Quel che diceva la beata Giacinta di Fatima circa il cattivo stato di molti matrimoni già nel lontano 1917, è tanto più riscontrabile al giorno d'oggi, dove adulteri, divorzi, libere convivenze e rapporti prematrimoniali offendono e ledono la santità del Matrimonio.
Il Sesto Comandamento intende tutelare le dimensioni della santità dell’amore umano aperto alla vita e del corpo umano in quanto tempio dello Spirito Santo. Vorrei ora addentrarmi nell’analisi dei singoli peccati impuri. A mio avviso è quanto mai opportuno distinguere le singole tipologie in quattro generi di peccato: alcuni, infatti, sono direttamente contrari alla santità del Matrimonio; altri colpiscono la vita come frutto naturale dell’amore umano tra un uomo e una donna; altri costituiscono delle aberrazioni della legge naturale; ed altri, infine, sono profanazioni della santità del corpo umano in quanto tale.
Appartengono al primo gruppo l’adulterio, il divorzio, le unioni civili, le libere convivenze e i rapporti prematrimoniali. Il Matrimonio è un vero Sacramento, istituito da Cristo per sigillare e santificare, con la benedizione di Dio, il patto coniugale con cui un uomo e una donna, liberamente, si donano l’uno all’altro con atto di consegna totale e indissolubile, valido e vincolante fino alla morte di uno dei coniugi. L’adulterio, che in tempi non troppo lontani era perseguito come reato dal Codice Penale italiano, è un gravissimo peccato, in quanto infrange la promessa sacra di fedeltà reciproca contratta dai coniugi davanti a Dio. Nei primi secoli di vita della Chiesa, insieme all’aborto e all’apostasia, era ritenuto peccato talmente grave che qualcuno addirittura dubitava che potesse essere rimesso sulla terra dai ministri di Dio. La gravità intrinseca di questo peccato permane assolutamente intatta anche nei nostri sciagurati tempi, dove sembra essere diventato un diversivo o una “variante” del tutto normale della “vita di coppia” (?), oltre ad essere pubblicamente sbandierato e incoraggiato da telenovelas, soap opera, film e telefilm di vario genere. Come tutti i peccati di cui si è realmente pentiti, può senz’altro essere rimesso in questo mondo, ma è necessario quanto mai che i confessori facciano attenzione a verificare la sussistenza di un vero pentimento che, dovendo abbracciare il proposito di non più peccare, richiede nel penitente la promessa di tagliare ponti e contatti con il complice, di evitare ulteriori frequentazioni, di rompere, insomma, radicalmente e definitivamente questo scellerato legame. A parere di chi scrive, inoltre, è quanto mai inopportuno rivelare l’avvenuto adulterio al coniuge innocente, cosa che compromette gravemente la stabilità del Matrimonio. La confessione va fatta a Dio attraverso il confessore, e la penitenza data per questo peccato deve essere ovviamente seria e proporzionata, ma raccontare il tutto alla parte innocente, per un malinteso senso di sincerità, è da evitarsi. Si badi, infatti, che il vigente Codice di Diritto Canonico, esprimendo la consapevolezza della ferita mortale che tale delitto infligge al Matrimonio, esorta il coniuge innocente che viene a conoscenza dell’adulterio a perdonare generosamente la parte colpevole, ma qualora non dovesse riuscirci le consente addirittura di interrompere, ovviamente pro tempore, la coabitazione. L’adulterio, infatti, costituisce una delle due “giuste cause” canoniche di temporanea separazione. Basti questo per comprendere circa la gravità e serietà di questo turpe delitto.
Il divorzio, vera e propria piaga sociale, che ha dilaniato e distrutto migliaia di famiglie e rovinato migliaia di bambini e bambine, costretti a vivere orbati di un genitore, è un altro sciagurato e disgraziato segno della decadenza morale del mondo contemporaneo, che con questo istituto, per imporre il quale sono state fatte delle vere e proprie battaglie sociali (con non pochi cattolici complici o quanto meno conniventi...), ha voluto opporsi direttamente al severo monito di Nostro Signore Gesù Cristo, ricordato da ogni ministro nel momento stesso in cui suggella il patto coniugale: «non osi separare l’uomo ciò che Dio unisce». Il Matrimonio è, infatti, per sua natura (e non solo in forza del Sacramento) intrinsecamente indissolubile, come appare evidente dal discorso fatto da Gesù per screditare la concessione del divorzio fatta, a suo tempo, da Mosè “a causa della durezza di cuore degli israeliti”, rimandando al progetto originario di Dio che volle l’uomo e la donna, “fin dal principio”, uniti nel vincolo indissolubile di una sola carne (cf Mt 19,1-12). Pertanto qualunque cattolico osi impugnare il Matrimonio dinanzi ad una autorità civile, viola direttamente questo Comandamento e la sentenza di scioglimento, che eventualmente venisse pronunciata, non ha, agli occhi di Dio, alcun valore, né tanto meno sono lecite ulteriori unioni con altri partners, siano esse civilmente sigillate oppure vissute come coppia di fatto. Il motivo per cui la Chiesa, ubbidiente al Vangelo, nega ai divorziati risposati o conviventi l’accesso alla Santa Comunione, così come l’assunzione di alcuni uffici ecclesiali (tra cui quello di padrino o madrina di Battesimo e di Cresima), è da ricercare nel fatto che il divorziato o la divorziata che abbiano intrapreso una nuova unione, si trovano “in stato di peccato mortale” momentaneamente irreversibile, in quanto una eventuale Confessione sarebbe necessariamente priva dell’elemento fondamentale del pentimento (contrizione unita al proposito di non peccare più), che è la condizione unica per cui Dio concede il perdono al peccatore. Non potendo dunque essere assolti e trovandosi in stato di peccato pubblico (cioè di vero e proprio scandalo) è impossibile l’accesso all’Eucaristia (che richiede lo stato di grazia) e agli uffici ecclesiali (che richiedono una situazione esteriore e oggettiva di conformità alle Leggi di Dio).
Vorrei chiudere l’argomento divorzio con qualche considerazione di natura personale, anzitutto cercando la causa del fallimento di tanti Matrimoni (siamo arrivati a percentuali superiori a uno su tre, per non parlare dell’aumento vertiginoso delle unioni civili di fatto, che in alcune zone del Nord Italia hanno ampiamente superato i Matrimoni religiosi). Vorrei al riguardo citare una frase che pronunziò la piccola e beata Giacinta di Fatima poco prima di morire (nel lontano 1917): «Ci sono molti matrimoni che non piacciono a Dio, non sono da Dio». Confesso che quando lessi questa frase, diversi anni fa, rimasi perplesso per non dire sconcertato. Come è possibile che nel 1917, in Portogallo, con quel clima di fede profonda, quando tutti si sposavano in Chiesa, alcuni matrimoni non piacessero a Dio? Non sono sigillati da un Sacramento? Se ancora non sono riuscito a spiegarmi bene come fosse possibile nel 1917, mi risulta molto meno difficile ipotizzare perché alcuni Matrimoni di oggi non piacciano a Dio. Può Dio, infatti, dare la sua benedizione a case costruite sulla sabbia, cioè a coppie che arrivano al Matrimonio dopo aver “bruciato tutte le tappe”, con anni di vita sessuale “attiva” alle spalle, con cerimonie che sfiorano il sacrilegio, con spose che si presentano all’Altare seminude (ma con abito rigorosamente bianco...) e invitati che fanno loro degno corollario, a coppie che si sposano dopo anni di convivenza senza porre in essere un minimo segno di pentimento, anzi spesso unendo al Matrimonio il Battesimo del figlio (magari il secondo o il terzo, con i più grandi che fanno da paggetti a papà e mamma...) e con tanto di applauso finale? Sono esempi ovviamente e volutamente provocatori, con cui non si intende generalizzare né tanto meno escludere chi avesse sbagliato dalla possibilità di redimersi e correggersi. Fotografano tuttavia, forse in modo un po’ impietoso, una triste realtà, sempre più diffusa in uno strano e generalizzato silenzio di chi dovrebbe parlare, che di certo non sembra poter avere l’approvazione e, tanto meno, la benedizione dell’Onnipotente...
Don Leonardo Pompei
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