Chiamati alla Santità

Il santo è tale per la verità che dice a sé stesso, egli sa che il dolore fa parte della vita e mentre cerca compagnia per affrontare la sofferenza, la offre a chi soffre come lui. La felicità è possibile soltanto nella compagnia, il futuro dell'umanità sarà diverso se i beati saranno disponibili ad affrontare la vita come compagni di viaggio di chi nel dolore si sente solo per raggiungere insieme cieli nuovi e terra nuova...

Chiamati alla Santità

da Teologo Borèl

del 31 ottobre 2009

                  In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli».

 

«Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli» (Mt 5,12). Come Dio sul Monte Oreb aveva consegnato a Mosè le tavole della legge per indicare al popolo ebreo la strada della santità, così Gesù, mentre proclama che nessuna legge dell’antico patto sarà eliminata, che neppure una virgola sarà cancellata, sale sul monte per perfezionare la via della santità e lancia una nuova sfida all’umanità: beati voi, siate felici. La storia umana con la sua fragilità, nella sua sconvolgente verità, diventa il luogo dove raccontare la storia della santità.

 

Santo è colui che è autorizzato a guardare Dio, a parlare con lui faccia a faccia senza restarne abbagliato. Grazie alla parola del Maestro non è più la sola regola a rendere pura la lingua del prescelto ma la sua fiducia in Dio. La capacità di abbandonarsi alla volontà del Padre è la vera santità e chi celebra la sua vita come dono, così come è data, fatta di gioie e dolori, di cadute e risalite, di sorrisi e lacrime, di fame e sete, per la sua lotta, per la sua ricerca di Dio viene reso beato dalla promessa del Maestro: là dove c’è una persona che soffre io sono con lui. La santità è, dunque, il luogo dove Dio si manifesta, per questo beati i poveri, i miti, gli affamati.

 

La felicità proposta dal Maestro di Galilea è diversa da quella proposta dal mondo, è strana per chi vuole godere e fare baldoria, capovolta per chi cerca l’apateia, la non sofferenza, una vita senza problemi. Per il mondo è felice colui che non prova dolore, ma il Maestro afferma giusto il contrario, certo non limita la speranza in una vita senza afflizioni ma è difficile per chi vive nella verità credere che sia esclusa ogni prova dalla sua esistenza. In ogni vicenda individuale, in ogni età, in ogni condizione c’è sempre una parte di sofferenza. La felicità, la beatitudine, non è data da una vita senza la precarietà del limite, ma dalla possibilità di dare un significato nuovo al limite: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli, beati gli afflitti perché saranno consolati, beati i miti perché erediteranno la terra» (Mt 5,3-5).

 

Quel perché segna la differenza e il superamento del limite nel descrivere la speranza credente e la compagnia dell’Alto: è un passaggio, è una via maestra, è uno sfondamento della disperazione, è il luogo in cui attraverso la parola del Cristo e la sua testimonianza gli uomini possono intravedere il significato ultimo dell’ora presente, anche la più tormentata.

 

La beatitudine che annuncia il Maestro non è rassegnazione di fronte al male, dato che i poveri della terra, i prigionieri, quelli che hanno fame e sete sembrano restare tali, né tanto meno la beatitudine è una fuga dall’impegno in attesa di un possibile paradiso futuro. I padri conciliari del Vaticano II sottolineano che tutti siamo chiamati alla santità: chi vuole essere seguace di Cristo, deve essere santo.

 

Il santo è tale per la verità che dice a sé stesso, egli sa che il dolore fa parte della vita e mentre cerca compagnia per affrontare la sofferenza, la offre a chi soffre come lui. La felicità è possibile soltanto nella compagnia, il futuro dell’umanità sarà diverso se i beati saranno disponibili ad affrontare la vita come compagni di viaggio di chi nel dolore si sente solo per raggiungere insieme cieli nuovi e terra nuova. La santità comincia adesso: noi non possiamo chiamarci fuori dalla responsabilità di rifare il tessuto sociale di questa nostra terra, cambiare il mondo in regno di bene è possibile diventando santi, schierandoci dalla parte degli ultimi, là dove Cristo si è schierato.

 

don Gennaro Matino

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