Qualità della vita significa qualità delle relazioni, che costituiscono la sostanza della vita. La qualità delle relazioni dipende dalla qualità della comunicazione, a tutti i livelli in cui questa si svolge: con se stessi, sul piano interpersonale, sociale, politico...
del 01 gennaio 2002
Qualità della vita significa qualità delle relazioni, che costituiscono la sostanza della vita. La qualità delle relazioni dipende dalla qualità della comunicazione, a tutti i livelli in cui questa si svolge: con se stessi, sul piano interpersonale, sociale, politico ecc. Un cristiano, poi, trova il suo modello di comunicazione a livello teologico nell’auto comunicazione che Dio ha fatto di sé all’umanità in Cristo. Di certo, il problema della comunicazione nella chiesa non può essere ridotto alla sola dimensione dell’aggiornamento tecnologico e dello sfruttamento dei mezzi disponibili per una più efficiente ricerca di maggiore audience. Se pensiamo che, secondo la rivelazione biblica, lo Spirito santo è la libera volontà di Dio di comunicare e trovare comunione con gli uomini, capiamo che la comunicazione cristiana, per essere realmente sacramentale, per narrare cioè qualcosa della realtà trinitaria che dà fondamento e ragion d’essere alla chiesa e a cui la chiesa rinvia, deve far appello e lasciarsi informare dall’azione dello Spirito. Così come deve conformarsi all’immagine di Cristo che sulla croce «riporta l’umanità sulla via di un Dio che non è realmente Dio se non essendo la Comunicazione stessa» (Gustave Martelet). Ma questa dimensione rivelativa si innesta sulla dimensione antropologica della comunicazione. Dimensione che ricorda che comunicare è anzitutto «donare», rendere comune, condiviso da altri, ciò che è proprio, disponendosi a propria volta a ricevere dall’altro. In effetti, comunicare non è movimento unidirezionale, ma circolare, reciproco e interattivo fra partner che si scambiano segni e messaggi al fine di una comprensione, di un accordo. Tale scambio non può lasciare immutati: l’identità è modellata nella comunicazione. Di più, l’uomo è un essere comunicativo: nessun suo comportamento sfugge a questa legge! «Agire o non agire, la parola o il silenzio hanno sempre un carattere comunicativo» (Paul Watzlawick).
Questo vale ovviamente non solo per gli individui, ma anche per i gruppi umani e dunque per la chiesa. La fedeltà della chiesa all’Evangelo si misura anche sulla qualità delle relazioni che essa crea al suo interno, che intrattiene con le altre confessioni cristiane, che promuove con gli uomini non credenti o appartenenti ad altre religioni, con il tipo di presenza che instaura nella storia, con i rapporti con le altre istituzioni nella polis ecc. È lì che la chiesa conosce il rischio di mutare l’evangelo, la buona notizia della comunicazione di Dio agli uomini, in cattiva comunicazione: e questo si verifica quando viene meno la parresia, la franchezza evangelica dei discepoli di Cristo, per cedere il passo alla pavidità e all’acquiescenza dei funzionari di un apparato ecclesiastico; quando l’autorità non si pone a servizio della comunione, ma si snatura in arrogante esercizio del potere; quando all’interno della compagine ecclesiale si creano figli prediletti e si emarginano altri quasi fossero figliastri; quando i toni censori, le doppiezze, le ipocrisie, le mezze verità, creano quel clima di paura che è la più diretta sconfessione della libertà evangelica suscitata dallo Spirito; quando il dialogo è fuggito invece che cercato ecc. Sì, solo quando la comunità cristiana si configura come autentico spazio di libertà, essa diviene anche spazio di confronto, di dialogo e di comunicazione fraterna!‚Ä®Dalla comunicazione dipende la vita comune, il volto della comunità cristiana, e dunque la testimonianza fondamentale della chiesa tra gli uomini. Essa è un’arte, non una tecnica, e un’arte che esige umiltà: la comunicazione infatti non nasce da un «di più», da un «troppo», da un «pieno», ma da un «vuoto», dalla coscienza di una mancanza, di un bisogno: comunicare significa affermare il proprio bisogno dell’altro, riconoscere che siamo sempre debitori e dipendenti da altri per la nostra vita, confessare che il dono di Dio, munus fondamentale da cui nasce il nostro comunicare, ci precede. La Parola di Dio comunicata a noi, e nella quale Dio stesso in Cristo si dona a noi, è il vero inizio della comunicazione cristiana, una comunicazione in cui già siamo immersi ancor prima di prenderne coscienza e di assumere il compito di farcene rispondenti. Sa comunicare chi sa riconoscere come propria verità fondamentale la propria povertà ontologica. E questo povero sarà anche capace di pregare, cioè di comunicare con Dio, di rispondere al dono della sua Parola, perché sarà capace di ascolto, di accoglienza. E su questa povertà potrà anche avvenire l’edificazione della comunità, della vita insieme con altri: questa è infatti sempre il frutto della condivisione della povertà e delle debolezze di ciascuno, piuttosto che la somma della forza di tutti. Allora la comunità cristiana appare come frutto dello Spirito, segno della comunicazione di Dio all’uomo, sacramento del dono della Parola di Dio, risposta d’amore all’amore preveniente da Dio. Sì, il Dio cristiano, «essendo in se stesso comunione trinitaria, crea comunione con e tra gli esseri umani comunicando loro la sua vita e chiedendo che essa sia a sua volta comunicata a ogni loro fratello e sorella, sino a coinvolgere l’intero creato» (Roberto Mancini).
Enzo Bianchi
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