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Ci viene da dire: roba da matti!

Non intendo parlare dei delitti di questi giorni: stragi familiari, parricidi, uxoricidi sono sempre esistiti anche in passato. Io mi riferisco alle «robe da matti» di ogni giorno: di chi si gioca al Lotto la casa, lo stipendio, la pensione, di chi non sa contenere la propria rabbia sulle curve degli stadi, di chi pensa di tirar grandi i figli a sberle «perché mio papà con me ha fatto così», di chi accumula aggressività per non essere capace di accettare le frustrazioni...


Ci viene da dire: roba da matti!

da L'autore

del 29 gennaio 2008

Stavo scrivendo queste note, quando in ufficio è piombato inaspettato un mio amico, medico in un ospedale dell’Appennino emiliano: «Robe da matti! – mi dice –. Il medico che ha ucciso la figlia a picconate era un mio collega di lavoro. Sapevano tutti della sua violenza, l’avevo consigliato di farsi visitare. Non ha aderito e i parenti non volevano il ricovero coatto! Tu che scrivi sui giornali, prova a lanciare un allarme perché sono troppi i casi di violenza scatenata da matti che vivono in famiglia!».

Sinceramente il suo discorso mi aveva infastidito un po’. Sono uno di quelli che, avendo fatto esperienze di volontariato in ospedale psichiatrico prima e dopo la legge Basaglia, affermava che la nostra paura dei matti, era paura della loro voce, delle cose che denunciavano quando si tagliavano fuori dalla realtà. Citavo testimonianze di «matti» anonimi come di altri illustri: ieri Van Gogh o Antonio Ligabue, oggi la poetessa Alda Merini, che canta nei suoi versi l’amore, il dolore, la fede... Tuttavia devo ammettere che la convivenza con persone che soffrono il disagio psichico, è assai problematica e fonte di sofferenza. «Provare per credere!», mi diceva la mamma di R., uno studente universitario che, prima della laurea, aveva interrotto gli studi per paura di essere ucciso dai terroristi di uno strano paese extraterrestre.

Se il «matto» è tranquillo, è sopportabile, ma quando è aggressivo, violento, irragionevole, allora in famiglia i rapporti diventano tesi, tormentosi. Se poi le persone rifiutano di farsi curare, buttano via le medicine perché «io non sono matto!», allora la casa diventa un vero manicomio abusivo, fuori legge, perché non c’è personale specializzato, che sappia intervenire, dare le medicine, sostenere il peso del disagio con una buona dose di pazienza e l’attenzione necessaria per prevenire l’esplosione della violenza.

Non intendo parlare dei delitti di questi giorni: stragi familiari, parricidi, uxoricidi sono sempre esistiti anche in passato. Io mi riferisco alle «robe da matti» di ogni giorno: di chi si gioca al Lotto la casa, lo stipendio, la pensione, di chi non sa contenere la propria rabbia sulle curve degli stadi, di chi pensa di tirar grandi i figli a sberle «perché mio papà con me ha fatto così», di chi accumula aggressività per non essere capace di accettare le frustrazioni...

Riflettendo su questi e altri fatti, mi viene da dire che bisognerebbe mettere un po’ più di Dio nelle nostre analisi, ma sembra quasi proibito parlarne. «Dio ragiona dai tetti in su, mentre noi viviamo dai tetti in giù», dicono in tanti. Se vivessimo il suo comandamento dell’amore, che favorisce i rapporti tra le persone, almeno un rimedio possibile l’avremmo trovato, senza necessariamente ricorrere a farmaci o psicofarmaci. È «una medicina» che va somministrata fin dall’infanzia, presto, prestissimo! Il malessere ha radici lontane!

Da: Vittorio Chiari, Un giorno di 5 minuti. Un educatore legge il quotidiano

don Vittorio Chiari

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