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Capitolo 60

Storia di un cane.


Capitolo 60

da Memorie Biografiche

del 27 novembre 2006

 Nella sacra Bibbia e nella Storia Ecclesiastica si legge che talora Iddio in modo affatto straordinario si valse delle bestie a difesa ed a benefizio dei suoi servi. Il profeta Eliseo è schernito da una brigata di giovani irreligiosi ed insolenti, ed ecco due orsi sbucar fuori dalla vicina foresta e farne orribil scempio. Per settant'anni un corvo portò ogni giorno nel deserto il necessario cibo a S. Paolo, primo istitutore della vita solitaria. Sant'Antonio ha da seppellire il cadavere di questo abitator del deserto, e gli mancano gli strumenti per scavar la fossa; ed ecco che due leoni corrono alla sua volta, scavano colle loro zampe la terra a giusta misura, e benedetti dal santo se ne partono quali mansueti agnelli.

Or bene nel tempo, che fu pel nostro D. Bosco così pericoloso, la divina Provvidenza si compiacque di dargli una guardia ed una difesa affatto singolare: gli diede un grosso e bellissimo cane di colore grigio, il quale fu già e sarà ancora il tema di molte dicerie e supposizioni. Parecchi dei giovani lo videro, lo palparono, lo accarezzarono, e ne seppero particolari degni di speciale memoria.

Qui li raccontiamo sulla relazione di alcuni di essi, tra cui Giuseppe Buzzetti, Carlo Tomatis e Giuseppe Brosio.

Aggiungiamo che su parecchie circostanze interrogatone noi stessi D. Bosco, ce le confermò di viva voce.

Adunque il cane grigio nella grossezza e nella forma assomigliava ad un cane da gregge o mastino da guardia. Primieramente dobbiamo notare che nessuno e neppure Don Bosco, seppe mai donde venisse, o chi ne fosse il padrone. Ma se non possiamo fargli la fede di nascita, ben possiamo dargli il ben servito, imperocchè per alcuni anni esso prestò a D. Bosco, e perciò all'Oratorio, un vantaggio incalcolabile.

Vedendo di essere dai malevoli continuamente insidiato e pregato dagli amici a stare guardingo, D. Bosco usava bensì tutte le precauzioni per non trovarsi fuori di casa di notte tempo; ma accadeva talvolta che suo malgrado dovesse trattenersi in città sino a sera inoltrata, ora presso un malato, ora presso un signore per l'interesse de' suoi pupilli, ora presso una famiglia stata ingannata dagli eretici e che dava speranza di ritornare a sani consigli. Allora egli non badava più a se stesso, e compiuto il suo dovere, si metteva in via anche di notte, e scendeva in Valdocco. Questa regione era in quel tempo assai poco abitata. L'ultimo edifizio verso il nostro Oratorio era il Manicomio; tutto il resto era in allora sterile terreno, ineguale, in gran parte ingombro di acacie e di cespugli ed oscuro, e quindi serviva facilmente di nascondiglio ai malfattori. Per la qual cosa questo tratto di via era molto pericoloso, particolarmente per D. Bosco, fatto segno alla malevolenza dei nemici della religione, i quali stimavano buono ogni mezzo pur di combatterlo, come abbiamo già sopra narrato.

Or bene, una sera del 1852 in sul tardi egli veniva a casa soletto soletto, non senza timore di qualche cattivo incontro, quand'ecco vede farglisi accanto un grosso cane. A prima vista n'ebbe paura, ma poi scorgendo che non minacciava, anzi gli faceva delle moine, si mise tosto in buona relazione con lui. La bestia fedele lo accompagnò sino all'Oratorio, e senza entrarvi se ne partì. Nè  solo quella volta, ma tutte le sere che egli non potesse portarsi a casa per tempo, o fosse senza un buon accompagnamento, appena passati gli edifizi, vedeva spuntare il grigio ora da uno ora da un altro lato della via. Talora Mamma Margherita, non vedendo il figlio arrivare a casa per tempo, ne stava in pena, e mandavagli qualche giovane incontro; e taluno ricorda di averlo più volte trovato insieme colla sua guardia di quattro gambe.

Nel 1855 Cigliutti, Gravano, Falchero, Gaspardone, Castagno Carlo, Giuseppe Buzzetti, Reviglio Felice raccontavano a Giovanni Villa d'aver veduto il grigio e con questi molti e molti altri, i quali erano pur stati testimonii delle minacce e degli attentati dei malvagi contro D. Bosco. Tomatis Carlo ci assicurò aver incontrato per via il grigio, che D. Bosco chiamava il suo fido, verso le 9 di sera e ce lo descrisse. “Era un cane di un aspetto veramente formidabile e cento volte Mamma Margherita nel vederlo esclamava: - Oh la brutta bestiaccia! - Aveva una figura, quasi di lupo, muso allungato, orecchie diritte, pelo grigio, altezza un metro”.

Incuteva spavento in quelli che non lo conoscevano. Narrò D. Bosco: “Veniva una sera a casa essendo già un po' tardi. Ad un certo punto incontrai un amico, il quale mi accompagnò sino al Rondò: quivi mi salutò per ritornarsene. Da questo punto all'Oratorio stava per me il maggior pericolo. Ma ecco comparire il mio custode, il grigio. Colui, vedendo un tale cagnaccio, fece un atto di grande meraviglia mista con un po' di paura, e prima di lasciarmi voleva cacciarlo lungi da me. Ma io insisteva che non si prendesse affanno, perchè io conosceva il cane ed il cane conosceva me; quindi che eravamo buoni amici. Ma quegli non s'acquietava, e disse: - Non permetterò che ella vada a casa solo con questo bestione. - E intanto prese due grosse pietre e l'una dopo l'altra gliele scagliò a tutto potere. Il cane non si mosse di posto, non mostrò il minimo risentimento, come, se non sopra il suo corpo, ma sopra un sasso avesse battuto. Allora quel galantuomo rimase pieno di spavento ed esclamò: - Egli è una masca! egli è una masca! - cioè una bestia stregata; e più non osava tornare indietro, e mi accompagnò fino all'Oratorio. Quivi giunto dovetti mandargli due giovani adulti a scortarlo, perchè più non sarebbe da solo ritornato a casa sua, tanto era lo spavento che aveagli cagionato l'insensibilità di quel cane e il timore d'incontrarlo un'altra volta. Il grigio però vedendomi accompagnato era scomparso”.

Or dunque il grigio, che eziandio il Ch. Michele Rua vide per ben due volte, con apparizioni opportune, e diremmo prodigiose, nei momenti di maggior pericolo correva a difendere D. Bosco.

Una volta, invece di accompagnarlo a casa, impedì che ne varcasse la soglia. Per una dimenticanza fatta lungo il giorno, doveva egli uscire una sera già molto avanzata. Mamma Margherita cercava di dissuaderlo; ma egli, esortatala a non temere, prende il cappello, chiama alcuni giovani a fargli compagnia, e si porta al cancello. Ivi giunto, trova il grigio sdraiato. Il portinaio, che non conoscevalo ancora, aveva tentato più volte di allontanarlo fin colle percosse, ma esso sempre ritornava come se volesse aspettare qualcheduno. - Oh! il grigio, esclamò D. Bosco; tanto meglio, saremo in uno di più. Alzati dunque, dice poscia alla bestia, e vieni. - Ma il cane invece di obbedire manda fuori una specie di grugnito, e sta al suo posto. Per due volte D. Bosco cerca di passar oltre, e per due volte il grigio ricusa di lasciarlo passare. Taluno dei giovani lo tocca col piede per farlo muovere, ed esso risponde con un latrato spaventoso. D. Bosco tenta allora di rasentare gli stipiti, ma il grigio gli si getta fra i piedi. La buona Margherita dice tosto in dialetto piemontese: Se t’ veuli nen scouteme mi, scouta almen '1 can; seurt nen; vale a dire: Se non vuoi ascoltare me, ascolta almeno il cane; non uscire. Don Bosco, vedendo la madre cotanto impensierita, giudicò di soddisfare i suoi desiderii e rientrò in casa. Non era passato un quarto d'ora, che un vicino venne a trovarlo, e gli raccomandò di stare in guardia, perchè aveva saputo che tre o quattro individui si aggiravano nei dintorni di Valdocco decisi di fargli un colpo mortale.

D. Bosco avea sfuggite le insidie, ma quei scellerati non desistevano dai loro micidiali propositi. Una notte ritornava a casa pel viale che da piazza Emanuele Filiberto mette al così detto Rondò, verso Valdocco. Giunto un po' oltre alla metà, Don Bosco sente corrersi dietro; si volta, e vistosi a pochi passi un tale con un grosso randello in mano, si pone anch'egli a correre nella speranza di poter arrivare all'Oratorio prima di essere raggiunto. Era già pervenuto alla discesa che prospetta ora la casa Delfino, quando scorge in fondo parecchi altri che cercano di prenderlo in mezzo. Accortosi di quel pericolo, egli pensò di cominciar a liberarsi da chi lo inseguiva. Costui stava ormai lì per raggiungerlo e dargli un colpo, quando D. Bosco si ferma all'improvviso, e gli punta con tal destrezza ed impeto il gomito nello stomaco che il misero cade rovesciato a terra gridando: Ahi! ahi! che son morto. Pel buon esito di questa ginnastica D. Bosco avrebbe potuto salvarsi dalle mani di colui; ma già gli altri coi bastoni alla mano stavano per circondarlo. In quell'istante salta fuori il grigio provvidenziale, che si mette a fianco di D. Bosco, e manda tali latrati ed urli, e poi si agita qua e colà con tanta furia, che quei brutali, rimasti atterriti e temendo di essere fatti in brani, pregano D. Bosco ad ammansarlo, a tenerlo presso di sè . Intanto l'uno dopo l'altro si sbandarono, lasciando che il prete facesse la sua via. Il cane più non abbandonò D. Bosco sino a che non entrò nell'Oratorio, e fu allora che, seguitolo nel cortile, e affacciatosi alla porta della cucina, ricevette le ben meritate carezze, benchè alquanto riguardose, di Mamma Margherita, come essa stessa e Buzzetti riferivano a Pietro Enria.

Altra fiata, pur di notte, egli ritornava a casa pel corso Regina Margherita, quando un individuo, che ne spiava i passi, postosi dietro ad un olmo, gli spara quasi a bruciapelo due colpi di pistola. Falliti ambidue, il sicario si precipita sopra D. Bosco per finirlo in altro modo; ma in quell'istante sopraggiunge il grigio, si avventa con impeto addosso all'aggressore, lo mette in precipitosa fuga, e poi accompagna Don Bosco sino all'Oratorio.

Una sera il grigio servì di teatro ai ricoverati. Stava D. Bosco a cena con alcuni de' suoi chierici, presente sua madre, quando entra il cane nel cortile. Alcuni giovani, che non lo avevano ancora mai veduto, n'ebbero paura, e lo volevano battere o prendere a sassate. Buzzetti, che lo conosceva: - Non fategli del male, gridò tosto, esso è il cane di D. Bosco. A queste parole tutti gli si avvicinano, lo accarezzano, lo prendono per le orecchie, gli stringono il muso, gli fanno cento vezzi, e infine lo menano nel refettorio. La visita inaspettata di quella grossa bestia sbigottì alcuni dei commensali di D. Bosco, il quale: - Il mio grigio non fa male a nessuno, disse; lasciatelo venire, e non temete.

Il cane, dato prima uno sguardo attorno alla tavola, ne fece il giro, e andò tutto festoso presso D. Bosco, che fattegli alcune carezze, volle dargli un po' di cena; perciò gli offrì pane, pietanza, minestra ed anche da bere. Ma il grigio tutto ricusò, anzi neppur si degnò di fiutare cosa alcuna, tanto era disinteressato nel suo servizio.

- Ma dunque che vuoi? domandò Don Bosco; e il cane sbattè  le orecchie e dimenò la coda e continuando a dar segni di compiacenza, poggiò il capo sulla tavola, guardando Don Bosco, come se volesse dargli la buona sera. Ciò fatto, riprese la via e se ne uscì accompagnato dai giovani, sino alla porta. “Mi ricordo, ci assicurava Buzzetti, che in quella sera D. Bosco era venuto a casa, sul tardi bensì, ma condotto in carrozza dal signor marchese Domenico Fassati. Non avendolo trovato per istrada, pareva che il cane fosse venuto ad accertare il suo protetto, di averlo secondo il solito fedelmente atteso”.

Mons. Cagliero ci confermava tai fatti. “Io vidi la cara bestia una sera d'inverno; entrò nel cortile e poi nella saletta ove veniva a mangiare D. Bosco, e tutto festoso gli si avvicinò, e D. Bosco gli disse: - O grigio! non sei arrivato a tempo per accompagnarmi: io sono già a casa. - E preso un pezzo di pane, glielo offerse; ma il cane lo rifiutò. D. Bosco disse allora: - Oh! goloso! Vuoi della carne? Ma vedi bene che D. Bosco non ne ha! Se non vuoi mangiare stammi allegro e vattene! -Il cane abbassò il capo in aria mortificata e si avviava verso la porta; ma D. Bosco lo richiamò, dicendo: - Vieni qui, grigio, non ti voglio mortificare. Vieni qui.... - Il cane ritornò da D. Bosco ricevendo le carezze di lui e le nostre per lungo tempo e poi lo si lasciò andare perchè era già tardi. Altri de' miei compagni lo videro in più altre occasioni”.

Per la terza volta il grigio salvò la vita a D. Bosco, sulla fine di novembre del 1854. Una sera, molto oscura e nebbiosa, egli veniva a casa dal centro della città, dal Convitto, e per non camminare troppo lontano dall'abitato scendeva per la via che dal Santuario della Consolata mette all'Istituto del Cottolengo. Ad un certo punto della strada D. Bosco si accorge che due uomini lo precedevano a poca distanza, ed acceleravano o rallentavano il passo a misura che lo accelerava o rallentava egli pure; anzi quando ei tentava di portarsi dalla parte opposta per evitarli, eglino destramente facevano altrettanto per trovarglisi dinanzi. Non rimaneva più alcun dubbio che fossero due male intenzionati; quindi cercò di rifare la via per mettersi in salvo in qualche casa vicina; ma non fu più in tempo; poichè quei due, voltisi improvvisamente indietro e conservando cupo silenzio, gli furono addosso e gli gettarono un mantello sulla faccia. Il povero D. Bosco si sforza per non lasciarsi avviluppare; abbassandosi con rapidità, libera per un istante il capo e si dibatte. Ma gli oppressori mirano ad avvolgerlo vieppiù stretto e a lui non resta che di chiamare aiuto; e nol può, perchè uno di quegli assassini gli tura con un fazzoletto la bocca. Ma che? in quel cimento terribile di inevitabil morte, mentre invocava il Signore, compare il grigio, il quale si diede ad abbaiare così forte e con tal voce, che il suo pareva non il latrar di un cane e neppur di un lupo, ma l'urlare di un orso arrabbiato, sicchè atterriva e assordava ad un tempo. Nè  pago di ciò, si slancia colle zampe contro uno di quei ribaldi, e lo costringe ad abbandonare il mantello sul capo di D. Bosco, per difendere sè  stesso; poi sì getta sopra dell'altro, e in men che non si dice, lo addenta e lo atterra. Il primo, vista la mala parata, cerca di fuggire, ma il grigio nol permette, perchè saltandogli alle spalle, getta lui pure nel fango. Ciò fatto, si ferma colà immobile continuando ad urlare, e guardando quei due galantuomini, quasi dicesse loro: Guai se vi movete. A questo improvviso mutamento di scena: - D. Bosco, per carità! Ahi! Lo sgridi che non ci morda! Pietà, misericordia, chiami questo cane, - si posero a gridare quei due furfanti.

- Lo chiamerò, rispose D. Bosco, ma voi lasciatemi andare pe' fatti miei.

- Sì, sì, vada pure, ma lo chiami tosto, gridarono nuovamente.

- Grigio, disse allora D. Bosco, vien qua ed esso obbediente si fa presso di lui, lasciando liberi quei malfattori, che se la diedero a gambe a più non posso. Non ostante questa inaspettata difesa, D. Bosco non sentissi di proseguire il cammino sino a casa. Egli entrò in quella vece nel vicino Istituto del Cottolengo. Ivi, riavutosi alquanto dallo spavento, e caritatevolmente ristorato con una opportuna bibita, riprese la via dell'Oratorio accompagnato da una buona scorta. Il cane lo seguì fino ai piedi della scala per la quale salivasi in camera.

“In quel tempo, disse Savio Ascanio, un'empia Gazzetta aveva minacciato di mettere due dita nella gola a D. Bosco appunto per lo zelo che dimostrava nel sostenere la fede e smascherare gli errori dei Protestanti. E altri giornali liberali, spropositando in cose di religione, per schernire impunemente D. Bosco, lo indicavano col nome di D. Bosio”.

Il grigio, come sopra si disse, fu tema di molte indagini e discussioni, sembrando alcunchè di ben curioso e insieme soprannaturale; e nessuno potè  mai sapere ove si ritirasse dopo compiuta la sua missione. D. Bosco diceva: “Di quando in quando mi veniva il pensiero di cercare l'origine di quel cane e a chi appartenesse, e poi rifletteva: Oh, sia di chi si vuole, purchè mi faccia da buon amico. Io non so altro che quell'animale fu per me una vera provvidenza, in molti pericoli in cui mi sono trovato”.

Il riferito racconto potrà sembrare a taluno una favola. Ognuno è libero di farne quel conto che giudica. In quanto a noi reputiamo lecito e conforme a verità, il credere che Iddio nella paterna sua bontà abbia voluto servirsi di una bestia che è simbolo della fedeltà, per difendere e confortare un uomo che sfidava l'ira nemica e si esponeva ai più gravi pericoli, per conservare se stesso, i suoi giovani, il suo prossimo nella fedeltà a Dio ed alla Chiesa.

 

 

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