Com’era un neonato di Neanderthal?
Legittima curiosità scientifica, se si limita – com’è stato sinora – a ipotesi e modelli. Ma nell’era in cui si ritiene lecito realizzare tutto ciò che si desidera è quasi inevitabile che salti fuori lo scienziato (o sedicente tale) che vuole provare davvero a costruirlo in laboratorio.
George Church, genetista americano della Harvard Medical School, ha annunciato che intende clonare l’ominide vissuto tra 200mila e 40mila anni fa ricostruendo il suo dna e iniettandolo in un ovocita umano per ottenere un embrione che andrà poi impiantato nell’utero di una madre "volontaria". Il tutto – dice – per poter studiare dal vivo un esemplare di un nostro progenitore: «Cloniamo ogni tipo di mammifero – ha dichiarato Church –, è molto probabile che riusciremmo a clonare un essere umano. Perché non dovrebbe essere possibile?». «Perché è un’aberrazione e un atto di arroganza tecnologica che nulla ha a che fare con la scienza – gli risponde il biologo Angelo Vescovi –. Le divergenze genetiche tra una specie vissuta migliaia di anni fa e noi sono tali che è persino difficile immaginare cosa potrebbe accadere al contatto tra il dna di una specie assai meno evoluta e i mitocondri dell’ovocita umano. Nella migliore delle ipotesi, fallimenti e malformazioni, il tutto per soddisfare una curiosità. Senza contare l’assoluta mancanza di rispetto per la donna come madre...».
Risoluta anche la bocciatura di Adriano Pessina, filosofo e bioeticista: «È un’idea figlia della pretesa di trasformare l’uomo nell’oggetto di una sperimentazione senza freni: la ribellione contro la nostra natura passa per la considerazione dell’essere umano come un prodotto biologico a disposizione. La scienza non può umiliare il valore dell’uomo. Bioeticamente è una follia».
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