Cappuccetto Rosso non presta ascolto al suggerimento della madre, non si fida del monito lanciato dalla generazione che la precede, di stare attenta, di non allontanarsi dal sentiero...
del 08 febbraio 2017
Cappuccetto Rosso non presta ascolto al suggerimento della madre, non si fida del monito lanciato dalla generazione che la precede, di stare attenta, di non allontanarsi dal sentiero...
Lo so, lo so, anche a me quell’essere verde e burbero con un ciuchino per amico sta simpatico, però bisogna ammetterlo, Shrek ha rovinato tutto! Beati i tempi in cui un orco era un orco e in cui ciascuno faceva la sua parte: gli orchi mangiavano i bambini e i bambini per tutta risposta se ne tenevano alla larga. Mettere il caos nel principio base per cui un orco, così come un lupo, va evitato, può avere conseguenze poco piacevoli. Ed è proprio quello che è successo a Cappuccetto rosso.
Viene da chiedersi perché mai la favola di Cappuccetto rosso non sia mai diventata un grande classico della Disney da guardare con tutta la famiglia. Perché la storia della nipotina che saltella nel bosco non ha avuto la sorte toccata a Cenerentola, alla Bella addormentata nel bosco e alla Sirenetta? Cos’ha che non va? Eppure è un racconto popolare, conosciuto pressoché da tutti. Cos’è che non funziona? La risposta definitiva alla domanda è giunta da Pietro, nel senso di San Pietro, lì dove scrive: “Siate temperanti, vigilate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare.” (Prima lettera di Pietro 5,6).
A dispetto del titolo infatti, il protagonista della storia raccontata da Pierrault non è Cappuccetto rosso ma il leone ruggente che si aggira nei boschi, il lupo, il divoratore. Un film uscito qualche anno fa, un mezzo horror ispirato alla favola e intitolato Cappuccetto rosso sangue, inquadrava bene la cosa: il sangue è più protagonista di quanto lo sia la bambina. Di lei sappiamo poco in fondo: era carina, tutti le volevan bene, aveva una mamma, una nonna. Stop. Con una stiacciata e un po’ di burro fresco si inoltra nel bosco per far visita alla nonna malata, e lì nella selva fa un incontro fatale con un essere in carne ed ossa, un animale che simboleggia una fame antica. Quella creatura, si sa, divorerà prima la nonna e poi la bambina. Quello che invece forse non si sa è che nella favola di Pierrault non c’è salvezza.
Alla fine del racconto, nonostante lo si aspetti, il cacciatore non arriva. La scena si chiude con questa bimba divorata dal mostro. Non c’è più rimedio, nessuno arriva in suo soccorso perché a volte le cose nella vita vanno a finir male, un errore può essere senza rimedio. E questo quanto è più vero delle false rassicurazioni che provano a convincerci che nella vita una scelta vale l’altra, basta farla con il cuore! A volte invece gli errori, verrebbe da dire “le disobbedienze”, si pagano per sempre, si pagano con la vita.
Cappuccetto Rosso non presta ascolto al suggerimento della madre, non si fida del monito lanciato dalla generazione che la precede, di stare attenta, di non allontanarsi dal sentiero. Cappuccetto Rosso non bada a quelle raccomandazioni, non dà ad esse il giusto peso. La tradizione, ossia quel lavorio lento che apre una strada nella foresta, che batte una pista, un’ipotesi da cui partire per camminare nella vita, è messa via con faciloneria. Più che la disobbedienza, che a volte è il modo con cui la nostra libertà è chiamata ad esprimersi, è la superficialità ad ammazzare Cappuccetto Rosso. Percorrere un’altra strada rispetto a quella tracciata può essere pericoloso ma può diventare anche una grande avventura umana; percorrerla invece senza essere guardinghi, senza avvertire il rischio, può essere miseramente fatale.
La favola come sempre afferma qualcosa di elementare che chissà per colpa di quale incantesimo questo tempo tende a rimuovere: il male esiste, esistono scelte, atteggiamento che ci fanno smarrire, e parte della fatica che siamo chiamati a compiere vivendo consiste proprio nell’imparare a riconoscerle ed evitarle. Ma per quanto potremo mai sforzarci di far tutto perbene, in un dato momento la nostra vita è destinata ad entrare in un bosco tetro. Per uscirne sani e salvi serviranno almeno due cose: la coscienza del pericolo e la fede in chi ha tracciato il sentiero, in chi ha indicato una via possibile di uscita. Senza questi due ingredienti l’impresa potrebbe finire nella disperazione.
Renato Calvanese
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