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Come si scopre la propria vocazione? - Parte I

Il tempo passa, ma Dio non ti lascia, ti tiene per mano e ti ricorda di non temere, di avere fede; di non avere paura e di fidarti di Lui. L'importante è sentire che Dio ci tiene per mano, percepire il caldo della sua mano forte che ci afferra e ci sostiene quando stiamo per cadere. Dio non ci lascia mai, non abbandona mai nessuno.


Come si scopre la propria vocazione? - Parte I

da Teologo Borèl

del 01 agosto 2011

 

 La vita è un gran dono di Dio e, come tutti i doni, non si può sciupare.  Ma perché Dio mi ha dato la vita? Perché lo ha fatto senza chiedermi il permesso, l'autorizzazione? Potremmo anche chiederci, perché me l'ha imposta?  Per essere felice! Sì, Dio mi ha creato per essere felice.  È vero: soltanto quando si è felici, si vive pienamente, si lavora con frutto e si sta veramente bene.  Dio non poteva crearmi per soffrire: sarebbe stato un atto di crudeltà. Eppure, quante volte ho sentito dire, quasi fosse un lamento: 'Ma perché Dio mi ha messo al mondo? Perché devo soffrire così tanto? ...questo non è vivere!' fino al punto che qualcuno ha teorizzato che, in certe condizioni, è bene, anzi, è dignitoso togliersi la vita!  Riflettiamo con ordine. Dopo che Dio mi ha creato, mi ha toccato col suo dito onnipotente -così come rappresentato da Michelangelo- Dio non se n'è andato, lasciandomi nei guai.  No! Dio mi ha preso per mano e il suo sogno è quello di condividere, in tutto, la mia vita. Il termine ebraico per esprimere la creazione è 'bara '', creare, che è la radice della parola 'Berit', alleanza. Creare allora vuol dire: costituire un patto di alleanza.  Non esiste nulla che sia uscito dalla nostra testa o modellato dalle nostre mani a cui noi non siamo legati! I nostri atti e le nostre realizzazioni manifestano quello che siamo! Questa unità ci dice che la creazione è alleanza e che l'alleanza è creazione. Noi esistiamo grazie a questo legame col Creatore! Sta a noi tenere la nostra mano nella sua e credere che, dove Lui ci conduce, è la strada migliore: questa è la fonte della felicità!           La felicità è la pienezza di quella gioia di cui il cuore ha bisogno e nessuno può vivere senza questa gioia; al massimo, potrà sopravvivere. Una persona senza gioia è come una barca a vela senza vento.  La felicità deriva dal sentirsi sicuri, liberi da ogni paura, così da essere nella gioia anche quando le cose non vanno per il verso giusto; la nostra felicità infatti, non dipende dalle cose o dagli avvenimenti della vita ma dal modo con cui li viviamo. Gesù ci ha detto chiaramente: 'Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua' [Mc, 8,34]. Chi parla in questo modo, non Lo si può certo accusare di mancanza di realismo! La vita é rinnegamento e croce, è camminare nel deserto e nelle tenebre, ma con una certezza: in ogni momento del nostro cammino noi siamo sempre tenuti per mano da Dio. Questo é il paradosso della vita cristiana: la sofferenza può coesistere con la gioia del cuore, il dolore con la felicità.  San Francesco d'Assisi, che se ne intendeva, spiegò bene a frate Leone che cosa fosse 'perfetta letizia': '...volentieri per l'amor di Cristo sostenere pene, ingiurie, obbrobri, disagi' [FIORETTI, VIII].  La vita è come un cammino attraverso il deserto, infestato di ladri e briganti, che ti possono spogliare di tutto. Non sono un pessimista e mi spiego.  Anche se hai avuto la fortuna di non avere mai trovato la tua casa scassinata, c'è però un ladro in agguato che, pian piano, ti porta via tutto: è il 'tempo'. È lui, infatti, che ti porta via l'infanzia spensierata, la giovinezza felice, la maturità operosa e, lentamente, ti demolisce e ti ruba la salute; ogni giorno, pur verificando che la tua saggezza aumenta, ti accorgerai però di perdere in velocità e, forse, in staticità: queste sono le vere perdite, questo è il vero ladro.            Il tempo passa, ma Dio non ti lascia, ti tiene per mano e ti ricorda di non temere, di avere fede; di non avere paura e di fidarti di Lui. L'importante è sentire che Dio ci tiene per mano, percepire il caldo della sua mano forte che ci afferra e ci sostiene quando stiamo per cadere. Dio non ci lascia mai, non abbandona mai nessuno. Come sentire la sua mano così da non aver paura? C'è un modo: la preghiera.  La preghiera è il più puro atto di fede che tu possa fare ed è Dio stesso che ti aiuta a compierlo. Non è necessario essere colti per credere in Dio e sentire la sua mano; anzi, direi il contrario.  Quante volte ho sperimentato la verità dell'affermazione di Gesù: 'Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agii intelligenti e le hai rivelate ai piccoli' [Mt. 11.25]. I piccoli sono gli ignoranti, i poveri, i semplici.  Per dieci anni sono stato vescovo ausiliare del Papa per le borgate di Roma. Appena nominato, parlando con una suora, la Piccola Sorella Magdalena di Gesù, mi sentii chiedere: 'Nella tua zona ci sono i poveri?' 'Sono prevalentemente poveri', risposi.  'Allora, sii contento! Sono contenta anch'io'. Andai con fiducia, ma quanta fatica all'inizio. A volte mi chiedevo: ma è proprio vero che '.. ai poveri è annunciata la buona novella'? [Lc, 7,22].            La sera, tornando stanco a casa, pensavo: 'Ma questi però, non capiscono!' Poi, quando meno me l'aspettavo, incontravo tra di loro una santa, una grande santa; o un santo, un grande santo. Erano persone di grande fede e di grande preghiera, del livello di una santa Teresa; capaci di sofferenza portata con fede, del calibro di padre Pio; gente del popolo, che riusciva a farti arrossire con la sua semplicità. Quanti nomi ho scritto nel cuore e chissà se un giorno riuscirò anche a scrivere il 'libro dei miei santi', dei santi delle borgate di Roma.            Per essere felici e portare la Croce, basta sentire su di se la mano di Dio. Tra molti, ricordo un grande maestro: mio padre. Era un uomo semplice, trasparente e molto sensibile: era un artista. Nella vita ha portato tante croci fin dalla sua giovinezza e nella tarda età ha fatto propria l'esperienza di Giobbe e come Giobbe si è comportato. L'ho sentito tante volte 'litigare' con Dio e quando, dopo aver pregato, la croce diventava ancora più pesante, allora ripeteva: 'Questa, il Nazareno, me la dovrà spiegare. Sì, di questo, voglio la spiegazione!' E andava avanti, con coraggio, fino alla prossima croce dove ripeteva lo stesso ritornello.            Morì tra le mie braccia. Dopo uno spasimo più forte, che mi ricordò il grande grido del Signore, spirò e il suo volto si compose subito in una grande serenità. Ebbi la chiara sensazione che il 'Nazareno' gli aveva chiarito tutto ed era entrato in quella perfetta felicità per cui era stato creato. Nonostante tutto, la sua vita è stata felice, perché ha sempre avvertito su di se la mano di Dio.             Per vivere è indispensabile pregare. L'uomo d'oggi è sottoposto a prove che, non temo riconoscere, sono più grandi di lui. Come prete e vescovo vorrei definirmi 'esperto in croci', soprattutto di croci familiari. Per dieci anni ho incontrato famiglie in difficoltà che venivano a chiedermi una mano per portare la loro croce.            Solo con la fede, un padre fedele e innamorato della propria sposa e dei propri figli, può reggere alla prova di vedere la propria famiglia distrutta perché un'altra persona si è portata via tutto: solo con la fede, due genitori possono continuare a sperare e vivere per un figlio, schiavo della droga, che, regolarmente, demolisce se stesso e la sua famiglia.  Dinanzi a delle reazioni estreme, non capisco come gli psicologi possano affermare che le persone d'oggi sono più fragili: penso invece, che le croci di oggi siano più pesanti e che ci vuole un supplemento di fede per portarle.  Per la mia vecchiaia, se il Signore lo concederà, sogno di mettermi in un ufficio sulla cui porta vi sarà scritto: 'Qui si aiuta a portare la croce' e son certo che, da quella stanza, vedrò uscire persone più serene e sorridenti dopo aver fatto loro scoprire come Dio li tenga per mano.  È noto il lamento di Padre Pio: 'Tutti vengono a chiedere di liberarli dalla croce, nessuno viene a chiedere forza, per portarla insieme al Signore'.  Anche Gesù ha portato la croce, una croce ingiusta e pesante. Il suo segreto per arrivare fino in fondo, ce l'ha rivelato: 'Io e il Padre siamo una cosa sola' [Gv, 10,30].  Quella vita che Dio ci ha dato, primo tra i suoi doni, dobbiamo ostinarci incessantemente a difenderla, lottando contro tutto ciò che potrebbe, in qualche modo, impoverirla.   FELICI NELL'AMORE           Come un padre o come una madre nei confronti del figlio, così Dio, offrendoci il dono della vita, ha un progetto per noi. Ci sono, però, due differenze fondamentali fra Dio e i genitori. Innanzitutto, il progetto che Dio ha per noi è certamente quello più adatto alle nostre caratteristiche. Solo Lui infatti, ci conosce fino in fondo così da non poter sbagliare, come invece spesso sbagliano i nostri genitori quando desiderano qualcosa per noi e, magari, vorrebbero imporcelo, pur con le migliori intenzioni di questo mondo. Dio poi, sa rispettare la nostra libertà. Pur rimanendo fedele al suo progetto per noi -e come non potrebbe, se quello che desidera è il meglio per noi? - tuttavia, ha un'infinita pazienza nel riadattare continuamente alle nostre scelte e ai nostri errori la strada che, volta per volta, decidiamo di percorrere.            Dio sa bene qual è lo scopo che ciascuno di noi deve realizzare nella sua vita per essere felice: ci ha creato per questo! Sa anche quale sarebbe la via migliore per realizzarlo. Tuttavia, non ci obbliga: non siamo macchine, siamo persone e la sua Volontà Onnipotente non è destino, è Provvidenza!            La strada per arrivare alla felicità, Dio la vuole costruire con noi, rispettando le nostre scelte, anche quando sono sbagliate, anche quando ci allontanano, invece che avvicinarci alla meta. Con la sua Provvidenza poi, non cessa di mandarci dei segni per indicarci la strada giusta: a noi l'umiltà e l'intelligenza di saperli cogliere, di saperne approfittare! Come dovrebbe tener presente ogni buon genitore, Dio sa che il tempo che ognuno di noi impiega per capire, per maturare, per crescere, non è mai tempo sprecato: errare è umano, è perseverare nell'errore che è diabolico!  I grandi uomini, i santi, tutti coloro cioè che hanno realizzato nella loro vita il progetto per cui Dio li aveva creati, non sono stati immuni da errori: hanno però saputo imparare dai loro errori, hanno saputo correggersi, hanno saputo cambiare, convertirsi.  Albert Einstein una volta ebbe a dire che i grandi scienziati sono coloro che hanno saputo sbagliare prima degli altri ma hanno saputo correggersi subito, senza smettere di cercare, senza scoraggiarsi. E ciò che vale per la scienza, vale a maggior ragione per la sapienza, per l'arte di vivere e di vivere bene!            Dio è un sapiente e paziente architetto che ha creato ogni uomo, affidandogli uno scopo ben preciso da cui dipende tutta la propria felicità: scoprire questo scopo e, soprattutto, trovare la strada giusta che, giorno per giorno, istante per istante, dobbiamo percorrere per arrivarci, è trovare la nostra vocazione. Nella vita possiamo sbagliare molte cose ma non possiamo sbagliare la vocazione, non è lecito sbagliare le scelte fondamentali perché ne andrebbe della nostra felicità.  A questo punto è opportuno domandarci: esiste una via maestra, una direzione comune entro cui sviluppare le strade della nostra vita? Evidentemente sì.  Pur con le nostre individualità, siamo esseri fatti per essere in relazione gli uni con gli altri. Il futuro di felicità che Dio ha progettato per noi deve perciò, in qualche modo, coinvolgere tutti: solitudine è sinonimo di tristezza, d'insoddisfazione.            In ognuno di noi c'è la curiosità di conoscere il futuro; non per nulla gli indovini vanno sempre di moda! Bisognerebbe però essere capaci di mettere il naso negli archivi del Paradiso, che sono la mente del Creatore, dove Dio ha riposto il progetto che ha ideato per ciascuno di noi quando ci ha creati.  Sappiamo con certezza che si tratta del progetto di un capolavoro, perché Dio non sa creare che capolavori. Anzi, anche se noi non riuscissimo a realizzarlo pienamente, anche se rimanesse solo a metà, sarebbe pur sempre come le grandi opere incompiute degli artisti. Pensiamo alla Pietà Rondanini di Michelangelo o all'Incompiuta di Schubert: sebbene non ultimate, sono dei capolavori!            Anche Gesù aveva il desiderio di realizzare il progetto che il Padre aveva ideato per Lui e di quel progetto ce ne parla alla fine della sua vita quando, prima di morire, prega così: 'E ora, Padre, glorificami davanti a Te con quella gloria che avevo presso di Te prima che il mondo fosse' [Gv, 17,5]. E qual è la gloria con cui il Padre lo ha pensato? È quella stessa gloria con cui Dio ha pensato ciascuno di noi da tutta l'eternità e che Gesù ci ha comunicato. In quella stessa preghiera infatti, Gesù dice: 'E la gloria che tu hai dato a me, io l'ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità e il mondo sappia che tu mi hai man dato e li amati come hai amato me' [Gv, 17, 221]. Questa gloria è 1'amore, perché Dio è Amore.  Gli uomini che sono esistiti, che vivono oggi e che domani vivranno sulla terra, sono miliardi e miliardi: ognuno di loro, ognuno di noi ha una sua personalissima vocazione. Eppure, la fondamentale vocazione di tutti noi è una sola, è la stessa di Gesù, il 'Modello Unico', come lo chiamava Charles de Foucauld: la nostra fondamentale vocazione è 1'Amore. Dio infatti, ci ricorda san Paolo, '... ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e: immacolati al suo cospetto nella carità' [EF., 1, 4]. Ecco svelato il segreto.  Il piano generale dell'opera è chiarito: sono chiamato alla vita per amare. Ecco perché sono quaggiù!  Amare ed essere amati è la ragione della nostra esistenza. Abbiamo bisogno dell'amore più che del pane e, a volte, si può far morire una persona negandole questa linfa vitale.  Ho conosciuto una ragazza, piuttosto bruttina, triste, che non studiava, non mangiava, non usciva di casa, ...Ad un certo momento, avvenne un grande cambiamento: era contenta, si era messa a studiare e cominciò a curarsi maggiormente così da diventare anche carina. Cos'era successo? È chiaro: si era innamorata.  Anche per un uomo può accadere la stessa cosa. Infatti, dietro ogni uomo deciso, equilibrato, forte nelle relazioni sociali e lavorative ci sono sempre delle donne, le donne della sua vita: la madre, la fidanzata, la moglie; donne in grado di capirlo emotivamente e sostenerlo affettivamente, così da non aver bisogno di cercare altrove questa comprensione e questo sostegno.  Amare è vivere; vivere è amare. L'amore può essere espresso solo con dei termini assoluti: eterno, infinito, totale, ...perché amare è fare 1'esperienza dell'eternità: 'Dio è amore; chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in Lui' [I Gv., 4, 16].            Il Paradiso è la pienezza dell'amore e l'inferno è incapacità di amare, sia quaggiù, come nell'aldilà. Questo è vero per tutti gli uomini, è l'essenza di tutte le religioni. 'Il mio amore è capace di investire tutte le forme, le tavole della Torah e il libro del Corano. Io professo la religione dell'amore qualunque sia il luogo verso cui si dirigono le carovane. L'amore è la mia legge e la mia fede' ha detto André Chouraqui, un grande ecumenista dei nostri tempi. '... io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione; scegli dunque la vita perché viva tu e la tua discendenza' [Dr, 30, 19], ti dice il Signore.   COME INVESTIRE L'AMORE           Quello che Dio vuole! Questa risposta sembrerebbe esprimere un abbandono disimpegnato del futuro, ma non è così.  lo devo fare quel che Dio vuole; ma, cosa effettivamente vuole Dio da me? Vuole che gli assomigli in tutto!  Osservando attentamente l'affresco di Michelangelo nella Cappella Sistina, è facile trovare la somiglianza tra Dio e Adamo. Sì, noi siamo fatti ad immagine di Dio, ma attenzione: Dio non è fatto ad immagine nostra! Siamo noi che dobbiamo imitare Dio, cercando di assomigliargli in tutto.  Nessuno ha mai visto Dio e noi, per poterlo vedere, dovremmo morire. Dio ci ha parlato di se soprattutto nella creazione: 'Dio creò 1'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò' [GEN, 1, 27].  Per creare 1'uomo a sua immagine, Dio lo fece maschio e femmina, cioè sessuato. Perché? Per dirci che Lui è amore. Quale modo migliore per dirci questo, se non creando due esseri complementari così che nessuno dei due potrà essere perfettamente se stesso se non nell'amore dell'altro e per l'altro.  La sessualità è la prova più chiara che non si può vivere da soli: 'Non è bene che l'uomo sia solo. gli voglio fare un aiuto che gli sia simile' disse Dio pensando a Eva e quando Adamo la vide esclamò: 'Questa volta essa è carne della mia carne e osso delle mie ossa' [GEN, 2,18; 23].            Con la sessualità non si scherza perché in essa è compromessa tutta la persona. Una sessualità frustrata produce fenomeni così disastrosi da qualificare l'uomo 'scapolo' e la donna, peggio ancora, 'zitella', e tutti sappiamo cosa esprimano questi termini. Freud sostiene che la sessualità può essere sublimata quando l'interesse per una determinata cosa è così forte da farci temporaneamente dimenticare di essere sessuati. Questo è vero, anche se spesso certa psicanalisi confonde il mezzo, il sesso, col fine, l'amore e sottovaluta il rapporto interpersonale di dedizione totale.  Ho conosciuto un professore di lettere che si era 'sposato' la lingua greca. Lo ricordo il giorno in cui scoprì, in un codice, un sonetto sconosciuto di Saffo: sembrava gli fosse nato un figlio.  La sessualità deve essere, invece, integrata nel rapporto con 1'altro sesso del quale è complementare. Molte parti della nostra persona ci sono state date per 1'altro e solo in questa unione trovano la loro piena realizzazione.            Esistono anche persone perfettamente integrate col loro lavoro, un lavoro di solito così delicato, difficile ed importante per altri -magari per migliaia di propri simili- da assorbire ogni energia e ogni attimo di tempo: quando il lavoro è vissuto come 'missione', come un 'essere mandati come dono per gli altri' e non come un'affermazione di se, può realizzare pienamente e affettivamente una persona. Al contrario, sarebbe solo alienazione e potrebbe condurre alla malattia mentale.  A questo proposito, suggerisco la visione del bellissimo film A Beautiful Mind, sul matematico, Premio Nobel, John Nash. Quest'uomo, eccezionale in tutti i sensi, è stato capace di uscire dal tunnel della schizofrenia.  Cosa ce lo aveva portato? Il suo lavoro di 'genio della matematica', vissuto come sublimazione e la logica folle della carriera, legata al 'produrre un risultato eccezionale' senza sapere 'perché' e, soprattutto, senza chiedere 'per chi'.  Lo ha salvato dalla schizofrenia l'amore della moglie e l'amore per gli studenti, scoperti entrambi solo più tardi. Guarire dalla schizofrenia -meglio, imparare a convivere con le proprie allucinazioni, dominandole- così come disse nel discorso a Stoccolma il giorno del conferimento del Premio Nobel, è stato il 'vero risultato' conseguito nella sua vita.            Molti però non sanno, e neanche nel film se ne parla, che 'il risultato scientifico' che lo ha portato al Nobel, lo ha raggiunto con un grande matematico italiano, forse il più grande matematico italiano del novecento, Ennio De Giorgi, della Scuola Normale Superiore di Pisa. È morto solo da pochi anni ed era amico di un mio carissimo amico. Ebbene, De Giorgi non era sposato, ne ha avuto bisogno del Nobel per guarire da nessuna malattia mentale: era davvero 'sposato' con la matematica.  De Giorgi però, non aveva solo una sublime intelligenza, ma possedeva anche una profonda fede e una squisita carità. Per lui, il suo lavoro, apparentemente così arido, era una 'missione': lo può ben dire chi ha avuto la fortuna di averlo come maestro e, ancor più, come amico e padre.  Il matrimonio, cioè la dedizione totale all'altro, agli altri, nelle forme 'normali' o 'eccezionali' in cui può essere vissuto, è dunque l'espressione più alta della comunione nella quale l'uomo e la donna trovano perfettamente se stessi e pienamente si realizzano. 'Il dono più grande che Dio mi ha fatto -mi diceva un amico- è mia moglie e mi commuovo fino alle lacrime quando penso che Dio l'ha fatta così, pensando a me'.   CON IL MATRIMONIO           Nel matrimonio l'amore è tutto, è la ragione della sua sussistenza. L'amore fa i miracoli, rende capaci di superare ogni sorta di difficoltà e di portare il peso di tante croci. L'amore è l'esperienza umana più alta, quella che più di tutte ci avvicina alla vita stessa di Dio: con l'amore partecipiamo infatti, dell'Onnipotenza di Dio.  La famiglia è il capolavoro dell'uomo e di Dio: nella famiglia l'uomo trova la sua perfetta realizzazione e Dio vi si specchia e si riconosce.  Non c'è niente di più grande e di più bello della famiglia, perché Dio stesso è famiglia, è comunità. Solo guardando a Lui si capisce che cos'è l'amore e la famiglia.  Dio è tre Persone, ma queste non sono un 'io', un 'tu' e un 'egli', ma un 'io', un 'tu> e un 'noi'; e nel noi, l'io e il tu, si trovano uniti senza perdere la loro identità. Il noi è lo Spirito Santo, l'Amore che unisce il Padre al Figlio.            Tante volte ho fatto raccontare a mio padre la storia della nostra famiglia e cominciava sempre da quel 29 giugno quando, ad una festa, conobbe colei che sarebbe diventata mia mamma. 'Era bella, semplice e mi piacque subito', mi diceva ancora, dopo oltre cinquant'anni. Alla conoscenza seguì l'amicizia e anche il linguaggio dovette adattarsi a questa nuova situazione: 'Non dicevamo più 'io' o 'tu', ma dicevamo 'noi'; non più 'mia' o 'tua' ma 'nostra'. Era nato l'amore.  Quella mattina del 19 settembre Dio consacrò il loro amore trasformandolo nel suo amore. Fu grande la mia commozione quando volle portarmi a celebrare la messa del loro venticinquesimo sull'altare della celebrazione del loro matrimonio. La loro unione è durata oltre sessant'anni; anzi, per sempre, perché ancora sono insieme in cielo dove spero abbiano finito di bisticciare perché, quaggiù, era il loro modo di rapportarsi e di volersi bene.  Mio padre era un artista, ma il vero capolavoro è stata la sua famiglia.            Niente può esprimere meglio l'intensità del dolore che Dio prova quando l'uomo lo abbandona, del dolore di una famiglia divisa. La divisione di una famiglia comporta prove e sofferenze, spesso più pesanti delle proprie forze: sono le croci più grandi. Il grido di dolore della parte ingiustamente tradita e abbandonata è il dolore profetico che meglio esprime quello di Dio per i tradimenti e gli abbandoni dell'uomo.  La famiglia è la cellula dell'umanità e porta in se stessa l'immagine della storia del mondo intero. Creare una famiglia è una vocazione e un impegno, è accettare di diventare immagine di Dio-Amore, è progetto per 1'umanità chiamata a divenire l'universale famiglia umana.  L'amore, quando è vero, è sempre fecondo. Il matrimonio infatti, è sempre in funzione degli altri: la famiglia non può essere mai autoreferenziale. Se così fosse, l'amore si spegnerebbe, come avviene per il fuoco quando viene messo sotto una campana. La famiglia felice è quella che dona amore, un amore che ha origine in Dio, lo alimenta e lo distribuisce. È proprio come un acquedotto: ha valore tanto quanto porta acqua; se la trattiene, ha terminato la sua funzione. Nella famiglia 1'amore si trasforma in vita ed è questa l'unica occasione nella quale Dio permette ai genitori di chiamarsi col suo stesso nome: procreatori.  Collaborare con Dio a creare una nuova vita, eleva l'uomo alla più alta dignità. Ecco perché, dopo Dio, non c'è nessuno più grande dei nostri genitori.  I figli sono il capolavoro dei genitori perché l'uomo è il capolavoro di Dio.            La famiglia felice possiede tante risorse che non devono essere però impiegate solo al proprio interno, ma devono essere destinate ad altri: nessuno, meglio di una famiglia serena, può affiancare una famiglia in difficoltà e supplire quello che la società non riesce a fare per salvare tante situazioni limite. Se Madre Teresa di Calcutta, da sola, è riuscita ad animare mezzo mondo, ancor più potrà fare una famiglia nella quale l'amore è vissuto, moltiplicato e trasformato.  Tra le tante esperienze vissute, una mi ha particolarmente segnato. Una sposa ventinovenne a cui era stato ucciso il marito, Maresciallo dei Carabinieri, acconsentì al trapianto degli organi: me la vedo ancora davanti, impietrita dal dolore, accanto alla salma del suo Sebastiano, il cui cuore, fegato e reni avevano già salvato la vita a tre persone. Pensai che solo l'amore familiare, 1'amore moltiplicato, 1'aveva resa capace di trasformare quel terribile 'venerdì santo' in una radiosa mattina di Pasqua. È proprio vero: 1'amore è più forte della morte!  Essere sposo e sposa, formare una famiglia, generare figli, è la prima vocazione dell'uomo, coincide con la vocazione alla vita.   

Giuseppe Mani

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