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Cara Lucrezia, rispetta la domenica.

Svegliati tardi, fai casino, vai al Buddha Bar e continua pure a bere il vodka lemon, se proprio ci tieni. Ma ricorda: il giorno del Signore è sacro, non si lavora, non si va a Berlino e non si va nemmeno da Esselunga. La domenica è un regalo che Dio ha fatto all'uomo, distruggerla significa fare un dispetto all'uomo, che dispone di un tempo limitato, non a Dio il cui tempo è infinito...


Cara Lucrezia, rispetta la domenica.

da Quaderni Cannibali

del 10 marzo 2007

Carissima Lucrezia,

senti il bisogno di un uomo che metta ordine nella tua vita, mi hai scritto. Ma forse erano solo i postumi dell’ultimo fine settimana berlinese. Conosci quel detto? “Quando la carne è frusta l’anima si fa giusta”. Scherzo, ma neppure tanto, ho l’impressione che i tuoi buoni propositi somiglino a quelli di Pinocchio che quando se la vedeva brutta prometteva di cambiare e superato il pericolo faceva come prima e più di prima. Passato il mal di testa da vodka lemon, passati anche gli scrupoli.

Non so per quale motivo vai a Berlino così spesso e forse è meglio che continui a non saperlo, mi hai parlato di qualcosa che non avevo mai sentito nominare prima, un after, se non ho capito male è una specie di rave-party diurno che però si svolge dentro un locale legale, ammesso che in quel contesto l’aggettivo legale abbia un qualche senso. “Dura dodici ore”. Peggio che andare a lavorare. Ecco perché, quando ti chiamo durante la settimana, hai sempre la voce di chi sta morendo dal sonno. Un uomo che metta ordine nella tua vita, Lucrezia, ti auguro di trovarlo ma non è facile: noi uomini d’ordine siamo rimasti in pochi. Ti consiglio pertanto di cominciare a fare ordine da sola: chi fa da sé fa per tre, aiutati che Dio ti aiuta, eccetera. Prendi il Decalogo, leggilo da capo a fondo e vedi quello che non quadra. Sul sesto comandamento che tanto ti impensierisce non soffermarti troppo: è soltanto il 10 per cento della volontà divina, puoi decidere di affrontarlo più avanti. Grandi spiriti ci incoraggiano a comportarci con realismo, a non chiedere troppo a sé stessi. “Dammi castità e continenza, ma non subito” fu la preghiera di Sant’Agostino, un Padre della chiesa, mica l’ultimo arrivato. Tu poi ogni tanto ti confessi e quindi sei più brava di me che sono dieci anni o dodici o quattordici, boh, che non lo faccio, con relativa impossibilità di comunicarmi.

E pensare che in Italia l’ostia non se la nega nessuno, i cattoabortisti, i nemici del Papa, perfino Prodi ha il coraggio di presentarsi davanti all’altare. Io proprio non ce la faccio, so di sbagliare ma non ce la faccio, e cerco di trasformare questo mio disastro spirituale in virtù: la virtù dell’umiltà. Gesù ha detto che i farisei “amano posti d’onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe” e allora starsene defilati, consapevolmente macchiati, è un modo per essere cristiani. Rivendico il “predicare bene e razzolare male” che non piace ai moralisti, ai perfettisti del tutto e niente quindi del niente. Il cristianesimo non è una morale ma la fede nella resurrezione di Cristo figlio di Dio. Non è una pratica ascetica riservata ai santi. “Che sarebbe di noi se i colpevoli non potessero pregare?” si domandava Joseph de Maistre, punto di riferimento di noialtri uomini d’ordine. Comunque ognuno si macera a modo suo.

Tu andando in giro per i locali di Milano con quei pantaloni pazzeschi, con la scritta Bitch disegnata sulle natiche con gli strass Swarovski. Forse è meglio che lo riscriva per farlo capire bene a chi potrebbe intercettare questa lettera: Bitch, non Rich. Mi piace molto questo tuo continuo dichiararti indegna, è un atteggiamento così raro: la rubrica del telefonino mi sta scoppiando a forza di inserire donne che si credono bellissime e intelligentissime, tutte perfettissime, tutte permalosissime. Nessuna di loro mi ha mai parlato di “ormone trombino”, nessuna mi ha mai confessato di far parte di una scelta compagnia di “cacciatrici di fagiani”. E se vanno a Berlino il loro unico scopo è vedere i quadri di Friedrich.

Mi sembra che con gli altri comandamenti tu sia abbastanza a posto: non bestemmi, vuoi bene ai tuoi genitori, non scippi le vecchiette… E allora che cos’è che non funziona? Dove si annida la confusione che ti logora? Vediamo, vediamo, eccola qui la chiave, è il terzo comandamento: ricordati di santificare le feste. Tu non te lo ricordi, Lucrezia, e nessuno intorno a te può farti tornare la memoria perché gli italiani hanno perso la domenica. Come dire l’orientamento. Ovvero la testa. Togli alla settimana la domenica, la domenica vera cioè santificata, e la vita è fatta solo di lavoro e di divertimento, due attività in cui si pensa ad altro o non si pensa affatto. Senza mai un giorno per fare il punto della situazione. Per mettere ordine in sé stessi. Togli all’anno il Natale, e si stanno impegnando strenuamente per estirparlo dal calendario boicottando il presepe e gli auguri e la famiglia, e non c’è più la Pasqua, quindi non c’è più la Resurrezione. Credono di togliere il tempo al Creatore ma lo tolgono alla creatura.

La domenica è un regalo che Dio ha fatto all’uomo, distruggerla significa fare un dispetto all’uomo, che dispone di un tempo limitato, non a Dio il cui tempo è infinito. Non è solo la preoccupazione di un mistico che a forza di accendere candele nelle cattedrali è partito per la tangente. Sto leggendo un libro che si intitola “Cento lavori orrendi”. Sottotitolo: “Storie infernali dal mondo del lavoro”. E’ un libro inglese tradotto da Einaudi. Fra le varie testimonianze c’è quella di un ex consulente per le risorse umane, figura professionale apparentata al kapò dei campi di concentramento nazisti. Senti che cosa dice: “I lavori che potevo offrire erano ripetitivi, noiosi e mal pagati. Inoltre a causa del tipo di società in cui insistiamo a vivere, dove tutto deve essere a disposizione ventiquattr’ore su ventiquattro, sette giorni alla settimana, i turni erano interminabili”. Senza conoscerne la natura divina ma forse intuendola, il signore inglese sta rimpiangendo la domenica. Non è difficile scoprire perché questo giorno speciale puoi permetterti di passarlo nei bagordi a Berlino invece che rinchiusa in ufficio a Cantù. Basta aprire la Bibbia, Genesi capitolo due. “Allora Dio nel settimo giorno portò a termine il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro. Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò”. Nel libro biblico successivo, l’Esodo, si ritorna sulla questione e la regola diventa esplicita: “Il settimo giorno vi sarà riposo assoluto, sacro al Signore”. Gli ebrei sono stati fedeli a questo versetto per dodici secoli e i cristiani, che ne hanno raccolto il testimone, per altri venti. Ciò significa che i tuoi trastulli domenicali, berlinesi o milanesi o di riviera romagnola non importa, sono il risultato di 3.200 anni di fedeltà, dapprima alle parole pronunciate dal Padre con voce di tuono sul monte Sinai e poi all’indicazione del Figlio che ha scelto di risorgere appunto una domenica.

L’amore con l’amore si paga e alla fedeltà si risponde con fedeltà, in caso contrario si è una cosa soltanto: traditori. L’80 per cento degli italiani vorrebbe negozi sempre aperti, secondo una ricerca dell’Università Bocconi. Adesso non è che bisogna credere ai sondaggi, li ho studiati a fondo e li ho anche realizzati e so benissimo che a seconda del campione, del metodo e delle domande si possono ottenere i risultati che si vogliono, e figuriamoci se la Bocconi non voleva favorire l’apertura domenicale degli ipermercati che hanno pagato l’indagine. Ma stavolta mi sembrano numeri plausibili, non preconfezionati a tavolino per consentire al committente di raccontare le seguenti formidabili panzane: “Tenere i negozi aperti la domenica ridarebbe slancio ai consumi e incrementerebbe l’occupazione”. La Federdistribuzione pensa di essere Gesù Cristo, di poter moltiplicare i pani e i pesci ma naturalmente non è così: il consumatore spende quello che guadagna, se sei un precario a 1.000 euri al mese non puoi comprare un televisore al plasma da 65 pollici nemmeno se Trony tiene aperto 48 ore su 24. Resta che nessun’altra trasgressione al Decalogo è capace di raccogliere tanti consensi: l’80 per cento è un’enormità, segno che perfino molti cattolici praticanti non sanno più che cosa significhi santificare le feste.

Una volta Lucrezia mi hai detto, eravamo al bar Magenta, che il Papa è lontano dai giovani. Ti ho domandato che cosa dovrebbe fare per avvicinarsi. “Dovrebbe parlare più schietto”. Forse invece è un bene che usi qualche accortezza. La verità rende liberi ma può essere molto dolorosa. “Quanta verità può sopportare un uomo?” si domandò Nietzsche. Credo fosse una domanda retorica: non tanta. Immaginati se Benedetto XVI si affacciasse a piazza San Pietro e recitasse schiettamente, come dici tu, senza filtri, preamboli e ammortizzatori di sorta i versetti dell’Esodo sul settimo giorno: “Chiunque in quel giorno farà qualche lavoro sarà messo a morte”. Meglio che non sia troppo schietto, non trovi? Bisogna senza dubbio mettere dei punti fermi, in questo caso ribadire il primo precetto della chiesa: “Partecipare alla Messa la domenica e le altre feste comandate e rimanere liberi da lavori e da attività che potrebbero impedire la santificazione di tali giorni”. Senza lanciare anatemi però mostrando i danni che la domenica sconsacrata causa all’uomo, credente o non credente. L’impoverimento che provoca.

“Il sacro è il mondo dell’eccedenza, della sovrabbondanza, dove regna il dono”. Sono parole del mio amico Claudio Risé, psicoterapeuta. “Il sacro libera le energie bloccate dall’identificazione tra vita umana e mondo delle cose. E trasmette quindi un senso di pienezza di cui è invece privo il mondo delle cose, nel quale l’uomo si confronta continuamente con la loro insufficienza, deperibilità e fragilità”. In altre parole il sacro è gratis, i negozi aperti la domenica si pagano. Se ti hanno licenziato o se la banca ti ha bloccato il conto continui a far parte della comunità cristiana a pieno titolo, mentre come consumatore non sei più niente. Nel mercato tu non sei un uomo o una donna ma una carta di credito. Facciamo invece che sei pieno di soldi ma disgraziatamente ti trovi a letto malato: delle offerte Esselunga non sai che fartene, la domenica mattina vuoi essere incoraggiato da campane che suonano a festa. Lucrezia, hai mai letto Vincenzo Cardarelli? A scuola te l’hanno fatto studiare? A me no, non era nei programmi dell’istituto agrario ma ci sono arrivato da solo. Da qualche anno la considero la più bella poesia italiana del Novecento (prima la palma spettava alla “Pioggia nel pineto” di D’Annunzio, ora in seconda posizione). Si intitola “Estiva” e comincia così: “Distesa estate, / stagione dei densi climi / dei grandi mattini / dell’albe senza rumore”. Non parla della domenica ma è come se lo facesse, l’estate di Cardarelli sembra composta di novanta interminabili domeniche. “Ci si risveglia come in un acquario”. A forza di “giorni astrali” e “riposi enormi” il poeta dilata un’immaginaria domenica d’estate fino a farle occupare tutto lo spazio e tutto il tempo, fino a farla diventare paradiso.

Il silenzio è anticamera del sacro mentre il rumore è anticipazione dell’inferno. I tuoi after li immagino ad alto volume, o sbaglio? Lo scrittore inglese Clive Staples Lewis ha messo in bocca a Satana parole molto plausibili: “Ogni pollice quadrato di spazio infernale, ogni attimo del tempo infernale, sia occupato dal rumore. Noi vogliamo fare di tutto l’universo un rumore e abbiamo già fatto grandi passi in questa direzione”. Santificare le feste significa, anche, non prendere un aereo che sparge decibel e ossido di carbonio su mezza Europa. E a Berlino come ci vai? Non ci vai, la domenica non si va a Berlino, la domenica si va alla Madonna di Caravaggio. Non soltanto non bisogna lavorare, quel giorno, bisogna anche non costringere a lavorare. “Non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te”. Non chiamare i call center dove sono legati al remo gli schiavi dell’epoca moderna: diamogli ventiquattr’ore di tregua. Non entrare nei Blockbuster dove altri infelici consumano il cuore della settimana per consentirti il futile piacere di vedere un film. I libri si possono benissimo comprare il sabato. Le scarpe pure.

Sorseggiavo Negroni al bar del Grand Hotel de Milan, in via Manzoni, me ne stavo servito e riverito come un pascià quando la mia amica Rita mi ha messo in crisi con una domanda: “Da che cosa si riconosce un cristiano?”. Non sopporta che la fede in Cristo sia visibile solo all’interno delle chiese. E fuori, per le strade, che testimonianza offriamo? Sono ancora qui che cerco di dare e darmi una risposta. Fatti questa domanda anche tu: “La mia fede è riconoscibile all’esterno, mi rende diversa?”. Un cristiano si deve riconoscere per la sua capacità di perdonare (che però non è immediatamente visibile). Per la croce che è giusto porti al collo (ma si vede solo d’estate, d’inverno si è troppo infagottati). E perché non affolla via Montenapoleone nelle domeniche pre-natalizie. Nei ristoranti un cristiano si deve riconoscere perché il venerdì, giorno della Crocifissione, non mangia carne (e nemmeno aragoste, sarebbe una presa in giro). Specie in Quaresima, specie il Venerdì Santo quando i più volenterosi perfino digiunano. Quando santifichiamo la domenica e ricordiamo il venerdì usciamo dalla biologia ed entriamo nella teologia, non siamo più schiavi del tempo che ci corrode ma partecipiamo dell’eterno. Curviamo il tempo, lo costringiamo a ritornare su sé stesso. Il 25 dicembre Gesù è sempre bambino, non invecchia mai. Anche noi nel nostro piccolo possiamo non invecchiare mai, io ad esempio non festeggio il compleanno ma l’onomastico, il 14 luglio, San Camillo de Lellis. I compleanni sono tristissimi, ti inchiodano alla tua anagrafe, sono un classico esempio di egocentrismo masochista. Con l’onomastico esci da te stesso per entrare nella comunione dei santi, non precipiti da solo ma sali in compagnia (Santa Lucrezia martire, uccisa dai musulmani in Spagna, si festeggia il 15 marzo, e siccome il calendario di Frate Indovino non la riporta me lo sono appena scritto sull’agenda così mi ricordo di farti gli auguri).

Da uomo d’ordine a donna disordinata, ecco allora il mio comando per te, Lucrezia. Domenica svegliati tardi o anche tardissimo, ne hai il diritto siccome i giorni feriali ti alzi alle sei e mezza, e questo mi dispiace perché una donna non dovrebbe lavorare o al limite dovrebbe lavorare poco. Fa’ quel lunghissimo bellissimo bagno che mi hai raccontato, con le candele profumate accese sul bordo della vasca e in sottofondo la musica del Buddha Bar. Poi esci e va’ a messa, non è possibile che tu non faccia in tempo: a Sant’Eustorgio l’ultima messa è alle 17, a Sant’Ambrogio ne fanno una alle 18. Dopo puoi anche andare a bere ma datti al vino rosso e lascia il vodka lemon: questo però non è un precetto della vera religione, è una preghiera del tuo fegato.

Che Dio ti benedica.

Camillo

Camillo Langone

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