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Capitolo 6

Una festa disgustosa dello Statuto - Il Parlamento approva la legge Siccardi - Mons. Fransoni rientra in Torino - Dolorosa settimana santa - La Comunione Pasquale negli Oratori festivi - Ricordi ai giovani - L'esempio dei figli converte i padri - Insulti all'Arcivescovo - Il Senato e l'abolizione delle Immunità Ecclesiastiche - Ritorno di Pio IX a Roma - Una trama sventata contro la vita del Papa - Accademia nell'Oratorio in onore di Pio IX.


Capitolo 6

da Memorie Biografiche

del 17 novembre 2006

 Il mese di marzo, che dai buoni cristiani si santificava in preparazione alla Pasqua, era funestato in quest'anno da avvenimenti disgustosi. Il giorno 4, anniversario della promulgazione dello Statuto, vi furono feste ufficiali nella chiesa della Gran Madre di Dio, ove si celebrò la Santa Messa e si cantò il Te Deum essendo schierati, nella magnifica e immensa piazza sottostante, Vittorio Emanuele, i battaglioni della guardia nazionale e tutti gli Istituti maschili della città. Uno spazio era stato destinato eziandio per i giovani dell'Ospizio di Valdocco, ma questi non comparvero. D. Bosco era risoluto di impedire anche ai giovani dell'Oratorio festivo qualunque dimostrazione che si dicesse politica, perchè conosceva dove queste andassero a finire. Dovette assai adoperarsi con varie industrie, come afferma il Can. Anfossi, per raggiungere il suo intento,  dal 1850 al 1855; ma tenne sempre fermo, e riuscì senza inconvenienti.

Infatti in questo stesso giorno, 4 marzo, la sfrenatezza anticlericale delle turbe per le piazze e per le vie contro i sacerdoti, e gl'insulti sotto le finestre del Legato Pontificio Mons. Antonucci, furono ben deplorevoli. Le minacce costrinsero i proprietari e gli inquilini ad imbandierare le case; e una furia di sassate alle finestre ottenne una spontanea e generale illuminazione.

Intanto in Parlamento volgeva al termine la discussione della legge che toglieva al Clero il privilegio del foro. I migliori oratori cattolici della Camera combattevano quel disegno, ma la maggior parte dei deputati, uomini senza fede e senza religione, si curavano poco dei diritti e nulla dei doveri religiosi. Quindi rispondevano alle ragioni dei cattolici con rumori, risa, mormorii di disapprovazione, ed applaudivano alle odiose diatribe di Brofferio e degli altri suoi compari. E il 9 marzo, con cento trenta voti contro ventisei, approvavano il progetto. A nulla valsero i forti richiami del Cardinale Antonelli, del Nunzio e dei Vescovi, e dei giornali cattolici, perchè non si manomettessero i diritti pubblici della Chiesa e fosse rispettato il primo articolo dello Statuto. L'Armonia fu sequestrata e condannata; i predicatori quaresimalisti minacciati e molestati, e allontanato da Torino quello di S. Dalmazzo. Proibito il clero di promuovere istanze contro l'abolizione di questo privilegio, s'incoraggiavano quelle dei laici in favore della legge. La Gazzetta del Popolo padrona della piazza e ammonitrice del Parlamento aveva, con altri fogli liberali, scherniti arrabbiatamente i senatori e i deputati sostenitori della giustizia.

In questi frangenti, il 15 marzo, Mons. Fransoni rientrava finalmente in Torino, prendeva stanza nel palazzo arcivescovile, e si recava ad ossequiare il Sovrano nella sua reggia. Ma Vittorio Emanuele lo accolse freddamente e alquanto risentito.

Il 28 era giovedì santo. D. Bosco quel mattino disse a D. Giacomelli: - Andiamo in Duomo ad osservare se c’è  qualche cosa di nuovo. - E andarono e assistettero alla confezione degli oli santi. Con alcuni dei più robusti giovinotti di Valdocco stava in piazza, vicino alla vettura di Sua Eccellenza, il gerente della Campana, giornale cattolico, pronto a qualunque sbaraglio se l'Arcivescovo avesse ricevuto insulto. Venne però fischiato mentre dalla Cattedrale ritornava al palazzo. Lo stesso affronto ricevette per le vie il venerdì santo. Fu rispettato il sabato nell'andare e ritornare dalla Cappella di Corte, dove amministrò la Comunione Pasquale al Re e alla sua famiglia,

Mentre nel centro di Torino si tumultuava insultando Mons. Fransoni, alla periferia della città nei tre Oratorii di Porta Nuova, Vanchiglia e Valdocco, quasi due migliaia di giovani popolani, bene istruiti nel catechismo, dopo tre giorni di prediche ed una buona confessione, si accostavano alla mensa Eucaristica, per compiere il dovere pasquale. Molti per la prima volta facevano la santa Comunione.

D. Bosco aveva fatti stampare da Paravia seimila biglietti per distribuirli ai suoi cari alunni. Vi si leggeva:

“Tre ricordi ai giovani per conservare il frutto della comunione Pasquale.

”Cari giovani, se volete conservare il frutto della Santa Comunione che fate in questo tempo Pasquale, praticate questi tre avvisi. Essi renderanno contento il vostro cuore e formeranno la felicità dell'anima vostra.

”1° Santificate il giorno festivo, non mancando mai di sentire devotamente la santa Messa ed intervenire ad ascoltare la parola di Dio, cioè prediche, istruzioni e catechismi.

”2° Fuggite come la peste i cattivi compagni; cioè state lontani da tutti quei giovani che bestemmiano oppure nominano il Santo Nome di Dio invano; fanno o parlano di cose disoneste. Fuggite altresì quelli che parlano male di nostra santa Cattolica Religione, criticando i sacri ministri e sopratutto il Romano Pontefice Vicario di Gesù Cristo. Siccome è un cattivo figlio quello che censura la condotta di suo padre, così è un cattivo cristiano colui che censura il Papa, che è il padre dei fedeli cristiani che sono in tutto il mondo.

”3° Accostatevi spesso al Sacramento della Penitenza. Non lasciate passare un mese senza confessarvi ed anche comunicarvi secondo l'avviso del confessore.

”Dopo la comunione fermatevi più che potete per ringraziare il Signore e chiedergli la grazia di non morire in peccato mortale.

”Un Dio solo: se mi è nemico, chi mi salverà?

”Un'anima sola: se la perdo di me che sarà?

”Un solo peccato mortale merita l'inferno: che sarà di me se morissi in tale stato?

 

“Ascolta, caro figlio, il detto mio

Fallace è il mondo, il vero amico è Dio”.

 

I giovanetti però non erano i soli che si approfittassero della carità apostolica di D. Bosco; eziandio molti dei loro padri ricorrevano all'Oratorio per assestare con Dio i conti della loro coscienza, trascurati da anni. Coll'avanzarsi della quaresima avevano constatato come l'insegnamento del catechismo portasse in casa loro maggior rispetto ed obbedienza. Ascoltavano dai figli interrogati, ciò che D. Bosco loro raccomandava, cioè la docilità e l'amore ai genitori e l'obbligo di pregare per essi, poichè Dio così vuole, e perchè si deve loro essere grati per le tante fatiche che sostengono per la famiglia. Ora simili lezioni loro ispiravano simpatia e stima per il prete. La sera nella quale i figli si erano confessati li avevano visti ritornare a casa così pieni di gioia, da far dileguare ogni pregiudizio contro il sacramento della Penitenza, e conoscere la felicità di una coscienza tranquilla. E quando se li vedevano innanzi, spinti dal consiglio di D. Bosco, a chiedere loro perdono di tutti i dispiaceri cagionati nel passato e promettere obbedienza senza limiti nell'avvenire, il rimorso si destava nel loro cuore, ricordando gli esempi poco buoni che avevano loro dati, e profondamente commossi li abbracciavano. Il giorno poi della prima comunione non pochi, anche invitati da D. Bosco, li accompagnavano all'Oratorio, e osservando la loro compostezza in chiesa, i loro volti raggianti e belli come quelli degli angioli allorchè ritornavano dall'altare, sentivano destarsi nel loro cuore qualche cosa d'inconcepibile, invidiavano la contentezza del figlio, e i loro occhi si empivano di lagrime, rammentando gli anni della loro innocenza. In quel giorno non comparivano all'osteria; in casa loro era imbandita la mensa, e gustavano la vita di famiglia e la felicità di un'anima tranquilla ed amata. Perciò incominciavano a provar ripugnanza per quei disordini che loro più volte avevano cagionato amarezze; una salutare melanconia li costringeva a riflettere; una lotta tra il bene e il male si accendeva nel loro cuore; e la grazia del Signore trionfava per le preghiere dei loro figli. Chi andava nella cappella ad aspettare che D. Bosco venisse in coro, chi si presentava a lui in sagrestia dopo che aveva celebrato la S. Messa e chi saliva in sua camera a sera inoltrata per non essere disturbato da nessuno. E D. Bosco che al primo colpo d'occhio intendeva ciò che essi volevano da lui, li accoglieva con volto allegro, li invitava a confidargli le loro pene di coscienza, li assicurava che avrebbero parlato ad un amico che già aveva visto ogni genere di miserie nel mondo sicchè più nulla gli faceva specie: li incoraggiava a vincere il rispetto umano, li invitava ad inginocchiarsi e a confessarsi. E così facevano: e contenti e felici ritornavano alle loro case per formare da qui avanti la consolazione delle loro famiglie. E da quel punto con esse recitavano le orazioni mattino e sera, assistevano ai divini uffizi della chiesa alla domenica, frequentavano la santa Confessione e Comunione, e venivano talvolta all'Oratorio per passare la sera in piacevole ricreazione.

Era questo un altro grande benefizio che recavano a Torino gli Oratorii festivi.

Ma se D. Bosco vedeva coronate di frutti così belli le sue fatiche, apportatrice di nuove ferite al cuore del buon Arcivescovo fu la Domenica di Pasqua. Nell'uscire dalla porta maggiore della Cattedrale, benchè due file di carabinieri gli facessero ala fino alla carrozza e vi stesse schierato uno squadrone di cavalleria e un battaglione di guardie nazionali, pure Egli fu accolto da una furiosa tempesta di fischi, urla e minacce, che soffocavano gli evviva, i battimani e altri segni di rispetto che gli venivano dai Cattolici. Fra questi coraggiosi vi erano i giovani adulti e più fidati dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, mandati da D. Bosco alcune ore prima, perchè , non potendo far altro, almeno lo applaudissero. Di ciò a noi fece testimonianza il Teol. Reviglio Felice. Aveva saputo il sacrilego insulto che si stava preparando da quei facinorosi. Costoro infatti slanciatisi contro la vettura, ne percuotevano colle pugna i vetri, e tentavano tagliare le tirelle della carrozza. E le truppe guardavano impassibili. Fortunatamente l'Arcivescovo fu tratto da quel grave pericolo dall'avvedimento del cocchiere, il quale, con due potenti frustate sulle mani e sulle orecchie di quei bricconi, aveva impedito il taglio e spinti avanti i cavalli.

A tutti i costi si voleva costringere Mons. Fransoni ad allontantarsi da Torino. Infatti il Senato doveva decidere sulle Immunità Ecclesiastiche, e l'8 aprile, su ottanta senatori si opposero alla legge soli ventinove, e così venne approvata. La sera di quel giorno e di parecchi altri successivi una turba di patrioti emigrati sovvenuti dal Governo e giovinastri pagati e istigati dagli agitatori, la quale aveva già fischiato Mons. Vescovo di Chambery mentre andava al Senato, percorreva le vie della città imprecando al Clero e urlando: Viva Siccardi! Il peggio di quella gazzarra fu riservato al palazzo Arcivescovile. Gridando Abbasso l'Arcivescovo, abbasso la Curia, abbasso il Delegato Pontificio, ruppero a sassate molti vetri delle finestre, e tentarono scassinare la porta maggiore. A porre un termine a quella dimostrazione selvaggia accorsero soldati di fanteria e di cavalleria.

Il 9 Sua Maestà sanzionava la legge che, fra le altre disposizioni odiose, sottoponeva vescovi e sacerdoti al giudizio dei tribunali laici; e il Nunzio Apostolico, chiesti i passaporti e fatta al Re visita di congedo, il 12 partiva per Roma.

Nei segreti intendimenti delle sétte si era intesa l'esautorazione dell'Episcopato e la ribellione del clero. Speravano che i preti ed i parroci della campagna infrangerebbero la disciplina e si formerebbe un clero civile, un clero agli stipendi ed al servizio dello Stato. Ma la Chiesa doveva rifulgere di nuovo splendore; e nuovi esempi di sacrifizio, di generosità e di costanza rifiorivano nel clero e nel laicato.

A temperare intanto il dolore dei cattolici ed a riempirne di gaudio i cuori, succedeva un fatto provvidenziale: il ritorno di Pio IX a Roma. Dopo che i Francesi ebbero tolta la capitale del mondo cattolico di mano ai repubblicani, lasciato trascorrere alcun tempo perchè si riordinassero alquanto le cose dai ribelli sconvolte, l'esulante Pontefice deliberava di fare ritorno tra il suo popolo diletto, che anelante lo attendeva. Pertanto, da Gaeta essendosi già recato a Portici ed a Napoli, dì qui egli prendeva le mosse il 4 di aprile, e dopo un viaggio di otto giorni, che fu per lui un glorioso trionfo, il 12 rimetteva il piede nell'alma Città, in mezzo ad apparati, a feste ed acclamazioni, così cordiali e splendide, che nessun Sovrano e forse nessun Papa aveva sino allora ricevute uguali. Nè  solo Roma, ma il mondo intero ne esultò. Dal canto loro, i giovani dell'Oratorio, quando ne udirono da D. Bosco il fausto avvenimento, ne provarono sì gran consolazione da versarne giocondissime lagrime.

D. Bosco, ricevuta da Roma la narrazione particolareggiata di quel viaggio memorabile, procurava che fosse data alle stampe; e l'Armonia riproduceva gli articoli dell'Osservatore Romano. Nello stesso tempo per ordine di Mons. Fransoni in tutte le chiese dell'Archidiocesi, e così pure nell'Oratorio di Valdocco, con gioia sincera e viva gratitudine, furono rese per otto giorni azioni di grazia alla Divina Provvidenza.

Non tutti però i favori accordati dal Signore al Pontefice per conservarlo alla Chiesa, erano allora noti. Dimorando ancora il Papa a Gaeta, un gruppo di anarchici e di repubblicani, sotto l'ispirazione di Mazzini, aveva deciso a Ginevra di far assassinare il Papa da quattro sicari travestiti da preti. La polizia di Parigi ne aveva avvertito il Gabinetto di Torino e l'avvocato Giambattista Gai, impiegato presso il Ministero degli Affari Esteri che riceveva que' dispacci, ne avvisò confidenzialmente D. Cafasso; e forse anche D. Bosco fu a parte del segreto, poichè lo stesso avvocato ci narrava nel 1890 quanto grande fosse la sua confidenza anche in lui fin dal 1841.

D. Cafasso aveva scritto subito a Gaeta e il disegno fu sventato, rimanendo segreta la cosa fino al 1898, anno della morte dell'Avvocato Gai. Questo fatto è autentico e se ne potrebbero trovare le testimonianze nelle corrispondenze e nelle note diplomatiche del Ministero degli Affari Esteri. Per tutti questi motivi D. Bosco volle dare solenni dimostrazioni del suo affetto al Papa. Un'ode stupenda era stata pubblicata in quei giorni a Roma per celebrare il fatto memorando e D. Bosco dopo averla spiegata ai giovani, più volte la fece declamare in varie accademie. Crediamo conveniente d'arricchirne queste pagine. Eccola:

 

Ei ritornò.... di Roma

S'eleva fino al ciel plaudente grido...

Il Tevere orgoglioso

Al mar vicino rivolgendo l'onde,

Ei ritornò.... risponde...

Il Tago, il Gariglian, la Senna, il Reno

La fronte innalzan dal nativo seno

E i lieti accenti ripetendo a gara

Dall'uno all'altro polo

Un eco, un eco solo

Annunzia al mondo intiero:

Ritornò a Roma il Successor di Piero!

Non di catene cinti

Miseri schiavi ingombrano la via

Il trionfal carro seguitando vinti....

Un Angelo del Cielo lo precede:

Intorno van, facendogli corona,

La carità, la fede, La speranza divina,

Che come eterna pianta

Nacque a piè  della Croce sacrosanta!

Silenzio!... Udite!... Il religioso canto

Nell'antica Basilica risuona,

Qual dolce mormorio,

Che fanno degli Arcangeli le piume,

Quando il trono circondano d'Iddio!

Tace il concorso immenso.

Il Pontefice Augusto,

Fra nuvole d'incenso,

Umido il ciglio, timido cammina,

E di Pietro alla tomba s'avvicina....

La triplice corona,

Che leggi all'orbe impone,

Dell'ara al piè depone;

La sacra fronte inchina,

Mentre del sole un raggio,

Per la cupola immensa penetrando,

Qual iride di pace e di speranza,

Al volto aggiunge maestà divina!

Salve, Eletto di Dio!

Salve, dell'almo Ciel sublime dono!

Salve, clemente, pio,

Sereno contrastando il fatto rio,

Pi√π, grande ancor che sull'eccelso trono

Vieni, o Padre! Dall'alto Vaticano

Tendi la sacra mano....

In umile contegno

La terra aspetta il venerando segno;

E di Sionne il cantico intonando,

Ripeta il mondo intiero:

Ritornò a Roma il Successor di Piero!

 

 

 

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