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Capitolo 74

Si parte per Serravalle: D. Pestarino - A Gavi: invito generoso dei Canonico Alimonda - A Mornese - Le figlie dell'Immacolata - L'Arciprete Raimondo Olivieri - A parodi: un celebre predicatore - Francesco Bodrato - Don Bosco e D. Pestarino risolvono di fondare un collegio a Mornese - Festa solenne: zelo di D. Pestarino. - Doni della popolazione a D. Bosco: - D. Alasonatti - Vespri: predica di D. Bosco allegra e cristiana serata - Lettera ad un'insigne benefattrice notizia del giorno - Casaleggio - Lerma - Un nuovo discepolo di D. Bosco - Partenza da Mornese.


Capitolo 74

da Memorie Biografiche

del 04 dicembre 2006

 Il 7 ottobre, venerdì, alle 4 e ½  dei mattino i gio­vani dell'Oratorio erano già tutti pronti avendo con sè gli attrezzi del teatro. Si andò alla stazione, e verso le 8 il treno arrivava a Serravalle Scrivia. Attendevali D. Pestarino, il quale là condusse ad un poggio poco lontano dov'era una chiesa e un convento di Francescani. Ascoltata la S. Messa e trovata pronta la colazione, alle ore 10 si misero in marcia verso la piccola città di Gavi. A metà via D. Bosco incontrò il Can. Gaetano Alimonda, già celebre per le sue con­ferenze nella Cattedrale di Genova, che villeggiava in Gavi.

Al Canonico, il quale conosceva D. Bosco soltanto, di nome, fu presentato il servo di Dio da D. Pestarino, e insieme si avviarono alla città. Il pranzo era preparato a Mornese, ma il Canonico disse a D. Bosco: - Mornese è ancor lontano: bi­sogna pensare ad una refezione, altrimenti lei ne avrebbe a soffrire. Eppoi i suoi giovanetti hanno ormai  digerita la colazione. Lasci fare a me: Lei non ha da disturbarsi; penso io a tutto. - E passo avanti passo, giunsero alle prime case di Gavi. Entrarono al suono della musica e furono all'abitazione del Canonico, il quale col concorso generoso di varie distinte famiglie e del parroco di S. Giacomo, Denegri Gerolamo, li faceva sedere ad un allegro banchetto. Dopo il pranzo andarono alla parrocchia preceduti dalla banda. Una gran folla di popolo essendo accorsa, D. Bosco, invitato dal Canonico, fece un sermoncino e si impartì solennemente la benedizione col SS. Sacramento.

Declinando il sole, D. Bosco ringraziò il Canonico Alimonda dell'ospitalità e si congedò coi suoi, poichè si doveva ancor percorrere in collina due grosse ore di strada. D. Bosco salì in arcione su di un bel cavallo bianco di D. Pestarino. Qualche cantore deboluccio di gambe inforcò un asinello.

Il Can. Alimonda però desiderando di rivedere ancora Don Bosco, raggiunse D. Cagliero, il quale andava cogli ultimi, salì fino al Santuario della Madonna della Guardia di Gavi cercando di rintracciarlo; ma più non lo vide. Risolse allora di ritornare sopra i suoi passi, dicendo a D. Cagliero: - Oh lo vedrò ancora quell'uomo provvidenziale! Solo le montagne in questo mondo non s'incontrano!

Alla distanza di un mezzo miglio da Mornese molti giovanetti vestiti a festa aspettavano D. Bosco, il quale arrivò al paese che già era notte. Ei scese da cavallo. Tutto il popolo gli veniva incontro preceduto dal parroco D. Valle e da Don Pestarino Domenico, che aveva preceduto la comitiva. Le campane suonavano a festa, sparavano i mortaretti, generale era l'illuminazione. La gente usciva di casa con lumi, candele e canapa accesa. La banda faceva risuonare l'aria delle sue armonie. Tutti si inginocchiavano al passaggio di D. Bosco, gli chiedevano la benedizione e si segnavano. Con lui entrarono in parrocchia: si diede la benedizione col Santissimo, si recitarono le preghiere della sera, e quindi cena e riposo.

I giovani ebbero per alloggio una casa colonica, ove in chiuso cortile alcune tettoie riparate dovevano servire loro di sale per dormitorio, refettorio e ricreazione.

Il sabato 8 ottobre D. Bosco celebrò la Santa Messa subito dopo il suono dell'Ave Maria. Tutte le mattine la chiesa era sempre piena come fosse giorno di festa. I giovani non poterono accostarsi a lui, poichè egli rientrato in sagrestia ebbe tosto intorno una folta schiera di uomini, sicchè dovette sedere in confessionale fino oltre alle 10.

Come ebbe finito, D. Pestarino gli presentò una schiera numerosa di buone fanciulle e giovanette del paese, guidate alla pietà e sorvegliate dalla Congregazione delle figlie di Maria Immacolata. Abbiamo già parlato altrove di questa Istituzione della quale era fondatrice la maestra Maccagno. Ella eravi presente con le sue compagne più anziane, fra le quali Maria Mazzarello, destinata dal Signore ad essere la prima Madre Generale delle figlie di Maria Ausiliatrice. D. Pestarino con calde istanze avea ottenuto che D. Bosco venisse nel suo paese nativo, specialmente per benedire quella Congregazione di zitelle; e ora caldamente lo pregava perchè le adottasse come sua spirituale, famiglia. D. Bosco accettò. Egli vedeva il buono spirito, la pietà e la vicendevole carità che regnava in quelle ed il gran bene che operavano tra le fanciulle di Mornese; e le benedisse.

In quel mattino D. Bosco riceveva la cara visita di D. Raimondo Olivieri Arciprete di Lerma, paese poco distante, il quale appena finite le sue funzioni in parrocchia, era partito per venire ad ossequiarlo. Un'antica amicizia legava questi due santi uomini, e, ella preghiera dell'Arciprete, D. Bosco acconsentì di modificare alquanto il suo itinerario e di recarsi lunedì a Lerma con tutta la comitiva.

D. Pestarino aveva apparecchiata la mensa a D. Bosco invitando i suoi amici; e il maestro comunale Francesco Bodrato uomo sui quarant'anni, erasi preso l'incarico di ordinare quanto occorresse per tutta la comitiva dell'Oratorio. In tempo del pranzo stava ritto dietro alla scranna di D. Bosco per sorvegliare il servizio. Egli, pratico della gioventù, aveva ammirato il contegno famigliare ed affettuoso degli alunni verso il loro superiore, mentre nello stesso tempo conservavano per lui rispetto ed obbedienza ad ogni suo cenno, non solo gli studenti, ma anche gli artigiani. Osservava anche l'affabilità di D. Bosco con, essi e, non potè a meno di riconoscere quanto potente fosse l'attrattiva della carità, e il molto che vi era da imparare da quel sistema di educazione.

A questo fine chiesta a D. Bosco un'udienza particolare, e l'ebbe subito, domandò qual, segreto egli avesse per dominare siffattamente tanta gioventù insofferente per natura di una disciplina. D. Bosco gli rispose: - Religione e ragione sono le due molle di tutto il mio sistema di educazione. L'educatore deve pur persuadersi che tutti o quasi tutti questi cari giovanetti, hanno una naturale intelligenza per conoscere il bene che loro vien fatto personalmente, ed insieme sono pur dotati di un cuore sensibile facilmente aperto alla riconoscenza. Quando si sia giunto con l'aiuto dei Signore a far penetrare nelle loro anime i principali misteri della nostra S. Religione, che tutta amore ci ricorda l'amore immenso che Iddio ha portato all'uomo; quando si arrivi a far vibrare nel loro cuore la corda della riconoscenza, che gli si dee in ricambio dei benefizi che ci ha si largamente compartiti; quando finalmente colla molla della ragione si abbiano fatti persuasi che la vera riconoscenza al Signore debba esplicarsi coll'eseguirne i voleri, col rispettare i suoi precetti, quelli specialmente che inculcano l'osservanza dei reciproci nostri doveri, creda pure che gran parte del lavoro educativo è già fatto. La religione in questo sistema fa ufficio del freno messo in bocca dell'ardente destriero che lo domina e lo signoreggia; la ragione fa poi quello della bri­glia che premendo sul morso produce l'effetto che se ne vuole ottenere. Religione vera, religione sincera che domini le azioni della gioventù, ragione che rettamente applichi quei santi dettami alla regola di tutte le sue azioni, eccole in due parole compendiato il sistema da me applicato di cui ella desidera conoscere il gran segreto.

Al fine di questo discorso Bodrato, dopo breve riflessione, riprendeva sorridendo alla sua volta: - Rev. Signore, colla similitudine del saggio domatore dei giovani polledri, ella mi parlava del freno della religione e del buon uso della ragione a dirigerne le azioni tutte. Questo va benissimo; parmi però che mi abbia taciuto di un terzo mezzo che sempre accompagna l'ufficio del domatore dei cavalli, voglio dire della inseparabile frusta, che è come il terzo elemento della sua riuscita.

A questa osservazione del maestro Bodrato, D. Bosco soggiungeva: - Eh caro signore, mi permetto osservarle che nel mio sistema la frusta, che, ella dice indispensabile, ossia la minaccia salutare dei venturi castighi non è assolutamente esclusa; voglia riflettere che molti e terribili sono i castighi che la religione minaccia a coloro che, non tenendo conto dei precetti del Signore, oseranno disprezzarne i comandi; minaccie severe e terribili che ricordate sovente, non mancheranno di produrre il loro effetto, tanto più giusto inquantochè non si limita alle esterne azioni, ma colpisce eziandio le più segrete ed i pensieri più occulti. A fare penetrare più addentro la persuasione di questa verità si aggiungano le pratiche sincere della religione, la frequenza dei Sacramenti e l'insistenza dell'educatore; ed è certo che coll'aiuto del Signore si verrà più facilmente a capo di ridurre a buoni cristiani moltissimi anche fra i più pertinaci. Del resto quando i giovani vengono ad esser persuasi che chi li dirige ama sinceramente il vero loro bene, basterà ben sovente, ad efficace castigo dei recalcitranti, un contegno più riserbato, che ne addimostri l'interno dispiacere di vedersi mal corrisposto nelle paterne sue cure. Creda pure, caro mio signore, che questo sistema è forse il più facile e certamente il più efficace, perchè colla pratica della religione sarà anche il più benedetto da Dio. A dargliene una prova palpabile, mi fo ardito ad invitarlo per qualche giorno a vedere l'applicazione pratica nelle nostre case. Lo faccio libero di venire a passare qualche giorno con noi e spero che alla fine dell'esperimento possa assicurarmi che quanto le ho detto è sperimentalmente il più pratico ed il più sicuro sistema.

Questo invito parte faceto, parte anche sul serio, fece grata impressione al Francesco Bodrato, il quale, intimo amico di Pestarino, aveva già deliberato in cuor suo di aggregarsi alla Pia Società.

I giovani dell'Oratorio in quel dopo pranzo andarono a Parodi, invitati dal parroco che loro aveva apprestato un rinfresco.

Mentre erano per entrar nel paese venne incontro a loro il sagrestano avvisandoli di non suonare. In parrocchia si fa­cevano le quarant'ore ed il popolo era tutto là radunato. La comitiva entrò adunque silenziosa in chiesa mentre la predica era sul terminare. I preti e i chierici salesiani andarono a ser­vire alla benedizione, ed i cantori montarono sull'orchestra e cantarono in musica il Tantum ergo. Quando il popolo uscì dalla Chiesa i musici suonarono alcune marcie che sollevarono un mondo di applausi.

A Parodi ebbero un bell'incontro. D. Verdona di Gavi, cieco interamente, valentissimo oratore sui migliori pulpiti d'Italia, quivi predicava il triduo delle Quarant'ore. La sua parola chiara anche per il popolo e la sua ardente pietà gli guadagnavano l'attenzione universale. Avvisato dell'arrivo dei figli di D. Bosco, se ne mostrò molto contento e volle salutarli. Egli era stato all'Oratorio allorché predicava il Quaresimale in Torino a S. Filippo. A Parodi, lo aveva accompagnato sua sorella la signora Geronima, la quale da quel giorno prese tanto affetto per le opere salesiane da esserne poi benefattrice insigne.

I giovani ritornarono a Mornese a notte avanzata e non ebbero la consolazione di vedere D. Bosco perchè trattenuto in Chiesa dalle confessioni.

Egli non si era mosso da Mornese. In que' giorni teneva lunghi colloqui con D. Pestarino. Lo aveva accettato tra i membri della Pia Società, come egli ardentemente desiderava, ma volle che rimanesse alla direzione delle figlie di Maria Immacolata, finchè il Signore lo conservasse in vita, promettendogli assistenza di consiglio e di mezzi.

D. Pestarino manifestava anche a D. Bosco il suo, proposito di stabilire in Mornese qualche istituzione, la quale ricordasse a' suoi buoni patriotti, anche dopo la sua morte, quanto affetto loro portasse, pronto a consacrarvi tutto il suo vistoso patrimonio. Si era già messo d'accordo colle autorità locali ed ebbe il consenso di D. Bosco. Fu deciso adunque di porre le fondamenta di un maestoso edifizio a pubblico vantaggio, da destinarsi a collegio per fanciulli, come era comune desiderio; la popolazione avrebbe concorso nei giorni festivi a quella costruzione, portando sul luogo i materiali. D. Pestarino, era, pronto a compensarla generosamente, come fece, provvedendo vino e merende ai portatori, fieno ai giumenti ed ai buoi. E D. Bosco gli promise che finito l'edifizio sarebbe ritornato a Mornese per inaugurarlo.

Domenica 9 ottobre, era la festa della Maternità di Maria SS., che si celebrò in parrocchia con grande solennità. Don Bosco disse la messa della Comunione generale, e gli fu servita da due giovanetti del paese vestiti da chierici. D. Pestarino, che era entrato in confessionale nella sera antecedente, aveva continuato a confessare tutta la notte e alle 9 del mattino non ne era ancor uscito. D. Bosco fu testimonio di tanto zelo, che rinnovava tale fatica, più volte all'anno, mentre quasi tutti i giorni per più ore si dedicava, mattino e sera, a questo sacro ministero.

D. Bosco era appena tornato dalla Chiesa e stava sorbendo un po' di caffè, quando D. Pestarino lo avvisò che qualcuno voleva vederlo e parlargli, pregandolo divenir fuori. Il servo di Dio uscì e appena fu sulla porta risuonò un grido formidabile di Evviva D. Bosco. Tutto il paese erasi radunato nel cortile della casa di D. Pestarino e occupava anche uno spazio - di una sua vigna attigua. I giovanetti erano schierati in due file e dietro ad essi i loro parenti. Ognuno aveva il suo dono da offrire; chi uova, chi burro, chi uva scelta, chi polli, chi frutta e chi formelle di cacio. Alcuni avevano in braccio un bottiglione, o un canestro di bottiglie di quel prelibato, e vi fu chi teneva innanzi una brenta di vino. D. Bosco passò in mezzo a quelle file ringraziando e indirizzando a ciascuno una parola amorevole. Ritornato indietro ascese sopra alcuni scalini che mettevano alla soglia della casa, e rivolto al popolo ringraziò tutti insieme di quanto avevan voluto fare per lui, benchè ancora non lo conoscessero. E soggiunse: - La vostra carità mi confonde. So che voi avete voluto onorare in me il Ministro del Signore, e ciò mi fa vedere la vostra fede. Che il Signore la conservi sempre ne' vostri cuori, perchè essa sola ci può rendere felici in questa vita e nell'altra.

Qui D. Bosco fece atto di ritirarsi, ma levandosi da tutte parti una voce: - Ci benedica, ci benedica! - D. Bosco ripigliò: - Si! vi benedico di cuore e benedico le vostre famiglie, le vostre campagne, perchè Dio tenga lontano ogni disgrazia e che possiate essere proprio contenti. Anche voi pregate per me e per i miei figliuoli, affinchè un bel giorno possiamo formare una sola famiglia in paradiso.

Molti allora si strinsero attorno a lui per baciargli la mano.

Verso mezzo giorno terminata la Messa Solenne, si udirono i giovani dell'Oratorio acclamare a D. Alasonatti. Il buon Prefetto, benchè infermiccio, era venuto da Torino per comunicare cose d'importanza a D. Bosco e con lui si chiuse in camera per breve ora. Quindi riparti in fretta.

Ai primi tocchi delle campane per i vespri la chiesa fu piena zeppa fino negli anditi più nascosti. D. Bosco fece la predica. Parlò come ispirato sull'efficacia della protezione della Madonna e raccontò molti esempi che produssero un gran bene nell'uditorio. - Solo i santi, si diceva, possono predicare cosi.

La banda istrumentale, uscita di Chiesa e seguita da tutto il popolo, andò a suonare in piazza, e si fecero partire varii palloni volanti, mentre le case venivano illuminate. Vi fu anche una breve ma bella rappresentazione drammatica; la gente però ritirossi presto, perchè in tutte le famiglie vi era la pia usanza di recitare ogni sera il santo Rosario.

D. Bosco oggi aveva scritto, alla Marchesa Passati accennando al giorno nel quale si sarebbe trovato in Torino, ma le insistenze degli amici dovevano modificare il suo itinerario.

 

 

Benemerita Signora Marchesa,

 

Io mi trovo in giro co' miei giovani e fino ai 14 di questo mese non sono in Torino. Sebbene l'apertura delle scuole tra noi sia più tardi, tuttavia io temo che a Mongrè si aprano più presto e che al mio arrivo non/trovi più l'amato nostro Emanuele. Se mai ciò fosse e bastasse giungere in Torino alcuni giorni prima, La prego a darmene avviso cm una sola parola e mi recherò tosto costà.

Il recapito per me è nel Seminario di Acqui dove andrà dopo domani cm tutta la mia brigata. Aveva divisato di farle una visita a Montemagno, ma i subbugli avvenuti nella Capitale mi persuasero a non muovermi per allora.

Io mi trovo in Mornese, diocesi d’Acqui, dove sono testimonio di un paese che per pietà, carità e zelo sembra un vero chiostro di persone consacrate a Dio. Questa mattina ho fatto la comunione e nella sola mia messa ho comunicato un mille fedeli.

Voglia, Signora Marchesa, gradire i sentimenti di rispetto e di gratitudine, estensibili al Venerato sig. Marchese, ad Azelia, e ad Emanuele, cui dirà che io non lo dimentico mai nella mia messa, ma egli non dimentichi ciò che gli ho raccomandato a Montemagno.

Non so dove siano i Signori Papà e Maman, ma se mai fossero presso di Lei La prego di volerli rispettosamente riverire da parte mia.

Dio doni a tutti sanità le grazia e ci conservi tutti per la via dei Paradiso.

Di V. S. B.

 

Mornese, 9 ottobre 1864.

 

Obbl.mo servitore

Sac. Bosco Giovanni.

 

 

Lunedì 10 ottobre D. Bosco con tutta la comitiva faceva una passeggiata a Lerma ove era aspettato dall'Arciprete Raimondo Olivieri e da quattro suoi alunni di quel paese in vacanza. A metà della strada, a sinistra, oltre una piccola pianura, sopra un poggio coperto di boschi torreggia il castello di Casaleggio appartenente alla nobile famiglia Ristori, distinta per la carità e compassione verso i miserelli. Su quella vetta si allinea il paesello colla vecchia e piccola Chiesa parrocchiale, eretta al tempo de' feudatarii. A destra della strada, alquanto più alta di questa, si innalza isolata la nuova parrocchia colla canonica, e un portico innanzi alla porta maggiore, prospettante il castello. Qui attendevano D. Bosco per ossequiarlo la vecchia Marchesa Ristori, i Marchesi Orazio e Pietro suoi figli e due sue figlie. Il parroco, ormai  decrepito, D. Pastore Giovanni Maria, stava seduto in un seggiolone.

D. Bosco salì a salutarli. La banda si fermò con tutta la comitiva e diede fiato alle trombe.

Dopo una breve fermata i giovani proseguirono la marcia. Giunti in faccia a Lerma posta sopra una collina, appena furono Visti, spararono i mortaretti, si udì un lieto scampanio, e squillarono le note della banda musicale del paese. Quei dell'Oratorio si schierarono nella valle e ­risposero con una suonata. Allorchè questi finirono da quella cima fu ripresa un'altra armonia. Così alternandosi i suoni gli alunni di D. Bosco giunsero all'entrata di Lerma. Il servo di Dio salutò il parroco che lo attendeva con una gran folla e disse alcune parole di ringraziamento al corpo musicale del paese. Tutto il popolo era fuori delle case.

Trionfalmente si entrò nell'abitato.

Splendido fu il pranzo imbandito dall'Arciprete, al quale sedettero pure i musici delle due bande. Gastini Carlo, sul levar delle mense, conte era solito a fare in tutti i paesi nel tempo delle passeggiate, saltò fuori vestito in modo grottesco a far le parti di menestrello; e cantando e declamando destò l'ilarità ne' convitati. Quindi i musicanti andavano a suonare sotto le finestre del Sindaco e di altre notabili persone per rendere loro ossequio. Data poi solennemente la benedizione nella parrocchia gli alunni uscirono in ordine colle due musiche alla testa. Giunti ove incominciava la discesa, que' di Lerma si fermarono; e D. Bosco dopo averli nuovamente ringraziati, esprimendo il pensiero della speranza di ritrovarsi un giorno di bel nuovo tutti insieme in paradiso a goderne le musiche, prese co' suoi a discendere nella valle. Allo svolto della via che girava dietro ad un colle nascondendo Lerma, si udirono l'ultima volta le trombe de' nuovi amici, che davano l'estremo saluto a quelli che si allontanavano. Costoro risposero con una sinfonia e dopo un entusiastico evviva gridato da luna parte e ripetuto dall'altra, si avviarono a Mornese.

D. Bosco, come aveva fatto venendo, ritornava a piedi. Con lui in tutto quel lungo tragitto, camminava un giovane prete forestiero, rimasto per sua fortuna solo con lui. L'Arciprete Olivieri suo amico glielo aveva presentato a Mornese, D. Bosco fissandolo con sguardo amorevole lo richiese dei nome e della patria. Quindi gli disse: - Ebbene venga con me a Torino.

 - E perchè no? - gli rispondeva quel prete come affascinato dalla bontà del servo di Dio. D. Bosco non gli disse di più

A Lerma era pur egli fra gli invitati e l'Arciprete avevalo posto a mensa al fianco di D. Bosco, il quale quasi sempre parlò con lui dell'Oratorio di Torino e de' mezzi da adoperarsi per salvare la gioventù da tanti pericoli che le sovrastavano. Il prete tutto assorto nell'ascoltarlo gli aveva detto:

 - Io verrei tanto volentieri con lei a Torino, se mi accetta. - E con quale intenzione verrebbe?

 - Con quella di aiutarlo in quel poco che posso.

 - No; riprese D. Bosco: le opere di Dio non han bisogno dell'aiuto degli uomini.

 - Io verrà, e Lei mi dirà ciò che dovrò fare.

 - Venga unicamente per fare del bene all'anima sua.

 - Ed io farà così; rispose quel Sacerdote.

Questi adunque ritornava con D. Bosco a Mornese e gli parlò per un'ora e mezzo della sua vita passata, di quanto aveva fatto e pensato sino a quel giorno e dei progetti formati per l'avvenire. Fu una passeggiata indimenticabile.

Il domani martedì II ottobre giorno della partenza, dopo la refezione, tra gli applausi della folla, D. Bosco colla sua carovana si allontanava da Mornese per Capriata ove era atteso. Egli aveva accettati dieci giovanetti del paese per Torino o per Lanzo. A un certo punto ove la via si biforcava e da una parte scendeva per Gavi e dall'altra conduceva a Montaldeo, il giovane prete sunnominato dovendo andare a Serravalle Scrivia, prese congedo da D. Bosco. Il Servo di Dio gli disse con un sorriso incantevole: - Quando verrai a Torino? - E quindi soggiunse: - Mi permette non è vero che le dia del tu?

 - Sì, sì! - Mi tratti come un suo figlio. Da qui ad otto giorni sarò con lei.

 

 

 

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