Se vi dicessero di prepararvi per l'estate, cosa fareste?
Se vi dicessero di prepararvi per l’estate, cosa fareste?
In un’epoca forse più innocente e idilliaca, potreste seguire l’esempio proposto nella canzone di Nat King Cole Those Lazy-Hazy-Crazy Days of Summer:
Stendete quei pigri, nebbiosi, giorni folli d’estate, quei giorni di soda, salatini e birra. Stendete quei pigri, nebbiosi, giorni pazzi d’estate, rispolverate il sole e la luna e cantate un canto di allegria.
Siamo agli inizi di maggio, e nell’emisfero nord la gente si sta preparando all’estate. Cosa può significare l’inizio della stagione estiva per i cristiani di tutto il mondo? Penso che questo periodo abbia alcune lezioni da dare a tutti noi.
Per quasi tutta la mia vita sono stato uno studente o un insegnante. Per quasi tutti quegli anni, l’inizio dell’estate significava l’arrivo di una stagione che prometteva più di qualsiasi altro periodo. Offriva sollievo dal tedio dei compiti che mi venivano imposti contro la mia volontà e anche, pur se in modo imperfetto, una possibilità di mettere in pratica i miei sogni.
Quando ero ragazzino e soffrivo per le offese inflitte dallo studio della calligrafia e dell’aritmetica, chiedevo a mia madre quanti sabati ci sarebbero stati durante il periodo estivo. All’epoca, il sabato era per me il massimo della libertà rappresentata dall’estate, perché il sabato mattina c’era i miei programmi di cartoni animati preferiti, come Jonny Quest and The Herculoids. Quando ero uno studente universitario, le vacanze estive mi offrivano l’opportunità di lavorare a tempio pieno e guadagnare un po’ di soldi per pagarmi i libri e le altre spese in cui sarei incorso durante l’anno accademico.
Quando ero alla scuola di specializzazione, l’estate era il periodo in cui potevo condurre ricerche senza le esigenze delle lezioni. Ma è stato quando sono diventato professore universitario che il periodo estivo ha rappresentato il più grande pericolo spirituale – perché mi aspettavo che quella quantità di tempo finita soddisfacesse bisogni infiniti.
Ho descritto l’inizio di un anno accademico come “essere gettato su una montagna russa della durata di nove mesi”. Quando quella calamità terminava con una laurea, la maggior parte dei professori che conoscevo collassavano per la stanchezza, e poi iniziavano a guardare alle settimane estive sia con speranza che con paura. Ricominciavo sempre l’anno accademico dopo aver fallito nel seguire il consiglio che davo ai miei studenti: “Non iniziate il nuovo anno accademico stanchi”.
Qual è la morale di questa storia per tutti i cristiani, indipendentemente dal fatto che il periodo estivo sia una pausa di tre mesi tra gli impegni accademici o solo una settimana di vacanza? Noi umani siamo finiti, con un inevitabile anelito all’infinito. Non importa cosa facciamo, non possiamo dire “È sufficiente”.
Non importa cosa abbiamo o raggiungiamo, non possiamo dire “Non può essere meglio di così”. Noi umani siamo torturati da un dilemma. Da un lato siamo limitati da spazio e tempo, con un corpo che è qui e non lì, un corpo che è ora e non dopo. Dall’altro lato siamo anche infiniti, con un’anima immateriale che non può essere soddisfatta da niente di materiale. Anche con tutto il tempo libero e tutte le risorse di questa vita, non riusciremo mai a raggiungere ciò che vogliamo. Non c’è da stupirsi del fatto che la pausa estiva, di qualsiasi durata, ci lasci delusi!
E allora cosa faremo nel tempo libero, sia esso un’ora o una vacanza intera? In primo luogo, ammettiamo umilmente che non possiamo soddisfarci – solo Dio può farlo! Decidiamo poi di essere buoni amministratori del tempo e delle risorse che abbiamo a disposizione. In qualsiasi circostanza ci troviamo, non dobbiamo accontentarci della noia (che è semplicemente il dolore dei doni non usati); non dobbiamo sforzarci di raggiungere la perfezione (che in questa vita è irraggiungibile); non dobbiamo accettare la mania di lottare per placare ogni desiderio momentaneo – che è la tentazione del consumismo.
All’inizio di ogni stagione, all’inizio e alla fine di ogni periodo di lavoro, potremmo invece richiamare la saggezza del terzo comandamento e prenderci un po’ di tempo di giusto riposo. Facendo questo, potremmo evitare la tentazione di fare troppo e anche quella di fare troppo poco, e così lavorare come lavora Dio e riposare come riposa Dio, ovvero lavorare e riposare sempre e solo per amore.
Padre Robert McTeigue, S.J.
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