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Capitolo 49

Diffusione in Italia e spedizione a Roma del libro: Il Centenario di S. Pietro - Raccomandazione di Don Bosco alle Adoratrici Perpetue - I denari del viaggio - Grazioso regalo - Largizione del Seminario - Tre giovanetti che abiurano il Protestantesimo - La beatificazione del Cottolengo, ed una parola di Don Bosco - Suo viaggio da Torino a Roma - Era aspettato a Firenze - Accoglienze a Roma - Il Card. Cagiano infermo vuole la benedizione di Don Bosco - Primo incontro di Don Bosco col Conte Vimercati suo ospite, ed effetto di una benedizione - Ogni ordine di cittadini vuole D. Bosco - L'Abate Macchi, sua guida in Roma - Prima visita al S. Padre che parla della Società Salesiana, ripete a Don Bosco il comando di scrivere i motivi soprannaturali che lo indussero a fondarla, concede indulgenze per i benefattori della nuova chiesa in Torino - Don Bosco predica nel Collegio Romano - Celebra nelle Cappelle della Duchessa di Sora e della Contessa Calderari - Bambine mute che acquistano la loquela - A pranzo dal Conte Bentivoglio - Morte del Cardinal Cagiano de Azevedo - Annunzio di questa, ed altre comunicazioni ai Minori Osservanti ricoverati nell'Oratorio.


Capitolo 49

da Memorie Biografiche

del 04 dicembre 2006

Sul principiar del gennaio il libro di Don Bosco sul Centenario del martirio di S. Pietro era già stato diffuso per tutta l'Italia, affine di preparare i fedeli alla grandiosa solennità del 29 giugno e promuovere nei medesimi ossequio vie maggiore verso il Capo visibile della

Chiesa. A Roma specialmente n'era stata inviata in deposito una gran quantità di copie.

Prima che partisse egli pure per l'eterna città, Don Bosco visitava benefattori ed Istituti.

Alle Adoratrici perpetue di Gesù Sacramentato, raccomandava che nei casi disperati ricorressero alla Madonna, Auxilium Christianorum! e le suore se ne ricordarono, poichè alcuni giorni dopo cadeva gravemente inferma la loro Superiora.

Gli amici si succedevano nell'Oratorio per augurargli il buon esito de' suoi affari, e il Conte Gio. Melzi recavagli da Milano 50 lire, da parte del Canonico Ambrogio Jacopone. Aprendo la lettera colla quale il Canonico raccomandavasi alle sue preghiere e a quelle degli alunni per ottenere qualche grazia, Don Bosco esclamava: - Ecco la Madonna che provvede pel viaggio! - E secondo che soleva, non trascurava neppure in quei giorni ogni occasione di mostrare alle famiglie che maggiormente lo beneficavano la sua riconoscenza. Scriveva alla figliuola del Marchese Fassati:

 

Signora Azelia,

 

Le mando un piccolo fagiano testè regalato. Chi sa che non la aiuti ad acquistare forza onde passare tutto l'anno felice. Dio lo faccia. Ella gradisca.

Ogni bene venga sopra di lei e sopra tutta la famiglia e mi creda

                                                                  Di V.S.

                                                                  2 del 1867

                                                                  Obbl.mo Servitore

                                                                  Sac. Bosco Gio.

 

P. S. - Umili ossequi ai sigg. Padre e Madre.

 

Il giorno 4 otteneva dalla Curia di Torino la licenza di uscire con un compagno dalla diocesi, e presentava al Rettore del Seminario i suoi ringraziamenti per la seguente lettera:

 

 

 

SEMINARIO METROPOLITANO Di TORINO.

Torino, li 4 gennaio 1867.

 

Molto Rev. Signore,

 

Avendo inteso che V. S. deve partire per Roma, credo opportuno di invitarla ad assestare il suo conto con questo Seminario. Come ben sa deve pagare lire 400 per due annate degli interessi scaduti con tutto dicembre 1866; per altra parte poi l'Amministrazione del Seminario nella sua seduta del 29 ottobre p. p. ha determinato di accordarle per i Chierici dell'Oratorio un sussidio di lire 250. Resta perciò necessario che V. S. mi faccia tenere le lire 150 e mi spedisca ricevuta delle 250. Per questo sussidio troverà preparato un apposito mandato nella segreteria di questo Seminario.

Se non avrò la fortuna di vederla prima della sua partenza, le auguro un felice viaggio, accompagnato da ogni sorta di benedizioni, e mi professo,

 

Dev.mo Servitore

Can. AL. VOGLIOTTI, Rettore.

 

Il 6 gennaio nell'Oratorio vi fu una bella funzione, narrata dall'Unità Cattolica del giorno 8.

 

TRE FIGLI DI MARIA.

 

La mattina del giorno dell'Epifania nell'Oratorio di S. Francesco di Sales venivano battezzati tre giovanetti fratelli americani,  di religione anglicana. Essi provengono da Nuova York; il loro genitore occupò un posto eminente in quella setta, motivo per cui ne tacciamo il nome. Moriva ostinato nell'errore lasciando in tetra miseria tre figliuoletti. D. Bosco, mosso a compassione del loro stato, li accolse nel suo Oratorio, e dopo averli convenientemente istruiti, ben volentieri acconsentì al loro desiderio di essere battezzati, sotto condizione, ed ammessi in seno della Chiesa Cattolica. Il rev.mo Mons. Vescovo Balma ne fece la funzione e diresse loro in quella circostanza un breve, ma eloquente discorso. Il conte Luigi Giriodi poi si degnava di far loro da padrino. Si diede loro il nome: al primo di Luigi, all'altro di Giuseppe e di Giovanni al terzo; ma per l'affetto particolare che già portavano a Maria SS. tutti e tre vollero anche avere il nome di Maria.

Ecco il motivo per cui li abbiamo chiamati figli di Maria.

Se tutti i giovanetti, che numerosi sono ricoverati in quell'Oratorio, si possono chiamare col nome di figli di Maria per la speciale divozione che essi hanno a questa loro amorosissima madre, ben più a ragione si dovrà dare un tal nome a questi fortunati neofiti, che in modo tanto straordinario furono da Essa chiamati a far parte dei tesori della Chiesa Cattolica. Faccia Iddio che essi si conservino sempre degni figli di tanta Madre.

In questi giorni Don Bosco dava al giovanetto Agostino Parigi, di undici anni, una risposta che ha l'aria di profezia. La madre dell'alunno avealo incaricato di chiedere al Servo di Dio se il Can. Cottolengo, fondatore della Piccola Casa della Divina Provvidenza, sarebbe stato beatificato. Il figlio non intendeva allora quello che domandava, ma D. Bosco gli rispose con tutta semplicità: - Di' a tua madre che sì: il Cottolengo lo beatificheranno, ma nè lei nè io lo vedremo sugli altari: tu lo vedrai! - Quella buona mamma morì nel 1870.

Agostino, divenuto prete e vice-curato a Giaveno, nel 1892 cadde ammalato di risipola e dopo due settimane di letto era così sformato per la gonfiezza della faccia e della testa che il medico lo diede per spedito, lo visitò per ben sei volte nell'ultimo mattino, e in fretta gli fe' portare il Santo viatico alle 11 e 45. Ricevuto il viatico Agostino si addormentò e svegliatosi si trovò fuori di pericolo. - In tutto il tempo che durò il male, ci diceva egli stesso “ io era tranquillo, pensando: - Il Cottolengo non è ancora beatificato ... ”

Mentre Don Bosco, prima di allontanarsi dai suoi figliuoli, dava le ultime disposizioni pel buon andamento dell'Oratorio e premuniva tutti con santi consigli, da Firenze, ove il Servo di Dio era desiderato, il Cavaliere Oreglia riceveva questa lettera in data 2 gennaio.

“ Non vorrei tormentare D. Bosco in questi brevi giorni della sua permanenza a Torino, ma vorrei augurare a tutti un buon anno, molto operoso per la gloria di Dio; glielo dica per me, come lo dico a V. S. cioè con tutto il cuore. Vorrei sapere ancora se D. Bosco passa di qui, e se mi sarà dato vederlo un momento, chè lo desidero molto; se viene al mattino, o la sera… D. Bosco mi annunzia l'arrivo di un pacco di libri, ma non ho anche veduto nulla. I miei nipotini stanno meglio, grazie al Signore, e la bambina pure fuori di pericolo; glielo scrivo perchè hanno avuto tanta carità di pregare per me, e per quella pur mia famiglia. Iddio gli rimeriti la loro gran carità; dica a Don Bosco che con molto amor di Dio mi impetri anche un po' di scienza per sapere essere utile alla loro Casa, che riguardo come la mia. Vorrei sapere come i ragazzi della casa portano le calze, se di colore, se bianche, se lunghe, se corte. Desidererei l'indirizzo di D. Bosco a Roma. Preghi D. Bosco di non dimenticarmi mai, ed Ella, sig. Cavaliere, ricordi sempre pure innanzi a Dio la mia famiglia e la povera anima mia.

Dev.ma

GIROLAMA UGUCCIONI GHERARDI.

 

Il giorno 7, alle ore 9 del mattino, D. Bosco partiva per Roma portando con sè, oltre i documenti per l'approvazione della Pia Società, molte centinaia di biglietti di Lotteria da offrire alla generosità dei Romani. Il Marchese Angelo Vitelleschi con vive istanze lo aveva pregato a prender dimora nel suo palazzo, ma aveva già accettata l'ospitalità nell'abitazione del Conte Vimercati. Accompagnava Don Bosco Don Giovanni Francesia, il quale, con amabile ingenuità e calore, scrisse molte lettere a Torino narrando ciò che accadde al Servo di Dio nei due mesi che stette in Roma.

Queste lettere formeranno la parte principale dei nostri capitoli; noi vi aggiungeremo quanto abbiamo notato e raccolto nel 1867 dalla bocca stessa di D. Bosco e di molti testimonii, dalle lettere dei signori Romani che possediamo in gran numero, e dalle spiegazioni orali dello stesso Don Francesia.

Ecco la prima lettera indirizzata al Prefetto dell'Oratorio.

 

Roma, 9 gennaio 1867

 

Caro Don Rua,

 

Dopo d'aver riposato per qualche giorno, finalmente compio al mio dovere di far sapere qualche notizia di D. Bosco. Come siamo partiti di Torino, Buzzetti vi avrà detto qualche cosa; a lui il merito se abbiamo potuto penetrare dentro alla stazione, essendo già ogni porta chiusa, e prendere il convoglio mentre stava già per partire. Tirammo un lungo respiro e: - Deo gratias: ci siamo! - Di particolare durante il viaggio nulla ci avvenne. Sentimmo, ed in qual modo, il freddo fino a Bologna, sebbene fossimo nelle seconde classi e assai riparati. Da un buon signore che montò a Cambiano, D. Bosco sentì lodare l'Oratorio e il suo fondatore con parole non suggerite da freddo calcolo, ma da vero amore della patria e religione. Salutammo per via parecchi paesi che ci destavano soavi rimembranze. A Reggio, dove il convoglio si fermò qualche istante, cercammo cogli occhi, ma più ancora col cuore se mai si trovasse il buon Vescovo di Guastalla, o qualcuno da lui mandato. Finalmente con un appetito da vero musico arrivammo alle 2 a Bologna. Trovai per me il biglietto di favore, identico a quello di D. Bosco, con molti onori e complimenti da parte di quei signori.

Quello che più mi consolò fu il vedere Don Bosco a mangiare di buona voglia e tale, che da lungo pezzo non mi ricordo di avergli veduto l'eguale. Da Bologna, in vagone di prima classe, senza la molestia di avere qualche compagno di via, potrai facilmente immaginarti quale consolazione io sentissi di poter dopo tanto tempo intrattenermi da solo col nostro amatissimo D. Bosco. L'Oratorio però era sempre il nostro tema favorito e si parlava di lui per alleggerire la pena della lontananza. Passando a Rimini si ricordò la pia anima di Silvio Pellico. Non andammo secondo si era stabilito fino ad Ancona, ma per guadagnar tempo ci fermammo ad un paesello, Falconara, dove cenammo. Più d'uno vedendoci prima di mangiare a fare il segno della croce, meravigliossi; ma nessun disprezzo o biasimo, anzi rispetto e benevolenza. Pagando quivi una bella somma, partimmo alle 10 di sera per Foligno, dove avremmo incontrato il convoglio, che, partito da Firenze, s'indirizzava a Roma. Avemmo la compagnia di una buona e cristiana famiglia napoletana. Pregammo nel vagone dicendo le preghiere dell'Oratorio, che facemmo anche dire da questi napoletani, che a noi si unirono con molto piacere. Ma il tempo ci invitava a dormire. D. Bosco ne sentiva un grande bisogno e non c'era mezzo di poterlo soddisfare. I nostri compagni tutta notte non fecero che ridere e parlare. Quanto soffriva pensando agli incommodi di D. Bosco! Più notti antecedenti passate quasi insonni, qui neppure poter dormire. Io però riposai.

Spuntava finalmente il mattino tanto sospirato. Senza passaporti, non incontrammo alcuna difficoltà. Ci lasciarono entrare. L'aspetto di D. Bosco non metteva alcun timore e per sua protezione fui salvo da ogni molestia. Ancora due stazioni e poi Roma. Il mio cuore, il mio occhio la cercava; ma l'uno e l'altro erano tristamente preoccupati dall'aspetto uniforme e veramente desolante della campagna romana. Guardava lontano lontano per pascere il mio occhio di oggetti più ameni, e ora incontrava una misera capanna di pastori, ora una palude, ed abitanti tristi di più tristi luoghi.

A pochissima distanza da Roma incontrammo Mons. Manacorda ed il Cav. Marietti, che con mille feste entrarono con noi nel vagone e ci condussero a Roma. Quivi aspettavano D. Bosco tante persone fra le quali la Marchesa Villarios e la Vitelleschi, che dolente si vedeva fuggire di casa sua quella persona che con tanta ansia aveva desiderata. Con loro vi era anche tutta la famiglia. Qui però accadde cosa che disturbò alquanto la nostra contentezza. Non trovammo più i nostri biglietti, si doveva pagare l'intiera corsa. Per interposizione però dei signori Manacorda e Marietti fummo liberi pro tempore, sperando di trovarli alla stazione dei passaporti, dove io temeva averli dimenticati.

Io montai in una delle stupende carrozze per noi preparate. Al mio fianco sedeva il Conte Calderari. Don Bosco disse la messa nella cappella privata del Conte Vimercati ed io in S. Pietro in Vinculis. Finalmente si trovarono i biglietti della ferrovia. A casa molte persone aspettavano D. Bosco, ma chi fossero non lo so e non ebbi tempo a domandarlo.

Arrivato appena D. Bosco in Roma, come fosse venuto un principe, tutta la città si mosse; e le prime famiglie romane vennero a fargli visita. Ma la voce di taumaturgo l'aveva preceduto e molti infelici lo aspettavano come l'angelo salutare. Che fede, che confidenza nel nostro D. Bosco io non vidi e non sperava vedere mai!

Finita messa, ecco venire la carrozza del Cardinale Cagiano, che gravemente infermo desiderava di avere subito una visita di Don Bosco. Altra volta questo esimio porporato, raccomandandosi infermo alle preghiere di D. Bosco, n'era stato guarito ed ora, ricaduto, in lui dopo Dio solamente sperava. D. Bosco lo visita, lo benedice, e lo anima a confidare in Maria SS. Ed ora con giubilo di tutta Roma, da cui quel Cardinale è veramente adorato, ha preso a migliorare e si spera che fra poco non ci sarà più nessun pericolo. Don Bosco si prepara ad andare dal Papa. In tutti gli angoli della città, questa mattina non si vedeva che manifesti: la Storia d'Italia del Sac. Bosco Giovanni. Ci andava ancora questa improvvisata per commuovere gli animi . . . . .

Sac. FRANCESIA G. B.

 

P. S. - Si preghi pel nostro benefattore Conte Vimercati, infermo piuttosto grave.

 

Appena messo piede in casa dell'ospite, Don Bosco erasi recato nella stanza del Conte, santa persona, da lungo tempo travagliato da acerbi dolori e da vertigini. Lo trovò a letto in uno stato compassionevole, senza umana speranza di guarigione e poca di potersi levare. Si rianimò tutto al comparire di Don Bosco, il quale lo benedisse e gli annunziò che presto si sarebbe alzato. Il Conte a tale annunzio gli rispose: - Ebbene! solo quando mi alzerò da letto, lascierò che Don, Bosco ritorni a Torino. - Egli così diceva credendo impossibile ogni sollievo. Ma dopo due o tre giorni ecco si calmano i dolori ed egli senza stento può levarsi e andare a pranzo colla famiglia. Don Bosco al vederlo entrare in sala gli disse: - Signor Conte, ella Vuol dunque che io vada a Torino? - Il Conte ricordò le sue parole e protestò che era pentito di averle pronunziate. Il buon Padre volse la cosa in facezia, difatti quel miglioramento non era tale da potersi affermare che il Conte fosse perfettamente ristabilito. Sembrava che il Signore non volesse togliergli la croce che aveagli data pel suo meglio, ma solo renderla meno pesante. Sta il fatto però che aveva guadagnato molto di forze e la grazia concessa dalla Madonna non poteva mettersi in dubbio.

Fedele alla costante sua pratica di confessarsi tutte le settimane, Don Bosco aveva scelto per confessore il Padre Vasco Gesuita, direttore spirituale del Conte Vimercati, cui si recava a visitare ogni otto giorni.

Ma ciò che giova rilevare si è che egli, fin dal primo giorno che si trovò in Roma, aveva incominciato, e lo continuò per tutto il tempo che vi rimase, un vero apostolato, predicando ogni giorno, confessando sovente, visitando ammalati, istituti, collegi, monasteri e conventi, dando udienze fino ad ora tardissima della notte: consigliando ogni sorta di persone; lasciando, colle medaglie della Madonna Ausiliatrice e colla benedizione nel nome di lei, speranza di sanità a non pochi infermi. Moltissimi si raccomandavano a lui come ad un santo, con grande soddisfazione del Sommo Pontefice, pel gran bene che si andava operando.

Un giovane prete, l'abate Macchi, che aveva relazione colla famiglia del Conte Callori quando si recava in Roma, era stato preso da viva simpatia per Don Bosco, fin dalla prima volta che lo vide. Quindi si mise ad accompagnarlo in ogni luogo e a fargli da guida, sempre pronto ad eseguire qualunque sua commissione, e si offerse tutto al servizio di Don Bosco per quel tempo che si sarebbe fermato a Roma. Questo sacerdote desiderava percorrere la carriera prelatizia e forse non ci sarebbe riuscito, perchè il Pontefice si era formata di lui un'opinione non troppo favorevole. Ma Don Bosco seppe così bene dissipare dal cuore del Papa Pio IX ogni prevenzione, che questi lo ammise in Vaticano, gli die' il titolo di Monsignore e l'ufficio di Maestro di camera addetto alla persona del Papa. Però l'amicizia del Macchi verso Don Bosco più tardi si raffreddò, come vedremo nel corso di queste Memorie.

Il 15 gennaio D. Francesia scriveva al Cav. Oreglia.

 

Roma, martedì 15.

 

Carissimo sig. Cavaliere,

 

Don Bosco è sempre occupatissimo e per concomitanza anche il povero D. Francesia. Siamo stati dal Santo Padre. Quante belle accoglienze ricevette D. Bosco e per riflesso anche lo scrivente. Mentre D. Bosco era all'udienza, che durò tre buoni quarti d'ora, io mi intratteneva con tutti quei Monsignori che non si saziavano di sentire a parlare di D. Bosco e del suo Oratorio. Facevano tante ammirazioni quante non avrei aspettato mai. Per D. Bosco non c'era stata anticamera. Finita l'udienza del Ministro dell'armi e di quello di Polizia che erano già dal S. Padre, egli era stato introdotto. C'era l'Ambasciata, o legazione degli Stati Uniti con tutto il seguito, ma dovette aspettare: e D. Bosco prima. Appena il Papa lo vide, fatti i primi saluti, prese a dire:

- Dunque, continuando il discorso che abbiamo interrotto l'ultima volta che ci siamo visti (nel 1858), quando ci disturbò il Cardinal tale che veniva per la segnatura… - e prese subito a parlare della nostra Pia Società, della quale allora aveva discorso, come se si trattasse di un ragionamento tenuto solamente ieri. Segno che gli stava a cuore.

Dopo qualche tempo il Maggiordomo Mons. Pacca mi introdusse dal Pontefice. Quale istante fu quello per me. Quando fui ai piedi del S. Padre, mi porse Egli la sacra sua mano, posi sul suo anello un caldissimo bacio ricordandomi di rappresentare tanti giovani, chierici, sacerdoti, secolari dell'Oratorio. Che bello sguardo ha Pio IX! Che dolce parola gli piove dal labbro! Sapendo che io ero stato un povero artigiano, non mancò di ricordare il Collegio apostolico formato da pescatori, nè ha dimenticato il pubblicano che era forse l'unico di qualche condizione. Il Pontefice sta benissimo, occupato continuamente negli affari dello Stato e della Chiesa. Roma lo ammira, lo ama, e starei per dire, lo adora.

Pio IX ha promesso a D. Bosco di riceverlo altre volte per discorrere con maggior libertà.

Il Servo di Dio era stato ammesso a questa udienza il 12 giorno di sabato. Al mattino aveva celebrato la S. Messa nella cappella della Duchessa di Sora, come appare da una lettera della stessa.

La prima parola che il Papa gli disse fu realmente:

- Dunque.... avete, signor Abate, tenuto conto del mio consiglio? Avete voi scritto quelle cose che riguardavano l'ispirazione di fondare la vostra Società?

- Ma, Santo Padre, rispose Don Bosco, per verità non ebbi tempo. In mezzo a tante occupazioni ......

- Ebbene: quando è così non solamente ve lo consiglio, ma ve lo comando. A questo lavoro debbono cedere tutte le altre occupazioni di qualunque genere siano od importanza. Lasciate da parte tutto, quando non possiate fare altrimenti, ma scrivete. Il bene grandissimo che faranno certe cose quando si verranno a sapere dai vostri figli, voi non potete intenderlo pienamente. - E D. Bosco promise che avrebbe scritto e scrisse.

Il Papa parlò ancora della Chiesa di Maria Ausiliatrice, volle sapere a qual punto fossero i lavori e concesse a tutti quelli che avevano concorso all'erezione del sacro edifizio speciali favori spirituali in questi termini:

1° L'apostolica Benedizione con Indulgenza Plenaria, in articolo di morte;

2° Indulgenza plenaria tutte le volte che eglino si fossero accostati degnamente alla santa Comunione;

3° Queste Indulgenze applicabili per modo di suffragio alle anime del purgatorio.

Continua la lettera di D. Francesia:

Ovunque va D. Bosco, là accorrono le principali famiglie romane. Ora è il Duca Salviati, ora il Principe Borghese, il Duca di Sora, il Principe Odescalchi, e in grazia loro tante e tante altre persone prendono relazione con D. Bosco. Egli intanto non fa che dare udienze dalla mattina alla sera e con quanto scapito della sua salute lo immagini Ella.

Domenica (13) fummo al Collegio Romano, dove D. Bosco fece un devoto e caro sermoncino. Che frutti ne ricavò! I giovanetti non sapevano più distaccarsi da lui, ne conobbero il segreto e volevano assolutamente che D. Bosco li conducesse con sè a Torino. Che bella messe! Ma non ci mancano i lavoratori: quei padri sono veramente esemplari! Io credetti più volte di essere all'Oratorio.

Di straordinario propriamente D. Bosco ancora non fece nulla; pare che il Signore non voglia davantaggio qui in Roma renderlo grande. Comunque però sia, la memoria che lascia D. Bosco ovunque va, è sempre bella. Si ammira la sua pacatezza, l'ilarità del suo volto, e l'imperturbabilità dell'animo suo.

Il Cardinale Cagiano che morì nella notte sopra la domenica p. p. aveva posta tanta confidenza in D. Bosco che il voleva ad ogni modo lasciare erede de' suoi averi e non ci volle poco a farlo pensare altrimenti. Eppure non l'aveva mai veduto prima. Fece una morte da santo e fu pianto da tutta Roma. D. Bosco aveva qualche speranza di guarigione e pregò assai, ma il Signore dispose altrimenti. Sarebbe stata cosa troppo forte.

Il sig. Conte Vimercati migliora del suo incommodo, ma molto adagio: D. Bosco vuol farlo guarire prima di lasciarlo e mi raccomanda di dirle che in questi giorni si preghi nell'Oratorio con maggior fervore per questa preziosa e benefica persona. Promise una bella offerta per la chiesa; nientemeno che la spesa della cupola, ma a salute ottenuta.

L'altare affidato al Conte Bentivoglio si farà e dobbiamo sperare che riuscirà bene. Fummo a pranzo con loro e ne furono lietissimi.

La Contessa Calderari era incomodata un po' seriamente: va però meglio. D. Bosco andò a dir messa in sua cappella.

Dell'Oratorio non c'è nulla di nuovo? Aspettiamo notizie, che saranno forse per via. Speriamo che siano buone. Dica a colui che parla alla sera agli studenti ed agli artigiani, che D. Bosco raccomanda alle loro preghiere la sua missione. La preghiera in questi giorni non solo gli è opportuna, ma necessariissima.

Un saluto speciale a D. Enrico Bonetti da rimettere ai miei cari filosofi. Sebbene che sia certo che si faccia e bene, ricordo tuttavia, la meditazione e la lettura spirituale. Creda pure, carissimo Cavaliere, che noi abbiamo bisogno della benedizione del Signore, perchè Don Bosco abbia qualche grande soccorso. Il terreno è pronto, è seminato, ed ella non ne fu inerte agricoltore. Se sarà di maggior gloria di Dio e di vantaggio alle anime, non saremo delusi .....

Sac. FRANCESIA G. B.

 

E non restarono delusi, sia per quello che Don Bosco faceva sia per quello che Don Bosco prediceva e andava avverandosi.

Per mezzo della Marchesa Villarios aveva fatto conoscenza colla Contessa Calderari, le cui bambine erano mute e non articolavano parola. La contessa sfogò il suo dolore con Don Bosco, il quale assicurolla che, se avesse contribuito alla fabbrica della Chiesa di Maria Ausiliatrice, la Madonna l'avrebbe immancabilmente consolata.

- Ma vede, che non parlano! - diceva con accento straziante la Contessa accennando le figlie.

- Parleranno! - rispose Don Bosco. E così fu. Nel 1870 parlavano speditamente. D. Rua e D. Francesia ne fanno testimonianza.

Intanto il rev.mo P Delfino Gastaldi da Scarnafigi, dell'Ordine dei Minori Osservanti di S. Francesco, Ministro Provinciale, dal Convento della Consolata in Torino il 31 gennaio notificava anche a que' suoi Religiosi laici, espulsi dai loro conventi e ricoverati nell'Oratorio, la morte dell'Eminentissimo Antonio Maria Cagiano de Azevedo, Protettore dell'Ordine, avvenuta in Roma il 14 gennaio, e dell'elezione del nuovo Protettore il Cardinale Luigi Amat; li esortava a suffragare l'anima dell'illustre defunto conforme le Costituzioni, e comunicava loro alcune facoltà concesse dal Sommo Pontefice, finchè durasse il tempo della soppressione.

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