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Capitolo 57

Segni di una votazione ecclesiastica - L'avvenire assicurato ai giovani operai - Lettera del Signor Baudon, Presidente generale della Società di S. Vincenzo de' Paoli - Orfani adottati per figli da ricchi signori - Povero ma sacerdote - Lettera consolante ad un chierico L'allegria nell'Oratorio - D. Bosco a Sant'Ignazio: sua lettera ai giovani - Parole di D. Cafasso al Ch. Cagliero D. Bosco ripete che uno de' suoi chierici sarà Vescovo Elenco delle sue opere stampate. - D. Bosco desidera la compagnia de' giovani - Letture Cattoliche - VITA DEI SOMMI PONTEFICI S. SISTO, S. TELESFORO, S. IGINO, S.PIO I - Avvertenza copra una polemica contro Amedeo Bert - Riscatto difficile del campo de' sogni


Capitolo 57

da Memorie Biografiche

del 28 novembre 2006

Nell'oratorio si era fatta la distribuzione dei premi. Dai registri di D. Bosco apparisce che nell'anno 1856 - 1857 il numero dei giovani, ognun dei quali ha il suo voto complessivo, dal i novembre, è di 163: 85 studenti, 78 artigiani. Era questo il tempo nel quale si determinavano le sorti di molti giovani, in vari modi e per varie strade, senza contar quelle di coloro che rimanevano stabilmente presso i parenti.

Si decideva delle vocazioni e D. Bosco usava di una grande prudenza nel dare il suo consiglio. Ecco un fatto che vale una lezione.

Nel 1857 il giovane doveva terminare il suo corso ginnasiale. La sua condotta lasciava niente a desiderare;

in tutti quei cinque anni non gli si parlò mai di vocazione. Aveva più volte domandato a D. Bosco a qual genere di vita lo consigliava di appigliarsi, compiuto che avesse il Ginnasio. - Sta buono, ei gli rispondeva, studia, prega, e a suo tempo Dio ti farà conoscere ciò che sarà meglio per te.

     - Che cosa debbo praticare, affinchè Dio mi faccia conoscere la mia vocazione?

     - San Pietro dice che colle buone opere noi possiamo renderci certi della vocazione e della elezione dello stato.

  Alla Pasqua dovendosi cominciare gli esercizi spirituali, il giovane desiderò trattare della sua vocazione, e sebbene da qualche tempo si sentisse grande propensione allo stato ecclesiastico, tuttavia temeva di esserne impedito dalla sua condotta passata. Si presentò pertanto in quei giorni a D. Bosco, e tenne con lui un colloquio, che noi abbiamo trovato scritto fra le sue carte. Eccolo:

  Il giovane. - Quali sono i segni che manifestano essere o non essere un giovane chiamato allo stato ecclesiastico?

  D. Bosco. - La probità dei costumi, la scienza, lo spirito ecclesiastico.

     - Come conoscere se vi sia la probità dei costumi?

     - La probità dei costumi sì conosce specialmente dalla vittoria dei vizi contrari al sesto comandamento, e di ciò bisogna rimettersi al parere del confessore.

     - Il confessore già mi disse che per questo canto posso andar avanti nello stato ecclesiastico con tutta tranquillità. Ma e per la scienza?

     - Per la scienza tu devi rimetterti al giudizio dei superiori, che ti daranno gli opportuni esami.

     - Che cosa s'intende per ispirito ecclesiastico?

     - Per ispirito ecclesiastico s'intende la tendenza ed il piacere che si prova nel prendere parte a quelle funzioni di chiesa che sono compatibili coll'età e colle occupazioni.

     - Niente altro?

     - Vi è una parte dello spirito ecclesiastico che è più di ogni altra importante. Essa consiste in una propensione a questo stato, per cui uno è desideroso di abbracciarlo a preferenza di qualunque altro stato, anche più vantaggioso e più glorioso.

     - Tutte queste cose trovansi in me. Una volta desiderava ardentemente di farmi prete. Ne fui avverso per due anni, per quei due anni che lei sa; ma al presente non mi sento a nessuna altra cosa inclinato. Incontrerò alcune difficoltà da parte di mio padre che mi vorrebbe in una carriera civile, ma spero che Dio mi aiuterà a superar ogni ostacolo.

   D. Bosco gli fece ancora osservare che il farsi prete voleva dire rinunziare ai piaceri terreni; rinunziare alle ricchezze, agli onori del mondo, non aver di mira cariche luminose, esser pronto a sostenere qualunque disprezzo da parte dei maligni, e disposto a tutto fare, a tutto soffrire per promuovere la gloria di Dio, guadagnargli anime e per prima salvare la propria. - Appunto queste osservazioni, ripigliò il giovane, mi spingono ad abbracciare lo stato ecclesiastico. Imperciocchè negli altri stati avvi un mare di pericoli, che trovansi di gran lunga inferiori nello stato di cui parliamo.

   Ma le difficoltà dovevano appunto incontrarsi da parte del padre, il quale essendo ricco con quell'unico erede, appena seppe della sua risoluzione, cercò dissuaderlo prima con lettere, e poi venne all'Oratorio per condurlo a casa. Il giovane s'arrese. Nel congedarsi dal collegio Don Bosco gli indirizzò queste parole: -Mio buon figliuolo, una gran battaglia ti aspetta. Guardati dai cattivi compagni e dalle cattive letture. Abbi sempre la Madonna per madre tua e ricorri spesso a lei. Fammi presto sapere delle tue notizie. - Il giovane, molto commosso, tutto promettendo partì col padre alla volta della patria.

   E mantenne la sua parola. Cedendo per obbedienza alle insistenze paterne, prese la patente di geometra; ma stette saldo nella sua vocazione. Aveva portato con sè l'amore all'Oratorio e sentiva risuonar sempre nel suo cuore le parole di D. Bosco: “ Se perdi l'anima tutto è perduto, se salvi l'anima tutto è salvo in eterno! ” Scrupoloso osservatore della santificazione delle feste, per amor di guadagno non lasciavasi in questi giorni tirare a far qualche perizia o a prendere qualche pubblica misura: - Alla festa voglio andare in Chiesa, diceva, e non voglio far altro. - Il suo esempio, la sua parola era di mirabile effetto, e prestava uno zelante aiuto al parroco in tutte le opere buone.

   Nel 1871 ei ritornava con D. Bosco, abbracciava lo stato religioso e a suo tempo veniva ordinato sacerdote.

   Anche ai giovani operai che avevano terminato il loro tirocinio, o che per qualche altro motivo dovevano uscire dall'Oratorio, D. Bosco procurava di assicurar l'esercizio della loro professione nelle officine più oneste della città e dei dintorni, con una paga conveniente. In questa premura era aiutato da D. Begliatti, Economo del Convitto Ecclesiastico, e da vari membri della Società delle Conferenze di S. Vincenzo de' Paoli. Di più ancora; egli stesso, o per mezzo di que' bravi Signori, cercava commissioni di lavoro, per i capi di fabbrica o di bottega che avevano accettati i suoi operai, ovvero si prestava a rendere qualche servizio da essi domandato.

  Fra questi vi erano i fratelli Doyen litografi, i quali avevano accolti e istruiti nella loro arte molti giovani loro presentati da D. Bosco. Queste sue attinenze coi Doyen gli porsero forse occasione di chiedere per lettera un favore al Sig. Baudon, Presidente della Società di San Vincenzo de' Paoli, il quale, venendo a Torino alcun tempo prima, era stato a visitare l'Oratorio. Il Sig. Baudon rispondevagli accondiscendendo alla sua domanda, e noi qui riportiamo il suo foglio, sia per l'importanza di chi lo scrisse, sia per essere il principio di relazioni che più non cessarono.

 

SOCIETA' DI S. VINCENZO DE' PAOLI.

Consiglio Generale.

Segretariato - Rue de Furstemb erg, 6.

 

Signor Abbate,

 

E’ per noi grande consolazione il secondare la S. V. nel gran bene che va facendo; ci rincresce solo di non poterlo fare in una maniera più efficace.

   Per corrispondere alla domanda che V. S. ci ha fatto, ci diamo premura di assicurarla che le manderemo i clichés che Ella desidera. Appena saranno preparati i nostri disegni, ne manderemo una bozza alla S. V. perchè possa giudicare quali Le convengono meglio, e secondo il suo avviso ci affretteremo a farli eseguire immediatamente. Inoltre noi Le invieremo pure una bozza del testo, appena sarà preparata.

  Gradisca, signor Abbate, l'espressione del profondo rispetto col quale abbiamo l'onore di professarci Di V. S.

Parigi, 18 luglio 1857, San Tommaso d'Aquino.

 

Umil.mi obbl.mi Servitori

AD. BAUDON

Presid. della Società.

 

PAOLO DE CAUX

( Trad. dal francese).                                                                        Vice - Pres. Gen.

 

Intanto, mentre D. Bosco cercava per i suoi alunni un vantaggioso collocamento, pareva che ad alcuni di essi la fortuna venisse loro incontro. Vi erano dei signori, i quali non di rado chiedevano a D. Bosco qualche giovane povero e buono per adottarlo come figlio. Negli studenti però e negli artigiani vi era ripugnanza a cambiar condizione in questo modo; anzi la maggior parte delle volte rispondevano con un reciso rifiuto alla proposta di accettare un nome illustre e ricchezze anche grandi. Il punto di onore li faceva amare il proprio cognome, benchè oscuro, temendo che altri potesse crederli figli esposti e senza famiglia. Anche per parte dei loro parenti eravi questa viva ripugnanza. L'artigiano di cuore infatti preferisce il suo onorato mestiere.

  D. Bosco osservava: - I giovani scapestrati facilmente accetterebbero, ma essi non sono voluti. Per i giovanetti buoni queste adozioni sono di gran pericolo, quando l'adottante ama che intraprendano la carriera degli studi. Non resistono al cambiamento di vitto, società, costumanze; la superbia li conduce al vizio. Nel giovane che si vuole adottare da persone agiate sarebbe necessario che vi fossero alcune condizioni. Nascita civile, conoscenza della vita agiata perduta per qualche disgrazia, virtù e umiltà a tutta prova. Allora si può sperare in una buona riuscita.

   Alcuni giovani dell'Oratorio però seppero valersi in bene di simile sorte che la Provvidenza loro porgeva. Diciamo di un solo.

   Un signore francese di Parigi venne nel 1857 all'Oratorio chiedendo a D. Bosco un giovanetto qualsiasi, poichè non avendo figli desiderava scegliere un poveretto, adottarlo e lasciarlo erede delle sue sostanze. Aveva un grande laboratorio di calzoleria. D. Bosco pensò subito ad un buon giovanetto calzolaio, che giudicò degno di quella fortuna. Ma non disse nulla al signore; e dichiaratosi pronto a contentarlo, lo condusse a vedere i laboratorii perchè facesse la scelta. Entrato nella sala de' calzolai D. Bosco si fermò presso colui che egli in suo cuore aveva dichiarato meritevole, il quale era a capo del banchetto, e chiamatolo disse: - Accompagna questo signore a visitare l'Oratorio e poi conducilo in mia camera.

D. Bosco si ritirò. Il signore parlava francese e il giovane rispondeva con tutta tranquillità in piemontese. Il signore ritornato presso D. Bosco: - Oh, gli disse, mi farebbe un gran favore se mi lasciasse quel giovane che mi accompagnò or ora -       D. Bosco sorrise perchè

era sicuro di questa riuscita.

     - Ebbene le sembra che sarà contento di quel giovanetto?

     - Contentissimo, come pure, ne son certo, sarà contenta la mia signora.

D. Bosco chiamò nella sua camera il giovane, che era un povero orfanello, senza alcun appoggio in questo mondo, e gli fece la proposta. Sulle prime quegli esitò, poscia accettò, ma soggiunse:

     - Se per qualche ragione non potessi fermarmi con questo signore mi accetterebbe di nuovo con lei?

     - Non dubitare; son sicuro che te la passerai buona. Tuttavia, qualora tu uscissi da quella casa, non per demeriti, ma per altri motivi, io ti prometto di riaccettarti volentieri.

   Il giovane partì, e fu adottato per figlio. Eziandio la signora del negoziante lo amò come se fosse stato suo proprio figliuolo, tanto era virtuoso ed obbediente.

   Dopo poco tempo morì quel signore e poi sua moglie, ed il giovane fu nominato erede universale. Egli continuò nel suo mestiere di calzolaio col presiedere il laboratorio lasciatogli dal padre adottivo, che anche oggigiorno gli continua a fruttar molto, la sua fortuna superando le 400.000 lire. Quando D. Bosco nel 1883 fu a Parigi questo bravo figliuolo andò sovente a visitarlo, pregandolo e supplicandolo che volesse fare una gradita comparsa in casa sua; ma, per quanto D. Bosco avesse buon volere, non potè soddisfarlo.

   Altri simili mutamenti di condizione furono respinti per motivi soprannaturali. Una ricca signora torinese aveva pregato D. Bosco a trovarle un giovane, i cui parenti fossero pronti a lasciarglielo, per adottarlo e farlo erede del suo patrimonio. D. Bosco promise; scelse nella sua mente uno degli allievi orfani, tale che non si insuperbisse e guastasse per la sopravvenuta fortuna; quindi in bella maniera lo dispose ad un mutamento di stato. Finalmente un bel giorno comparve in quella nobile casa col suo giovinetto, e, senza dirgli motto di che si trattasse lo presentò alla signora, perchè giudicasse se sarebbe di suo gradimento.

   Quella sera era stato imbandito un pranzo, e pel giovanetto, uso alle modeste refezioni dell'Oratorio, fu un banchetto da re. Egli però, senza avvedersi di essere spiato con viva curiosità, si regolò in maniera che la padrona ne era meravigliata. Dopo il pranzo, essendovi un certo numero di invitati, vi fu un po' di conversazione. Il giovanetto vicino a D. Bosco non osava alzar gli occhi e stava silenzioso e modesto. D. Bosco però, temendo che quel silenzio potesse essere giudicato come indizio di rozzezza di animo, lo interrogò sopra un punto di storia patria, che discutevasi fra quei signori; ed egli ne diede il suo giudizio, esponendolo con ogni particolarità di cause, di persone e di date. Tutti allora gli si fecero d'attorno, gli chiesero il suo nome, la patria, l'età, gli studi; ed il giovane rispondeva con tale disinvoltura che la signora esclamò: - È  quello che fa per me.

   Poco dopo, sfollata la gente, non rimanevano più in sala che D. Bosco e la signora. Allora D. Bosco disse al giovanetto:

     - Figliuolo, non ti piacerebbe fermarti qui?

     - A far che?

     - A farla da padrone

     - Si spieghi! - E D. Bosco gli spiegò le caritatevoli intenzioni di quella dama, che attendeva in contegno amorevole la risposta.

     - Ma con questo, osservò il giovanetto, dovrei rinunziare a farmi prete?

     - Certo! rispose la signora.

     - Ebbene! no. Poveretto io voglio rimanere, ma un giorno essere sacerdote.

E lo fu; ed ora lavora nel vasto campo che gli ha affidato il Signore, amando sempre a tutta prova D. Bosco. Nè fu il solo di spiriti così generosi; vi ha tale che Dio elevò ai primi onori della Chiesa, in premio di aver seguita la sua vocazione.

   Mentre D. Bosco così studiavasi di assicurare l'avvenire de' suoi alunni, e una parte di questi era a casa in vacanza, qualche giovane di famiglia borghese e qualche chierico diocesano, da lui invitati, entravano nell'Oratorio per dimorarvi alcune settimane. Fra questi venne il chierico Ruffino Domenico, che aveva compiuto il primo corso di filosofia nel seminario di Chieri. Incontratosi con Don Bosco anni prima, si sentì preso per lui da un'ardente affezione figliale. Ora essendo andato in vacanze a Giaveno, suo paese nativo, aveva per lettera confidate a D. Bosco alcune sue angustie. D. Bosco gli rispondeva:

 

Carissimo nel Signore,

 

Fa coraggio e riponi ogni tua speranza nel Signore. Credo che non ti chiameranno più li 24 f. di entrata nel Seminario; che se ti fossero nuovamente domandati, dirai a' tuoi Superiori che abbiano la bontà d'indirizzarsi a me ed io mi aggiusterò. Attese le strettezze di tua famiglia se ti accomodasse venir a passare le vacanze quivi con me, vieni pure che io sono contento. Scrivimelo solo alcuni giorni prima.

  Del resto ricordati sempre che la più grande ricchezza di questo mondo è il santo timore di Dio; e che diligentibus Deum omnia cooperantur in bonum. Occorrendoti grave bisogno fammelo sapere.

Credimi nel Signore

Torino, 13 luglio 1857.

 

Tuo aff.mo

Sac. Giov. Bosco

 

Il Chierico accettava subito il caro invito, e dall'Oratorio così scriveva ad un suo amico:

 

Carissimo amico,

 

Ti scrivo per annunciarti la mia dimora presso D. Bosco a Torino, dove sono venuto per passare le mie vacanze più tranquillamente e per impararvi il francese. Io ti assicuro in buona fede che trovandomi qui mi sembra di essere in un paradiso terrestre, poichè tutti si amano come fratelli e più ancora. Tutti sono allegri, ma di un'allegria veramente celeste, e specialmente quando si, trova D. Bosco in mezzo a noi. Allora passiamo le ore che ci paiono minuti e tutti pendon dalle sue labbra come incantati. Egli è per noi come una calamita, poichè appena egli comparisce tutti gli corrono incontro e più sono contenti quanto più gli sono vicini e nessuno si parte da lui nè pel pranzo nè per la cena, finchè l'assistente non lo strappi quasi per forza…

 

Intanto D. Bosco secondo il consueto andava a S. Ignazio accompagnato da vari chierici, fra i quali Turchi e Cagliero, perchè attendessero con lui agli esercizi spirituali dettati da D. Cafasso. In quel tempo gli alunni dell'Oratorio, non vedendolo più in mezzo a loro, cercavano di consolarsi, scrivendogli lettere, alle quali D. Bosco era pronto a rispondere. Di queste risposte ne conserviamo una sola.

 

Bonetti carissimo,

 

Se metterai in pratica quello che mi hai scritto, io ti farò santo. Ma ricordati che io conserverò la tua lettera.

  Ho pregato il Signore anche per te, affinchè ti faccia conoscere la tua vocazione.

  Dio ti doni sanità e grazia per fare la sua santissima volontà.

Credimi tuo

S. Ignazio, 25 luglio 1857.

 

Aff.mo

Sac. Giov. Bosco.

 

Se queste lettere producevano santi effetti in Torino, altrettanti ne cagionavano a Sant'Ignazio le parole di Don Cafasso. Nel corso degli esercizi il Ch. Cagliero meditava di consultarlo sopra la sua vocazione; quando D. Cafasso gli venne incontro dicendogli: - So che desiderate parlarmi; venite. - Lo introdusse nella propria cella: e lo intrattenne per buon tratto di tempo sulla bellezza e preziosità della vocazione ecclesiastica e religiosa, lo animò a perseverare in essa e continuare a voler bene a D. Bosco, il quale, disse, ha tra mano grandi progetti a pro della gioventù.

   D. Bosco infatti non cessava un istante dal pensare ai modi per tradurre in atto questi suoi progetti, gli sorrideva sempre innanzi il ricordo di sogni e di visioni, e contemplava lo spettacolo dei giovani presenti e venturi, e specialmente di quelli che avrebbero formata ed ingrandita la sua Congregazione.

Uno di quei giorni, nel tempo di ricreazione, si trovava sul piazzale della chiesa in mezzo ai buoni chierici che aveva seco condotti, i quali stavano ascoltando le cose interessanti che era solito a narrare. Fra questi non mancava Cagliero. Alcuni signori esercitandi erano con lui. Don Bosco di ragionamento in ragionamento venne a parlare di que' chierici, e delle speranze che aveva in essi riposte; e in fine, voltosi a que' signori, uscì in queste parole: - Vedano, signori miei; verrà giorno nel quale uno di questi chierici sarà Vescovo. - D. Turchi prese subito nota di queste parole.

  E D. Bosco con questi pensieri, nel chiudersi degli esercizi, scriveva il seguente foglio:

  Affinchè poi niuno mi attribuisca scritti che non siano miei metto qui sotto un elenco di libri da me composti o compilati e de' quali ho conservato la proprietà letteraria che intendo pure trasmettere a' miei credi, affinchè ne facciano quell'uso che giudicheranno a maggior gloria di Dio e vantaggio delle anime.

 

I. Cenni sulla vita del giovane Luigi Comollo. Ediz. 2.

2. Il Devoto dell'Angelo Custode. Anonimo.

3. I sette dolori di Maria considerati in forma di meditazione.

    Anonimo.

4. Esercizio di divozione alla misericordia divina. Anonimo.

5. Storia Sacra ad uso delle scuole. Ediz. 2.

6. Storia Ecclesiastica ad uso delle scuole. Ediz. 2.

7. Il Giovane provveduto. Ediz. 3.

8. Il Cristiano guidato alla virtù ed alla civiltà. Anonimo.

9. Il sistema metrico ridotto a semplicità. Ediz. 5.

10. Il Cristiano Cattolico istruito nella sua religione. Ediz. 2.

11. Fatti contemporanei esposti in forma di dialogo.

12. Dramma. Disputa tra un avvocato e un ministro

      protestante.

13. Raccolta di curiosi avvenimenti contemporanei.

14. Le sei domeniche di S. Luigi.

15. Notizie storiche intorno al miracolo del SS. Sacramento.

16. Conversazione tra un avvocato ed un curato di campagna

      sulla confessione.

17. Conversione di una Valdese. Fatto contemporaneo.

18. Maniera facile d'imparare la Sacra Bibbia. Ediz. 3.

19. La forza della buona educazione. Episodio

      contemporaneo.

20. Vita di S. Pancrazio martire.

21. La Storia d'Italia raccontata alla giovent√π.

22. La Chiave del paradiso in mano al Cattolico.

23. Vita di S. Pietro Apostolo e di S. Paolo.

24. Due conferenze sul purgatorio e sul suffragio

      dei defunti.

25. Vite dei Papi fino all'anno 221.

Torino, 26 luglio 1857.

 

Sac. Giov. Bosco.

 

D. Bosco ritornava stanco a Torino per le molte confessioni ascoltate, mentre una parte degli alunni rientrava nell'Ospizio pel mese di scuola, che interrompeva la loro dimora in patria. Un giorno di agosto, stando egli sotto il porticato della casa, diceva ad una trentina di giovani che lo circondavano, tra i quali Reano Giuseppe e Lazzero Giuseppe, che aveva presa stanza nell'Oratorio il 3 agosto: - Avrei bisogno di far lunghe passeggiate, sia con gli adulti della casa, sia coi giovanetti; e mentre così quelle esercitazioni prodotte dal moto sarebbero di vantaggio alla mia sanità, io potrei discorrere co' miei amici di tante e tante cose. Ed eziandio, per sollevare la mia mente oppressa da tante cure, preferirei di passare tutto il tempo della ricreazione co' miei figliuoli per divertirli, facendo il giuoco dei bussolotti, quello delle bacchette e simili; ma... è troppo il lavoro che abbiamo per le mani... e poi la più bella passeggiata e il più bel giuoco che mi piacerebbe si è di poter condurre diecimila giovani in paradiso.

   Invero egli non aveva un istante per riposare. Le bozze di stampa di tre fascicoli per le Letture Cattoliche, mandate da Paravia, ingombravano il suo tavolino.

   Vi era il fascicolo di settembre: Vita dei sommi Pontefici S. Sisto, S. Telesforo, S. Igino, S. Pio I, con un'ap­pendice sopra S. Giustino, apologista della religione e martire. Per cura del Sac. Bosco Giovanni (E). In fine era stampata un'ode di Silvio Pellico, che illustra la vita di S. Giustino.

   Pel mese di ottobre il fascicolo trattava di un fatto commovente, di una virtù eroica nell'abbracciare la verità, col titolo: La giovanetta Maria ovvero la conversione di una famiglia protestante; lavoro di un Canonico di S. Diez.

   Pel mese di novembre ecco il titolo del libretto: Trattenimenti familiari sulla Supremazia del Papa e sulla salute esclusiva nella Chiesa Cattolica in confutazione dei principali argomenti dei Valdesi contro la Chiesa Cattolica - Romana. Questo opuscolo anonimo procedeva in forma di dialogo e confutava specialmente l'opera di Amedeo Bert, ministro del Culto Valdese in Torino, che aveva per titolo: I Valdesi, ossia i Cristiani Cattolici secondo la Chiesa primitiva ecc. L'eretico pretendeva dimostrare che la Chiesa Romana, secondo lui, avesse alterata la dottrina insegnata dagli Apostoli. Si avveravano ancora una volta i propositi messi da Isaia in bocca agli empi: “ Ci siamo affidati alla menzogna e la menzogna ci protegge ”.

D. Bosco faceva precedere il fascicolo dalla seguente

 

AVVERTENZA.

 

Sebbene sia scopo nostro di pubblicare piuttosto cose di dottrina e non di polemica, come quelle che sono principalmente dirette al semplice cristiano, tuttavia gli sforzi che da qualche tempo l'eresia fa per introdursi nelle classi basse del popolo e negli stessi casolari campestri, ci mostrano la necessità di dar luogo a qualche fascicolo atto a premunire i fedeli contro al veleno che taluni sotto al nome di protestanti, valdesi o evangelici (che sono quasi sempre una cosa medesima) studiano di portar or qua or là per rubare o deturpare il prezioso tesoro de' nostri avi: la santa cattolica religione.

   E poichè la dottrina dei protestanti che vivono fra noi è in maniera alquanto chiaramente esposta in un libro scritto dal Ministro Amedeo Bert, intitolato i Valdesi, così noi ci terremo a quanto egli ci lasciò scritto specialmente in questo libro.

   Nell'anno primo di queste letture abbiamo già notato una lunga serie di errori che nella parte storica di tale libro si contengono: quivi faremo passare a rassegna gli errori che ad ogni periodo s'incontrano in fatto di dottrina; e noi speriamo che ciò servirà di efficace contravveleno per liberarci dall'eresia.

   Voi intanto, o popoli cristiani, state all'erta: l'uomo inimico, di cui parla il Vangelo, tenta d'introdursi nelle vostre case per rubarvi quanto avete di più caro al mondo, la religione: allontanatelo coraggiosamente da voi: non venite a patto alcuno con esso in cose di religione: incontrandolo per istrada rendetegli nemmeno il saluto, come ci consiglia lo stesso divin Salvatore: Nec ave quidem ei dixeritis. Che se vi accadrà di dover trattare di cose temporali con esso, fatelo in fretta, senza contrarre famigliarità di sorta. Per opposto stringetevi con un cuor solo e con un'anima sola a quei sacri pastori che la divina Provvidenza ci ha dato per guidarci nel cammino della verità.

   Non vi sia nè promessa, nè minaccia, nè pretesto che valga a staccarvi dalla dottrina che insegna il supremo pastore della Chiesa, il successore di S. Pietro, il Vicario di Gesú Cristo, che fondò la sua Chiesa dicendo: Tu sei Pietro e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa. Tu es Petrus, et super hanc petram aedificabo Ecelesiam meam.

 

   In mezzo a questi lavori D. Bosco aveva sempre a cuore il riscatto del campo dei sogni, divenuto proprietà dei Rosminiani, e così rispondeva ad una lettera scrittagli dal Sig. D. Gilardi:

 

Carissimo Signor D. Carlo,

 

Prego V. S. Car.ma a chiedere per me scusa al Padre Generale della mia trascuratezza a riscontrare. Io sono stato qualche tempo fuor di città per una muta di esercizi spirituali; dopo sono stato una decina di giorni incomodato di salute, e questo fece che non ho potuto parlare al Cav. Cotta pel sito di cui fu parola. Questo le dico per confessare la mia colpa e chiederne perdono, disposto a ricevere la penitenza. Non parliamo più del fatto progetto perchè il P. Generale ha già disposto altrimenti di quel sito; ma se venisse ad una vendita, e ci fosse un'offerta decisa, avrei molto caro di saperlo, per tentare se la divina Provvidenza volesse aprirmi la strada onde cercarne i mezzi e comperarlo come desidero. Al presente però bisogna che mi arresti per non tentare il Signore ove non c'è assoluta necessità. Debbo però dirle che questo è il momento più sfavorevole per vendere i siti. L'immensità di operai che spendevano le loro fatiche nelle case dei Religiosi e delle Religiose, e delle chiese e case parrochiali, ora sono rimasti senza lavoro; quindi cessazione di commercio e costretti di recarsi altrove lasciando vuote le case. Questo sembra il vero motivo per cui le costruzione di edifizi sono sospese.

  In quanto poi ai dugento f. per tavola offerti due o tre anni sono, parmi che le abbia detto come andò la cosa: fu fatta l'offerta; io accettai di riferirla a Lei; l'altro si riservò di farmi risposta e nol vidi più.

  Del resto io sono qui con due braccia ancora robuste, con uno stomaco buono per mangiare, ma fievole per lavorare; ma che in tutto quel che posso mi offro pronto ora e sempre ad adoperarmi per l'Istituto della Carità.

  Saluti da parte mia il Rev.mo Padre Generale, e raccomandandomi alle divote sue orazioni mi dico nel Signore

Di V. S. Car.ma

Torino, 25 agosto 1857.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Giov. Bosco.

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