La Conferenza Episcopale italiana rende fattivo con il documento l'appello del Papa ad ospitare i migranti...
Non è rimasto inascoltato l’appello di Papa Francesco, durante l’Angelus del 6 settembre scorso, ad aprire le porte a profughi e rifugiati. Se già il Vaticano ha provveduto ad accogliere due famiglie, in tutta Italia 22mila migranti dei 95mila sbarcati sulle coste nostrane - e ospitati nei diversi Centri di accoglienza ordinari e straordinari, nonché nel Sistema nazionale di protezione dei richiedenti asilo e rifugiati - sono stati accolti in circa 1600 strutture, quali diocesi e parrocchie, famiglie e comunità religiose.
Questa generosa risposta della Chiesa e della società italiana è il dato principale che emerge dal Vademecum per l’accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati, approvato dal Consiglio Permanente della Cei e pubblicato oggi, attraverso il quale i vescovi rendono fattiva la proposta del Santo Padre, nel segno di una Chiesa che – come ricorda il Concilio Vaticano II – “cammina con le persone”.
Con il documento - sottolineano infatti i presuli - si vuole “aiutare a individuare forme e modalità per ampliare la rete ecclesiale dell’accoglienza a favore delle persone richiedenti asilo e rifugiate che giungono nel nostro Paese, nel rispetto della legislazione presente e in collaborazione con le Istituzioni”.
Si tratta - affermano - di “un gesto concreto e gratuito”, “un servizio, segno di accoglienza che si affianca ai molti altri a favore dei poveri (disoccupati, famiglie in difficoltà, anziani soli, minori non accompagnati, diversamente abili, vittime di tratta, senza dimora) presenti nelle nostre Chiese: un supplemento di umanità, anche per vincere la paura e i pregiudizi”.
L’orizzonte in cui si staglia questa iniziativa è il Giubileo, tempo di grazia da sempre “caratterizzato da gesti di liberazione e di carità”, evidenzia la Cei, ricordando come nel 2000, Giovanni Paolo II invitò a opere di liberazione per le vittime di tratta e nacquero in loro favore molti servizi nelle diocesi e nelle comunità religiose. Così pure tutte le parrocchie italiane furono sollecitate a un gesto di carità e di condivisione per il condono del debito estero di Guinea e Zambia.
Il gesto richiesto ora da Papa Bergoglio di fronte a questo incessante flusso migratorio testimonia, dunque, “come sia determinante per la Chiesa e per la credibilità del suo annuncio che essa viva e testimoni in prima persona la misericordia”.
Più nel concreto, l’episcopato italiano stila le condizioni generali per rendere efficace l’accoglienza, che prima, tuttavia, deve essere preceduta da una preparazione “a tappe” della comunità. In diocesi, come anche in parrocchia o in famiglia, l’accoglienza di un richiedente asilo - si legge nel documento - “ha bisogno di essere preparata e accompagnata, sia nei delicati aspetti umani (sociali, sanitari) come negli aspetti legali, da un ente (nelle grandi diocesi anche più enti) che curi i rapporti con la Prefettura di competenza”.
Pertanto è necessario un percorso di formazione per i fedeli, in modo da far “conoscere chi arriva da noi”, ma soprattutto a “preparare chi accoglie (parrocchie, associazioni, famiglie) con strumenti adeguati (lettera, incontro comunitario, coinvolgimento delle realtà del territorio…)”. In tal senso, secondo i presuli, è utile anche “costruire una piccola équipe di operatori a livello diocesano e di volontari a livello parrocchiale e provvedere alla loro preparazione non solo sul piano sociale, legale e amministrativo, ma anche culturale e pastorale, con attenzione anche alle cause dell’immigrazione forzata”. Due aspetti di cui si prenderanno cura Caritas e Fondazione Migrantes.
Fondamentale sarà poi seguire “le pratiche per i documenti, i vari problemi amministrativi e anche l’eventuale esito negativo della richiesta d’asilo”. A tal proposito nel Vademecum viene tracciato un profilo delle categorie dei migranti che possono ricevere ospitalità nelle diverse strutture. Ovvero: una famiglia; persone della stessa nazionalità che hanno presentato la domanda d’asilo e sono ospitati in un Centro di accoglienza straordinaria; persone che hanno visto accolta la propria domanda d’asilo e rimangono in attesa di entrare in un progetto del Sistema nazionale di protezione dei richiedenti asilo e rifugiati, per un percorso di integrazione sociale nel nostro Paese. Ancora: chi ha avuto una forma di protezione internazionale o ha già concluso un percorso nel Sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati e non ha prospettive di inserimento sociale, per favorire un “cammino di autonomia”, prendendo a modello l’esempio dei gesuiti del Centro Astalli.
Riguardo ai minori, la Conferenza Episcopale italiana sconsiglia l’accoglienza di minorenni non accompagnati, in quanto “per la delicatezza della tipologia di intervento, in termini giuridici, psicologici, di assistenza sociale”, intrinseci alla condizione stessa del bambino, “il luogo più adatto per la sua accoglienza non è la parrocchia, ma la famiglia affidataria o un ente accreditato come casa famiglia, in conformità alle norme che indicano l’iter e gli strumenti di tutela”.
Sul “dove accogliere” i vescovi suggeriscono: “In alcuni locali della parrocchia o in un appartamento in affitto o in uso gratuito, presso alcune famiglie, in una casa religiosa o monastero, negli spazi legati a un santuario, che spesso tradizionalmente hanno un hospitium o luogo di accoglienza dei pellegrini, acquisite le autorizzazioni canoniche ove prescritte”.
Meglio non optare per il semplice affidamento alle Prefetture di immobili di proprietà di un ente ecclesiastico, aggiungono, “per la problematicità dell’affidamento a terzi di una struttura ecclesiale senza l’impegno diretto della comunità cristiana”. “Le strutture o i locali di ospitalità in parrocchia devono essere a norma”, precisano poi i vescovi della Cei, e “la parrocchia deve prevedere l’assicurazione per la responsabilità civile”. Inoltre, “se l’attività di accoglienza si svolge con caratteristiche che ai sensi della normativa vigente sono considerate commerciali si applica il regime generale previsto per tali forme di attività”.
Pur non prevedendo donazioni dall’8x1000, la Conferenza Episcopale assicura che “valuterà se e come assegnare un eventuale contributo alle diocesi, particolarmente bisognose, che hanno dovuto adeguare alcuni ambienti per renderli funzionali e idonei all’accoglienza”.
Circa i tempi, la Cei indica mediamente un tempo variabile da 6 mesi a un anno per i richiedenti asilo o una forma di protezione internazionale. “I tempi - scrive - possono abbreviarsi per chi desidera continuare il proprio viaggio o raggiungere i familiari o comunità di riferimento in diversi Paesi europei”. In questo caso, potrà essere “significativo” che la parrocchia mantenga i contatti con i migranti anche durante il viaggio, fino alla destinazione.
Salvatore Cemuzio
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