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Capitolo 44

Don Bosco modello per fortezza di carattere - Soppressione del Collegio di S. Primitivo - I giornali contro gli ordini religiosi insegnanti - Traccia di lettere mandate da D. Bosco ai Ministri dell'Interno e dell'Istruzione pubblica in sua giustificazione - Il dolce dall'amaro - Stima dei giovani per D. Bosco guida dei loro studii - D. Bosco collabora nel formare la carta geografica postale del regno La festa di S. Giovanni - Felice esame de' chierici in Seminario - Splendidi esami di ammissione all'Universit√° degli insegnanti nell'Oratorio.


Capitolo 44

da Memorie Biografiche

del 01 dicembre 2006

 Da quanto abbiamo fin qui raccontato apparisce quale sia stata la fortezza di D. Bosco nel sostenere in tutta la sua vita tante batoste, ed era così evidente da essere apprezzata anche dalle persone del mondo profano. “ Mi ricordo sempre, scrisse D. Cerruti Francesco, come il mio Professore di Rettorica, D. Matteo Picco, proponesse un giorno D. Bosco a tutta la sua scolaresca quale modello di fortezza, mentre ci esponeva la storia antica di Roma. E questa lode gli venne data anche da altri illustri personaggi. Ad esempio l'Alfani nel suo libro Battaglie e Vittorie ha un capo su D. Bosco e lo presenta come modello per fortezza di carattere ”.

Egli in verità non si era mai lasciato nè vincere, nè smuovere dalle opinioni correnti del giorno, si era fatto un piano di azione fin dal principio del suo apostolato, lo aveva seguito nei tempi di vertigine liberale e lo continuava anche quando tutto minacciava travolgimenti repentini.

In quanto alle sue opere era solito a dire: - Quando io incontro una difficoltà, sia pure delle più grandi, faccio come colui che andando per la strada ad un punto la trova sbarrata da un grosso macigno. Se non posso levarlo di mezzo ci monto sopra, o per un sentiero più lungo vi giro attorno. Oppure lasciata imperfetta l'impresa incominciata, per non perdere inutilmente il tempo nell'aspettare, dà su­bito mano ad altro. Non perdo però mai di vista l'opera pri­mitiva interrotta. Intanto col tempo le nespole maturano, gli uomini cangiano, le difficoltà si appianano. -

Questa costanza, che ha per fine la gloria di Dio, è propria solamente dei santi e il nostro Venerabile raggiungeva la mèta, perchè il suo spirito di sacrifizio non temeva gli incomodi, le fatiche e le umiliazioni; la sua anima generosa non si spaventava, mentre un timido ne avrebbe avuto ben donde in questi giorni.

Infatti in Torino accadeva un deplorevole avvenimento.

Il 16 giugno la Gazzetta ufficiale aveva pubblicato un de­creto del Ministro Amari, col quale veniva chiuso il floridissimo Collegio Convitto dei Fratelli della Dottrina Cri­stiana intitolato da S. Primitivo. Non si adduceva altra cau­sa se non il parere del Consiglio provinciale scolastico e dei Consiglio superiore di pubblica istruzione. Da molti anni si erano poste in opera ogni sorta di macchine per sterminare da Torino i Fratelli. Più inquisizioni  avviate a loro carico, riuscirono tutte a porne vie meglio in luce il merito e la virtù. Ma la perizia nell'istruire cristianamente la gioventù, indiriz­zata agli studii appropriati alle arti ed all'industria, merita­va tutto l'odio dei nemici della Chiesa.

Tornato vano ogni espediente, si ricorse a quello che suoi tornare sempre efficace, cioè ad accuse infami. Centinaia di famiglie degli alunni protestarono in favore degli imputati.

Vi fu processo e alcune condanne. Ma il vero motivo era che l'ottima riuscita dei giovanetti nel Collegio dava gran fa­stidio ai moralisti della Gazzetta del Popolo e tornava di peso intollerabile a coloro, che volevano della pubblica istruzione fare un monopolio del Governo: e il Diritto nel numero 164,

dopo larga lode al provvedimento contro il Collegio di S. Primitivo, stampava: “ So da qualche parte bisogna intrapren­dere la conquista di Roma, incominciamo dal toglierle la mente e l'anima dei nostri figliuoli. Noi domandiamo la soppressione degli ordini religiosi insegnanti ”. Si volevano escludere gli ecclesiastici dall'insegnamento, per impedire che i giovani fossero allevati secondo la fede e la morale cattolica, poichè la ragione del Diritto tanto valeva per i buoni preti quanto pei religiosi.

D. Bosco adunque, benchè superata l'ultima trama de' suoi avversarii, per assicurarsi sempre meglio la benevolenza del Ministro Amari e del Ministro Peruzzi, col quale pure aveva avuto un abboccamento scriveva al primo una lettera, al secondo un promemoria. Di questi due scritti non ci rimasero che traccie non finite e non corrette, ma noi crediamo bene di riprodurle, perchè si abbia un argomento di più intorno al modo col quale D. Bosco sapeva produrre sue difese in tempi così disastrosi per i buoni; all'arte colla quale confutava i suoi accusatori; alla tattica che usava per schivare certe questioni e non urtare in qualche scoglio.

Esponiamo adunque pel primo l'abbozzo del promemoria mandato al Ministro dell'Interno Peruzzi.

 

Eccellenza,

 

Sebbene io riposi tranquillo sopra quanto V. S. Illma. mi disse, cioè che occorrendo qualche osservazione a farsi su questa Casa, l'avrebbe senz'altro fatta a me stesso; tuttavia avendomi Ella parlato di alcune relazioni malevoli a Lei presentate e ciò avendo avuto qualche pubblicità ne' giornali, credo bene di notare qui alcune voci che vaghe e senza fondamento, giunsero a preoccupare il Provveditore degli studii, il Ministro della Pubblica Istruzione e la stessa V. S. Esporrò le dicerie e loro darò risposta.

I° Gli studii e lo spirito dei nostri chierici non è in armonia colle attuali istituzioni governative.

R. I trattati, studii e disciplina dei chierici è quella stessa della diocesi e i nostri chierici frequentano regolarmente le scuole del Seminario Torinese ad eccezione di alcune istruzioni scientifiche, le quali, non potendosi avere in Seminario, vanno a riceverle nella nostra Regia Università. Credo che in ciò non vi sarà alcuna cosa da riprovare.

2° Non vi è l'immagine del Re.

R. Io potrei dire che non v'è nè manco quella del Papa e del Vescovo: potrei anche dire, non v'è alcuna legge che comandi o consigli tale cosa. Ma io posso dire e dico che questa seconda diceria è totalmente priva di fondamento. Il ritratto del Re vi è in più camere; e nelle tre camere d'ufficio vi è in tutte e tre un quadro rappresentante in effigie il nostro sovrano. Vi è questo ritratto nelle migliaia di giovani che, usciti da questa casa, adesso servono onoratamente la patria nelle file dell'esercito; vi è nel cuore dei giovani di questa casa, che mattino, e sera fanno speciali preghiere in comune pel loro Sovrano, e per chi con lui si occupa pel bene dello Stato.

3° Ma la Storia d'Italia non è secondo lo spirito che si vuole.

R. Questa Storia d'Italia non è libro di scuola. D'altronde io l'ho scritta invitato dal Ministro di Pubblica Istruzione, si è stampata sotto i suoi occhi e mi diede un regalo di franchi 300 alla prima copia che gli ho portata. Si ristampò già quattro volte, ma sempre sotto gli occhi del ministero, che, non è molto, con decreto speciale la riconosceva, o meglio, la annoverava tra i libri di premio. - È vero che nelle edizioni anteriori vi erano espressioni da variarsi dopo gli avvenimenti dei 1860, 61, 62 e queste espressioni furono modificate come ognuno può vedere nella quarta edizione che si è in quest'anno pubblicata.

Qualora poi ci fosse qualche cosa che si meritasse disapprovazione mi si dica, e nella prossima edizione sarà corretta.

Presentemente io non domando dal Governo nè impiego, nè onori, nè danaro; domando soltanto il suo appoggio morale e il suo aiuto, affinchè di comune accordo io possa promuovere e dare il necessario sviluppo ad un'opera, che tende unicamente ad impedire che i giovanetti abbandonati vadano a popolare le carceri e che quelli i quali escono di colà non abbiano più a ritornarvi. Le quali cose mi sembrano tutte necessarie nell'interesse del Governo, ecc, ecc. ecc.

 

Le modificazioni introdotte da D. Bosco nella Storia d'Italia, e che era pronto ad introdurvi non erano tali da mutare di un solo iota i suoi principii religiosi e il suo attaccamento al Romano Pontefice. Abbiamo già visto come stampata la prima edizione, si assoggettasse a gravissima perdita piuttostochè togliere alcuni periodi che gli erano stati indicati. Su questo punto non avrebbe mai transatto; e lo faceva intendere abbastanza chiaramente al Ministro Amari nei colloquio avuto con lui, come pure nella lettera di cui abbiamo la traccia.

 

Eccellenza

 

Pochi giorni or sono V. S. degnavasi di accettarmi all'udienza e mi dava segni di speciale bontà, esternandomi alcune cose a Lei riferite come non convenienti ed antipatriotiche.

La stima ed il rispetto che ho verso V. E. non mi permisero di poterle esporre le cose nel vero senso ed è perciò che La prego di leggere ui con bontà quanto allora di passaggio Le accennava.

Ella pertanto mi notava intorno alla Storia esservi cose non vere. Parlando a persona di scienza posso dire che Ella intenda non vere nel modo d'intenderle: perchè in quanto alla verità storica io mi sono fatto uno scrupolo per seguire gli autori più accreditati siano antichi, siano moderni. Riguardo poi al modo di intendere le cose, ovvero lo spirito della storia, le dirò che fra i diversi libri fatti stampare col mio nome hannovi la Storia Sacra, la Storia Ecclesiastica, e la Storia d'Italia. Queste tre operette furono tutte scritte sotto gli occhi e colla revisione dei Governo. Portai copia a tutte le autorità di ogni edizione appena terminata; e siccome il mio scopo ognuno può vederlo, in tutti i capi, di infondere cioè pensieri morali e condurre il giovane lettore alla considerazione della legge divina, che obbliga ogni uomo all'osservanza della legge umana, così non ebbi che parole d'incoraggiamento. Gli augusti figli di Vittorio Emanuele accettarono volentieri l'umile dono di que' scritti ecc. ecc.

 

E qui probabilmente continuava ad esporre ciò che aveva scritto al Ministro dell'Interno.

Queste lettere e sovratutto il colloquio col Ministro della Pubblica Istruzione, scongiurarono non solo la minacciata tempesta, ma posero la corona all'edifizio, o, per meglio dire, assicurarono il frutto della vittoria alle scuole ginnasiali di Valdocco, anzi a tutto l'Oratorio. Imperocchè il Prof. Amari si persuase che D. Bosco, non avendo altro di mira che il giovare alla gioventù povera ed abbandonata, non era uomo da incutere timore al Governo e intanto si premunì contro i calunniatori. Il Gatti a sua volta cominciò ad esperimentare la verità del proverbio che dice: Tanto va la gatta al lardo che vi lascia lo zampino, e potè capire che se quel giorno ebbe a, confondersi così da entrare persino in un armadio, avrebbe potuto in altra occasione cader di seggio e rompersi la testa, e quindi rallentò, benchè non smettesse, la guerra ingiusta e vile ad un tempo che muoveva contro l'Oratorio.

Interrogato da D. Bosco sui fatti riferiti fu udito più volte a dire: - Dio è buono, Dio è grande, Dio è onnipotente. Egli spesso permette tribolazioni, ma per trarne maggior bene, e mostrare la sua misericordia e la sua possanza. Gravi disturbi ci recarono le perquisizioni, ma finirono con nostro vantaggio, e dall'amaro ne uscì il dolce.

E così fu realmente. Anzi tutto le Autorità si mostrarono meno ostinate nei loro sospetti, e se non sempre favorirono D. Bosco, lo lasciarono per altro abbastanza libero di fare il bene secondo il suo scopo.

Vantaggio da non passare sotto silenzio fu eziandio il gran credito, che d'allora in poi andò acquistando l'Oratorio nella pubblica opinione; imperocchè i buoni vedendolo vessato al pari di tanti altri rinomati ed ottimi Istituti, gli conservarono ed accrebbero la stima che già ne avevano, ed i cattivi o gli avversari scorgendo che, non ostante il gran chiasso fatto dalla pubblica stampa e le più minute inquisizioni praticate dallo stesso Governo, allo stringere dei conti non erasi trovato alcun che di biasimevole, deposero il mal animo che in buona o mala fede avevano contro di lui concepito, e lo riconobbero non immeritevole di loro simpatia.

Così D. Bosco per divina bontà potè continuare a raccogliere le migliaia di giovanetti, i quali riconoscevano in lui non solo l'uomo di Dio, sibbene, anche l'uomo della scienza, la guida de' loro studii, il creatore del loro avvenire fortunato. Scrisse il Canonico Ballesio facendosi eco di tutti i suoi compagni: “ D. Bosco aveva studiata molto la letteratura specialmente latina. Discorrendo con noi recitava pro re nata i versi di Orazio, di Ovidio, di Virgilio ecc. ecc., anche quando la sua testa doveva essere piena di un mondo di cose tutt'altro he poetiche. Conversando con lui i chierici, parecchi de' quali dotati d'ingegno e molto studiosi, trovavano il Servo di Dio al corrente di tutto; musica, aritmetica, grammatica, poesia italiana e latina, storia ecclesiastica e civile, teologia sia dogmatica sia morale. Per noi come era il maestro del ben vivere cristiano, così era il maestro, il giudice nelle nostre giovanili discussioni scientifiche e letterarie. Anche nelle materie che sembravano più lontane dalla sua competenza, pure col suo ingegno versatile, con quel suo intuito speciale, sapeva tenere il suo bel posto ed a noi non veniva neppure in mente di trovarlo nuovo o di metterlo in soggezione.

Egli colla sua scienza geografica assicurava una splendida posizione sociale al giovane Marchisio alunno dell'Oratorio. In Torino nel mese di luglio 1863 si pubblicava una carta generale dell'Italia, contenente l'indicazione di tutti gli uffici di posta, delle vie comuni, ferrate e marittime per le quali fra loro comunicano, eseguita per uso degli ufficiali di posta, a, cura della Direzione generale delle poste del regno. All'orario delle comunicazioni postali, faceano seguito altre otto carte geografiche, che comprendevano tutte le provincie del Regno. Queste varie carte e le loro indicazioni erano frutto di lunghi anni di lavoro paziente del Marchisio. D. Bosco lo aveva consigliato ad intraprendere quella occupazione, ed eccitato a condurla a compimento. Marchisio veniva sovente in Valdocco pel disegnare le sue carte sotto la scorta di D. Bosco. Ne ebbe in premio che la Direzione delle poste, alla quale vennero presentate, le accettò, le approvò, ne fece la stampa, le dichiarò edizione ufficiale e più tardi conferì all'autore l'ufficio di Direttore generale delle poste in Roma.

La corrispondenza degli alunni ai benefizii di D. Bosco si era manifestata colle dimostrazioni di cristiana allegrezza per l'ordinazione sacerdotale di D. Ruffino Domenico, colla fervente pietà nel celebrare le sei Domeniche in onore di S. Luigi e con la festa oltre modo lieta di S. Giovanni Battista.

I chierici studenti di Filosofia e di Teologia il giorno 23 di giugno avevano subiti i loro esami nel Seminario di Torino. Erano 55. Sette avevano meritato un egregie: ventotto, optime; undici il fere optime: un solo bene. Quattro erano assenti e quattro infermi. Ma altra maggiore consolazione era preparata per D. Bosco.

Il 6 luglio i maestri dell'Oratorio, già più volte nominati, cioè il Ch. Cerruti Francesco, Durando Celestino, D. Francesia Giov. Batt. e D. Anfossi Giov. Batt. si presentavano a subire nell'Università l'esame di ammissione alla facoltà di Lettere. Essi aprivano una nuova via ai giovani dell'Oratorio e per amore di questo si erano esposti a lavori non indifferenti. Erano compatiti da certi professori e considerati come vittime generose di un'idea, ma sempre vittime. Si era detto che D. Bosco aveva di loro un troppo alto concetto, ma che in realtà appena appena sarebbero stati allievi nelle prime classi del ginnasio. Ma le due Commissioni disposte per essi soli, così mal preparate a loro riguardo, dovettero ben tosto cambiar di giudizio. Per grazia di Dio l'esame riuscì splendidamente per tutti. Andò pel primo il Ch. Cerruti, il quale fece meravigliare gli esaminatori colle sue isposte, che palesavano la vastità e profondità del suo sapere.

Il famoso pedagogista Abate Rayneri, presiedeva una delle Commissioni esaminatrici. Visto egli nell'aula il Professore Vallauri, lasciò il suo seggio e gli andò vicino. Il Vallauri, perchè dicevasi troppo ligio a D. Bosco, si era disposto che non esaminasse come avrebbe dovuto, i maestri dell'Oratorio.

Rayneri gli fece con vivacità una strana domanda: - Ditemi, professore, ditemi, che voto debbo dare agli insegnanti di D. Bosco?

 - Oh bella! - rispose Vallauri - non li avete esaminati voi?

 - Il busillis è che sanno, sapete, sanno!

 - Lo dite a me? soggiunse il celebre latinista  sono i migliori del mio corso.

Tutti i quattro candidati ottenero i pieni voti assoluti e Francesia e Cerruti ebbero anche la lode.

Questi bravi figli di Don Bosco furono poi oggetto di una improvvisa e cordiale ovazione nell'uscire dall'aula, dai numerosi compagni studenti dell'Università; che si congratulavano sinceramente del loro splendido successo. Era una specie di compenso al cuore di D. Bosco, che in quei giorni sentiva in se stesso le ansietà e le pene de' suoi figliuoli, che cosi dividevano con lui il lavoro e l'umile gloria della sua missione. Questo esame fece un po' di rumore anche fuori dell'Università, e tra i professori non si cessava di ammirare il buon esito avuto. Il professore Prieri, preside della Facoltà della seconda Commissione, entusiasmato della bellissima prova di sapere, alla quale aveva assistito, uscì dall'aula con uno dei suoi esaminati, dicendogli: - Oh sì! che da D. Bosco si studia! Ma vedete, credetemi, non tutti i nemici vostri sono solamente nell'Università. Ne avete anche altrove.... e potentissimi... - Intanto passava colà il poeta Prati. - Giovanni, gli disse il professore Prieri, venite qui, sentitemi. È un peccato che stamattina non vi siate trovato all'Università; avreste presenziato al bellissimo esame di questo signore. Sappiate che da D. Bosco si studia e si studia davvero.

 

 

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