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Capitolo 55

Partenza dai Becchi - I segnacoli del breviario - Arrivo in Valdocco - Il Teologo Vola - Povertà, miseria e contentezza -Accoglienze festose - Il corredo della sposa.


Capitolo 55

da Memorie Biografiche

del 30 ottobre 2006

 Un gran pianto fecero i nipotini di Margherita Bosco quando la videro sulla soglia della loro casetta in procinto di partire; ma la coraggiosa donna, consolatili colla speranza di presto rivederli, si svincolò dalle loro braccia e insieme col proprio figlio si pose in via alla volta di Torino. Essa portava un canestro di biancheria con entro alcuni oggetti più indispensabili; Don Bosco aveva con sè alcuni quaderni, un messale ed il breviario. In questo egli teneva, direi quasi, un programma di, condotta per averlo sempre sott'occhi e consisteva in un certo numero di segnacoli di carta, su ciascuno dei quali aveva scritta una sentenza tratta o dalla Sacra Scrittura o dai santi Padri o da qualche poeta italiano. Da lui furono tenuti ed usati per ben quarant'anni, e dopo la sua morte li ritrovammo sul tavolino della sua camera dentro al santo libro. Noi qui li trascriviamo traducendo i testi in italiano, con un brevissimo commento perchè possano intenderli eziandio quelli che non conoscono la lingua latina.

Massime tratte dalla Sacra Scrittura: - 1. Omnia flumina intrant in mare et mare non redundat. Tutti i fiumi entrano in mare e il mare non trabocca. - Provvidenza ordinatrice! - 2. Bonus Dominus et confortans in die tribulationis. Buono il Signore e consola nel giorno di tribolazione. - Fiducia in Dio! - 3. Longe fac a muliere viam tuam et ne appropinques foribus domus eius. Vanne lungi da lei co' tuoi passi e neppur appressarti alle porte della sua casa. - Fuga di ogni occasione pericolosa! - 4. Accipite disciplinam meam et non pecuniam: doctrinam magis quant aurum eligite. Fate acquisto della mia disciplina piuttosto che del denaro e anteponete all'oro la scienza. - Distacco dai beni della terra! - 5. Cognovi quod non esset melius nisi laetari et facere bene in vita sua. Io riconobbi che altro di bene non vi è, che di star lieto e fare il bene in questa vita. - L'allegrezza che nasce dalla pace del cuore! - 6. Honora Dominum de tua substantia… et implebuntur horrea tua saturitate, et vino torcularia tua redundabunt. Onora il Signore colle tue sostanze.... e i tuoi granai si riempiranno quanto tu puoi, e le tue cantine ridonderanno di vino. - Dio non si lascia vincere in generosità! - 7. Si est tibi intellectus, responde proximo tuo; sin autem, sit manus tua super os tuum, ne capiaris in verbo indisciplinato et confundaris. Se tu hai intelligenza, rispondi al tuo prossimo; se no, metti il dito alla bocca affin di non restar preso per qualche parola imprudente ed averne vergogna. - Rifletti prima di parlare. - 8. Referet unusquisque prout gessit in vita sua. È necessario per tutti noi di comparire davanti al tribunale di Cristo, affinchè ciascheduno ne riporti quel che ha meritato, nel tempo che era nel corpo, secondo che ha fatto: o il bene o il male. - Pensiero continuo dell'eternità! - 9. Fili, eleemosynam pauperis ne defraudes, et oculos ne transverlas a paupere. Figliuolo, non defraudare il povero della limosina, e non rivolgere dal povero gli occhi tuoi. - La elemosina, debito di carità! - 10. Ne glorieris in contumelia patris tui. Non ti gloriare dell'ignominia del padre tuo, perocchè non sarà decoro per te la sua confusione. - Come nostro difendiamo l'onore suo e dei superiori! - 11. Omnis iniuriae proximi ne memineris, et nihil agas in operibus iniuriae. Non avere memoria di alcuna delle ingiurie ricevute dal prossimo, e non far cosa veruna per nuocere altrui. - Amare tutti per condurre tutti al Signore!

Su quattro di questi segnacoli vi erano sentenze dei santi Padri: - 1. Si quid in te pravum deprebenderis, corrige; quod rectum, tene; quod deforme, compone; quod pulcrum, excole; quod sanum, serva; quod infirmum, corrobora; Dominica praecepta infaticabiliter lege, et per haec, quid cavendum est quidve sectandum tibi sit, sufficienter instructus; agnosce. Se scorgi in te qualche cosa di cattivo, correggilo; ciò che è retto, conservalo; ciò che è bello, coltiva; ciò che è sano, custodisci; ciò che è infermo, corrobora; i precetti del Signore leggi senza stancarti, e per mezzo loro, sufficientemente istruito, riconosci ciò che tu debba evitare o ciò che tu debba eseguire. - Continuo esame della propria condotta! - 2. Teneas fidem, nec peregrinam, quamvis tibi prudens callidaque videaris, doctrinam recipias. Attienti alla fede, nè accogliere alcuna nuova dottrina, per quanto tu creda di essere sagace e prudente. - Adesione umile e intera agli insegnamenti della Chiesa. - 3. Portate, fratres mei, vobiscum clavem cellulae, portate .et clavem linguae. Fratelli miei, portate con voi la chiave della cella, ma non dimenticate la chiave della lingua. Gelosa custodia dei segreti. - 4. Validiora sunt exempla, quam verba, et plus est opere docere quam voce. Son più efficaci gli esempi che le parole, e vale ben più insegnare colle opere che colla voce. - Essere modello agli altri di cristiana condotta. - 5. Nostrae divitiae nosterque thesaurus lucra sint animarum, et in arca nostri pectoris recondantur talenta virtutum. Il guadagnar anime sia la nostra ricchezza e il nostro tesoro; e nell'arca del nostro petto siano rinchiusi i talenti delle nostre virtù. - Zelo e umiltà i

In ultimo, due di queste cartine portano alcuni versi di Dante e di Silvio Pellico e nei primi vi si legge il pensiero della patria celeste e nei secondi l'affetto alla patria terrena.

 

I. Inf. XXXIV. Salimmo su, ei primo, io secondo

   Tanto che vidi delle cose belle

   Che porta il ciel per un pertugio tondo;

   E quindi uscimmo a riveder le stelle.

  Purg. XXXIII. Io ritornai dalla SS. Onda

   Puro e disposto a salire le stelle.

  Parad. XXXIII. L'amor che muove il sole e le altre stelle.

 

Ad ogni alta virt√π l'Italo creda,

Ogni grazia da Dio lo Stato speri,

E credendo e sperando ami e proceda

Alla conquista degli eterni veri.

 

Pellico Gli Ang.

 

Questi sono gli scritti che si leggono nel breviario.

Ma rifacciamoci a seguire i passi di D. Bosco e di sua madre che discendono dalle colline di Castelnuovo. Viaggiavano propriamente all'apostolica, cioè a piedi, e discorrendo di Dio e delle cose sue. Giunti alla città di Chieri, sostarono alquanto presso il causidico Vallimberti, la cui famiglia era coi Bosco in intima relazione. Rifocillati, si rimisero in via, e in sulla sera furono a Torino.

Quando giunsero al così detto Rondò, all'attuale incrociamento di corso Valdocco con quello di Regina Margherita, luogo poco distante dalla nuova dimora, ebbero un felice incontro, che merita d'essere qui ricordato. S'imbatterono nel Teol. Giovanni Vola Iuniore, altro zelante sacerdote di Torino, che appena visto D. Bosco, si affrettò ad andargli incontro. Dopo le più cordiali congratulazioni per la ricuperata salute, dato uno sguardo più attento a lui ed a sua madre, si fece a domandargli: - E perchè siete così stracchi, così impolverati?

 - Veniamo dal paese.

 - E perchè siete venuti a piedi?

 - Perchè manchiamo di questi; e D. Bosco, sorridendo, faceva scorrere il dito pollice sull'indice indicando che mancava di danari.

 - Ed ora dove vai ad abitare?

 - Ho qui mia madre, rispose D. Bosco, e vado a stare con lei in casa di Pinardi presso all'Oratorio.

 - Ma quali mezzi hai per mettere su casa? Tu disimpiegato e senza stipendio, come farete a campare la vita in questa città?

 - Tu mi fai una domanda a cui pel momento non saprei che rispondere: ad ogni modo ci mettiamo nelle mani di Dio, e spero che non ci mancherà di aiuto.

 - E a casa vi è qualcuno che vi attende?

 - Non ho nessuno.

 - Ma almeno avrai già provvisto per preparare un po' di pranzo!

 - Che cosa vuoi che ti dica! È una cosa alla quale debbo ancora pensare. Ma vivi tranquillo; ci penserà la Provvidenza.

 - Sta bene: sta bene... ripeteva il buon Teologo, intenerito a tanta fede e a tanto coraggio; ma intanto se io sapessi se io potessi e frugava nelle saccocce. - Davvero che io ti ammiro, soggiunse poi, e ti applaudo: mi rincresce che non ho con me del danaro; ma prendi per ora. - e in così dire estrae fuori l'orologio, e glielo regala.

 - E tu, gli disse D. Bosco commosso, ne resti privo?

 - In casa ho un altro orologio. Vendi questo e provvediti dei necessario. Io per tornare a casa non ho bisogno di saper l'ora.

D. Bosco lo ringraziò, e rivolto alla madre: - Ecco, disse, una bella prova che la divina Provvidenza penserà a noi. Andiamo dunque fiduciosi.

Discesi pochi passi, si trovarono alla nuova loro abitazione. Consisteva questa in due camerette da dormire, una delle quali doveva pure servir da cucina. Le altre due stanze pel momento rimanevano vuote. La suppellettile erano due letticciuoli, due panche, due sedie, un baule, un tavolino, un pentolino, una casseruola con alcuni piatti, e per la prima notte possiamo aggiungere anche un orologio, venduto al domani. Come si vede, vi regnavano da padrone la povertà e la miseria.

Questa penuria e squallore, che avrebbe rammaricato e sfiduciato qualsiasi persona, rallegrò invece D. Bosco e la madre sua, la quale a lui rivolta sorridendo gli disse: “A casa fin dal mattino io doveva darmi attorno per amministrare, assestare e comandare; ma da quanto vedo, qui mi potrò stare molto più tranquilla e con assai meno fastidi”. Poscia di buon umore e contenta prese a cantare:

 

Guai al mondo,

Se ci sente

Forestieri

Senza niente.

 

Intanto alcuni giovanetti dell'Oratorio, fra i quali eravi Castagno Stefano, andarono ad appostarsi curiosamente sotto le finestre della casa per vedere D. Bosco, ed ecco la sua voce accompagnata a quella di sua madre cantare la lode: - “Angioletto del mio Dio”. Il canto continuò per più di un'ora, mentre D. Bosco appendeva alla parete in capo al letto un crocifisso, un'immagine di Maria SS., un quadretto con “L’Agnus Dei” in cera, un ramo d'olivo della Domenica delle Palme, una piccola conchiglia fornita di acqua lustrale e la candela benedetta. Egli ci teneva molto a questi benèfici oggetti di devozione e loro portava un grande rispetto, Ezandio adornava le mura con alcuni cartoni, sui quali aveva fatte stampare varie iscrizioni. In uno leggevasi il motto di S. Francesco di Sales: DA MIHI ANIMAS CAETERA TOLLE, motto che fin dai primi tempi della sua sacerdotale ordinazione egli aveva preso per sua divisa, e al quale si mantenne fedele sino alla morte: null'altro desiderava che far salvo quel maggior numero di anime che fosse stato possibile. In un secondo cartello stava scritto: UNA COSA SOLA È NECESSARIA: SALVAR L'ANIMA. Un terzo collocato sull'entrata portava la giaculatoria o saluto Cristiano: SIA LODATO GESU' CRISTO.

D. Bosco, ordinata così la propria stanza ed aiutata la madre nell'assetto della sua, visitati D. Cafasso e gli amici, attese la Domenica.

Manco a dirsi il tripudio del quale godettero in tal giorno i giovani già preavvisati del suo arrivo, quando venuti all'Oratorio lo videro comparire in mezzo a loro. E quanto ad essi era ancor più caro perchè stimavano essere stata la sua guarigione un dono fatto loro dal Signore, e dalla buona Madre la Madonna. Un grande stuolo di nuovi ragazzi, che dai compagni avevano imparato a conoscere D. Bosco e lo sospiravano da tempo, spingendosi innanzi univano i loro plausi e i loro saluti a quelli della moltitudine che lo circondava e lo acclamava. Coronava la felicità di tutti il pensiero che da qui innanzi avrebbero potuto andare a visitare D. Bosco in qualunque ora del giorno, senza che nessuno potesse interdirli.

Alla sera mentre D. Bosco era in mezzo ai giovani, ad un cenno del Teol. Carpano, gli fu recata una sedia su cui ebbe invito di sedere; e tosto quelle turbe formando un circolo assai ampio diedero campo ad un coro di cantori, i quali sciolsero festosamente un inno i cui versi non troppo disciplinati dalle rime erano del Teol. Carpano e la musica probabilmente del Teol. Nasi. Non era una poesia classica per forma, ma certamente lo era per l'affetto, ed è la prima che risuonò nell'Oratorio per festeggiare il caro Padre. La conservò gelosamente Giuseppe Buzzetti, che allora fece la sua parte nel coro e a noi la consegnava poco prima di morire. Eccola:

 

           Mesta mesta la pupilla

Cercò invan tra nubi e monti

La magion lieta e tranquilla

U' albergavi, o buon pastor.

Lunghe notti, eterni giorni

Non parea che il sol novese

E l'aurora non riedesse

Questo giorno a rischiarar.

Come augei nel nido stretti,

Chiusi gli occhi, aperto il becco,

Dondolando il capo inquieti,

Stanno ansiosi ad aspettar

La lor madre che un insetto

Lungi lungi andò a cercar;

Così noi sotto il tuo tetto

Mesti ognor ti attendevam.

Con fervor sia grazia a Dio,

Or che lieto è a noi venuto

L'uomo saggio, l'uomo pio,

L'uomo adorno di virt√π.

 

Nessuna altra memoria noi possediamo di questa festa, nè di ciò che D. Bosco disse allora a' suoi giovani, Ma non andremo errati nel supporre che ripetesse ciò che sentiva così profondamente nel cuore e ciò che sempre tradusse ad effetto: Essere pronto cioè a soffrire per loro fatiche, privazioni, strapazzi di ogni maniera, colla speranza del premio eterno per averli tutti salvati.

Così, quella Domenica, 8 novembre 1846, D. Bosco riprendeva le sue festive funzioni che si celebravano regolarmente a un dipresso come nelle parrocchie. Più volte alla settimana invitava i più grandicelli ed ignoranti a venirlo a trovare in casa, come e quando tornasse loro più comodo; ed egli passava le ore intiere istruendoli nel catechismo intorno alle verità della fede, e perseverando per più anni in tale laborioso esercizio. Assai spesso li esortava tutti a confessarsi avendo questo sacramento come il primo fondamento del suo sistema di riforma e preservazione morale, e facendo loro intendere la necessità di mantenere la coscienza netta dal peccato. Di questo trasfondeva nei suoi uditori un vivo orrore, perchè quando parlava dell'inferno, egli stesso dimostravasi atterrito alla considerazione delle pene eterne. Perciò lo ascoltavano e lo secondavano; e quanti in procinto di commettere un primo furto, di muovere i primi passi sulla china del vizio furono da lui arrestati, corretti, sovvenuti, assistiti! In D. Bosco avevano riposta tutta la loro confidenza, perchè erano persuasi di essere da lui amati.

Il Professore Francesco Maranzana, stato nella sua infanzia e poi per lunghi anni testimonio delle meraviglie operate da D. Bosco, così scriveva nel 1893. “L'amore ardente e sincero che D. Bosco portava ai giovani traspariva dal sua sguardo e dalle sue parole in un modo così evidente che tutti lo sentivano, non ne potevano dubitare e provavano una gioia arcana nel trovarsi dinnanzi a lui: il quale affetto, congiunto con quella dolce e mite autorità che, a cagione del suo vivo sentimento religioso e della sua virtù, gli circondava il capo come d'un' aureola celeste, faceva sì che ogni sua detto fosse ascoltato attentamente; e quando D. Bosco parlava, si credeva che parlasse Dio stesso. Ed è per questo ascendente potentissimo sull'animo dei suoi discepoli che si possono, capire certe cose, che altrimenti sarebbero incredibili. Chi non sa quanto siano per natura leggeri i ragazzi ed incostanti nei buoni propositi? Quando si tratta di novità, la curiosità li alletta a fare anche qualche sacrificio; ma come si spiega lo stare parecchie ore silenziosi ed inginocchiati sul terreno in attesa di essere uditi in confessione? Quale arcana potenza attirava centinaia di fanciulli, usi per lo innanzi a scorazzare sfrenatamente nelle piazze, per i prati, lungo le rive dei fiumi, fanciulli che altro sentimento non conoscevano che l'istinto animalesco, qual mirabile potenza li attirava da ogni parte intorno ad un povero prete? quale mercede, quale plauso avevano sperato nel seguirlo, quando era stato costretto a trasportare le sue tende da uno in altro sito, da una casa e da un'altra, nel prato all'aperto cielo, sempre più numerosi e festanti?

” Donde mai tanta devozione e tanta costanza? Era la parola di D. Bosco! Egli rapiva i cuori, li elevava al cielo ed esercitava sugli uditori quel fascino inesprimibile e soave che tutti noi abbiamo provato: sarebbe bastato il suo sguardo, il suo sorriso ad incoraggiare il fanciullo meno ben disposto, a dissipare come per incanto la noia, a rendere caro e bello anche il luogo più inamabile. D. Bosco era ascoltato avidamente perchè sapeva trasfondere negli altri la sua carità e la sua fede; e la fede di D. Bosco era quella appunto che trasporta le montagne.”

Ma se belli erano i trionfi della sua carità, per vero dire, la sua posizione materiale, sul cominciare della fredda stagione, era molto critica.

Non essendo più addetto all'Istituto della Marchesa Barolo, non percepiva più alcun stipendio, ed era tutto sulle spese. Occorrevano mezzi di sussistenza; abbisognava danaro per gli affitti nuovi e costosi che già aveva risoluto in sua mente; per riparazioni di vecchi muri di cinta, e costruzione di nuovi; era d'uopo provvedere ben sovente vitto e vestito a poveri ragazzi, sofferenti di fame e di freddo. Di fatto molti fanciulli erano ogni giorno all'uscio domandando pane, calzamenta, abiti, camicie, senza di cui non poteano recarsi al lavoro; e a lui e alla buona Margherita non reggeva l'animo di mandarli via senza soccorso. Per la qual cosa in capo a poche settimane già si era dato fondo alla piccola provvigione fatta venire dai Becchi e distribuiti gli oggetti di vestiario e biancheria portati con loro. Come adunque tirare innanzi? Con quali mezzi sostenere un'opera che diveniva ogni giorno più laboriosa? È vero che sparsasi la voce dell'arrivo di D. Bosco qualche benefattore avevagli mandato alcuni fiaschi di vino, di pane, paste, riso, butirro; ma presto ogni cosa era stata consumata.

Quantunque entrambi avessero collocata la loro fiducia nei granai e nei tesori della divina Provvidenza, tuttavia non tralasciarono di fare quanto dipendeva da loro, a fine di non obbligarla sì tosto a dar mano ai miracoli. - Facciamo noi quello che possiamo, esclamava D. Bosco, e il Padre delle misericordie aggiungerà ciò che manca. - Perciò egli, d'accordo colla madre, prese ed effettuò il partito di vendere alcuni appezzamenti di campo e di vigna che possedevano al paese natio. Nè ciò ancor bastando, la madre si fece mandare il suo corredo di sposa, che aveva fino allora conservato gelosamente intatto: vesti, anello, orecchini, collane. Avutolo, parte ne vendette, parte ne impiegò a far sacri arredi per la cappella dell'Oratorio che era poverissima. Alcune sue vesti servirono a formare pianete; colla biancheria si fecero camici, cotte, purificatoi, tovaglie per l'altare. Ogni cosa passò per mano di Madama Margherita Gastaldi, che fin d'allora prendeva parte ai bisogni dell'Oratorio. Il prezzo della collana servì a comprare galloni e guarniture pei sacri paramenti.

Per quanto la buona donna fosse distaccata dalle cose del mondo, tuttavia lo spropriarsi di quei preziosi ricordi le costò non poca pena. Una volta che ne parlava la udimmo a dire: “ Quando mi vidi quegli oggetti per l'ultima volta tra mano, e stava per alienarli o disfarli, mi sentii pel rincrescimento alquanto turbata; ma non appena me ne sono accorta, dissi: Andate là; che sorte migliore non vi potrebbe toccare, quanto si è quella di sfamare e vestire poveri fanciulli, e fare onore in Chiesa allo Sposo celeste. - Dopo quest'atto mi sentii così contenta, che se avessi avuti cento altri corredi, me ne sarei privata senza alcun rammarico ”. Ella metteva in pratica quella sentenza così famigliare sulle labbra del suo degno figliuolo: - Quando si tratta di servire si buon padre, come Iddio, bisogna essere pronti a tutto sacrificare.

 

 

 

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