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Che cos'è il tempo?

Non è l'uomo a dominare il Tempo, bensì sembra accadere il contrario: è il Tempo a dominare l'uomo, la sua vita, le sue relazioni, le sue attività. In pratica: time is money, il tempo è denaro. Il fare-fare-fare è l'imperativo, la norma, a scapito del Tempo libero...


Che cos’è il tempo?

da Quaderni Cannibali

del 07 ottobre 2011 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) {return;} js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/en_US/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 

          Che cos’è il tempo? In relazione a questa domanda, Sant’Agostino d’Ippona, nelle sue Confessioni, dichiarò: «Se nessuno me lo chiede, lo so; se dovessi spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so».

Non poteva essere data risposta pi√π sincera.

          Non è semplice infatti esprimere un concetto chiaro e univoco sul Tempo. Lungo tutta la storia dell’umanità si sono, però, azzardate varie interpretazioni. Ognuna con un tipo di approccio diverso: letterario, poetico, storico, filosofico, etico, psicologico, religioso, sociologico, economico, scientifico, ecc. La filosofia e la scienza, la teologia e la fisica quantistica tentano di penetrare a fondo i segreti del Tempo. è una sfida, un gioco via via sempre più accattivante.

          Francesco Petrarca, in un suo componimento (dai Trionfi, 1352), intuisce del Tempo la proprietà di rendere caduche tutte le cose umane: «Passan vostre grandezze e vostre pompe, passan le signorie, passan i regni: ogni cosa mortal Tempo interrompe».Dai sonetti shakespeariani, composti a cavallo tra il XVI e il XVII secolo, alcuni versi riflettono un malcelato senso di angoscia e d’impotenza che il poeta inglese prova di fronte all’ineluttabilità del trascorrere del Tempo e del conseguente disgregarsi della materia: «...vedo la rea mano del Tempo guastare gli sfarzosi splendori delle età consunte e sepolte,... vedo rase talora al suolo torri superbe...». Il filosofo latino Lucio Anneo Seneca (4a.C.-65d.C.) definisce lo scorrere del tempo in tre modi diversi a seconda della sensibilità umana: «Parte del tempo ce lo strappano di mano. Parte ce lo sottraggono con delicatezza. E parte scivola via senza che ce ne accorgiamo».Il cinismo non manca a Hector Berliotz, notissimo musicista dell’Ottocento, nell’affibbiare al tempo la responsabilità di dare il colpo di grazia a tutte le cose: «Il tempo è un grande maestro, ma sfortunatamente uccide tutti i suoi allievi».

La dimensione umana del Tempo

          Finora l’uomo è riuscito a scoprire e codificare solo qualcuno dei tanti aspetti che racchiudono il mistero del Tempo. L’homo economicus, in particolar modo, ha fatto del Tempo il suo più prezioso alleato per massimizzare i profitti, produrre sempre di più e al massimo dell’efficienza. Ma non ha saputo interiorizzare il Tempo, smarrendone forse il senso autentico, incapace di riscoprire in esso la sua dimensione umana, che poco alla volta si è intorpidita, affievolita. Filosofi, scienziati, scrittori e poeti di ogni epoca hanno tentato di afferrare l’essenza che lega passato, presente e futuro. Aristotele, Lucrezio, Petrarca, Shakespeare, Pascal, Newton, Einstein hanno descritto e misurato il tempo, ma nel cercare di percepirlo, definirlo, interpretarlo, controllarlo e quantificarlo, l’interrogativo resta.

Il controllo del Tempo

          Le antiche civiltà, come quella egizia, la babilonese e i Maya, possedevano il senso del Tempo. Esse erano in grado di distinguere il susseguirsi dei giorni e delle stagioni. Nel misurarli, attribuivano ai ritmi della vita quotidiana, sociale o pubblica, l’intervento del soprannaturale che gli uomini speravano d’ingraziarsi con preghiere, iniziazioni e riti sacrificali. Al fine di registrare il fluire del Tempo, delle ore, dei giorni e delle notti, l’ingegno umano ideò la meridiana, l’orologio ad acqua, la clessidra a sabbia. Poi, in Europa, in pieno Medioevo, comparve un curioso prodotto artigianale, che presto farà la sua fortuna: l’orologio meccanico. Un principe, dal nome esotico, Haroun Al Rashid, fece dono a Carlo Magno, nell’anno 807, forse del primo orologio della Storia.Dall’alto di una torre o di un campanile, nel bel mezzo delle piazze di paese o di città, un monotono ticchettio si mette a fare concorrenza alle campane nel regolare i ritmi quotidiani della vita sociale. Un ciondolo appeso a un taschino della giacca o un comune cinturino sotto la manica provvederanno invece a regolare la vita privata di ogni persona.Ancora oggi, all’inizio del Terzo Millennio, sempre più sofisticati congegni meccanici, elettronici e informatici muovono le lancette di un quadrante, fanno apparire numerini fosforescenti, azionano la suoneria di una sveglia per dare all’uomo la sensazione di catturare e dominare il Tempo.

La vita umana in funzione del Tempo

          Ma se facciamo un po’ più di attenzione, ci accorgeremmo che non è l’uomo a dominare il Tempo, bensì sembra accadere il contrario: è il Tempo a dominare l’uomo, la sua vita, le sue relazioni, le sue attività. Non senza stupore scopriamo, in tanti momenti della nostra vita quotidiana, di non poter proprio fare a meno di guardare sul diario, sull’agenda o sul calendario che giorno sia per fissare date e appuntamenti. Ed è diventata un’abitudine, tanto innoqua quanto necessaria, dare una sbirciatina, anche solo di sfuggita, all’orologio da polso, o allo schermino del cellulare, per vedere se è già tardi o se sia ancora presto. In effetti nella nostra cultura occidentale, la misurazione del Tempo naturale risponde soprattutto a finalità economico-produttive. L’uomo si è creato da solo, per i propri scopi, una sorta di Tempo artificiale, in cui la determinazione del Tempo lo asserve praticamente all’esecuzione e al compimento di specifiche attività e incombenze che lo pongono, volente o nolente, in relazione con gli altri uomini.Guardare l’ora significherebbe, in definitiva, per noi occidentali, darsi una mossa, e ciò ci induce a fare le cose in fretta, ci sollecita imperiosamente ad accelerare i ritmi delle consuete attività, attitudini o doveri che siamo chiamati a svolgere. Quasi in barba al detto: «La fretta è cattiva consigliera» o al suggerimento dei saggi latini: «Lento pede».Questa logica, di assoggettamento ai “tempi di produzione”, è felicemente rappresentata nel film Tempi moderni, girato nel 1936. In esso il genio comico di Chaplin descrive, con raffinata ironia, i frenetici ritmi di lavoro cui si sottomettono gli operai alle prese con i diabolici macchinari di una fabbrica.

Il Tempo tra lavoro e svago

          Attraverso il Tempo naturale, la posizione del Sole o anche le fasi lunari ci danno indicazioni precise per calcolare le ore del giorno. Ma accanto ad esso, si è imposto un Tempo artificiale, che l’uomo ha adottato per meglio amministrare i ritmi della propria vita. Un tempo che l’uomo, da solo o insieme ad altri uomini, si gestisce responsabilmente, in cui ha fatto affluire liberamente le sue varie attività ed esigenze.Questo Tempo artificiale si usa ripartire in due principali insiemi temporali, che s’integrano a vicenda o, il più delle volte, si contrappongono fra loro: il Tempo produttivo (dedicato al lavoro, al dovere, ad attività coatte) e il Tempo libero (dedicato al relax, al riposo, alla vacanza, ad attività che coinvolgono la sfera privata della persona).

Il Tempo produttivo

          Il tempo produttivo ha assorbito talmente il nostro modo di vivere sino a rendere ogni istante della nostra esistenza dipendente dalla cultura utilitaristica del profitto, in cui ogni cosa ha senso solo se si acquista, si possiede e si consuma. Ogni cosa ha senso solo se è monetizzabile e si può convertire in denaro. Felicità e benessere dunque dipendono da quanto si è comprato, investito in moneta sonante, capitalizzato. In pratica: time is money, il tempo è denaro…Il Tempo che l’uomo ha a disposizione, ha subito il forte e logorante condizionamento culturale basato sul fare e sull’avere. Produrre-guadagnare-consumare sono diventati la chiave di accensione, la cifra interpretativa del nostro pensare e del nostro agire.Nella nostra società moderna, industrializzata, informatizzata, tutta tesa febbrilmente a produrre, guadagnare e consumare, è venuta meno la dimensione ludica del Tempo, quella che si può recuperare solo attraverso il Tempo libero.

Il Tempo libero

          L’aspetto inquietante è che il Tempo libero, ossia divertirsi, praticare uno sport o un hobby, andare in vacanza è diventato anch’esso oggetto di un’operazione commerciale e consumistica, fonte anch’esso di profitti e di strumentalizzazioni pubblicitarie. Ciò nondimeno è motivo di frustrazioni per chi non ha reddito, per chi è disoccupato e non può permettersi una “compera” del tempo libero. Oltretutto i sociologi dicono che il Tempo libero si è andato progressivamente riducendo, anzi non esiste quasi più, essendo fagocitato da un estremo desiderio di iper-attivismo. Le ore di non-lavoro, oggi, sono freneticamente riempite di attività, si traducono in una rincorsa senza sosta agli impegni. Il fare-fare-fare è l’imperativo, la norma, a scapito del Tempo libero, che lo si occupa persino con un secondo lavoro. Il risultato è che non si trova più Tempo per se stessi, per provare il gusto di fermarsi a pensare, leggere, riflettere, ascoltare, osservare... Occorre dunque ristabilire il giusto equilibrio nel rapporto dialettico tra il Tempo speso per il lavoro, la produzione e il profitto e quello speso per il gioco, il riposo, la meditazione.

La dimensione solidarizzante e quella religiosa

          L’uomo riscopre inoltre la dimensione solidarizzante e anche religiosa del giorno di festa, che lo invita a restaurare la sua dignità di persona, dandogli l’opportunità d’instaurare, in modo libero, spontaneo e gioioso, relazioni interpersonali, d’incontro e di dialogo con i suoi simili, con la natura, e in particolare, in modo privilegiato, con Dio. A patto tuttavia che si sappia tenere alla larga dai giochi d’interesse e di calcolo alimentati a ritmo frenetico dai circuiti economico-produttivi moderni, tendenti a invadere se non a sopprimere, complici sempre i mass-media e le tecniche pubblicitarie, persino il Tempo da dedicare all’esperienza, anch’essa tonificante, della preghiera, singola o comunitaria.

Tempo qualitativo e Tempo quantitativo

          Nella cultura occidentale è evidente dunque come il Tempo sia interpretato e vissuto solo sul piano della quantità: lavorare di più per guadagnare di più. La fretta e l’avidità sembrano da sole sintetizzare una filosofia di vita che da un lato rimpingua l’uomo di beni e privilegi materiali, ma dall’altro lo rende vittima di un impoverimento interiore un po’ pericoloso, perché lo allontana dalla sua natura e dalla sua stessa umanità. Quindi è necessario che il piatto della bilancia torni a pesare di più dalla parte di un Tempo inteso in senso qualitativo, grazie al quale l’essere conta ragionevolmente più dell’avere, e la capacità di pensare o, come direbbero gli antichi, di «oziare», verrebbe coltivata e apprezzata tanto quanto la capacità di fare. Nel medioevo furono i frati benedettini a trovare, nello spazio del chiosco, il giusto equilibrio tra il Tempo quantitativo e quello qualitativo, attraverso la nota formula: ora et labora. La fatica del corpo, l’impegno della mente, il nutrimento spirituale si compivano secondo ritmi ordinati, senza sovrapposizioni o negligenze. Nei secoli successivi emergeva in modo significativo l’etica protestante del lavoro, che indirizzò l’uomo verso traguardi di civiltà in cui l’operosità e il darsi da fare assumevano una connotazione positiva di alto valore, ponendosi alla base dell’idea di sviluppo e progresso. Un’idea che poi avrebbe foggiato e fatto evolvere l’intero Occidente sino ai tempi d’oggi. Un’idea che predisponeva l’uomo occidentale a utilizzare il Tempo per realizzare personali e lungimiranti obiettivi di dominio e di conquista.

Tempo del Nord e Tempo del Sud

          I notevoli passi avanti fatti dagli occidentali, lungo la strada dello sviluppo e del progresso, hanno però imprudentemente infuso in essi un sentimento di superiorità rispetto ad altre civiltà e popoli del mondo, tradottosi nei fenomeni del colonialismo e del neocolonialismo. E oggi, forse, l’influenza egemone dell’Occidente si sta riflettendo nella cultura omologatrice della globalizzazione, del “villaggio globale”, tendente a diffondere su tutto il pianeta un’unica nozione di Tempo, quella di stampo occidentale, con il rischio di annullare o dequalificare altre culture del Tempo. è bene, invece, essere consapevoli che nelle diverse parti del mondo vivono popoli, in particolare a Sud, che hanno una propria percezione sociale del Tempo, volta a scandire differenti stili di vita e di relazioni. Nei Paesi africani, per esempio, l’idea del Tempo è quella ciclica e guarda al passato come a un punto di riferimento culturale costante e inderogabile. Anche in Oriente, in India, Cina, Giappone la concezione sociale del Tempo è ancorata prevalentemente al passato, a un patrimonio di miti e tradizioni, in cui un forte sentimento religioso plasma e condiziona quotidianamente ritmi e modelli di vita, ed è ancora così, nonostante le prepotenti suggestioni del mondo occidentale.

Graziano Chiura

http://www.dimensioni.org

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