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Capitolo 58

Note della Cronaca di D. Ruffino - Una reliquia di Savio Domenico guarisce gli occhi infermi d'un chierico - Consiglio agli artigiani di parlare italiano: la Madonna nelle sue novene toglie la zizzania dall'Oratorio: La morte viene quando meno si aspetta, e l'Angelo Custode - D. Bosco consola una famiglia affitta per la morte repentina del suo capo - La novena dell'Immacolata - Lo spirito di D. Bosco nel predicare e confessare in qualunque circostanza - Lettere al Teol. Appendino per una missione a Saluggia - Un ammonimento a chi trattava con poco riguardo i missionarii - Conferenza ai chierici sulla vocazione ed esortazione ad essere perseveranti in essa.


Capitolo 58

da Memorie Biografiche

del 30 novembre 2006

 Siccome gli argomenti che dobbiamo trattare in questo capo e nel seguente sono alquanto disparati, noi per ridurli ad una certa unità, seguiremo le note colle rispettive date, di alcuni fatti o parole di D. Bosco dei mesi di novembre e dicembre, come stanno nella cronaca di D. Ruffino. Aggiungeremo osservazioni spiegative, circostanze che furono ommesse a qualche avvenimento, parlate ai giovani, o relazione esposta da testimoni dei quali non si può dubitare.

Incominciamo coll'esporre una prova novella della protezione che Savio Domenico, accordava a que' suoi antichi compagni dell'Oratorio, che lo invocavano con fiducia. Il Sacerdote Salesiano Garino Prof. Giovanni scriveva, firmandola, la seguente relazione, che ci venne confermata dallo stesso D. Bosco.

“ Era l'anno 1860 ed io mi trovava affetto da un grave mal d'occhi e tale che più non poteva attendere allo studio. Al par di me soffrivano mal d'occhi alcuni miei compagni, i quali si misero in mano di valenti dottori, da cui vennero curati. Io pure avrei dovuto mettermi nelle mani dei medici, ma non seppi decidermi, sentendo dai miei compagni quanto in tali cure dovevano soffrire. Allora palesai il mio male a Don Bosco, il quale mi disse che la madre di Don Rua, la quale stava nell'Oratorio, conservava qualche pezza di seta nera con cui Savio Domenico soleva coprirsi gli occhi, quando li aveva infermi. Tosto chiesi alla detta signora se aveva tale pezza di seta, ed avutala andai a mettermi sul letto per riposare alquanto, mentre i miei compagni erano a scuola. Mi gettai così come era, sul letto come per dormire, ma prima mi posi ben applicata ad ambedue gli occhi la pezza di seta nera avuta dalla signora Rua. Contro ogni mia speranza presi subito sonno, e dormii saporitamente per circa due ore, cioè sinchè fui desto dalla campanella che indicava il fine della scuola. Appena svegliato mi levo la pezza di seta nera dagli occhi, e quindi me li lavo con acqua fresca. Da quel punto mi trovai guarito completamente e cogli occhi così sani, come nulla avessi dovuto soffrire. Tale grazia ottenuta così improvvisamente, io l'attribuii e l'attribuisco tuttora unicamente all'intercessione di Savio Domenico da me in tale circostanza invocato”.

Ciò premesso veniamo alla Cronaca.

 “ 27 novembre. - D. Bosco consigliò a tutti i giovani, anche artisti, di usare parlando, la lingua italiana. Intanto disse: - Siamo sul principiare la novena dell'Immacolata. Ogni novena è fatale nell'Oratorio per qualcheduno. È il tempo nel quale la Madonna fa la' cerna tra la zizzania e il grano ed allontana gli ostinati nel male. Ricordiamoci intanto che la morte viene quando meno ce lo aspettiamo. In Torino una Signora mentre sedeva al fuoco, intrattenendosi in piacevole conversazione co' suoi parenti, la fiamma si appiccò alla sua veste e per quanto si facessero sforzi per smorzarla non si potè  riuscire. L'infelice moriva in brevi istanti ”.

Non di rado egli narrava di queste morti improvvise, dimostrando la necessità di star preparati. Nello stesso tempo raccomandava una gran divozione all'Angelo Custode, perchè amando egli coloro che sono a lui affidati, spesso o con presentimenti interni, o con sogni o visioni, suole avvertirli della loro fine imminente. E raccontava di un giovanetto che avendo per rossore taciuto un peccato grave in confessione, nella notte seguente il suo Angelo Custode con una terribile visione gli aveva fatto conoscere che se egli non confessava quel peccato, il paradiso non era più per lui e se ne andrebbe eternamente perduto. Il giovane risvegliatosi corse tutto confuso ai piedi dei confessore, dichiarò quello che prima aveva taciuto, e pochi giorni dopo una morte repentina gli apriva le porte dell'eternità.

D. Bosco però aggiungeva che la morte repentina non deve temersi da chi vive abitualmente in grazia di Dio; nè aver ragione di troppa ansietà chi avesse così perduto un parente od un amico che fu buon cristiano, e non potè  ricevere gli ultimi Sacramenti. Quindi ricordando l'ineffabile misericordia e bontà del Signore, sapeva arrecare consolazione alla famiglia di tale defunto.

Essendo morto quasi all'improvviso il conte M..., benefattore dell'Oratorio, i suoi figli addoloratissimi per tanta perdita, mandarono per averne conforto a chiamare Don Bosco, che veramente trovò la famiglia nella più grande desolazione. Appena entrato nella camera mortuaria, si vide tutti i parenti del defunto gettarglisi piangendo ai piedi, ed egli si contentò di dire: - E la vostra fede dov'è andata? - Per comprendere la forza di quelle parole, bisogna sapere che la vita del defunto era stata una continua preparazione alla morte, poichè egli faceva la Comunione quotidiana e si confessava ogni otto giorni. Immediatamente pertanto la calma prese luogo in quei cuori angustiati e la rassegnazione subentrò ai sentimenti disperati.

“ Il 28 novembre, scrive D. Ruffino, D. Bosco incominciava ad annunziare i fioretti per la novena di Maria SS. Immacolata. Furono li stessi già dati nel 1857; ma fra questi il primo raccomandava di far bene il segno di Santa Croce ”.

“ La domenica 2 dicembre, mancando alla sera il Teologo Borel, cui è affidata la solita istruzione ai giovani nella chiesa, D. Bosco salì il pulpito ed improvvisò una commoventissima predica sulla necessità di darsi a Dio da giovani e svolse brevemente questi tre punti: che cioè aspettando, vi è pericolo che manchi il tempo, la volontà, o la grazia”.

Egli era pronto in ogni momento, a predicare, a parlare all'improvviso in qualche radunanza, a tener conferenza a membri della Pia Società quasi sempre alle nove e mezzo di sera. Ma non la sola necessità constringevalo, nè la regolarità delle sacre funzioni, sibbene un attuale ardente affetto al Signore, pel quale il suo cuore non cessava di battere un istante. Ne dava prova colla facilità che aveva nel parlare di Lui in ogni circostanza anche per nulla opportuna. Basti il dire che accadde sovente, e in tutto il tempo della sua vita, che i Sacerdoti della Casa, massime i superiori, andassero, non potendo in altro tempo a confessarsi da lui, nelle ore in cui stava occupato nella corrispondenza, o nel trattare di gravi negozi temporali, o dopo aver date lunghissime e noiose udienze, D. Bosco ascoltatane la confessione, suggeriva al penitente tali pensieri e con tale unzione che non avrebbe potuto fare di più se fosse ritornato allora allora dall'altare. “ Ogni suo parlare era di Dio, affermava a noi D. Piscetta. Non mi sono mai accostato a lui che non abbia parlato del Signore e delle cose divine. E la stessa cosa mi assicurano, essere loro accaduto, molti de' miei confratelli. Per questa sua intima unione con Dio ei lavorava vivendo pienamente abbandonato alla bontà del suo Creatore e non lo distoglievano dalla costanza delle sue eroiche fatiche neppure una stanchezza opprimente e i suoi incomodi ”. “Anzi, narra la cronaca, il 9 novembre, ci diceva: - Sono quindici anni che non ho recitato neppure una giaculatoria per la mia sanità corporale, che non ho presa alcuna medicina, che non sono mai stato un giorno a letto ”.

Infatti in questi giorni, benchè infermiccio, aveva preso impegno di andare a predicare in Saluggia, atteso con vivo desiderio dal prevosto D. Giovanni Fontana. Avvicinandosi però il momento di mantener la parola cadde in tale prostrazione di forze da non poter reggere al viaggio. Cercò allora qualche Sacerdote che accettasse di fare la sua parte e si rivolse al Teol. Appendini in Villastellone.

 

Carissimo sig. Teologo,

 

Vediamo se può cavarmi da un imbroglio.

Io dovrei andare a dettare gli Esercizi Spirituali a Saluggia (fare una meditazione al giorno) il giorno dell'Immacolata Concezione; ma un'incomodo di salute m'impedisce di poter andare. Potrebbe Ella supplirmi? Buon paese, buon Parroco; e le scrivo col consiglio del Canonico Anglesio. Se mi scrive prontamente mi fa un vero favore e sarò più tranquillo.

Tommasino sta bene e fa optime.

Il Signore l'accompagni e mi creda sempre tutto suo

Torino, 30 novembre 1860.

0bbl.mo Servitore

Sac. Giovanni Bosco.

 

 

Nell'Oratorio dovettero compiacersi di questa risoluzione di D. Bosco, poichè allontanandosi egli da loro, specialmente nell'inverno rimanevano in apprensione per la sua sanità. Il freddo della stagione, e altri inevitabili inconvenienti, rendevano più gravi le fatiche del pulpito e del confessionale. Tanto più che egli di nulla si lamentava, nulla pretendeva benchè talora sempre faceto sapesse dare un avviso, quando una trascuranza di attenzione era volontaria e offendeva la carità.

La Cronaca ci narra un episodio accaduto in questi anni. “ D. Bosco nel mese di dicembre andava a predicare la missione in un villaggio sugli Appennini. Lunga e malagevole era stata la via, e giunse alla Canonica contrafatto dalla stanchezza e tutto inzuppato pel sudore e per la neve. Il Parroco era in chiesa, e la sua sorella fece a D. Bosco poco liete accoglienze e non gli offerse nè un po' di vino nè una scodella di brodo caldo. D. Bosco fece finta di non badare a quella scortesia; ma venuta la sera e sedendo dopo cena al fuoco per scaldarsi col parroco e colla sorella, incominciò a raccontare fatti che in parte movevano le risa e in parte colpivano la fantasia. Quella buona donna benchè di malo umore, era tutta orecchi, ed egli venne quindi a parlare delle missioni che aveva dettate in molti paesi e accennava come fossero state castigate la fantesche che o per malignità, o per avarizia, o per antipatia avevano negato ai predicatori ciò che era necessario. A questa antifona la sorella del parroco abbassava gli occhi e diventava pensierosa. D. Bosco proseguiva dicendo che più di una volta coliche o altri mali violenti assalirono tali persone; e quella permalosa era divenuta pallida e tremava come se avesse la febbre. Venne l'ora di andare a dormire, e tutti si ritirarono nella propria camera, quand'ecco ad una certa ora della notte si odono grida strazianti nella stanza della sorella del parroco. Accorre la fantesca e trova quella poverina smaniante per non poter più reggere dai dolori: appena spuntò l'alba volle che senza indugio D. Bosco andasse a benedirla. E i suoi dolori cessarono, ma da quell'istante, prese a trattare lui e gli altri missionarii, che sopravvennero in suo aiuto, con tali premure e tanta generosità, che non potevasi desiderare di più ”.

“ Il 3 dicembre, continua la Cronaca, D. Bosco radunò i chierici e tenne loro un breve ragionamento sulla vocazione e sul modo specialmente di dare segni di vocazione, cioè nel parlare, nel camminare, nell'assiduità e contegno in chiesa, nell'umiltà, carità e castità.

” Altra volta li aveva esortati alla perseveranza nella Pia Società e, svolti alcuni argomenti, esponeva il seguente fatto. Il famoso Liffardo, nato da nobile famiglia e fattosi religioso, per esercizio di umiltà gli fu dai superiori comandato di occuparsi negli uffizii più bassi del convento. Per alcuni anni Liffardo tenne questo posto dando un grande esempio di virtù. Ed ecco un giorno il maligno spirito lo tentò di superbia, rappresentandogli il vitupero che tornava alla sua illustre condizione, per essere egli addetto a così vil mestiere. La tentazione divenne tanto gagliarda, che il misero monaco già risolvevasi a deporre l'abito religioso e a fuggir dal chiostro. Senonchè mentre tali pensieri l'agitavano, di notte tempo gli comparve il suo angelo custode in forma umana e gli disse: - Vieni e seguimi! - Ubbidì Liffardo e fu condotto ai sepolcri. Al primo avvanzarsi per quegli ambulacri paurosi, alla vista di quegli scheletri, alla puzza di quel fracidume, egli ne fu talmente preso da orrore, che chiese all'angelo la grazia di potersi ritirare. La celeste guida lo costrinse ad andare alquanto più oltre; poscia con voce autorevole voltosi a lui, rimproverandolo della sua incostanza: - Tu pure, gli disse, fra poco sarai un brulicame di vermi, un mucchio di cenere. Vedi dunque se ti può tornar conto di dar luogo alla superbia, voltando a Dio le spalle, per non voler tollerare un atto di umiliazione con cui puoi comprarti una corona di gloria eterna.-

A tali rimproveri Liffardo si pose a piangere, domandò perdono del suo fallo e promise che sarebbe più fedele alla sua vocazione. L'angelo intanto ricondottolo nella sua stanza disparve, rimanendo quegli fermo ne' suoi sinceri proponimenti sino alla morte ”.

 

 

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