsi, l'umano rispetto, la naturale bontà, l'urbanità, fanno sì che si mostrano molto più umani, ragionevoli, arrendevoli dei loro subalterni: e quando la giustizia è evidente, si può sperare di ottenerla. Certamente che bisogna per amore di Gesù Cristo non aver paura delle umiliazioni.

Or dunque noi visitandoli e ragionando con essi guadagneremo assai pi√π con poche parole che non con molte pagine pulitamente e sapientemente scritte.

Seguendo questa regola si potrà dar ragione del nostro procedere sia nelle cose fatte, sia in quelle da farsi, poichè la spiegazione personale delle nostre buone intenzioni, diminuisce assai e spesso fa scomparire le sinistre idee, che nella mente di taluni possono essersi formate. Tal modo di fare è assai conciliante e ben sovente rende benevoli gli avversari. E ciò non è altro che quanto raccomanda lo Spirito Santo: Responsio mollis frangit iram.

 

In secondo luogo servano di ammonimento a tenerci strettamente alieni dalla politica anche quando si presenta con ispecie di bene. Ma ad ogni evento, ad ogni difficile incontro si ricorra alla preghiera, si facciano in cuore frequenti giaculatorie, per ottenere da Dio lumi e grazia, e poi si esponga con franchezza la verità e si risponda alle autorità con rispetto, ma con chiarezza e con fermezza ad ogni loro domanda. Anzi quando si ha facoltà di parlare se ne approfitti per portare il discorso sopra quelle cose che possono giustificare le nostre azioni. Nel parlare poi con persone del secolo bisogna accennare di volo i motivi religiosi e rilevare preferibilmente l'onestà delle azioni e delle persone e le opere che il mondo chiama filantropia, ma che la nostra santa Religione appella Carità.

Dio ci aiuti a superare le difficoltà che purtroppo sono inevitabili in questo mondo, il quale come dice il Vangelo, è tutto posto nella malignità. Mundus in maligno positus est totus. La Santa Vergine ci ottenga dal suo Divin Figliuolo di aver giorni di pace nel tempo, affinchè possiamo amare e servire Dio in terra e andare un giorno per sempre nella beata eternità. Così sia.

Era l'anno 1860. Gli avvenimenti politici agitavano tutta Europa e l'Italia ne era il centro. Un partito o meglio una fazione sotto il nome di liberali democratici, o semplicemente di Italiani, aveva promosso lo spirito di rivoluzione, cominciando dalla Reggia dei Sovrani fino al tugurio del rozzo contadino e del povero artigiano. Soppresse le corporazioni religiose dell'uno dell'altro sesso, messo in non cale ogni legge della Chiesa e l'autorità del medesimo Pontefice, abolito il foro Ecclesiastico, incamerati i beni delle Collegiate, dei Seminarii e delle mense Vescovili, furono anche invasi nella maggior parte gli Stati della S. Sede. I reggitori delle cose pubbliche, per incutere terrore a tutti e far vedere che temevano nessuno, diedero principio ai domicilii coatti ed alle perquisizioni.

Coloro che fossero caduti in sospetto di essere contrarii alla loro politica per lo più erano messi in prigione o mandati a domicilio coatto, cioè condannati all'esiglio in luoghi determinati per tutto quel tempo che fosse piaciuto all'autorità governativa di stabilire. Ciò si faceva senza che l'imputato fosse ascoltato, o potesse far valere la sua innocenza o le sue ragioni.

Generalmente al domicilio coatto precedeva la perquisizione che era una specie di assassinio legale. Col finto manto della legalità, il fisco faceva una visita nelle case di quei cittadini che qualche delatore avesse denunziati colpevoli, che è quanto dire di non essere rivoluzionari. Il fisco in quelle occasioni doveva fare le più minute indagini a fine di scoprire o lettere, o progetti, o qualsiasi scritto contro il Governo, che solevasi chiamare corpo del delitto.

Undici volte la nostra casa fu onorata da queste visite domiciliari. Io ne esporrò una, da cui se ne può arguire il tenore delle altre.

Ma la fortezza di D. Bosco trionfò di tutte. “ Un legamento di travi, si legge nell'Ecclesiastico al capo XXII, unite insieme nel fondamento di un edifizio non si scompagina, così un cuore appoggiato a ben pensato consiglio. Le risoluzioni dell'uomo sensato non saranno alterate dal timore in nessun tempo: .... Colui che sta saldo ne' comandamenti di Dio è sempre senza timore ”.

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