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Capitolo 7

Mons. Fransoni prigioniero in Cittadella - Visite dei giovani dell'Oratorio all'Arcivescovo - Sottoscrizione per un pastorale - Mons. Fransoni e D. Bosco a Pianezza - Una nuova società di apostolato fra il clero - Fondazione delle conferenze di S. Vincenzo de' Paoli in Torino - D. Bosco e le Conferenze.


Capitolo 7

da Memorie Biografiche

del 22 novembre 2006

Nuove amarezze erano preparate per l'Arcivescovo di Torino. Il 15 aprile l'intrepido successore di S. Massimo, adempiendo con un prudente coraggio al suo apostolico ministero, senza accennare a coloro che avevano votata ed approvata la legge Siccardi, scriveva una pastorale segreta ai parroci della Diocesi, perchè la comunicassero a tutti gli ecclesiastici delle loro parrocchie. Con questa dava al clero esatte norme di condotta, perchè non urtassero nella nuova legge che non poteva dispensarli dai loro obblighi e così mantener salva la coscienza; nello stesso tempo ordinava loro, che occorrendo di essere citati, non comparissero in giudizio senza licenza del Superiore Ecclesiastico.

Ma la Polizia sospettosa, facendo spiare dai sindaci se il clero avesse ricevuto istruzioni dai Vescovi contrarie alla legge sulle immunità, venne assai presto a conoscere la lettera di Mons. Fransoni. Perciò, il 21 aprile, la faceva sequestrare nella tipografia Botta, negli uffizii postali e nel palazzo Arcivescovile, ordinando che si frugasse nello stesso camerino di studio dell'Arcivescovo.

Non si tardò a citare Mons. Fransoni avanti al tribunale civile per rendere conto della sua pastorale, ed Egli rispondeva che ne avrebbe chiesta licenza al Papa, e se questa venisse, si presenterebbe. I giudici non gli menarono buona la ragione. Venne quindi condannato, assente, a 500 lire di multa e ad un mese di carcere; e il 4 di maggio, giorno in cui si celebra in Torino la festa della SS. Sindone, ad un'ora pomeridiana fu condotto a scontarlo nella cittadella di Torino. All'udire un tal fatto è indescrivibile la pena che tutti i buoni ne provarono; molti amaramente ne piansero: tra questi gli alunni di D. Bosco, perchè amavano l'Arcivescovo come loro protettore e padre. Lo stesso maggiore conte Viallardi nell'accoglierlo in cittadella non potè  frenare le lagrime, e il comandante generale Imperor gli cedette il proprio quartiere. La sera medesima, per la cortesia del comandante, Monsignore potè  ricevere le condoglianze di una deputazione del Capitolo Metropolitano; e poi, nei giorni successivi, penetrarono sino a lui molti della nobiltà torinese e del clero.

D. Bosco andò fra i primi, anzi dispose che varie deputazioni de' suoi giovani si recassero a consolare il venerando prigioniero. Mandava Reviglio Felice con un compagno, i quali ritornati a casa narravano come avessero attraversati due o tre cortili circondati da muraglie con sentinelle e carabinieri ad ogni passo, e finalmente fossero giunti al cospetto del generoso difensore dei diritti della Chiesa. Mons. Fransoni nel quartiere destinatogli aveva accolti con bontà gli omaggi che gli presentavano a nome di D. Bosco e ad ambedue aveva regalata una corona del rosario.

Alcuni giorni dopo andarono in cittadella altri cinque giovani dell'Oratorio. Bellisio e tre altri vennero trattenuti nell'ultimo atrio a cielo scoperto dai soldati che custodivano varie stanze d'anticamera. Ad un solo, a Ritner l'orefice, fu permesso di entrare; e quando uscì porgeva ai compagni profondamente commosso, quattro rosarii coi grani cerulei che loro mandava il santo Arcivescovo. Bellisio, che era entrato nell'Oratorio in quest'anno, nel 1902 conservava ancora gelosamente quella preziosa corona, e l'adoperava pregando.

Intanto dal Vicario generale erano state ordinate preghiere pubbliche in tutte le chiese dell'Archidiocesi; e continuavano le dimostrazioni di affetto e di stima all'Arcivescovo.

Il 27 maggio 1850 l'Armonia invitava i subalpini ad offrire un bastone pastorale a Mons. Fransoni. I più ragguardevoli del Clero e dei laici risposero volentieri a quella proposta. I settarii ne provarono un fiero dispetto. Siccome divulgavansi di tempo in tempo nell'Armonia i nomi dei sottoscrittori, quelli presero a ristamparli e a farli vendere per la città dai monelli che gridavano a squarcia gola: L'elenco dei codini e dei retrogradi. Intanto la Gazzetta del Popolo con modi da trivio svillaneggiava coloro che promovevano la dimostrazione, fra i quali era il Can. Gastaldi: ma non potè  impedire che in breve ora si raccogliessero più di 8000 lire; e il pastorale riuscì prezioso anche per l'arte. Il nome di D. Bosco Giovanni comparve il lo giugno nella prima lista degli oblatori coll'offerta di lire cinque.

Il 2 di giugno, che era Domenica e si compivano i trenta giorni stabiliti dalla sentenza, di buon mattino Mons. Fransoni fu posto in libertà. Ei disse in quel giorno: - Un'altra volta non più in cittadella, ma sarò condotto a Fenestrelle! - Stette pochi dì in Torino e poi si ritirò a Pianezza a

riposar l'animo dal travaglio, che pur dovevano avergli recato le descritte vicende.

D. Bosco ve lo seguì, per sentire il suo giudizio definitivo sul metodo adoperato nella direzione dell'Oratorio, e se questo potesse essere come traccia o fondamento delle regole di una società religiosa; e nello stesso tempo per avere da lui parole di conforto ed anche appoggio. Monsignore approvò le idee di D. Bosco e poi aggiunse: - Vorrei potervi dare appoggio, ma, come vedete, io stesso sono incerto del domani. Fate come potete; continuate pure coraggiosamente l'opera incominciata: vi do tutte le mie facoltà, vi do la mia benedizione, vi do tutto quello che posso. Solo una cosa non posso darvi: liberarvi cioè dalle angustie che potranno venirvi sopra.

Ma la prigionia dell'Arcivescovo era stata confortata da due avvenimenti, che vantaggi inestimabili dovevano arrecare alle anime.

Sul principio di quest'anno, fra i sacerdoti più zelanti, che intervenivano alle conferenze spirituali solite a tenersi una volta alla settimana nella chiesa del Cottolengo, erasi fondata una specie di società che prendeva il nome da S. Vincenzo de' Paoli, e si radunava in una sala del Seminario. A queste adunanze partecipavano uomini di grande dottrina e santità: il Can. Vogliotti, il Teol. Borel, il Teol. Luigi Anglesio Rettore della Piccola Casa, D. Giuseppe Cafasso, il Teol. Vola, il Signor Durando Superiore dei preti della Missione, il Can. Eugenio Galletti, il Prof. di storia Ecclesiastica Francesco Barone, il Can. Bottino, D. Ponsati, D. Destefanis, D. Cocchi e il nostro D. Bosco. Il Teol. Roberto Murialdo fungeva da segretario della Società. Questi operosi ecclesiastici studiavano i modi più efficaci per infervorare i sacerdoti nella pratica dei loro doveri; e promovevano una

viva azione cattolica. Essi avevano di mira specialmente i catechismi, che allora erano alquanto decaduti nelle parrocchie, e segnatamente attendevano a promuovere l'istruzione religiosa nei due Borghi di S. Salvario e S. Donato, in quegli anni più staccati dal centro della città e per poco abbandonati. Si occupavano ancora a provvedere predicatori per le missioni dove ne fossero richiesti, e fornire di catechisti gli Oratorii festivi, che riconoscevano essere il gran bisogno del tempo. Gettavano i primi semi di varie associazioni fra le quali la società contro la bestemmia, contro la profanazione delle feste, e la stampa dei buoni libri contro la propaganda Valdese. Iniziavano i catechismi nelle carceri correzionali e nella Generala, ospizio di tanti giovanetti discoli.

D. Bosco era assiduo, il più che potesse, a queste adunanze; e dal procedimento nel nostro racconto, risulterà evidente come egli fosse uno dei membri zelanti nell'eseguire tutte le opere proposte od iniziate, nessuna esclusa.

Nello stesso tempo buoni cristiani laici si organizzavano, per formare come una legione sacra a fianco del clero; e il 13 maggio 1850 fondavasi in Torino la prima Conferenza di S. Vincenzo de' Paoli, sul modello di quelle istituite dall'Ozanan in Francia nel 1833. Era venuto da Genova il Conte Rocco Bianchi presidente della prima conferenza genovese sorta nel 1846, poichè per suo incitamento si dava principio ad un'opera così salutare. D. Bosco avevalo appoggiato co' suoi consigli. Il Conte era stato promotore convinto di altre conferenze in Italia. La funzione inaugurale ebbe luogo nella sagrestia della chiesa parrocchiale dei SS. Martiri. I socii fondatori furono sette: il Rev. D. Battista Bruno Curato dei SS. Martiri, il padre Andrea Barrera, sacerdote Dottrinario, il Marchese Domenico del Carretto di Balestrino, l'avv. Francesco Luigi Rossi, il Cavaliere Luigi

Ripa di Meana colonnello in ritiro, l'ingegnere Guido Goano, il Conte Rocco Bianchi. D. Bosco invitato intervenne ed ebbe il seggio d'onore. La conferenza si radunò nel nome di Dio e venne posta sotto i portentosi auspicii di Maria Immacolata e il patrocinio dei santi martiri Solutore, Avventore e Ottavio. L'avv. Rossi fu eletto presidente. Accettarono di essere i primi socii Onorarii, S. E. Mons. Luigi Fransoni, Silvio Pellico e D. Bosco, il quale nei primordii assisteva a queste conferenze e ne fu sempre il socio d'onore, l'amico, il venerato protettore. L'Opera di S. Vincenzo si sviluppò senza fretta inquieta, ma con perseverante costanza. Le visite che facevano i socii nei miseri e spesso luridi tugurii dei poveri, con soccorsi materiali, con avvisi, conforti, ammonizioni, erano come l'apparizione di angioli che recavano salute e pace. Procuravano l'istruzione religiosa, rendevano cristiane le unioni illegittime. Con sole 24 lire e 15 centesimi i socii si accinsero alla pratica delle opere di carità, incominciando le visite ai poveri e la distribuzione dei soccorsi dopo la terza adunanza tenutasi il 26 maggio 1850. Le loro prime benefattrici furono le auguste e pie Regine Maria Teresa e Maria Adelaide, e la Marchesa di Barolo.

La Conferenza dei SS. Martiri fu aggregata alla Società del Consiglio Generale residente in Parigi il 1° settembre 1850, e nel 1853, essendo sessantatrè  i membri attivi e trentuno i membri onorarii, si formarono in città quattro distinte conferenze e primo presidente del Consiglio Particolare fu eletto nel 15 settembre il conte Carlo Cays, che ne era stato membro zelantissimo. Nel 1856 essendovi già in Torino undici conferenze e diciannove fuori di questa città, il Consiglio Generale di Parigi istituì un Consiglio Superiore al quale fu assegnato per distretto tutto il Piemonte. Il Conte Cays ne fu presidente fino al 1868.

D. Bosco, che ebbe grandissima parte nella fondazione della prima conferenza, l'ebbe pure in quella di altre, che in varii modi protesse ed aiutò, specialmente quando sorsero contro di esse forti contraddizioni. Tra lui e la benefica Società correvano i rapporti più intimi, e il buon prete consegnava al patronato di questa i giovani usciti dal carcere, che egli aveva condotti sul buon sentiero. Anzi alcuni membri della Società di S. Vincenzo fecero anche parte con lui di un protettorato, legalmente costituito, per sorvegliare efficacemente ed educare i giovani corrigendi rimessi in libertà dalla Questura.

D. Bosco raccomandava loro eziandio di avere un amore di padre a vantaggio dei figliuoli dei poverelli visitati, e quei generosi favorivano l'erezione degli Oratorii festivi, promovevano i catechismi e le scuole. Non si può dire quanto si rendessero benemeriti della Patria e della Chiesa. 1 giovanetti da essi patronati in cinquant'anni furono quasi 100.000.

Per molti anni D. Bosco andava ad assistere alla grande radunanza generale delle conferenze, che in dicembre facevasi solenissima, ora nella chiesa dei Martiri, ora in quella dei Mercanti ed ogni volta prendeva la parola. Egli conosceva a fondo lo spirito di S. Vincenzo de' Paoli, e ne esponeva gli esempi e le massime. Talvolta discorreva sull'obbligo di fare elemosina, il modo di farla e il premio preparato dal Signore; tal altra dimostrava come la fede senza le opere noti vale a niente, e che bisogna fare il bene finchè siamo a tempo, Certe esortazioni rivolte ai socii si aggiravano sulla necessità di formarsi un carattere cristiano e religioso in modo che le parole e le azioni siano sempre regolate secondo le massime del vangelo, e sull'importanza di usare affabilità e dolcezza quando si tratta di dare consigli quanto a religione certe altre riguardavano i poverelli visitati e soccorsi, inculcando che loro si ricordasse come la Divina Provvidenza invocata accorse in modo talvolta meraviglioso in aiuto de' suoi amici sofferenti; e la promessa infallibile del Signore, che, cioè, chi patisce rassegnato con Gesù Cristo sarà per sempre partecipe della sua gloria. Le sue parole producevano un mirabile effetto, perchè le persone di ogni ceto e di ogni condizione, sia del clero sia del laicato, lo tenevano per un uomo tutto dì Dio e molti socii delle Conferenze andavano a gara anche nel soccorrere le sue opere.

Ma venne un giorno finalmente nel quale la sua voce più non si udì in quelle radunanze. Negli anni ultimi della sua vita, ritirossi e più non comparve. Egli aveva compiuta la sua missione, e superflua era l'opera sua. Le Conferenze di S. Vincenzo prosperavano meravigliosamente. Esse infatti nel 1900 in Torino erano diciassette e trentuna in Piemonte. In cinquant'anni avevano visitati più di 40.000 poveri e loro distribuito in sussidio un milione e mezzo. D. Francesia un giorno interrogò D. Bosco perchè non andasse ancora alle conferenze generali, mentre vi contava tanti amici; ed ebbe per risposta: - Ho più nulla da fare in questa occasione. Adesso non sarebbe altro che andarvi per fare comparsa. Sfuggiva gli applausi coi quali sicuramente sarebbe stato accolto.

Ma i suoi cari amici e benefattori non lo dimenticarono punto, e il 6 maggio 1900, quattrocento confratelli della Società di S. Vincenzo de' Paoli si radunavano nella casa Salesiana di Valsalice per assistere ad una divota e religiosa funzione presso la tomba di D. Giovanni Bosco. Essi commemoravano il cinquantesimo anniversario dalla Istituzione delle Conferenze in Torino ed in Piemonte. S. E. il Cardinal Richelmy celebrava la S. Messa e distribuiva il pane Eucaristico. I rappresentanti delle conferenze erano in maggior parte operai e agricoltori. In una sala di Valsalice tenevasi una plenaria adunanza e poscia i confratelli sedevano a lieta agape. E si inneggiò più volte anche a D. Bosco, le cui ossa dovettero esultare nel trovarsi in mezzo a quel trionfo della carità.

Ogni frase di questo capitolo l'abbiamo raccolta o dalle relazioni ufficiali delle Conferenze, o da notizie stampate, manoscritte od orali, non solo dai confratelli dell'Opera di San Vincenzo, ma eziandio da varii antichi allievi, i quali, essendone testimoni, ci riferirono quanto abbiamo esposto.

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