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Capitolo 61

D. Bosco, il magnetismo e lo spiritismo - Le sonnambule - I gabinetti magnetici - Le tavole giranti - Gli spiriti - Il diavolo -Infestazioni misteriose - Libri contro le nuove empietà.


Capitolo 61

da Memorie Biografiche

del 27 novembre 2006

Saldo come un muro di bronzo nella lotta contro i Valdesi, D. Bosco si accingeva a sostenerne un'altra che non s'imponeva meno.

Nel 1852 lo spiritismo aveva fatta la sua prima apparizione in Torino, levando di sè  un gran parlare. Era un misto di magnetismo animale, di evocazione diabolica e di impostura. Questa rinnovellata ma antichissima superstizione, invasa l'America, era passata nella Germania protestante, poi nella Francia volteriana e finalmente in molte parti d'Italia. A' suoi seguaci, afferma il Balan, devesi specialmente quella vertigine che a tanto pericolo condusse in Europa la società nel 1848.

In Torino però presentossi tanto accorta e tanto seducente che in sulle prime parecchi dei buoni, e laici ed ecclesiastici, non dubitarono di prendere parte a sedute spiritiche e di

assistere alle strane movenze delle tavole giranti e parlanti che rivelavano la presenza di un essere extraterreno. Scopertane la malizia, quelli se ne ritrassero; se non che tale peste continuava a diffondersi feconda di tristi effetti, insinuatrice di una larvata ribellione a tutti gli insegnamenti della Chiesa, e fonte di abbominevole immoralità. I magnetizzatori e le sonnambule avevano incominciato a dare i loro responsi.

D. Bosco, benchè persuaso trattarsi nella maggior parte dei casi di vere ciurmerie per ingannare i gonzi, temeva che servissero di preludio a fatti peggiori; specialmente col destare nel popolo la morbosa curiosità di voler conoscere le cose occulte, lontane o future, e col togliergli l'orrore dell'intervento diabolico. Chiesto perciò consiglio e licenza ai superiori ecclesiastici, andò più di una volta ad assistere agli esperimenti, detti magnetici o spiritici. Era suo intento scoprire l'impostura e l'empietà perchè sperava disingannare gli illusi e allontanarti da ulteriori follie.

In piazza Castello riversavasi tutta Torino per assistere agli spettacoli del magnetismo che dava un famoso ciarlatano in abito di gala, il quale aveva saputo cattivarsi l'ammirazione del popolo colle sue rivelazioni e predizioni. Un giorno D. Bosco s'innoltrò fra la moltitudine che lo circondava, mentre dopo varii esperimenti che aveangli procurati grandi applausi, faceva leggere alla sonnambula lettere chiuse.

- Vi è un abate che vuol parlare con lei, gridò una voce al magnetizzatore.

- Venga pure avanti, signor abate; rispose quegli.

D. Bosco comparve nello spazio lasciato libero dalla gente, in mezzo al quale sedeva una donna che pareva dormiente e cogli occhi bendati. Ei teneva in mano una lettera sigillata, che pochi istanti prima aveva ricevuta, scrittagli da Mons. Fransoni. - Che cosa comanda, signor abate? replicò quel prestigiatore.

- Tengo questa lettera, della quale desidero che la sonnambula, prima che io l'apra, mi legga il contenuto: disse D. Bosco.

- Sarà soddisfatto, rispose il ciarlatano; e rivolto alla donna, le intimò con voce imperiosa: Leggete!

La donna esitò alquanto; il giuoco era imprevisto: l'inflessione della voce di chi le comandava, non indicavale la risposta; ma costretta a parlare, esclamò - Veggo... veggo tutto!

- E che cosa vedete? interrogò quell'uomo.

- Non posso dirlo.

- Perchè non potete dirlo?

- Perchè c’è  il segreto.

- Quale segreto?

- Il segreto del sigillo.

- Capiscono, signori? disse l'uomo al popolo; e a Don Bosco: Ha ragione la sonnambula: il segreto delle lettere sigillate non può esser violato.

- Quando è così, la cosa è presto aggiustata, osservò D. Bosco, e ruppe il sigillo. Ora non c’è  più nessun segreto.

- Benissimo; ed ora si potrà leggere, replicò il ciarlatano. A voi: leggete; ordinò alla donna.

- Non posso.

- Perchè non potete?

La sonnambula dava segni di viva impazienza, e replicò

- Perchè ... perchè non posso. Vi ho già detto che non voglio operare innanzi a gente Che appartiene all'altare. - E proferì un'atroce bestemmia. A questa conclusione il popolo emise una solenne fischiata, e si disciolse facendo commenti ingiuriosi all'arte di quel messere.

Più volte D. Bosco si presentò con diversi ripieghi al cospetto delle moltitudini per sfatare le arti dei magnetizzatori, i quali in sua presenza nulla poterono fare di straordinario, e si guadagnarono sempre scherni e fama d'impostori. Sbollì quindi in molti la smania di assistere a tali portenti, e più non ne parlavano se non con disprezzo.

Dalle piazze D. Bosco passava nelle case ove tenevano sedute i magnetizzatori laureati, dei quali, come degli altri, egli era divenuto un vero persecutore.

Presso S. Pietro in Vincoli aveva messo stanza un certo dottor Fiorio, il quale col mezzo di una magnetizzata pretendeva di poter scoprire un prezioso tesoro che asseriva nascosto in quella regione. D. Bosco, presi con sè  alcuni giovani perchè fossero testimoni, fra i quali il Ch. Reviglio e Serra, dopo averli bene istruiti ed indettati, si recava a quelle prove. La magnetizzata affermava di vedere il tesoro, lo descriveva e faceva nascere nei molti spettatori il desiderio di possederlo. Furono perciò praticati varii scavi profondi; ma di tesoro non si trovò mai la traccia. D. Bosco, che osservava minutamente ogni cosa, non tardò a far correre voci che screditassero quel ciarlatano, e per mezzo di coloro i quali coi loro danari avevano concorso agli scavi ed ora si vergognavano di essere stati così credenzoni.

Un altro dottore di nome Giurio teneva gabinetto di magnetismo in via S. Teresa e la chiaroveggente chiamavasi Brancani. Infermi di malattie gravissime, incurabili o non bene conosciute dai medici, gli mandavano anche da paesi lontani qualche oggetto che loro appartenesse, e con questo egli definiva l'infermità, dava consigli e prescriveva rimedi. Ma le spaventose conseguenze morali e spirituali di simili consulti avevano già provato ad evidenza certi gabinetti magnetici essere d'indole diabolica.

D. Bosco vi andò col Teol. Marengo e col Teol. Motura, e trovò la sala già piena di spettatori. Dopo aver assistito a varie esperienze, chiese al dottore di essere messo in comunicazione magnetica colla Brancani

Giurio si affrettò a contentarlo colla risolutezza di un uomo sicuro di sè . D. Bosco incominciò ad interrogare; ma le risposte della sonnambula che prima si aggiravano su Pietroburgo, all'improvviso con un salto furono sul parlare di cose più vicine. D. Bosco allora trasse fuori una ciocca di capelli, statagli data dal Teol. Nasi, e domandò di quale malattia fosse afflitto colui al quale appartenevano. - Cosa giusta ed utile lei domanda, osservò il dottore; e rivolto alla magnetizzata le intimò di rispondere.

- Di chi sono questi capelli? chiese D. Bosco.

- Povero giovane! Quanto devi soffrire, mormorava la donna.

- Amo spicciarmi presto, perchè ho il tempo limitato, osservò D. Bosco; quello cui appartengono questi capelli non è un giovane. Mi dica dove abita?

- Vado.... vado.... eccolo.... è là in via della Zecca.

- Non è in via della Zecca.

- È vero.... ma non sono ancora giunta.... più in giù, più in giù, al di là del Po....

- Non abita da quella parte. Ma mi sveli la sua malattia.

- Aspetti che lo trovi: lo vedo.... Quante sofferenze... infelice!

- Ma insomma quale è il suo male!

- Lo stesso che soffro io.

- E quale?

- L'epilessia

- Non fu mai epilettico.

A questo punto quella donna, prima impacciata e poi furiosa, ruppe in una parola così oscena ed insultante, che fece trasalire e sciogliere l'adunanza. La cosa era chiara: o si trattava di una giunteria, ovvero Farfarello aveva paura dei buoni preti.

Il malanno però venuto in gran voga era quello delle tavole semoventi quando intorno a loro i convenuti formavano catena. Queste oscillavano, roteavano, s'innalzavano con impeto dal pavimento, saltavano qua e là per la sala; poi con picchiate leggere, convenzionali di uno dei loro piedi, rispondevano categoricamente alle domande loro fatte. Sovente si legava all'estremità di una delle loro gambe una matita sottoponendovi un foglio di carta e questo ritraevasi poi colle risposte in lettere chiare e corrispondenti alle interrogazioni. Lo stesso fenomeno producevano trespoli minuscoli. Ciò faceva supporre la mano di un essere intelligente, il quale si annunziava col nome di un santo o di qualche grand'uomo già defunto e più in fama.

Di questi fatti ne correva voce nelle conversazioni signorili, nelle radunanze degli industriali e nei ritrovi degli operai. Ora D. Bosco essendone stato informato s'imbattè  in uno degli operatori più conosciuti di tali diavolerie, e senz'altro lo affrontò e gli disse i fenomeni prodotti dalla sua arte essere giuochi da saltimbanco. Quegli sfidò D. Bosco invitandolo ad andare in sua casa e a vedere e a constatare la verità della cosa. D. Bosco, munitosi di bel nuovo della licenza dell'autorità ecclesiastica vi andò accompagnato dal Teol. Marengo e dal Teol. Nasi, ma portando seco nascosta nelle vesti la reliquia della santa croce. Fu accolto con viva compiacenza, e sul volto del magnetizzatore brillava la sicurezza della riuscita. Fu posta la tavola in mezzo alla sala; se non che per quanto egli e altri facessero, la tavola non si diè  per intesa nè di muoversi nè  di rispondere. Lo sfidatore, meravigliato e stizzito, dopo avere replicate le sue prove, vedendole andare a vuoto, si rivolse a D. Bosco dicendogli essere lui la causa di quell'insuccesso, perchè colla sua volontà non era consenziente a que' fenomeni, poichè non ci credeva e concluse:

- Ma lei non ha fede!

- Fede in chi? gli rispose D. Bosco, fissandolo seriamente in volto. E si ritirò convinto, coi due suoi amici che il legno della santa croce fosse la causa dell'immobilità di quella tavola. D. Bosco stesso narrava questo fatto a' suoi preti ed a' suoi chierici.

Ma intanto purtroppo andava crescendo la frequenza di persone colte ai gabinetti magnetici dove, ipnotizzato uno degli astanti, si producevano effetti spiritici al tutto maravigliosi o spaventevoli; tenebre e luci; musiche invisibili e mani misteriose che stringevano, accarezzavano e percuotevano; balli improvvisi e sfrenati di tutta la mobiglia di una stanza, apparizioni lusinghiere od orrende di spettri e di anime dei defunti. E le conseguenze di questi spettacoli innumerevoli in Torino e nelle province erano pazzie, suicidii, ossessioni, disperazioni, morti improvvise, ipocondrie invincibili, paralisi, spasimi acuti, e cento altre maledizioni.

Che quegli sciagurati, almeno indirettamente, evocassero il demonio, D. Bosco ne ebbe certa prova, come poi narrava a Buzzetti e ad altri in questi termini: - Un tale che era stato arreticato in certe società, presentatosi a me così prese a parlare

“Io che finora non aveva tempo nè  a pensare a Dio, nè  all'inferno, che anzi, appunto per questo, da gran tempo mi ero dato ad una vita assai scorretta, adesso ho di nuovo con me la fede e il timor di Dio. Sa come andò? Ascolti la storia genuina e senza ombra di esagerazione. Un amico cominciò a condurmi in certi convegni dove si trovavano di molti uomini amanti del viver lieto: ma che tolto il dir male della religione, nel rimanente pareva che pensassero ad opere di beneficenza. Se si voleva ballare, si faceva per soccorrere i poveri; se godevasi un po' di carnevale, non mancava la colletta per gli ammalati ecc.; in somma si operava, a modo nostro, il bene; ed io ne era contento. C'era una nota che mi spiaceva, cioè quella di malignare contro il Papa; ma mi ci era già accostumato. Erano cose queste, che si sentivano anche in altri luoghi; e non si faceva poi, secondo me, male a nessuno.

”Ma il peggio venne di poi. - L'altra sera, invitato da un mio amico ad assistere a qualche sperimento spiritistico, ebbi la disgrazia di veder comparire, vivo e vero e spaventoso, davanti a me, colui che si dice il grande architetto, cioè il diavolo. Non le dico quanto io ho in quel momento sofferto, e come mi augurai di non essere mai andato in quel ritrovo. Ma c'era e doveva rimanere. Stetti muto e sudai freddo, per quanto durò quell'apparizione. Lo spavento ed il terrore era in tutti ed il silenzio incusso dalla paura era generale. Terminata quella apparizione, io me ne tornai a casa, lamentandomi con l'amico, che mi aveva messo in corpo tanta paura. Ma ripensandoci dopo ed in tutto il corso della notte, non potendomi allontanare dalla fantasia la figura del brutto Caprone, che pur aveva sempre sotto agli occhi, dissi a me stesso: Ma se c’è  il diavolo, ci dev'essere anche Dio! E di cosa in cosa, mi ricordai che Dio aveva pur la sua legge, e che sarebbe un po' meglio che io tornassi a praticarla, come avevo fatto nei primi anni della mia gioventù.

”Venuto il mattino, cercai di mettere in pace la mia coscienza, e, cosa che da più anni non aveva più fatto, andai a confessarmi. Quel padre mi consolò, e le sue parole rimasero impresse nel mio cuore. Ora amando Dio, praticando la sua santa religione, trovo la pace, e non sento più timore dei diavolo. Ma fu lui, il brutto mostro, che mi fece la predica, lui che mi ebbe a convertire, ed a far rinascere in me l'immagine di Dio, che ormai avea dimenticato e perduto.”

Si avverava l'assioma filosofico ed istorico del Novalis che dove non vi è Dio, regnano gli spettri. Crescendo l'empietà e il vizio, cresceva anche la baldanza dello spirito maligno, bramoso di ricuperare l'impero che esercitava nei secoli del paganesimo; e Dio permetteva che estendesse le sue orride manifestazioni e vessazioni anche fuori del luogo delle evocazioni spiritistiche. Il Teol. Tommaso Chiuso, nella sua pregiata opera la Chiesa in Piemonte dal 1797 ai giorni nostri, reca prove incontestabili di infestazioni diaboliche, avvenute in Torino e fuori in questi anni. Lo stesso D. Bosco più volte si trovò di fronte a queste infestazioni ed ossessioni e vinse gli spiriti maligni suggerendo armi spirituali. Ora esponiamo due soli fatti; gli altri a suo tempo.

Il Teol. Savio Ascanio scrisse a suo fratello D. Angelo, che abitava nell'Oratorio, la seguente lettera perchè D. Bosco fosse avvisato di quanto accadeva nel suo paese, e richiesto di consigli e preghiere.

 

Castelnuovo d'Asti, 18 gennaio 1867.

 

Carissimo D. Angelo,

 

Senti il fatto delle pietre, di cui tanto si è parlato. Ai 10 di questo mese, in sulla sera trovavansi, nella stalla di mia madrina, la zia in letto inferma e la buona Angelina che la custodisce, quando tutto all'improvviso sentono un rumore.... ton.... contro la porta della stalla al di fuori; Angelina apre e non vede nessuno; ton.... un'altra volta; apre ed osserva più attentamente, ma niuno come prima; ton…. la terza volta. Quella figlia era inquieta, ed esclamava: “Oh ragazzi biricchini, siete proprio fatti per fare esercitar la pazienza!” Va per minacciarli, ma nè  li vide, nè  li udì. “Sia un po' ciò che si vuole” dice tra sè , e ritirata nella stalla, cercò di mettersi in tranquillità. Intanto sente che le pietre piovono nell'aia, battono contro la finestra della stalla, entrano nella stalla a porta ben chiusa, sì che naturalmente non potevano passare; corrono da sè  sul pavimento della stalla.

Gli uomini, accorsi a contemplar il nuovo caso, se ne stavano sbalorditi. La tempesta si rinnovò per cinque giorni, giovedì, venerdì, sabbato, domenica e lunedì.

Cadevano pietre piccole come il dito pollice e grosse fino a pesare tre libbre ed otto once; piovevano pezzi di legno staccato di fresco, terra proveniente da fossi circonvicini, pezzi di tegole infangate, un ramo di olivo, avviluppato di paglia, un pezzo di vite lungo più di una spanna. In tutto grandinarono circa quattro miriag. di materiali. La grandine veniva dall'alto in basso, da basso in alto, da tutte le direzioni: battevano nella porta, nella muraglia, sul tetto, contro la carta delle finestre, la quale naturalmente doveva restar tutta lacera, e pure non presentò il più piccolo buco; batteva sulla schiena dei poveri cristiani, sullo stomaco, sulle ginocchia, sulla nuca, sul cappello, sulle guance, sul mento, sulla mano, ed anche i pezzi più grossi non facevano mai il più piccolo male; battevano nella mastella, nella secchia con gran fracasso; andavasi a verificare se erano sfondate, e non si trovavano neppure offese.

Una di quelle pietre venne con un brutto sputo sopra, altre comparivano asciutte, altre bagnate allora dalla pioggia; io le presi in mano, alcune mi colpirono sul cappello, altre sullo stomaco, e sul ginocchio sinistro e vidi grandinare per circa un'ora e mezzo. Prima e dopo di me accorse molta gente della Borgata, e vennero da Castelnuovo, dai Bardella, da Buttigliera, da Mondonio ecc., videro vecchi, giovani, uomini i più spregiudicati, i più increduli. Nessuno non ha mai saputo spiegarne la causa; chi dice essere un'anima del Purgatorio, chi crede essere il diavolo, chi, contro ogni apparenza e contro il buon senso di tutti, si ostina ad affermare essere un giuoco combinato. Ma la conclusione si è questa: 1° Il fatto è certissimo, attestato da centinaia di persone. 2° La causa del fatto nessuno sa spiegarla. Questa, o D. Angelo, è la storia delle pietre. A Torino vi sono dotti; domandane la spiegazione e chiedi se naturalmente ciò sia possibile, quando le pietre non potevano entrare nè  da sopra, nè  dalle pareti, nè  dalla porta, nè  dalla finestra, e con tutto il loro fracasso erano innocue, sì che il loro percuotere sembrava una carezza che quasi ci moveva a ridere....

 

Sono tuo aff.mo fratello

ASCANIO.

 

Il Prof. Cav. D. Turchi Giovanni ci narrava egli pure: “In una borgata di Bra (non ricordiamo l'anno), ed in una buona famiglia di agricoltori, quasi tutti ancora viventi, avvenne che nell'inverno, dormendo essi nella stalla, una notte, una figlia già adulta, svegliatasi incominciò a strepitare dicendo che vedeva un lume sulla testa e corna di un bue e che quel lume si moveva e andava alla porta. Tutti a dirle che sognava e si tranquillizzasse. La cosa seguitò per più altre notti. Di poi quel lume lo vedevano la notte tutti quei della famiglia con terrore tale che, anche i figli più adulti, robusti e coraggiosi si erano atterriti. Di giorno si facevano coraggio, ma la notte lo perdevano all'apparire di quello strano lume, tanto che la famiglia ne deperiva e il loro aspetto lo dimostrava. Pregavano e facevano pregare, e parmi anche celebrar messe ma senza frutto. La cosa durava da mesi, quando taluno consigliò si ricorresse a D. Bosco. Così si fece. D. Bosco, sentito il tutto, disse: - Domani non potrò, ma posdomani all'ora tale (e gliela indicò) celebrerò la S. Messa per tutti voi altri, e spero che sarete liberi da tale infestazione; ma anche voi altri posdomani a Bra andate a sentire la messa all'ora in cui la dirò io. - Così si fece quanto alle messe, e d'allora in poi quella famiglia non ebbe più a soffrire per tale infestazione. A Bra, e specialmente in quella borgata la cosa è nota. Tutto ciò mi narrava son pochi anni il nobile D. Gazzani, sacerdote pio, virtuoso, zelante e colto”.

Simili disturbi, ed anche peggiori, si riprodussero nel corso degli anni in molti altri luoghi, e invano l'autorità giudiziaria tentò di ricercarne la causa. Le pratiche spiritiche continuando davano ansa all'orgoglio e all'odio di Satana contro Dio e contro l'umanità. Periodici e Annali dello Spiritismo pubblicati da una Società torinese, narravano fatti strabilianti ed esponevano scellerate dottrine. Questi fogli erano letti avidamente da molti.

Allora D. Bosco, per infondere orrore nel popolo alle pratiche spiritistiche e al demonio che ne era la causa, esortò con premurose istanze il frate Carlo Filippo da Poirino, sacerdote cappuccino, a scrivere un opuscolo ch'egli avrebbe stampato a proprie spese. Il dotto padre accettò l'incarico e scrisse un libretto, nel quale colle testimonianze dell'antico e del nuovo Testamento e della storia, provava l'esistenza degli angioli ribelli, il loro eterno castigo, la loro dimora in questo mondo, il loro potere formidabile, ma limitato da Dio, sulle cose esterne; le tentazioni e le ossessioni diaboliche, permesse dal Signore in prova dei buoni e pel castigo o per la conversione dei cattivi; l'imperio che ha la Chiesa su di essi co' suoi esorcismi, l'esistenza possibile del commercio ed amicizia dell'uomo empio col demonio; la realtà del fatto, punito dalla Chiesa con severissime pene; infine il magnetismo, che non sia puramente minerale o animale, secondo definì la sacra Congregazione della Suprema Inquisizione, e i fenomeni delle tavole giranti e parlanti, essere una magia diabolica, in quanto che producevano effetti sproporzionati alla causa. L'autore però dichiarava che l'impostura o l'ignoranza di cause fisiche poteva aver luogo in moltissimi casi per creare falsi giudizi; che Dio misericordioso non è facile a permettere, nei paesi ove regna la Fede cattolica, l'esorbitare del demonio a danno dei fedeli, o a servizio della superstizione. Tuttavia suggeriva i mezzi e le armi per respingere e fuggire gli spiriti maligni. Aggiungeva un capitolo sui tristi effetti delle maledizioni, imprecazioni e bestemmie.

Questo libro usciva alle stampe nel 1862 col titolo: La podestà delle tenebre, ossia osservazioni dogmatiche morali sopra gli spiriti malefici, seguite dalla relazione di un'infestazione diabolica avvenuta nell'anno 1858 in Val della Torre. È questo un villaggio alpino dell'Archidiocesi di Torino nella Vicaria di Pianezza, e fu l'apparizione di Maria SS. che liberò un'infelice fanciulla.

D. Bosco fece stampare questo libro in più di 15.000 copie nelle Letture Cattoliche, che ebbero un rapido spaccio. Esaurita la prima edizione, da ogni parte con grande avidità se ne chiedeva una seconda, prova del gran bene che questo lavoro aveva prodotto. E D. Bosco nel 1863 ne ristampava altri 20.000 esemplari che ebbero tale esito da non rimanerne più nessuna copia.

Non contento di questo egli vedendo gran numero d'illusi, specialmente nel popolo, tener dietro alle stravaganze del magnetismo, incaricava eziandio un suo compagno di scuola e suo grande amico, dottore in medicina e chirurgia, il torinese Gribaudo, di scrivere un altro opuscolo intitolato: Del Magnetismo animale e dello Spiritismo, dandogliene egli stesso la traccia e correggendone le stampe. Veniva alla luce nel 1865 nella collezione delle Letture Cattoliche. Il Dottor Gribaudo metteva come principio la divina proibizione al popolo Ebreo con minaccia di esterminio: “Non siavi tra voi chi faccia uso dei sortilegi, nè  chi consulti i pitonici o gli astrologi, nè  cerchi di sapere dai morti la verità”. Ecco lo spiritismo. E Dio ripetè  le sue minacce per bocca d'Osea, perchè “Il mio popolo ha consultato un pezzo di legno e le sue bacchette han predetto a lui il futuro”. Ecco le tavole roteanti e i trespoli picchianti e scriventi. Quindi provava colla storia come tutto il mondo pagano antico e moderno, ed anche certe epoche del mondo cristiano, facciano testimonianza dell'azione malvagia, ipocrita, crudele palesata in mille maniere ed occasioni da uno spirito intelligente che non poteva essere altro che il demonio. Escluso adunque dai fenomeni l'elemento naturale fisico, fisiologico, psicologico e scientifico, le leggi del quale la scienza medica più o meno chiaramente sempre conobbe ed ammise in natura; messo da parte l'elemento ciarlatanesco, ciurmatore magnetizzante le borse; veniva a concludere che l'elemento sovrannaturale nel magnetismo spiritico era il dominante. Perciò, recando molti fatti meravigliosi di questo, non conciliabili colle leggi della natura, narrati da personaggi autorevoli e dagli stessi magnetizzatori, dimostra ad evidenza esservi stato necessariamente l'intervento del demonio, ed in queste condizioni il sonnambulismo esser un'ossessione temporaria, avendo tutti i contrassegni coi quali la S. Chiesa caratterizza gli ossessi.

E basti di questo. D. Bosco ne stampò altre migliaia e migliaia di copie e le diffuse dappertutto, poichè tale empietà come serpe lusinghiero, continuava ad aprirsi la via nelle famiglie, e con danni gravissimi morali e materiali degli individui, delle famiglie e della società. Anche l'amico suo, il Teol. Marengo, pubblicava nel 1865 per le persone colte l'Odierno Spiritismo smascherato, dimostrandolo empio, insinuatore e propagatore del panteismo e del materialismo, ed essere perciò moralmente e fisicamente malefico, opera diabolica, emanazione dell'inferno.

Poteasi fare di pi√π? Niente altro che pregare: Ab insidiis diaboli libera nos, Domine.

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