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Capitolo 80

D. Bosco ha notizia di grazie ottenute per intercessione di Savio Domenico - Accetta nuovi giovani raccomandati da qualche alunno - Carattere speciale della sua umiltà - Il Teol. Borel predicatore delle virtù di D. Bosco - Nuovi insegnanti con diploma - Avvisi di D. Bosco ai superiori e maestri: carità reciproca: pregare per gli alunni - Lettere di Don Bosco ad alcune persone: con notizie, ringraziamenti, osservazioni, consigli e proposte - Scrive al Rettore dei Seminario per due chierici diocesani, chiedendo se possa ritenerli nell'Oratorio; gli dice d'aver eseguiti gli ordini della Circolare di Monsignore - Dà licenza a chi vuoi comprare una vigna lasciatagli per legato e usurpata dagli eredi.


Capitolo 80

da Memorie Biografiche

del 07 dicembre 2006

 Ritiriamo lo sguardo da spettacoli così contristanti e rivolgiamolo alla figura mite e soave di Don Bosco. Il suo cuore è pieno di santo conforto. In questi giorni ha ricevuto notizia di due guarigioni straordinarie ottenute per intercessione di Savio Domenico. Savio è il suo santo famigliare, il protettore domestico dell'Oratorio, il modello che propone continuamente ai suoi alunni.

Fra questi ve ne sono alcuni veramente buoni da lui accettati gratuitamente, perchè raccomandati con affettuose lettere da alunni loro compaesani che erano in vacanze. Mirabile confidenza nel buon padre, la quale si trasfondeva negli altri compagni! S'innamoravano della sua amabilità, dell'affetto

pronto a qualunque sacrifizio, che loro portava, e della sua umiltà che lo faceva riguardare come uno di loro. L'umiltà di Don Bosco aveva un carattere tutto proprio, semplice, dignitoso, sciolto nelle sue espressioni, perchè il suo fine era sempre il bene dei giovanetti.

Due esimi sacerdoti, antichi allievi, così scrissero della sua umiltà.

D. Ascanio Savio, professore di morale, testifica: “ Se talvolta udii parlare D. Bosco del modo tenuto da lui negli anni de' suoi primi studii, non era per altro che per animare i suoi giovani a non perdere tempo e a farli intraprendenti nell'operare il bene. Ma ciò dicendo egli attribuiva sempre tutto il merito della sua riuscita alla divina Provvidenza e niente a se stesso. Ricordo che una volta mi disse: - Se il Signore non mi incamminava per questa via (cioè quella degli Oratorii) io temo che sarei stato in gran pericolo di prendere una via storta, o di venire un liberale ”. Era la frase un po' variata di S. Filippo Neri: - Se il Signore non mi tiene la mano sulla testa, io mi faccio turco!

Il Can. Ballesio, parroco di Moncalieri, aggiunge:

“ L'umiltà profonda che aveva nell'animo si rilevava nelle sue parole, nei suoi atti ed in tutta la sua persona, fino a dargli quell'impronta di bonomia, per cui a prima vista chi non lo conosceva ancora, rimaneva stupito di vedere sotto sì modeste e semplici parvenze Don Bosco, quell'uomo che riempiva del suo nome l'uno e l'altro mondo.

” Egli riconosceva sinceramente da Dio tutto quello che era in lui di buono nell'anima e nel corpo, tenendosi obbligato di farne il miglior uso a sua gloria ed a vantaggio del prossimo. In tutte le sue opere, e specialmente nelle più gravi, dopo d'avere consultato il Signore e la sua volontà, pregava e raccomandava a noi che pregassimo. Se non gli riuscivano si umilia in cuor suo e si rassegnava alle disposizioni e permissioni di Dio. E se gli riuscivano, ne dava a Lui, alla Beata Vergine, ai Santi che erano stati invocati, lodi e merito, ringraziando egli il Signore e animando noi a fare lo stesso.

” Da questa grande purità d'intenzione delle sue opere e sincera umiltà proveniva quella sua calma inalterabile, il suo coraggio, la sua invitta costanza. Il Servo di Dio aveva un'abitudine che a prima vista sembra poco confacentesi all'umiltà cristiana, ed era quel suo raccontare in persona terza, dicendo D. Bosco ha fatto, D. Bosco ha detto, le cose che egli tentava o faceva per l'Oratorio e per le intraprese delle sue case. Ma per chi lo conosceva e poneva mente al Servo di Dio, al suo aspetto, alle sue espressioni, facilmente appariva che il suo raccontare era quello di un padre, di un amico, che narra le cose sue prospere ed avverse per edificazione ed istruzione e conforto de' cari suoi che prendevano parte tanto viva alle sue gioie ed ai suoi dolori; ed anche per accondiscendere alla loro figliale, affettuosa e legittima curiosità, ed insieme ricompensarli in qualche modo delle loro preghiere e dell'interessamento che prendevano alle opere del Padre loro ”.

Che questa virtù fosse eroica lo testificano quanti vissero con lui. Citiamo D. Rua: “ Riceveva con grande umiltà i suggerimenti de' suoi allievi e prendeva in buona parte le loro osservazioni. Ricordo come avendolo assistito io una volta a dir messa, dopo mi permisi di fargli notare qualche inesattezza che mi parve aver osservato. Egli mi ringraziò e fin d'allora in poi tenne sempre presso di sè il libro delle rubriche della Santa Messa e leggevale di tratto in tratto ”.

“ Desiderava, nota D. Berto, ed accettava di buon animo le osservazioni e correzioni, persino dei più infimi suoi subalterni. Più volte disse a me stesso: - Desidererei che tu osservassi quanto àvvi in me di riprovevole e me lo facessi francamente notare. - Il che io feci più volte di cose minime e scevre da ogni più lieve colpa; ed egli tuttavia non solo le prendeva in benevola considerazione, ma si mostrava riconoscente come di un benefizio ricevuto ”.

Talvolta, udendo fare elogi di sue virt√π e di sue opere, interrompeva il discorso e diceva:

- Non facciamo torto a Dio ed a Maria SS. Se quell'affare è riuscito così bene, se le nostre opere vanno prosperando, lo dobbiamo totalmente a Dio e alla nostra buona Madre. Noi commettiamo un atto d'ingratitudine, se attribuiamo a noi la buona riuscita di qualche intrapresa e ci rendiamo indegni dell'ajuto del Signore.

Altre volte diceva e noi pure lo udimmo pi√π volte:

- Se il Signore avesse trovato uno strumento, più disadatto di me per le sue opere, purchè disposto ad abbandonarsi intieramente alla sua Divina Provvidenza, lo avrebbe scelto in vece mia, e sarebbe stato meglio servito di quello che lo sia da me, ed avrebbe operato cose ancor più grandi di queste. Io colle mie forze, se il Signore non mi aiutava, sarei stato un povero cappellano di montagna.

Anche negli ultimi anni era udito ripetere:

- Quanti prodigi ha operato il Signore in mezzo a noi! ma quante meraviglie di pi√π Egli avrebbe compiuto, se D. Bosco avesse avuto pi√π fede. - E gli si riempivano gli occhi di lagrime.

Benchè il suo nome fosse venuto così celebre, consideravasi sempre come un servo inutile: e qualche volta esclamava:

- Ma chi è Don Bosco da essere così acclamato?

E persuaso di essere un povero peccatore, sospirando, diceva:

- Non vorrei che alcuno credendomi ciò che non sono, non pregasse poi per me dopo la mia morte e mi lasciasse a penare in purgatorio!

Testifica ancora D. Rua: “ Se da alcuni attribuivasi a lui l'effetto meraviglioso di sue benedizioni o preghiere, egli rimproveravali asserendo che solo a Maria SS., od al santo a cui si erano raccomandati, si doveva attribuire l'effetto ottenuto. L'udii io stesso talvolta raccomandarsi al Signore affinchè non lo mettesse in tali imbarazzi, di essere cioè riputato autore di tali grazie, e volentieri raccontava certi fatti in cui si era ottenuto un risultato contrario ai desiderii di chi implorava la sua benedizione.

” La sua stima era tutta per gli altri; e lodavali molto volentieri; e al confronto si stimava come principiante nella vita spirituale. Appariva pure la sua umiltà dalle lodi che con tanta espansione attribuiva ai varii ordini religiosi. Parlando con noi ci esaltava i meriti e la bontà della Compagnia di Gesù, i servigi resi ad innumerevoli giovani dai Fratelli delle Scuole Cristiane, la semplicità e lo zelo de' Padri Cappuccini, e così via di seguito; e ogni qualvolta gli si presentava l'occasione, magnificava quanto meglio poteva le meraviglie apostoliche di ciascun'Ordine, ricordando i tanti Santi, dati alla Chiesa. ”

D. Bonetti scrisse: - “ Moltissime volte D. Bosco quando per qualche suo detto, o scritto, o fatto, riceveva da taluni osservazioni o critiche, o dettate dall'errore o da qualche mal celata passione, se non trattavasi di verità dottrinali, o del danno di un terzo, egli piegavasi con tutta prontezza e soavità nell'ingiusto rimbrotto o alla irragionevole osservazione che gli veniva fatta.

” Se poi la verità e la carità obbligavano a rispondere e a disputare, egli facevalo con parole così benigne che, quasi sempre, estinguevano o calmavano il malo animo altrui e portavano la luce nelle tenebre. Non di rado assalito con villanie ed ingiurie, a voce e per iscritto, da chi erroneamente credevasi da lui offeso, o da chi era pagato per dirne o scriverne male, D. Bosco sopportava l'affronto con sentimento di grande umiltà; quindi, o rispondeva con tutta calma e dolcezza, o taceva affatto lasciando la sua causa nelle mani del Signore.

” Se poi le ingiurie venivangli fatte per qualche bene che operava alla maggior gloria di Dio e alla salute delle anime, egli non tralasciava punto l'opera buona, ma la proseguiva anche a costo di ricevere insulti e villanie maggiori, perchè non badava mai al proprio onore ”.

E fu sempre eguale a se stesso. Attestò di lui D. Turchi: “ Fu sempre umile e semplice senza smentirsi mai, quale lo conobbi nel 1851 ”.

E D. Piano ripeteva: “ Posso attestare che perseverò mai sempre nell'esercizio di ogni virtù e non ho mai rilevato alcuna cosa che potesse menomamente offuscare l'idea di santità che io mi era formato di lui ”. Lo stesso aggiunse: “ Mi trovavo un giorno al Convento dei Cappuccini per una solennità a cui era presente Mons. Rosaz, Vescovo di Susa. Parlandosi di D. Bosco e delle sue opere, Monsignore uscì in queste parole: - Bisogna ben dire che D. Bosco possegga la virtù dell'umiltà in grado straordinario, se Dio volle servirsi di lui per operare cose portentose ”.

E D. Francesco Dalmazzo: “ Mons. Galletti, Vescovo di Alba, predicando un giorno al Cottolengo, ed altra volta gli esercizii al Clero, disse dal pergamo: - Andate nella stanza di D. Bosco e là sentirete proprio il profumo della santità ”.

Dato questo nuovo tocco alla cara figura di D. Bosco, che vorremmo scolpire in queste pagine, proseguiamo il racconto.

Stava per cominciare l'anno scolastico 1867-68. In agosto tre chierici avevano conseguito in Pinerolo la patente da maestri per le scuole elementari e in settembre tre altri il diploma di professore delle tre prime classi ginnasiali nella R. Università di Torino, ed ora in ottobre quattro ottenevano in Ivrea le patenti per le classi elementari superiori. D. Bosco nell'assegnar loro e ad altri l'ufficio o la classe alla quale dovevano attendere, dando loro saggi avvisi insisteva sulla reciproca carità che non voleva fosse mai in nessun modo turbata. Ammetteva che si facessero calme discussioni, ma non amava le controversie e le questioni per motivi letterarii e neppure in materia filosofica o teologica, perchè si accorgeva che ordinariamente nel calore della disputa si veniva meno alla carità.

Raccomandava poi caldamente ai Superiori, ai maestri, e ai confessori, che pregassero ogni giorno per gli alunni, per gli scolari, per i penitenti, dimostrando loro l'importanza di ottenere da Dio gli aiuti necessarii al buon riuscimento della loro missione: e se accadevano disordini in qualche collegio o in qualche scuola, se certi giovani riottosi non si acconciavano alla disciplina, soleva domandare a chi si lamentava:

- Preghi tu per i tuoi giovani?

Incominciate le scuole, l'Oratorio e i Collegi di Mirabello e di Lanzo riboccavano di alunni, come pure aveva un buon numero di convittori il maestro Miglietti nella casa della Giardiniera, della quale D. Bosco pagava l'affitto.

Degli ultimi giorni di ottobre abbiamo alcune sue lettere. Alla Contessa Callori scriveva, riconoscente, di una passeggiata che i giovani di Mirabello fecero fino alla sua villeggiatura di Vignale; e del Collegio Valsalice, fondato da un'associazione di sacerdoti torinesi il 19 ottobre 1863 in un'amena villa sul colle di Torino, per allevare i giovani delle classi agiate e di civile condizione alla religione, alle scienze ed alle carriere civili, militari e commerciali.

 

Benemerita signora Contessa,

Le madri devono comandare; e pregare i loro figli. Perciò Ella doveva dire: Don Bosco vada, venga, stia, e D. Bosco anche un po' dolente avrebbe ubbidito. Ciò sia di regola per altra volta. - Dunque ho fatto nella mia pochezza la preghiera che mi domandava e credo buona la risoluzione di mandar Emanuele a Bressannone (Brixen). Valsalice è sempre un collegio che gode un buon nome ed io ci ho tutta la confidenza. Perciò il bimbo può andarvi con tranquillità.

I giovanetti di Mirabello furono pieni di meraviglia pel modo alla sua famiglia ordinario, con cui furono trattati. Lunghe lettere a me ed ai loro parenti ecc. Tutto a maggior gloria di Dio. Io ho a tutti raccomandato che facessero tutti per Lei una volta la S. Comunione.

Deo gratias per quanto mi scrive del Prevosto di Lu. D. Spagnolini fu contentissimo della sua dimora a Vignale; ora ha fatto dimanda di andare ne' Gesuiti; ma il suo Vescovo vuole mandarlo ad una parrocchia.

Sono stati ricevuti f. 500 che Ella mandò pel libro: stia tranquilla che avanti che sia compiuta l'unità italiana (ciò sarà presto!) il libro sarà ultimato. La pazienza è una virtù, e le madri la devono sempre esercitare verso a certi figli …Il lavoro però del libro non è interrotto;

ma vien grosso pi√π che non si calcolava.

Avrei veramente bisogno che il sig. Cesare mi potesse dare la traduzione di queste vacanze, giacchè ci sarebbe opportunità di metterla tosto alle stampe. Faccia al medesimo per me una preghiera per animarlo all'opera buona.

Scriverò al giovane Ruschino la risposta di sua lettera.

Dio ci benedica tutti e la Santa Vergine Maria protegga la Chiesa e benedica ed assista il suo Capo. Amen.

Con gratitudine mi professo,

Di V. S. Benemerita,

Torino, 19 ottobre 1867,

Obbl.mo Servitore

Sac. Giovanni Bosco.

 

 

Un altra lettera indirizzata a Mons. Formica, Vescovo di Cuneo, ci ricorda le molte altre colle quali trattava dell'accettazione di giovani e delle cose che li riguardavano.

 

Eccellenza Rev.ma,

Sarà un po' difficile che il giovanetto Morroni si abitui alla disciplina di questa casa trovandosi ai 17 anni; tuttavia facciamo una prova. Si porti solamente un po' di corredo, come è qui notato, e venga dopo i Santi.

Il figliuolo della vedova Serra Rosa, può eziandio essere ricevuto, se può uniformarsi al programma che le unisco. Perchè la Casa essendo piena, dobbiamo mandare lui od un altro in sua vece al luogo ivi indicato.

Mi è grata l'occasione per augurarle ogni celeste benedizione, e mentre raccomando me e li poveri giovanetti di questa casa alla carità delle sante sue preghiere, ho l'alto onore di potermi professare

Di V. E. Rev.ma,

Torino, 19 ottobre 1867,

Obbl.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

 

Ma le pi√π care espressioni di affetto le manifestava ai suoi ex-allievi. Scriveva a Giovanni Turco di Montafia.

 

Carissimo Turco,

La tua lettera mi ha fatto molto piacere e mi riuscì tanto più gradita in quanto che tu mi parli dell'antica confidenza, che per D. Bosco è la cosa più cara del mondo. Posta la tua lettera sotto ad un solo punto di veduta, io ringrazio il Signore che in mezzo agli anni più difficili della tua vita, ti abbia aiutato a conservare i sani principi di religione. Si può dire che l'età calamitosa è passata; più progredirai negli anni, più svaniranno le illusioni che l'uomo si fa del mondo e si confermerà vie più in quello che mi dicesti, che solamente la religione è stabile e può in ogni tempo e in tutte le età rendere l'uomo felice nel tempo e nell'eternità.

Fatto così un po' di filosofia, ti consiglio a continuare ad occuparti nella professione di geometra in cui ti trovi, di praticare la religione, specialmente colla frequente confessione che per te è un vero balsamo, ma di adoperarti con tutti i mezzi possibili per assistere e consolare il tuo buon padre nella sua attuale vecchiaia, ecc., che, grazie a Dio, si può dire floridissima.

Pel passato ti ho sempre raccomandato al Signore nella S. Messa, e lo farò assai più volontieri ancora per l'avvenire, perchè me lo dimandi. Tu pregherai anche per me, non è vero?

Ho alcuni libri ameni da tradurre dal francese; me ne tradurresti qualcheduno? Sarebbero da stamparsi nelle Letture Cattoliche.

Avrò sempre una consolazione ogni volta che mi scriverai. Dio benedica te e tuo padre, e vi conservi ambedue ad multos annos con vita felice.

D. Francesia, D. Lazzero, Chiapale e molti altri tuoi amici ti salutano ed io ti sarò sempre nel Signore.

Torino, 23 ottobre 1867,

aff.mo amico

Sac. Giovanni Bosco.

 

Lo stesso affettuoso interesse dimostrava ad un altro ex-allievo, sacerdote e dottore in belle lettere, che aveva fatto nelle vacanze un viaggio nel Veneto, e di cui avevano male informato il Venerabile.

 

Carissimo,

Non ho potuto rispondere per tempo alla tua lettera; mi fa piacere il disinganno, chè tu non hai imitato il tuo compagno abbigliandoti in borghese. Così mi scrisse anche D. Apollonio.

Ho ricevuto l'oblazione che fai all'Oratorio e te ne ringrazio.

Intanto fatti animo. Praebe te ipsum exemplum bonorum operum. La meditazione e la visita al SS. Sacramento saranno per te due salvaguardie potentissime: approfittane.

Dio ti benedica, prega per me che ti sono,

Torino, 29 ottobre 1867,

aff.mo in G. C.

Sac. Giovanni Bosco.

 

 

Prendeva anche la penna in favore di due chierici la cui posizione in Seminario si era fatta difficile e nello stesso tempo dichiarava al Rettore Canonico Vogliotti di avere eseguiti, per parte sua, gli ordini dell'Arcivescovo.

 

Ill.mo e M. R. Sig. Rettore,

Per secondare le intenzioni di S. E. Rev.ma io era appunto passato più volte presso della medesima Eccellenza Sua per parlare del ch. Cavallero; ma non essendomi riuscito, ho scritto in proposito una lettera di cui non ho potuto avere alcun riscontro. Dietro alla nota Circolare mi pensava che tali affari fossero da lui trattati direttamente. In rapporto poi al Cavallero le dirò che questi col consiglio, mi dice, del medesimo Direttore spirituale del Seminario, intendeva di deporre l'abito clericale sul principio delle vacanze.

Io l'ho consigliato a sospendere e lo ritenni meco in questo tempo. Ora non è ancora totalmente deciso pel sì o pel no. Se non àvvi difficoltà io lo terrei quest'anno meco in prova; se poi Ella mi dice divertente, io mi rimetto agli ordini di Lei, ma temo forse che si risolva ad effettuare il progetto di svestizione. Il chierico è vivacissimo, ma di moralità molto buono. La sua spina a continuare è il consiglio del Direttore spirituale suddetto.

Il Can. Ortalda mandò qui il ch. Ortalda dicendo che sarebbe poi egli stesso venuto a parlarne; non mi fu addotta altra ragione, che non poteva più andare in Seminario, perchè non poteva più essere ricevuto. Se mi usasse la cortesia di dirmi una parola per mia norma, l'avrei come vero favore. Per norma di Lei le dico che la lettera circolare di Mons. Vescovo fu letteralmente da me eseguita e della diocesi di Torino non ci sono chierici nè qui, nè a Lanzo, nè a Mirabello, ad eccezione di quelli che intendono di far parte della Società di S. Francesco di Sales, per cui la prelodata Eccellenza sua ha fatto una eccezione nella circolare a me indirizzata.

Mi farà sempre un grande benefizio quando mi dirà qualche cosa che Ella giudicasse bene per la maggior gloria di Dio, ed augurandole dal cielo sanità e benedizioni mi raccomando alla carità delle sante sue preghiere e mi professo con pienezza di stima,

Di V. S. Ill.ma e M. Reverenda,

Torino, 9 Novembre 1867.

obbl.mo servitore

Sac. Giovanni Bosco.

 

 

Altre lettere aveva dovuto e doveva scrivere per una lite, che da tempo gli procurava noie e disturbi non pochi. La sostenne perchè sacra è la volontà di un morente, e perchè non poteva abbandonare un sussidio che non apparteneva a lui, ma ai suoi poveri giovani. Litigò forzato, e cedette quando vide essere impossibile la vittoria del suo diritto. Quante volte dovette portare una simile croce con disturbi, spese affliggenti e gravi, e sottostare ad una prepotenza ingiusta! Veniamo al fatto.

Il teologo Vincenzo Fissore, Parroco di Scalenghe, morto nel 1866, così ricordava D. Bosco nel suo testamento:

“ Art. 9 - Lego al Sac. Bosco Giovanni, fu Francesco, la mia vigna colle altre proprietà di mobili ed immobili che possedo a S. Mauro Torinese con obbligo al medesimo di dare annualmente la somma di franchi cinquanta al parroco pro tempore di Scalenghe, da erogarsi ai poveri infermi di questa parrocchia ”.

Quest'articolo era chiarissimo, eppure gli eredi incominciarono una questione che durò molto tempo. Il 12 settembre proponevano a D. Bosco un accomodamento in questi termini:

“ Gli eredi sono disposti a cedere dal giorno d'oggi i loro diritti sulla predetta vigna, con patto che ella dia loro la somma di lire quattromila da pagarsi nel termine di due mesi ed adempia nello stesso tempo agli obblighi che le furono imposti dal fu Teologo Vincenzo Fissore.

D. Bosco rispondeva non essere accettabile la proposta per l'ultima condizione e soggiungeva: o si dimandi sentenza legale, oppure gli eredi vendano e diano quel che vogliono.

La questione era perciò deferita ai tribunali e nella comparsa del 4 aprile 1867, e in quella del 22 maggio dello stesso anno, sull'articolo di quel legato gli eredi facevano tante osservazioni e tante insinuazioni e provocavano le più subdole interrogazioni da far supporre D. Bosco, tutt'altro da quel che era D. Bosco. Dal 1850 in poi fu sempre questa l'arte per rendere nulla la pia volontà dei testatori. La lite andò perduta.

Ma ecco in quali termini Don Bosco rispondeva contro gli eredi nel corso della vertenza.

Il Sac. Bosco considerando che i sigg. oppositori non hanno risposto ad alcuna delle fatte osservazioni se non in modo evasivo; rimettendoli intieramente a quanto fu detto nella comparsa precedente: professandosi di pieno accordo intorno all'onestà ed assennatezza del T. Fissore Vincenzo testatore, ritorna a queste conclusioni:

1° Che non ha mai dimandato niente nè dimanda legalmente cosa ad alcuno, poichè la sua fiducia non comporta discussioni in faccia alle autorità legali.

2° Domanda soltanto che si facciano cessare i prolungati disturbi che gli eredi gli cagionano, mentre loro non ha mai fatto richiesta di sorta, essendosi sempre e costantemente rimesso alla loro coscienza.

3° Che sia fatto indenne circa le spese che ingiustamente se gli fanno sostenere; perciocchè non sa darsi ragione come gli eredi, dopo averlo lusingato con promesse, dopo essere andati al possesso dì ogni cosa, senza che il Sac. Bosco abbia mai fatto opposizione, ora lo vogliano ancora molestare e disturbare dalle gravi sue occupazioni pel solo gusto d'interrogarlo od invitarlo a rispondere intorno a cose, cui pei suoi doveri non può rispondere.

Di questi giorni una famiglia di buoni cristiani, desiderando acquistare la vigna di Don Fissore, ne scriveva a Don Bosco, riconoscendo in lui il diritto di proprietà. Egli rispondeva:

 

Carissimo D. Reffo,

La Villa di S. Mauro fu lasciata a me colla fiducia di farne uso particolare secondo l’intenzione del fu teologo Fissore, di Scalenghe; ma gli eredi per mancanza d'una formalità legale intaccano la validità del testamento.

La lite è vertente; io non ho mai richiesto nulla, perchè a me ne viene niente; ma essi mi fanno litigare senza perchè. Dal canto mio intendo di' lasciar tuo padre affatto libero per la coscienza, badi soltanto per la legalità. Ti dico questo, perciocchè sembra che gli eredi badino più alla legalità che alla coscienza.

In passato e più ancora adesso che mel dici, raccomanderà tuo padre e tutta la tua famiglia al Signore: come pure farò una debole preghiera a S. Giuseppe affinchè ottenga provvidenza per gli Artigianelli e per questa nostra Casa che pure versa in gravi strettezze. Dio è un buon Padre, speriamo in lui.

La Santa Vergine ci benedica e ci conservi tutti per la vita del cielo. - Amen.

Prega per me che ti sono,

Torino, 16-11-67,

aff.mo in G. C.

Sac. Giovanni Bosco.

 

 

 

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