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Capitolo 41

Le ferie del Carnovale - Tre lettere di Don Bosco a Don Rua: I) Non Permette che si dia cosa alla stampa senza licenza: abbia cura della sanità: II) Usi grandi riguardi ad una bene fattrice: le ferie hanno interrotti gli affari; Dio ci aiuterà nelle strettezze finanziarie: III) Le difficoltà per l'approvazione della Pia Società sono appianate: lo assicura della guarigione di un chierico gravemente ammalato ‚Äì Visita alla tomba di S. Pietro - Risposta ad un signore offeso perchè la sua guarigione, ottenuta dalla Madonna, non era stata attribuita al suo medico - Non trova confessori in una Chiesa in giorno festivo, e rimprovera il Superiore per una risposta inopportuna - Predice che gli italiani entreranno in Roma e la longevità di Pio IX - Celebra a S. Rufina - Il Papa gli accorda una seconda udienza e gli manda la sua carrozza: gli offre la casa di S. Caio in Roma per uno studentato di scienze sacre: gli promette indulgenze per l'Associazione dei divoti di Maria Ausiliatrice: gli concede onorificenze per alcuni ecclesiastici - Il Carnovale di Torino e la fiera di Gianduia; i giovani dell'Oratorio vi prendono parte con un banco di beneficenza - Il Carnovale in Valdocco - I primi due defunti predetti da Don Bosco - La Contessa di Camburzano applaude alla fiera di Gianduja - Don Francesia dà notizie del Carnovale alla Presidente di Tor de' Specchi.


Capitolo 41

da Memorie Biografiche

del 05 dicembre 2006

Sopraggiunsero le ferie del Carnevale, si chiusero gli uffizi ecclesiastici e civili, e Don Bosco poté respirare alquanto e occuparsi con più agio delle cose dell'Oratorio che non perdeva mai di vista. Scriveva più lettere a Don Rua, dal quale era continuamente informato sull'andamento delle case.

 

 

I.

 

Carissimo Don Rua,

 

Per motivi particolari da' ordine che si sospenda la stampa del vocabolario latino fino al mio ritorno. Dirai poi a Buzzetti, ed ad altri che abbiano ingerenza nella tipografia, che per l'avvenire non voglio più che stampisi cosa alcuna senza mio consenso, oppure che tu ne abbia ricevuto facoltà ad hoc.

Credo però bene che potendolo tu faccia una conferenza insistendo sulla necessità dell'obbedienza di fatti e non di parole, e notando che non sarà mai buono a comandare chi non è capace di ubbidire.

Abbi cura della sanità, riposa liberamente, sta' attento ai cibi che ti possono esser nocivi; fino alla metà di febbraio sospendi il mattutino e limitati alle ore, vespro, compieta, ma ripartiti.

Tuo aff.mo amico

Sac. GIOVANNI Bosco.

 

 

Roma, 31 gennaio 1869.

 

 

II.

 

Carissimo Don Rua,

 

Non so se la Bertinetti defunta sia la sorella o la moglie del fu Carlo; in qualunque caso dite alla Damigella Braia che abbia pazienza, si metta alla testa degli affari e faccia in modo che nulla manchi alla vivente. In quanto alle persone di servizio provveda quanto e necessario. Le vacanze hanno interrotto gli affari ed io debbo differire la mia dimora in Roma. Presto vi manderò qualche soldo. Continuate a pregare.

Aff.mo nel Signore

Sac. Gio. Bosco.

 

P. S. Don Rua vada nella mia camera, apra il cancello dei mio tavolino ordinario e troverà un piego col mio indirizzo in cui vi sono dei vaglia, delle cedole pontificie, portate dal P. Gregorio di S. Teresa.

Preghi la marchesa Fassati di affidare tal piego alla Duchessa di Montmorency, che me lo porti. Se in ciò vi sono difficoltà, lo mandi per la posta a Roma.

 

III.

 

Carissimo Don Rua,

 

Facciamoci coraggio, Dio ci aiuterà. Avrai già ricevuto lettera per andare ad esigere 2000 franchi e vedrò quello che potrò fare: spero di non andare a casa colle mani vuote.

Da Lanzo Sala mi aveva sfatto sperare tremila franchi per la metà di questo mese; duemila debbono eziandio venir da Milano, di che parlane a Don Savio.

Le ferie di Carnovale hanno interrotte le mie imprese; venerdì (21) ogni cosa sarà in movimento. Forse gravi difficoltà in tutto, ma si possono dire tutte appianate con esito molto superiore alla nostra aspettazione. Ma silenzio e preghiera. Fino all'epoca accennata non posso fissare il giorno di mia venuta a casa.

So che avete molto da fare, ma bada, prima di ogni cosa, alla tua sanità e a quella degli altri.

Di' a Magna, a Nona, a madama Gianelli, che il Santo Padre manda loro una speciale benedizione con indulgenza plenaria.

Di' al Conte Viancino che desidero, come lo prego, di differire la festa di S. Francesco di Sales fino al mio ritorno, e che fra breve gli scriverò. L'ultimo giorno di carnevale dirò Messa pel Ch. Barberis, gli darò la benedizione, ed in una numerosa casa di educazione faranno la santa Comunione per lui; abbia fede e poi, velit, nolit, dovrà guarire.

In quanto alle cose di Chieri si faccia quanto si può per lasciarle tranquille colla damigella Braja segretaria. Giunto in Torino tratteremo di ogni cosa.

Di' a Berto che avrà molto da scrivere e che, se non fosse stato occupato, gli darei da fare.

Saluta tutti; io prego per loro e lavoro per loro tutti. Dio ci benedica e ci aiuti a fare in tutto e per tutto la santa volontà del Signore. Amen.

 

Roma, Morlupo, 3 febbraio 1869.

Aff.mo in G. C.

Sac. Gio. Bosco.

 

P. S. Fra breve scriverò a Don Francesia.

 

In quei giorni Don Bosco recavasi a celebrare e a pregare come faceva sempre andando a Roma, sulla tomba di S. Pietro, verso la quale sentivasi attratto da un affetto ardentissimo. Nelle nostre cronache non se ne fa che un cenno; ma poichè abbiamo avuto, non è molto, un prezioso documento circa tale suo atto di ossequio ai Principi degli Apostoli, sebbene riguardi il 1867, non avendolo conosciuto allora, lo trascriviamo qui volentieri, come prova della fama che già godeva il Servo di Dio.

 

Nel Diario della Basilica Vaticana dal 1866 al 1869 (Archivio della stessa Basilica) si trova registrato quanto appresso.

Martedì 22 gennaio 1867: il R. sig. Don Giovanni Bosco Sacerdote di Torino, venuto testé in Roma, celebrò la santa Messa nelle S. Grotte all'altare dei SS. Apostoli Pietro e Paolo. A questo Sacerdote, fondatore nella sua patria di un pio istituto di carità, che reggesi e governa colle spontanee oblazioni dei fedeli, il quale gode universalmente fama di provata santità, non discompagnata talvolta, come dicesi, da prodigi e predizioni dell'avvenire, si presentavano tre individui della Basilica, cioè Luca Bassi chierico accolito della Sagrestia, Filippo Boccanera Sampietrino, custode della medesima Sagrestia e Mariano Bissi, custode di chiesa, per essere liberati da epilessia, dolori reumatici e febbri inveterate; e su tutti fece orazione nella cappella della Sagrestia canonicale, esortandoli a confidare in Dio col mezzo dell'orazione e ad uniformarsi alla sua santissima volontà ”.

 

Ita est: Mons. G. CASCIOLI

Custode dell'Archivio Sudetto.

 

Nel 1867 un nobile signore era stato guarito da Maria Ausiliatrice. Don Bosco ne fece pubblicare una relazione e quegli ne rimase offeso. Diceva: - Il mio medico si sarebbe fatto un onore immortale, e colla vostra pubblicazione ne avete offesa la fama. - E se l'era presa contro Don Bosco, di cui parlava in modo furibondo. Don Bosco e costui furono da un altro signore invitati a pranzo: e avvenne che questi, come aveva combinato prima, li mise vicini. L'amico stava sostenuto. Uno dei convitati, a bello studio, cominciò a interrogare Don Bosco intorno alle guarigioni ottenute per intercessione di Maria Ausiliatrice. Il Servo di Dio rispose che era grande davvero la bontà della Madonna, e grande la riconoscenza dei beneficati; ma che vi erano anche alcuni, i quali, mentre erano ammalati, promettevano mille cose, e poi quando erano guariti, trovavano mille pretesti per sottrarsi all'obbligazione: - Era il medico.... la medicina..., la costituzione..., una crisi... tutto! fuorchè la Madonna. – E conchiuse: - Forse che anche il medico, la medicina, le cause fisiche, e via discorrendo, non sono in mano di Dio? - L'altro ascoltava senza batter palpebra. In ultimo incominciò a parlare con Don Bosco e ne divenne così amico, che non cessava di discorrere e non sapeva distaccarsi da lui.

Don Bosco era stato invitato pel 2 febbraio dal Superiore di un Ordine insigne, alla festa solenne ed al pranzo. Entra in chiesa a mattino avanzato, va in sagrestia e desiderando di riconciliarsi prima di celebrare la messa: - Ci sarebbe un sacerdote? chiede al sagrestano. Vorrei confessarmi.

 - Non c'è - gli fu risposto.

 - Non si confessa oggi? Non v'è il Superiore?

 - Sì, c'è.

Domandò di parlargli: e fu condotto in una sala che metteva in una stanza, ove il reverendissimo stava giuocando al bigliardo con alcuni suoi amici. Saputo che si chiedeva di lui, gli fece domandare che cosa volesse.

E Don Bosco: - Ditegli che vorrei riconciliarmi.

E quegli, aperta alquanto la porta, si affacciò, guardò il prete e con voce alterata:

 - Ma lei non sa che io non confesso?

 - Ma allora chi è che confessa?

 - Tra noi confessano solamente quelli che non son buoni a far altro.

Don Bosco discese in sagrestia e quivi trovò un religioso, suo grande amico, da cui aveva ricevuto l'invito, l'unico che conoscesse in quel luogo, il quale gli fece mille feste, e Don Bosco poté confessarsi.

Detta la Santa Messa fu presentato al Superiore, il quale non lo conosceva personalmente, e il Servo di Dio gli si diede a conoscere; e dolcemente rammaricandosi con lui: Ah, signor Abate, gli disse, possibile! un povero prete voleva riconciliarsi e non poteva trovare un confessore in una delle più grandi solennità. In chiesa non c'era alcuno: domandai del P. Abate, mi si rispose, che l'Abate non confessa. Chi è dunque che confessa? io chiesi: e udii queste parole veramente strane: - Tra noi confessano solamente quelli che non son buoni a far altro!

 - Ah sig. Don Bosco, scusi un poco, io non la conosceva. Ho torto: la prego solamente di non dir ciò al Santo Padre.

 - Non dirò nulla, ma Ella non profferisca mai più quelle parole: Tra noi confessano solamente quelli che non son buoni a far altro. Anzi le dirò: scelga per confessare i religiosi più istruiti, persone di esperienza, perchè questa è la parte più delicata del Sacro Ministero.

Più d'uno de' suoi tanti confidenti desiderava conoscere le sorti future di Roma, e di Pio IX, e del potere temporale dei Papi. Don Bosco disse che nel 1871 Pio IX avrebbe celebrato il suo giubileo Pontificale e assicurò che avrebbe oltrepassato gli anni di S. Pietro. Interrogato sugli avvenimenti politici, si schermì dal rispondere direttamente, ma accennò come Napoleone avrebbe abbandonato Roma, ritirandone il presidio francese, e predisse pure chiaramente la presa di Roma.

Il 9 gennaio 1874 D. Gioachino Berto lo accompagnava per Roma, quando s'incontrò con un buon signore il quale fra le altre cose disse a Don Bosco: - Io non voleva credere che gli Italiani sarebbero entrati in Roma. Il P. Verda era del mio parere. Ma appena nel 187o entrò l'esercito di Vittorio Emanuele ricordai le parole che ella m'aveva detto un anno prima: cioè che gli italiani sarebbero certamente entrati.

Don Bosco si recò anche, in qualche Istituto.

 

 

Signor Cavaliere stimatissimo,

 

... Le do ottime notizie del nostro Don Bosco. Questa mattina sono stato a prenderlo e l'ho condotto a S. Rufina dove ha detto la Messa alle figlie di Maria, fatto un bel fervorino prima della Comunione che è stata assai numerosa. Dopo la colazione siamo tutte state a baciargli la mano, indi ha fatto un bel discorso alle educande. Abbiamo avuto una mattinata carissima, e Don Bosco ha detto che gli è stata di consolazione...

 

CORNELIA V. MILLINGEN.

 

Ma era fermo nel suo proposito di rimanere nascosto più che gli era possibile. Il Conte Scipione Conestabile della Staffa il 7 febbraio scriveva allo stesso, lamentandosi: “ La Contessa Millingen la saluta. Don Bosco sta bene: non l'ho veduto che una sola volta! ”

Quel giorno, domenica di Quinquagesima, Don Bosco era aspettato in Vaticano e vi andò in gran gala. Egli stesso, paternamente e per mostrare la bontà di Pio IX, narrò il caro episodio nell'accennata conferenza ai Salesiani dell'Oratorio.

“ Avvicinandosi l'ora fissata per l'udienza, Pio IX, chiamati i servi, disse: - Don Bosco non ha la carrozza; andate a prenderlo colla mia. - E la carrozza del Papa partì. I servi del Papa scesero alla casa ove stava e mi invitarono a salire. Entrai. Immaginatevi: Una carrozza ove sarebbero state benissimo quattordici persone, tutta ricoperta di seta e frange, con entro Don Bosco! Andai all'udienza e, finita questa, la stessa carrozza m'aspettava. Mi domandarono dove voleva andare. - Casa Vitelleschi. - Ordine del Papa che ve la conduciamo. - Salii in vettura, e là giunti: - Abbiamo ordine del Papa di aspettarla e ricondurla a casa. - Se non che saputo da me che ivi doveva fermarmi molto tempo, si arresero a tornare indietro ”.

Questa udienza cagionò grande consolazione a Don Bosco. Pio IX, appena lo vide, gli disse:

 - Don Bosco! vi pregherei di un piacere. Vorreste aprire a Roma uno studentato, e un oratorio come a Torino?

 - Oh! Santo Padre; era proprio questa la mia idea; mi ha tolto la parola di bocca.

 - Ebbene, andate a S. Cajo: qui, presso il Monastero dell'Incarnazione, vi è un locale: osservate se fa per voi e intanto vedete, se è cosa facile accordarvi col proprietario.

E con premurosa bontà il S. Padre continuò a dirgli che se potevasi conchiudere questa compra, desiderava che di quello stesso anno vi si stabilisse un certo numero di preti e chierici Salesiani mandati da Torino, per studiare alla Minerva e alla Gregoriana, Filosofia e Teologia. Presa la laurea ritornerebbero all'Oratorio per insegnare. Le pretese dell'Arcivescovo di Torino sarebbero cessate, e il Papa stesso, per mezzo del suo Vicario, avrebbe conferiti gli Ordini Sacri ai figli di Don Bosco!

Il Venerabile accettò con riconoscenza quella proposta e dopo un lungo ragionare sullo stato della Pia Società, espose al Santo Padre il vivo desiderio di molti fedeli che fosse eretta canonicamente nella Chiesa di Maria SS. Ausiliatrice una Confraternita. Gli disse avrebbe presentati gli Statuti all'Arcivescovo di Torino e lo avrebbe pregato dell'erezione canonica: ed ora supplicava il S. Padre ad arricchire quell'Opera con varie indulgenze. Il Papa volentieri annuì.

Gli presentò ancora domanda di onorificenze per alcuni insigni ecclesiastici e il Papa accolse anche una tal supplica benevolmente.

In fine Pio IX gli donò una cassetta piena di crocifissi, ai quali aveva annessi 400 giorni d'indulgenza per ogni volta che si fossero baciati, o si fossero fatti baciare da altri.

Don Bosco salì al Quirinale per visitare S. Cajo. Il luogo indicato dal Papa apparteneva al Monastero dell'Incarnazione, detto delle Barberine, perchè fondazione dell'Eccellentissima Casa Barberini, che ne aveva il Patronato. Consisteva in due grandi corpi di fabbrica, uno dei quali, vuoto da tempo, era conveniente all'opera di Don Bosco. Annessa aveva la chiesa e un campo vastissimo, ove potevansi innalzare altri edifizi.

Di quei giorni il Municipio di Torino aveva permesso agli Istituti di beneficenza di porre in piazza Castello un loro banco per vendere, negli ultimi giorni di Carnevale, quanto avessero creduto meglio a vantaggio dei loro ricoverati,

Don Bosco era stato l'ispiratore di questa idea. Il Carnevale di Torino era a que' tempi il più decoroso, tranquillo, e sollazzevole di tutta l'Italia. Un'apposita Commissione che aveva i pieni poteri e la gendarmeria ai suoi comandi, vegliava per l'ordine la moralità e il rispetto ad ogni ceto di persone.

Don Bosco, prima di partire per Roma, visti i bisogni particolari dell'Oratorio, aveva detto ai suoi di casa, come studiasse il modo di prender parte alla fiera del Carnevale. Diedero tutti un oh! di meraviglia e, quasi scandolezzati:

 - Al Carnevale? I figli dell'Oratorio?

 - Sì, sì; ci andremo, ma in modo da non prenderne i pazzi costumi. Ci andremo da pari nostri, per obbligare lui a venire dove siamo noi.

Erano avanzati molti oggetti dell'ultima lotteria e con questi il Venerabile aveva pensato di far qualche cosa, mentre i buoni Torinesi, invitati, andarono a gara per mandargliene degli altri. Incaricò il Cav. Oreglia di questa faccenda ed egli partiva per Roma.

Il Cavaliere preparò il suo banco, composto di varie tavole ornate decorosamente, sopra un largo palco, dietro le torri di Piazza Castello, in prospetto di via Po. Nello stesso tempo inviava una leggiadra poesia piemontese ai suoi conoscenti ed amici, perchè accorressero ad ammirare il suo banco ed a comprare.

Varii di questi inviti li spedì anche a Roma.

 

 

Roma, 1° febbraio 1869.

 

Carissimo di S. Stefano,

 

Può lei immaginarsi più che io descrivergli, quanta gola mi faccia il suo invito: cosa non pagherei per vedere lei al banco vendere e fare allegria. Ma bisogna fare un fioretto alla Madonna SS. di ciò. Don Bosco ci spiegò in casa Isabella il suo bellissimo invito, giacché, essendo piemontese, nulla capivamo: esso pure rideva nel leggerlo...

Don Bosco è stato a dire la messa nella cappella di Mamà; io con esso ho avuto un colloquio in casa di Isabella. Speriamo che la Madonna SS. ci usi misericordia e specialmente illumini i miei fratelli...

CLOTILDE.

 

Il banco del Cavaliere riuscì uno dei più belli e meglio forniti, specialmente di libri. La musica dell'Oratorio, per la quale il Maestro De - Vecchi aveva scritta un'apposita polka fantastica, intitolata la Fiera di Gianduja, attirava un gran numero di persone. I giovani musici erano in costume giallo di dominò e tra essi primeggiava il cavaliere Oreglia, che, vestito da Gianduja, ne sosteneva magnificamente la parte, e con versi in dialetto, lepidi, arguti, corretti, invitava il popolo al suo banco. Tutta la nobiltà di Torino accorreva per udirlo ed egli spacciava a caro prezzo le sue mercanzie.

Vi si recò pure il Principe Amedeo, il quale, dopo aver stretto amichevolmente la mano a Gianduja, gli lasciò la graziosa somma di 100 lire.

 - E che cosa ne farai Gianduja? gli disse il Principe.

 - Altezza, la dividerò tra i miei amici, che sono i poveri, e poi tutti insieme pregheremo per la conservazione di Vostra Altezza.

 - Bravo Gianduja!

Quando il Cavaliere, dopo aver raccontate le cose più amene di questo mondo, faceva riposare i suoi polmoni, i musici davano fiato ai loro strumenti, eseguendo pezzi di celebri maestri: ma ad ogni pezzo si gridava dalla moltitudine: La polka di Don Bosco! la polka di Don Bosco! - e la musica doveva appagare il comun desiderio. Così era stata chiamata la fantasia musicale del De - Vecchi, eseguita con istrumenti, improvvisati in gran parte e in strane fogge per quella circostanza, che producevano un piacevole effetto. La medesima composizione comparve allora stampata in ogni repertorio musicale.

Per tre giorni, il banco entusiasmò anche i Sacerdoti ed i religiosi che numerosi vi accorrevano. Furono giorni di divertimento onesto, benefico, cristiano. Così si verificò ancora una volta ciò che spesso diceva Don Bosco:

 - Ho sempre fatto di tutto, per far vedere che uno si può divertire, salva la legge di Dio.

Mentre in città si agitava il gran tafferuglio del Carnevale, non meno allegri e svariati divertimenti animavano i giovani in Valdocco. Nell'ultimo giorno, colla Comunione generale si suffragarono le anime del Purgatorio, e si pregava per que' compagni che Dio avrebbe chiamati all'eternità. A due specialmente giovarono queste preghiere.

Troviamo in una nostra memoria e in un registro dell'Oratorio: “Ferrero Bartolomeo, di Michele, nativo di Villafranca Piemonte, studente di III ginnasiale, il 1° gennaio 1869 parte dall'Oratorio gravemente ammalato, e muore presso i suoi parenti. ” Non è indicato né il luogo né il giorno della morte. Con tutta possibilità è quello sognato da Don Bosco il 30 ottobre 1868.

Del secondo è scritto: “ Oriali Angelo, di Tommaso, da Castelletto Ticino, l'8 febbraio 1869 parte convalescente, e muore a casa sua ”.

Sono i primi due de' sei predetti da Don Bosco.

L'aver l'Oratorio, coi suoi giovani, preso parte al Carnevale dava motivo alla seguente lettera diretta al Cavaliere, la quale si può dire l'espressione dell'opinione pubblica dei Torinesi.

 

 

Fossano, 12 febbraio 1869.

 

Signor Cavaliere,

 

... Una signora, venendo da Torino, mi raccontò un nuovo prodigio di carità, una di quelle invenzioni di cui i servi di Dio come i Belzunce di Marsiglia e i Bosco di Torino sanno soli farsi autori. Già mi ha inteso. Dirgli la mia ammirazione per questo ritrovato di Gianduja e suo seguito, sarebbe difficil cosa.

Mi pare che un tratto di questo genere sia più eloquente di molte pagine morali, per far conoscere ed amare una Religione che sa adattarsi così bene all'uomo, rendersi umile ed amabile ai grandi e ai piccoli e tutto accetta quello che può giovare al povero e sovvenire ai suoi bisogni.

Contessa ALESSI di CAMBURZANO.

 

A Roma si desideravano notizie e le domandava la Presidente de' Tor de' Specchi.

 

15 febbraio 1869.

 

Signor Cavaliere,

 

Ieri Don Bosco venne qui per la seconda volta a farmi visita e lo trovai benissimo ed allegro. Domani, martedì, verrà a celebrare la Messa della Comunità, ci farà un fervorino e ci comunicherà. Immagini la consolazione mia e di tutte.

Ho saputo che Don Bosco nella settimana testé finita fu nuovamente da Sua Santità per due ore e che gli dette dimostrazioni di stima e di affetto.

Quando lei scriverà riguardo alla fiera? Ieri Don Bosco diceva: Nulla si sa fin qui della fiera e pure sono parecchi giorni che terminò il carnevale! - Io presi le sue parti dicendo che oltre un po' di riposo Lei doveva togliere i banchi, dar sesto a tutto. Scriva dunque presto. Il mio negozio va bene.

M. MADDALENA GALLEFFI.

 

Il 18 febbraio Don Francesia mandava notizie della fiera alla Madre Galleffi.

 

.....Il Cavaliere è andato a riposarsi della sua fiera, ove fece meravigliosa riuscita. Si ricavò due mila franchi senza le spese, che è minima cosa, ma in paragone di altri fu molto. I nostri oggetti erano troppo belli e preziosi e non da carnevale, e si smerciarono poco. Fecesi però bella comparsa. La fiera era, si può dire, tutta attorno al nostro banco, e la musica e Gianduia erano gli oggetti di gradito passatempo. Anzi il Cav. fu creduto e credesi tuttora che fosse un prete, tanto erano moderate, giuste, buone le sue facezie. Più d'uno ebbe la pazienza di ascoltare dalla mattina alle 11 fino alla mezzanotte. In Torino non si parlava di altro che del banco di Don Bosco, ove alcuni che conoscono niente Don Bosco che di nome, si pensavano che fosse egli che la facesse da Gianduia. Glielo dica che i Sant'Antonii così non sono ancora morti tutti. È però vero che il Gianduia di Don Bosco ha fatto epoca, ha predicato la morale in giorni di empietà, ed insegnato che si può essere allegri senza offendere il Signore. Al nostro banco venne pure il Principe Amedeo, sentì la musica e lasciò 100 franchi per la casa .....

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