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Capitolo 52

Amore alla chiesuola di Valdocco - La festa di S. Luigi e di S. Giovanni Battista - Malattia mortale - Amore e pietà dei giovani per D. Bosco - Guarigione - Cordialissima festa.


Capitolo 52

da Memorie Biografiche

del 27 ottobre 2006

 Inesauribile pareva l'attività di D. Bosco. Non si prendeva un istante di riposo, e se talora il suo corpo sembrava ristare dalle fatiche, più vivo era l'agitarsi delle facoltà dalla sua anima, che disegnavano l'esecuzione di sempre nuove opere buone. L'unico sollievo che si prendeva era l'adornamento della sua chiesuola. Dalle memorie lasciate dal Teologo Borel si ricava come D. Bosco si studiasse di rendere più elegante l'altare di legno quivi trasportato dalla prima cappella dell'Ospedaletto, e lo provvedesse di un nuovo pagliotto, di vasi di fiori, di una bella lampada di cristalli, e disponesse alle finestrelle tendine di tela rossa. Provvedeva altri 24 banchi e due inginocchiatoi, e per la sagrestia due altri banchi, e quanto occorreva per il maggior decoro della celebrazione della S. Messa e della benedizione col Venerabile. Oltre a ciò, per allettare sempre più i giovani ad accorrere alle sacre funzioni, faceva compra di medaglie, crocifissi, rosari, immagini, libri di devozione, ma specialmente di catechismi che distribuiva in grande quantità.

E i giovani corrispondevano a' suoi disegni: a centinaia correvano a confessarsi a lui, che per ore ed ore immobile, sereno, amorevolissimo li ascoltava. La gente che li conosceva per quelli che erano stati, stupiva notando il mutamento nella loro condotta, poichè in breve tempo divenivano morigerati, onesti e pii operai. Soprattutto spiccava la loro fede. Quelli che cadevano infermi gravemente lo volevano vicino al loro letto per essere da lui consolati negli ultimi momenti. Seguendo il loro esempio, così facevano altre persone a lui estranee, obbligandolo a recarsi sovente nell'interno della città.

Frattanto si era celebrata la festa di S. Luigi. Ma quale differenza fra questa festa e quella di S. Francesco di Sales nello stesso anno! D. Gattino, curato di Borgo Dora nella cui regione è l'Oratorio, invitato a cantare la messa solenne, non poteva prestarsi, e rispondeva al Teol. Borel. “Con un incomodo che m'impedisce di star digiuno sul tardi devo con rincrescimento ringraziarla con preghiera di dispensarmi da questa funzione, e perciò, quando la S. V. non fosse autorizzata a questo oggetto da Sua Ecc. Rev.ma Mons. Arc. nostro veneratissimo, io delego la sua persona o chi essa crederà a rappresentarmi in tale giorno”. D. Bosco con questo invito aveva inteso rendere il dovuto omaggio all'autorità del suo curato.

Dopo la festa di S. Luigi si solennizzò quella di S. Giovanni Battista. A D. Bosco era stato imposto nel battesimo, il nome di S. Giovanni l'apostolo; ma siccome in Torino era popolarissima la festa del Precursore di Gesù Cristo e onorata con grande falò e con scariche di fucileria dalle truppe schierate, così i giovani incominciarono ad inneggiare, applaudire e ad offrirgli fiori in questo giorno, credendo che fosse il suo onomastico. D. Bosco lasciò fare, e così si continuò per tutto il corso della sua vita. Belle adunque riuscirono nell'Oratorio queste due feste, quali il cuore di D. Bosco le desiderava, cioè con un grandissimo numero di comunioni. Ogni giovanetto aveva ricevuto da lui in dono il libretto delle Domeniche e della novena di S. Luigi, e risulta dalle note del Teologo Borel, che furono ben seicento cinquanta.

D. Bosco trovava tempo a tutto, ma le forze di un uomo hanno un limite. Una domenica dopo la disastrosa fatica dell'Oratorio, ritornato nella sua stanza al Rifugio, venne sorpreso da svenimento e gli fu giocoforza mettersi a letto. La malattia si spiegò ben tosto in una bronchite, con tosse violenta e seria infiammazione. In otto giorni il povero D. Bosco fu ridotto agli estremi di vita. Egli si confessò. Essendo giorno festivo, il teologo Borel si recò all'Oratorio e condusse parecchi giovani ad accompagnare il santissimo viatico che fu recato a D. Bosco dalla cappella dell'Ospedaletto. Quei poveri giovani portando la torcia piangevano tanto da far compassione. D. Bosco, rassegnato e calmo, non aspettava più altro se non che scoccasse la sua ultima ora. Ne fu tosto avvisata la madre, che accorse a Torino per assisterlo col figlio Giuseppe. Il male erasi fatto disperato e l'infermo ricevette l'olio santo. Il teologo Borel, che gli prestava assidua ed amorosa assistenza, già lo reputava come perduto e ne piangeva dirottamente. Intanto disponeva che si facessero molte preghiere negli Istituti della Marchesa Barolo, in quelli della città e nell'Oratorio festivo.

D. Bosco accennando a questa sua malattia lasciò scritte le seguenti parole: “Mi sembrava che in quel momento fossi preparato a morire; mi rincresceva di abbandonare i miei giovanetti; ma era contento che terminava i miei giorni, sicuro che l'Oratorio omai avesse una forma stabile”. Questa sua sicurezza proveniva dall'essere certo che l'Oratorio era voluto e fondato da Dio e dalla Madonna: essere egli un semplice strumento, ed anche inutile, perchè Dio avrebbe trovato mille altri migliori di lui per sostituirlo; il teologo Borel essere pronto a qualunque sacrificio piuttosto che abbandonare quell'impresa.

Fin dal principio della settimana, sparsasi la funesta notizia di questa malattia, successe nei giovani dell'Oratorio un dolore, un'ambascia indescrivibile. Alcuni dei più grandi domandarono e furono accettati come infermieri e gli prestarono assistenza continua, alternandosi a vicenda giorno e notte, e dandogli straordinaria testimonianza di affezione. Ad ogni ora schiere di ragazzi erano all'uscio della camera dell'infermo per averne ragguagli. Non soddisfatti delle parole, chi voleva vederlo, chi parlargli, chi servirlo ed assisterlo. Il medico aveva proibito l'accesso di persone estranee, e perciò l'infermiere negava l'entrata anche a loro. Allora succedevano scene tenerissime.

 - Me lo lasci solo vedere, domandava uno.

 - Non lo farò parlare, assicurava un secondo.

 - Io ho a dirgli una sola parola, soggiungeva un terzo, e non posso reggere al pensiero che egli muoia senza che gliela dica.

 - Se D. Bosco sapesse che io son qui, mi farebbe entrare, diceva un altro, e poi un altro ancora: - Faccia la carità, o mi lasci entrare o mi annunzi.

Ma il servo era inesorabile.

 - La vostra presenza, rispondeva egli, lo commoverebbe di troppo, e voi gli tronchereste quel legger filo, che ancor lo tiene in vita. E poi, se lascio entrare uno, bisogna che lasci entrare altri e poi altri, e non si finirebbe più.

A queste parole quegli amorosi giovanetti si abbandonavano ai singhiozzi e facevano piangere gli astanti.

 - Poveri fanciulli, esclamava la gente. Vedi come gli vogliono bene!

D. Bosco udiva i dialoghi che si facevano col domestico e ne era commosso. Certi giovanetti però non volevano saperne di andare via e nel corridoio vicino alla porta stavano silenziosi, per vedere se qualche fortunata circostanza loro almeno avesse fatto sentire la voce del Direttore. D. Bosco si accorgeva talora della loro presenza. - Chi è là? chiedeva.

 - Viglietti, Piola, Buzzetti, rispondeva l'infermiere.

 - Dite che entrino.

L'infermiere faceva qualche difficoltà; ma i giovani in quel momento essendo pochi acconsentiva e li introduceva. Pensate la loro gioia e poi l'espressione di dolore alla quale atteggiavasi il loro volto nel vedere il caro infermo in quello stato. Fatte poche parole, taluni si inginocchiavano, perchè il fine pel quale erano venuti stava precisamente nel confessarsi da D. Bosco, e a stento si poteva indurli ad uscire. Ma non solo colle lagrime gli mostravano i giovanetti la loro affezione, ma colle opere soprattutto. Vedendo che i rimedi umani non lasciavano omai speranza alcuna, essi ricorsero a quelli dei Cielo, con un fervore ammirabile. Divisi in altrettante compagnie, si alternavano dal mattino sino alla più tarda sera nel Santuario della Consolata, pregando Maria che conservasse in vita il loro amico e padre amatissimo. Per questo fine accendevano lumi innanzi alla taumaturga Immagine, ascoltavano Messe, facevano Comunioni. Alla sera non si ponevano in letto senza fare una speciale preghiera pel povero D. Bosco, invitando quei della famiglia ad unirsi con loro: taluni vegliavano in orazione tutta la notte. Alcuni andarono tant'oltre, che fecero voto di recitare il Rosario intiero per un mese, altri per un anno., non pochi per tutta la vita. Parecchi digiunarono, in que' giorni a pane ed acqua, e promisero di digiunare per mesi ed anni, se Maria restituiva in salute il loro caro D. Bosco. Abbiamo saputo difatti che vari garzoni muratori, in forza dei loro voti, digiunarono rigorosamente parecchi giorni, senza punto rallentare i loro pesanti lavori; e nel tempo del riposo meridiano andavano frettolosi a pregare in qualche chiesa avanti al SS. Sacramento. Ed or che sarà di tante orazioni e di tante opere buone?

Era un sabato del mese di luglio, giorno sacro all'Augusta Madre di Dio. Preghiere, comunioni, mortificazioni, eransi fatte moltissime, ma ciò nonostante, venuta la sera, niun raggio di speranza risplendeva, che il Cielo le volesse ascoltare. Il povero infermo era così aggravato, che gli assistenti ritenevano che sarebbe mancato in quella notte. Di questo parere erano i medici ancora, venuti a consulto. D. Bosco dal canto suo, sentendosi affatto privo di forze e con perdita continua di sangue, già aveva fatto a Dio il sacrificio di sua vita, e ad altro più non pensava che a rendere l'anima nelle mani del suo divino Autore. In quei supremi momenti, mentre gli altri piangevano, egli con aria tranquilla e serena faceva loro coraggio; talora usciva in sante lepidezze, che finivano per consolare ognuno e far desiderare di essere al suo posto.

Ma sarà dunque vero che la falce della morte, abbia a troncare una vita sì cara, ed aprire nei cuori innocenti di tanti fanciulli una piaga crudele? No; la pietosa Vergine non desolerà tanti poveri giovanetti, che hanno riposta in Lei tutta la loro fiducia. Ella si lasciò intenerire dalle loro lagrime, raccolse le loro preghiere, i loro voti, li presentò al trono di Dio, ed ottenne la grazia sospirata: Maria si mostrò insomma Madre veramente amorosa e consolatrice. Per la sua materna bontà e per la misericordia di Dio quella notte, che secondo gli umani calcoli doveva segnare il termine della vita del Direttore e Padre di tanta gioventù, segnò invece la fine del comune dolore. Verso la mezzanotte il teologo Borel, che lo assisteva per raccomandargli l'anima ed accoglierne l'ultimo respiro, sì sentì inspirato di suggerirgli che ancor egli facesse una preghiera per la sua guarigione.

D. Bosco taceva.  Il Teologo dopo brevi istanti replicò: - Ella sa come a noi insegni la Sacra Scrittura: In infirmitate tua ora Dominum, et ipse curabit te.

Don Bosco rispose: - Lasciamo che Iddio faccia la sua santa volontà. Dica almeno: - Signore, se così vi piace, fatemi guarire; ma ei non voleva.

 - Mi faccia il piacere, mio caro D. Bosco, soggiunse il tenero amico; glielo domando in nome dei nostri figliuoli: ripeta solo queste parole, e le ripeta di cuore.

Allora il malato per consolarlo, con voce debole e fioca, disse: - Sì, Signore, se vi piace, fatemi guarire.

Internamente però egli, come poi ci narrava, così aveva formulata la sua orazione: - Non recuso laborem. Se posso rendere servigio a qualche anima, vogliate, o Signore, ad intercessione della vostra Madre santissima, ridonarmi quel tanto di sanità che non sarà contrario al bene dell'anima mia.

Il buon Teologo intanto, udita l'invocazione di D. Bosco, si asciugò le lagrime, rasserenò la fronte ed esclamò: - Basta così; or son sicuro: Ella guarirà. Pareva che egli sapesse, mancare alle altrui preghiere solo quella di D. Bosco, perchè fossero appieno esaudite; nè si sbagliò. Poco dopo il malato prese sonno, da cui si svegliò fuori pericolo e come rinato a vita novella.

Al mattino i due dottori Botta e Cafasso venuti a fargli visita col timore di trovarlo morto, tastato il polso, gli dissero: - Caro D. Bosco, vada pure a ringraziare la Madonna della Consolata, chè ne ha ben donde.

Non vi è penna capace a descrivere la consolazione, che inondò il cuore di tutti, quando si venne a sapere che D. Bosco era migliorato. L'allegrezza fu tanta, che non potendola esprimere colla bocca e colle parole, i giovani la manifestavano cogli occhi e colle lagrime. Qual mutamento di scena! Il giorno prima era un pianto di dolore; il giorno dopo, un pianto della più pura gioia. - Oh! viva Dio! viva Maria! Gridavano con pieno entusiasmo: - Viva Dio! Viva Maria Consolatrice, che ci ha davvero consolati. Questo gaudio e questi evviva si rinnovarono più solennemente quando D. Bosco, col suo bastoncino in mano, s'incamminò per venire all'Oratorio. Era una domenica dopo mezzodì. Saputo del suo divisamento di far loro una visita, i giovani sono andati a prenderlo al Rifugio. Alcuni dei più forti lo portarono sopra un seggiolone; gli altri, quali indietro, quali in avanti e quali accanto, gli facevano corteggio. I giovanetti temevano tanto di recargli alcun male, che quasi non osavano farglisi da presso. La commozione era sì viva, che da tutte parti si piangeva, e D. Bosco piangeva con loro. Fu uno spettacolo, una festa tanto cordiale, che si può immaginare, descrivere non già. Il Teol. Borel fece la predica, nella quale parlando della grazia ottenuta da Dio per intercessione di Maria, stimolò tutti a mettere sempre la loro confidenza in Lei, e a mostrarsene riconoscenti colla frequenza all'Oratorio. D. Bosco volse eziandio poche parole. Tra le altre cose disse: “Io vi ringrazio delle prove di amore che mi avete date durante la malattia; vi ringrazio delle preghiere fatte per la mia guarigione. Io sono persuaso che Dio concesse la mia vita alle vostre preghiere; e perciò la gratitudine vuole che io la spenda tutta a vostro vantaggio, spirituale e temporale. Così prometto di fare finchè il Signore mi lascerà su questa terra, e voi dal canto vostro aiutatemi”. Egli finì con questo ricordo: “Miei cari figliuoli, questa volta il buon Dio mi allontanò la morte mosso dalle vostre lagrime. Ringraziamolo di cuore, ma ricordiamoci che da volere o non volere verrà tempo, in cui e io e voi dovremo pur tutti morire. Deh!! viviamo ora da buoni cristiani, affinchè possiamo un bel giorno trovarci tutti raccolti in Cielo, dove più non si muore, e donde sarà per sempre sbandito il dolore ed il pianto”. Esposto poscia il SS. Sacramento, si cantò il “Te Deum” in ringraziamento con una effusione inesprimibile.

Venuto poscia in cognizione dei voti assai gravi che alcuni senza la dovuta riflessione avevano fatti, D. Bosco, da saggio direttore di spirito, si diede tosto premura di commutarli in cose possibili e di maggior utilità spirituale. Quindi cangiò i digiuni in semplici mortificazioni; i Rosari intieri nella terza parte o in altre devote pratiche; i voti perpetui in temporanei, e via dicendo.

Così alternate coi dolori, Iddio mandava nuove gioie ai figli di D. Bosco, il quale trovava in questa malattia nuovo argomento per umiliarsi. Un sacerdote suo amico, qualche tempo dopo venuto a trovarlo con molti altri, mostravagli la propria contentezza nel vederlo risanato a benefizio di tanta povera gioventù. D. Bosco lasciò dire e poi, con maniera che tutto commosse l'amico e quelli che erano con lui, rispose: - Se fossi morto, mi pare che sarei andato in Paradiso. Io era preparato! Adesso invece chi sa!...

Da quel giorno, erano trascorsi circa quarant'anni e quel medesimo amico rivedendo D. Bosco gli disse: - Caro D. Bosco, ricordi ancora ciò che mi hai detto nel 1846?

 - Lo ricordo benissimo: ti dissi che se fossi morto allora io era preparato; è vero?

 - Ma vedi quanto bene hai potuto compiere con l'aiuto di Dio! Oratori, Congregazioni Religiose, Collegi, Ospizi; ornai i tuoi missionari si trovano, su tutta la faccia della terra. Se fossi morto allora, queste cose non esisterebbero.

 - Ti sbagli, o mio caro: quelle cose si sarebbero fatte lo stesso. Dio solo ne è stato l'autore e tutte sono opera delle sue mani. - Poi chinò la fronte, e cogli occhi pieni di lacrime, ripetè anche una volta - Sono tutte opere delle mani di Dio!

E fu questa sua abituale umiltà la causa dell'incremento progressivo che incominciò ad avere in quest'anno 1846, l'istituzione dell'Oratorio. La Vergine Santissima aveva per lui preparati gli aiuti promessi. Di Lei si può dire ciò che della Sapienza si legge nelle sacre carte: “Ella ha nella destra mano la lunga vita, nella sinistra le ricchezze e la gloria”.

 

 

 

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