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CHE ORA È?

Lo spazio non è più, diversamente da “La famiglia”, quello di una casa culla, bensì di una città di porto, anonima e uggiosa, che rappresenta il luogo di transizione e di passaggio per Michele, finalmente sollecitato ad affrancarsi dalle decisioni paterne, prese sempre in sua vece, per inoltrarsi in avanscoperta della propria esistenza...


CHE ORA È?

da Quaderni Cannibali

del 28 ottobre 2005

 

Regia: Ettore Scola

Interpreti: Marcello Mastroianni, Massimo Troisi, Anne Parillaud

Origine: Italia/Francia 1989

Durata: 102’

 

Marcello Rinaldi, avvocato sessantenne, ha successo e quattrini, mentre suo figlio Michele è un trentenne serio e timido, laureato in lettere, che sta per terminare il servizio militare a Civitavecchia. Spinto dal desiderio di trovare col figlio quel dialogo che è stato sempre impossibile, Marcello va a trascorrere con lui un’intera giornata, e, appena lo incontra, per ingraziarselo, gli comunica di avergli preparato due regali: una macchina di lusso ed uno splendido attico a Roma. Ma il giovane dimostra solo imbarazzo per questi regali, mentre più tardi è felice per un dono più modesto: l’orologio d’argento, che apparteneva al nonno ferroviere, e che gli ricorda momenti felici della sua infanzia. Michele non ha per il futuro grandi aspirazioni, ma certo vuole scegliere da sè la sua strada. L’invadenza e la possessività del padre lo irritano e i due, che non si comprendono, litigano spesso, mentre le ore di questa lunga giornata trascorrono lentamente. Marcello sa di non conoscere veramente suo figlio, e di essergli stato troppo lontano, per motivi di lavoro, perciò ora lo interroga continuamente, per arrivare a capirlo. Si fa anche condurre a casa di Loredana, una ragazza, con la quale il giovane ha un legame, e, in assenza di lui, le fa domande molto indiscrete. Infine padre e figlio vanno in un bar, dove Michele si trova a suo agio, fra amici di condizione modesta, e, vedendolo in tali compagnie, il padre ne rimane contrariato. In seguito Marcello, che è stato sempre geloso dell’attaccamento di suo figlio per la madre, gli rivela una presunta infedeltà di lei, avvenuta molti anni prima, provocando l’indignazione del giovane, che si allontana subito. L’anziano avvocato allora si reca alla stazione in attesa del treno per Roma.

 

 

Hanno detto del film

In questa fine di secolo che ci trova impreparati “ad affrontare il terzo millennio”, un padre e un figlio vivono semplicemente la difficoltà del tempo, l’uno aggrappandosi alle vecchie certezze sempre più malmenate dalla realtà di un’età che porta in sé il germe della morte, l’altro rifiutando l’età adulta e chiudendosi nel bozzolo protettivo di una piccola città. (…) Così, l’uno sa troppo vivere e l’altro non abbastanza, espressione del tutto limpida della confusione delle idee, dell’angoscia esistenziale e, infine, del bisogno dell’altro, espresso attraverso la magica frase: che ora è?

(Jean A.Gili – Positif 351 – maggio 1990)

 

“Che ora è” racconta una “giornata particolare” per quel po’ di particolare che può offrire oggi la vita in seno ad una famiglia della media borghesia italiana, dove il padre ha fatto i soldi come avvocato, ha tradito la moglie senza separarsi da lei, ha generato un figlio che non ha ancora le idee chiare su come gestire il proprio futuro e, comunque, non rincorre da assatanato il successo individuale; una famiglia in cui ci si parla poco, poiché meno ci si parla, più lontani si tengono i conflitti.

(Paese Sera – 24/09/1989)

 

Lo spazio non è più, diversamente da “La famiglia”, quello di una casa culla, bensì di una città di porto, anonima e uggiosa, che rappresenta il luogo di transizione e di passaggio per Michele, finalmente sollecitato ad affrancarsi dalle decisioni paterne, prese sempre in sua vece, per inoltrarsi in avanscoperta della propria esistenza. Un’esistenza che, (…) non può più, alle soglie del nuovo millennio, restare chiusa tra le quattro mura di un appartamento, bensì deve provare a sconfinare oltre tutti i porti e i confini del mondo.

(Stefania Carpiteci in “Trevico-Cinecittà. L’avventuroso viaggio di Ettore Scola”

Venezia, Marsilio, 2002)

 

Due generazioni a confronto: impaccio, inerzia, difficoltà a comunicare.(…) due protagonisti che rimasticano centinaia di parole senza riuscire a dirsi niente. Momenti di avvicinamento e improvvise lontananze. Situazioni di stallo. Il tempo scorre lentamente, come bloccato in un confronto ravvicinato in cui ognuno dei due interlocutori teme di scoprirsi di fronte all’altro, e di perdersi.

(Gianni Canova –Segnocinema 40 – novembre 1989)

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