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«Chi ama, imita».

Imitiamo, imitiamo Gesù! L'imitazione è figlia, sorella, madre dell'amore. Imitiamo Gesù perché l'amiamo; imitia¬≠mo Gesù per amarlo maggiormente! Imitiamo Gesù perché lui ce lo comanda e perché obbedire è amare...


«Chi ama, imita».

da L'autore

del 08 febbraio 2007

Tutta la vita di Padre de Foucauld si può riassumere in un unico grande desiderio: essere come il chicco di grano che muore, imitando così, silenziosamente e umilmente, con l'offerta della propria vita, il Cristo che amò gli uomini sino alla fine per farsi loro prossimo (Giovanni Paolo II, Messaggio nel centenario dell'ordinazione sacerdotale di Padre Charles de Foucauld, 9 giugno 2001).

Riportiamo alcune meditazioni e preghiere di Charles De Foucald, sacerdote che dopo un esperienza nell’ordine dei trappisti si stabilì in pieno Sahara a Tamanrasset, dove alternò alla preghiera intensa, l’assistenza caritativa alle popolazioni locali. L'autore esprime la sua spiritualità rigorosa, determinata a fare costante esperienza dell’amore di Cristo, desiderosa di comunicarlo agli altri - ormai dopo l’evento pasquale - tutti fratelli.

Il testo che segue e' tratto da: Charles De Foucald, Come un Chicco di grano, Edizioni Paoline, Milano, 2002, pp. 41-69. Restiamo a disposizione per l'immediata rimozione se la presenza on-line di questo testo sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto.

 

 

«Ho abbracciato l'esistenza umile e oscura di Dio, operaio di Nazareth» (OS, 33).

 

«Seguirlo significa imitarlo in tutto, condividere la sua vita. Siamo una so­la cosa con Gesù: e per questo, amiamo­lo, obbediamogli, imitiamolo» (Opere Spirituali – OS, 232).

 

Imitiamo, imitiamo Gesù! L'imitazione è figlia, sorella, madre dell'amore. Imitiamo Gesù perché l'amiamo; imitia­mo Gesù per amarlo maggiormente! Imitiamo Gesù perché lui ce lo comanda e perché obbedire è amare (OS, 201).

 

[Testimonianza:] «Silenziosamente, nascostamente come Gesù a Nazareth, oscuramente, come lui, voglio «passare sconosciuto sulla terra, come un viaggia­tore nella notte», poveramente, laborio­samente, umilmente, dolcemente, facen­do il bene come lui, disarmato e muto di­nanzi all'ingiustizia come lui; lasciando­mi, come l'Agnello divino, tosare ed im­molare senza resistenza né parlare; imi­tando in tutto Gesù nella sua vita a Nazareth e, giunta l'ora, nella sua Via Crucis e nella sua morte» (OS, 356-357).

 

[Testimonianza:] «La mia vocazione, intravista ben chiaramente tante volte, è la vita di Nazareth, la vita di Piccolo Fratello del Sacro Cuore di Gesù, ed io non credo di poter far meglio, per il ser­vizio dell'Unico Adorato, che di condur­la in modo perfetto...

Desidero seppellirmi fin da ora nella vita di Nazareth come egli si seppellì per trent'anni, facendo per quello che mi è possibile tutto il bene che lui face­va, senza cercare di fare ciò che lui non cercava di fare... Considererò tutto il re­sto, benché appaia molto seducente, co­me una tentazione» (OS, 675).

 

[Parla Gesù:] «Due cose sono egual­mente necessarie, indispensabili per la mia imitazione e il mio amore: fare in ogni attimo ciò che io voglio da te, e far­lo avendo costantemente gli occhi e il cuore fissi su di me» (OS, 144).

 

Bisogna cercare di impregnarci dello spirito di Gesù leggendo e rileggendo il Vangelo, meditando e rimeditando sen­za sosta le sue parole e i suoi esempi: che essi facciano nelle nostre anime co­me la goccia d'acqua che cade e ricade su una lastra di pietra sempre allo stes­so posto (OS, 139).

Fin dal primo momento in cui si ama, si imita e si contempla: l'imita­zione e la contemplazione fanno parte necessariamente, naturalmente dell'a­more, perché l'amore tende all'unione, alla trasformazione dell'essere che ama nell'essere amato; e l'imitazione è l'u­nione, l'unificazione di un essere con un altro mediante la rassomiglianza; la contemplazione è l'unione di un essere con un altro mediante la conoscenza e la visione...

Imitiamo dunque Gesù per amore, contempliamo Gesù per amore, operia­mo in ogni circostanza per amore di Gesù... Siamo amore, e non produciamo altro che azioni fatte per amore, altro che effetti dell'amore (OS, 200).

 

La tua vita nascosta

Mio Ges√π,

la tua fu una vita di umiltà:

tu che sei Dio, ti sei fatto uomo

e sei apparso come l'ultimo degli uomini. La tua fu una vita di abiezione: sei sceso fino all'ultimo tra gli ultimi posti. Hai vissuto coi tuoi genitori a Nazareth, per vivervi della loro vita, della vita dei poveri operai, del loro lavoro. La tua vita fu come la loro povertà e la loro fatica; essi erano sconosciuti, e tu sei vissuto all'ombra del loro nascondimento. Sei stato a Nazareth, piccola città sperduta, nascosta tra le montagne, da cui «niente usciva di buono», ritirato dal mondo, lontano dalle grandi capitali: e tu sei vissuto in questo ritiro. Eri sottomesso ai tuoi genitori: la tua vita fu una vita di sottomissione filiale: essa fu quella del modello dei figli, vivendo tra un padre e una madre poveri operai. Ecco ciò che fu la tua vita a Nazareth! Grazie, grazie, grazie! (Scritti Spirituali - SS, IX l I, 51-52)

[...]

Lasciamo Gesù vivere in noi; lascia­molo proseguire in noi la sua vita na­scosta di Nazareth; lasciamolo conti­nuare in noi la sua vita di povertà; la­sciamolo continuare in noi la sua vita di universale carità; lasciamolo prolunga­re in noi la sua vita di umiltà; lascia­molo, con la nostra fedeltà nel fare pe­nitenza, «completare in noi ciò che manca alle sue sofferenze»; lasciamolo, col nostro zelo per le anime, continuare ad «accendere il fuoco sulla terra»; la­sciamolo, con le nostre veglie e le nostre preghiere, continuare in noi «a passare le notti nel pregare Dio»; lasciamolo, col nostro amore illimitato per Dio, conti­nuare nelle nostre anime ad immerger­si nell'amore per il Padre (OS, 466-467).

Raggruppati intorno all'Ostia santa, i Piccoli Fratelli conducono una vita di contemplazione, di povertà, di peniten­za, di lavoro, di grande carità e di gran­de dedizione al bene altrui, cercando di imitare in tutto la vita nascosta di no­stro Signore a Nazareth... Imitazione della vita nascosta di nostro Signore a Nazareth e adorazione perpetua del Santo Sacramento esposto. Ecco, in due parole, la vita dei Piccoli Fratelli del Sacro Cuore (OS, 441-442).

 

Sulle orme del buon Maestro

Le pecore sono unite al loro pastore perché lo guardano, lo seguono, gli ob­bediscono; dietro il loro esempio se­guiamo ed amiamo il nostro divino Pastore; guardiamolo con la contem­plazione; seguiamolo con l'imitazione; obbediamogli (OS, 149).

 

La perfezione sta nell'essere come il Maestro... Il nostro Maestro è stato disprezzato, il servo non deve essere onorato; il Maestro è stato povero, il servo non deve essere ricco; il Maestro ha vissuto col lavoro delle sue mani, il servo non deve vivere con le proprie rendite; il Maestro andava a piedi, il servo non dovrebbe andare a cavallo; il Maestro stava in compagnia dei picco­li, dei poveri, degli operai; il servo non deve stare insieme ai grandi signori; il Maestro è passato per un operaio, il servo non deve passare per un gran personaggio; il Maestro è stato calunniato, il servo non deve essere lodato; il Maestro è stato mal vestito, mal nutrito, male alloggiato, il servo non deve essere ben vestito, ben nutrito, bene al­loggiato; il Maestro ha lavorato, si è affaticato, il servo non deve riposarsi; il Maestro ha voluto apparire piccolo, il servo non deve voler apparire grande... Imitiamo Gesù in tutto, qui sta la perfezione: Gesù è Dio... Dio è perfetto

[...]

Lavoriamo meno degli altri operai per­ché da una parte abbiamo meno bisogni di cose materiali, dall'altra abbiamo più bisogni spirituali. Cerchiamo di avere più tempo per l'orazione, la preghiera, la lettura: questa era la vita nella san­ta casa di Nazareth» (SS, IXII, 179).

 

Azione e contemplazione

Tutta la bellezza degli atti sta nei sen­timenti che li fanno compiere, che li ac­compagnano... Occupiamoci, quindi, sem­pre degli atti interiori; e degli atti esterni non occupiamoci che nella misura in cui essi sono uniti agli atti interiori (OS, 228).

 

Noi non dobbiamo né agire senza pre­gare (questo mai) né pregare senza agi­re, quando abbiamo i mezzi per agire; dobbiamo agire pregando, e se non ab­bianmo alcun mezzo di agire, acconten­tiamoci di pregare (OS, 163).

 

(Testimonianza.] «Spesso, per forza di cose, ho pochissimo tempo da dedi­care agli esercizi di pietà e alle letture, a causa dei viaggi e di certi lavori che faccio che mi prendono gran parte del­la giornata. Allora ho preso come rego­la di riguadagnare il tempo rubato in altre epoche alle cose puramente spiri­tuali; dopo avere dato al lavoro una parte delle ore consacrate ai pii eserci­zi, per altrettante settimane o mesi se­guenti io faccio l'inverso, togliendo al lavoro quel che gli ho dato precedente­mente di troppo e rendendolo alla pre­ghiera, alla meditazione, alla lettura» (OS, 76).

 

Gridare il Vangelo con la vita

Tutta la nostra vita, per quanto mu­ta essa sia, la vita di Nazareth, la vita del deserto, così come la vita pubblica, devono essere una predicazione del vangelo mediante l'esempio; tutta la no­stra esistenza, tutto il nostro essere de­ve gridare il Vangelo sui tetti; tutta la nostra persona deve respirare Gesù, tutti i nostri atti, tutta la nostra vita de­vono gridare che noi apparteniamo a Gesù, devono presentare l'immagine della vita evangelica; tutto il nostro es­sere deve essere una predicazione viva, un riflesso di Gesù, un profumo di Gesù, qualcosa che gridi Gesù, che faccia ve­dere Gesù, che risplenda come un'im­magine di Gesù (OS, 393).

 

Non vergognamoci di nostro Signore: al contrario, amiamo far vedere che sia­mo suoi, che apparteniamo a lui. Amiamo farlo vedere con le nostre pa­role, con le nostre azioni... Che tutto ciò che facciamo, tutto ciò che siamo gridi che noi apparteniamo a Gesù. Non ver­gognamoci delle parole di Gesù, della sua dottrina, dei dogmi, della sua reli­gione. Non abbiamo paura a procla­marli, anche dinanzi a quelli che non li comprenderanno.

 

Non vergognamoci nemmeno di met­tere in pratica le parole di nostro Signore, di conformare ad esse la nostra vita... Non vergognamoci di perdonare le ingiurie, di cedere alla violenza..., di praticare tutte le virtù, di dire, pensa­re, fare tutto ciò che piace a Gesù sen­za preoccuparci minimamente dei giu­dizi del mondo. Apparteniamo comple­tamente a Gesù e facciamo tutto ciò che a lui piace senza alcun timore delle ac­cuse degli altri (OS, 206-207).

 

La fede dell'anima e la fede nelle ope­re, l'una e l'altra riunite, compongono la fede vera, la fede viva: una fede senza le opere non sarebbe fede, sarebbe una fede morta, sarebbe una derisione del­la fede (OS, 148).

 

La fede non è soltanto credere, ma vi­vere conformemente a ciò che si crede (SS, IV, 167).

 

Un amore senza confini

Tutti figli dell'Altissimo

Noi siamo tutti figli dell'Altissimo! Tutti... il più povero, il più ripugnante, un neonato, un vecchio decrepito, l'es­sere umano meno intelligente, il più abietto, un idiota, un pazzo, un pecca­tore, il più ripugnante, l'ultimo degli ultimi è un figlio di Dio, un figlio dell'Altissimo, accompagnato da un an­gelo custode splendente di bellezza e di potenza.

Amiamo ogni uomo perché è nostro fratello e perché Dio vuole che lo consi­deriamo e lo amiamo tenerissimamen­te come tale, perché egli è il figlio del Dio beneamato e adorato e perché è co­stato il sangue di nostro Signore, ama­to da Dio fino a dare per lui suo Figlio. Stimiamo, amiamo dal profondo del cuore ogni uomo in vista di Dio, nostro Padre comune (OS, 85-86).

Tutto ciò che facciamo al prossimo lo facciamo a Gesù stesso: è quanto basta per mutare, riformare tutta la nostra vita, orientare tutte le nostre azioni, le nostre parole, i nostri pensieri (OS, 185-186).

 

Amore del prossimo

L'amore consiste non nel sentire che si ama, ma nel voler amare; quando si vuole amare, si ama; quando si vuole amare sopra ogni cosa, si ama sopra ogni cosa (OS, 772).

 

Pensate molto agli altri, pregate mol­to per gli altri. Dedicarsi alla salvezza del Prossimo con i mezzi in vostro pote­re, la preghiera, la bontà, l'esempio, è il miglior mezzo per dimostrare allo Sposo divino che voi l'amate.

Non basta dare a chi chiede: bisogna dare a chi ha bisogno (SS, IV, 103).

 

Le ricchezze non soltanto sono un ba­gaglio ingombrante, ma sono anche un pericolo: esse difficilmente sono compa­tibili col perfetto amore del prossimo, perché ciò che si conserva per sé non lo si dà agli altri... Amare gli altri come se stessi è in genere sinonimo di dividere i propri beni coi poveri, di spogliarsi per dar loro quel che ad essi manca; appe­na si ama in questa maniera si diventa poveri (OS, 174).

 

L'amore può tutto. Esso compie mol­te cose che affaticano e logorano inutil­mente colui che non ama (OS, 330).

 

 

Misericordia

 

L'amore non giudica colui che ama, ma cerca di scusarlo, prega per lui, sup­plica per lui; si è indulgenti verso chi si ama... Agiamo così per umiltà: guar­diamo la trave del nostro occhio, piut­tosto che la pagliuzza del prossimo; per il raccoglimento: contempliamo Dio, te­niamo la mente unita a Dio e non di­straiamoci a guardare le creature, a giu­dicarle; per bontà: abbiamo un cuore dolce, soave, senza asprezze. La carità non si mette a riflettere sul male: «essa tutto crede, tutto spera» (OS, 204).

 

Compassione, dolore per i mali delle anime e dei corpi del prossimo, tenera af­flizione per i peccati, le sofferenze, le in­fermità morali e fisiche... Questo dolore sarà tanto più vivo quanto più il nostro amore per gli uomini sarà grande, e cioè quanto più elevato sarà il grado in cui noi avremo la virtù della carità (OS, 195).

 

Siamo infinitamente delicati, nella nostra carità; non limitiamoci ai gran­di servizi, ma abbiamo la tenera deli­catezza che scende ai particolari. Con coloro che ci sono vicini, scendiamo ai piccoli dettagli della salute, della con­solazione, delle preghiere, dei bisogni. Consoliamo, confortiamo con le più mi­nuziose attenzioni (OS, 196).

 

Grande fede, grande amore

Mio Dio, dammi la fede,

una fede viva, una fede ardente,

una fede che si attacca senza sosta a te, alle tue parole, e che sia la radice del più grande amore... «Il giusto vive di fede» e di amore... Dammi la fede, mio Dio, la più grande fede e il più grande amore... La fede fa nascere l'amore, ma l'amore aumenta poi infinitamente la fede: si fortificano a vicenda, non cessano di accrescersi reciprocamente, poiché, se più si ha fede, più si ama, e più si ama, più si dà valore alla fede nell'essere amato... Mio Dio, fa crescere in me senza sosta queste due virtù: che esse

si sospingano in noi l’un l’altra,che non cessino di svilupparsi fino al momento in cui la fede si trasformerà in chiara visione, per la tua grande misericordia.

Amen

(S,IV,131)

  

Charles de Foucault

Nato a Strasburgo il 15 settembre 1858, è tenente dell'esercito francese di stanza in Algeria; nel 1885 viene esonerato dal servizio per cattivo comportamento. Nel 1886 ritorna in Francia e fissa la sua dimora a Parigi. Fin da piccolo fu sempre attratto dal continente africano e dedicò gran parte della sua vita proprio allo studio di quella cultura; cercando di capire gli usi e i costumi degli abitanti dell’Africa settentrionale, capì che al contempo era alla ricerca di Dio: 'Per dodici anni, ho vissuto senza alcuna fede: nulla mi pareva sufficientemente provato. L'identica fede con cui venivano seguite religioni tanto diverse mi appariva come la condanna di ogni fede [...]. Per dodici anni rimasi senza nulla negare e nulla credere, disperando ormai della verità, e non credendo più nemmeno in Dio, sembrandomi ogni prova oltremodo poco evidente'. La testimonianza della fede dei musulmani risveglia in lui questo interrogativo: Ma Dio, esiste? — «Mio Dio, se esistete, fate che Vi conosca ».

In Francia, si mette in ricerca e chiede ad un sacerdote di istruirlo. Guidato da Don Huvelin ritrova Dio nell’ottobre del 1886. Ha 28 anni. 'Nello stesso attimo in cui cominciai a credere che c'era un Dio, compresi che non potevo fare altro che vivere per Lui; la mia vocazione religiosa risale alla stessa ora della mia fede'. Riscopre una fede semplice, al cui centro c’è Gesù sacramento. Diventa monaco trappista e assume il nome di Alberico Maria. Vive 7 anni alla Trappa, prima a Nostra Signora delle Nevi, poi ad Akbès in Siria. In seguito vive solo, nella preghiera, nell’adorazione, in una grande povertà, presso le Clarisse di Nazareth.

Ordinato sacerdote a 43 anni (1901), nella Diocesi di Viviers, si reca nel deserto algerino del Sahara, prima a Beni Abbès, povero tra i più poveri, poi più a Sud a Tamanrasset con i Tuaregs dell’Hoggar. Vive una vita di preghiera, meditando continuamente la Sacra Scrittura, e di adorazione, nell’incessante desiderio di essere, per ogni persona il « fratello universale », viva immagine dell’Amore di Gesù. « Vorrei essere buono perché si possa dire: Se tale è il servo, come sarà il Maestro? ». Vuole « gridare il Vangelo con la sua vita». Si dedica all’educazione spirituale delle popolazioni, ma anche alla loro difesa, specialmente  contro le incursioni delle bande dei briganti.

Il suo spirito entra in un rapporto intimo con Dio, in una spiritualità concentrata nell'eucaristia e in Cristo Crocifisso. 'La fede è ciò che ci fa credere dal profondo dell'anima tutti i dogmi della religione, tutte le verità che la religione c'insegna, per conseguenza il contenuto della Sacra Scrittura, e tutti gli insegnamenti del Vangelo: in una parola, tutto ciò che ci vien proposto dalla Chiesa...'.

 

 

Conclude tragicamente,il suo pellegrinaggio terreno il 1° dicembre 1916 assassinato durante un attacco di predoni del deserto. E’ stato beatificato il 13 novembre 2005 da Benedetto XVI.

Charles de Foucauld

http://www.santamelania.it

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