Nella rivelazione cristiana la comunione è anzitutto realtà teologale. Dio nel suo essere è comunione, lo Spirito è Spirito di comunione e Cristo è persona corporativa, è il capo del corpo che è la chiesa. Comunione è la vita trinitaria divina, vita fatta di ascolto, scambio e donazione reciproci fra le persone divine.
del 01 gennaio 2002
Nella rivelazione cristiana la comunione è anzitutto realtà teologale. Dio nel suo essere è comunione, lo Spirito è Spirito di comunione e Cristo è persona corporativa, è il capo del corpo che è la chiesa. Comunione è la vita trinitaria divina, vita fatta di ascolto, scambio e donazione reciproci fra le persone divine. Essendo costitutiva della vita divina, la comunione è essenziale anche alla chiesa: se non plasma il suo volto nella storia come volto di comunione, la chiesa si riduce a organizzazione sociologica e non è più la chiesa di Dio. Mandato della chiesa è di essere luogo del superamento di tutte le barriere e le discriminazioni culturali e sociali, politiche ed etniche, luogo della diversità riconciliata, delle differenze compaginate in comunione: così essa non solo è riflesso della comunione dinamica delle persone trinitarie, ma è icona dell’umanità riconciliata, immagine del cosmo redento, profezia del Regno. E questo è appunto ciò che ogni eucaristia, cuore della comunione, deve manifestare. È sulla comunione che la chiesa gioca l’obbedienza alla propria vocazione ricevuta da Dio e l’adempimento della propria testimonianza e missione nel mondo.
Come profondità della vita divina, la comunione viene trasmessa agli uomini in un processo di impoverimento, di svuotamento e di abbassamento di Dio motivato dall’amore, dal suo desiderio di comunione con l’umanità. «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna» (Giovanni 3,16); «Poiché i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche il Cristo ne è divenuto partecipe» (Ebrei 2,14): fonte della comunione è l’amore, suo mezzo è lo scambio verso il basso per cui colui che era in forma di Dio svuotò se stesso assumendo forma d’uomo e condividendo la condizione umana fino alla morte, anzi, «alla morte di croce» (Filippesi 2,8). Insomma, forma e fondamento della comunione cristiana è la croce come mistero e passione di amore. Dire questo significa affermare che la comunione all’interno della chiesa, tra le chiese, tra la chiesa e gli uomini tutti, è dono di Dio! Essa non è programmabile e raggiungibile come obiettivo di una strategia di politica ecclesiastica, ma deve essere accolta come grazia predisponendo l’obbedienza radicale all’Evangelo e mettendosi all’ascolto dell’altro: il fratello con cui si vive quotidianamente, l’altra confessione cristiana, gli uomini appartenenti ad altre religioni e culture, coloro che si professano non credenti.‚Ä®E qui va ricordato che la comunione cristiana, discendente dalla Trinità, plasmata dalla croce e costantemente vivificata dallo Spirito santo, esige il rigetto, da parte del cristiano e della chiesa, sia della domanda de-responsabilizzante: «Chi è il mio prossimo?» (Luca 10,29), sia dell’affermazione di autosufficienza: «Io non ho bisogno di te» (1 Corinti 12,21). Al tempo stesso, la comunione intra-ecclesiale non può nutrirsi solamente di questo principio orizzontale di attenzione all’altro o di bisogno dell’altro. All’interno di un’ottica centrata solamente sull’altro la chiesa rischia il corto circuito della comunità affettiva, della chiusura autosufficiente del gruppo su di sé, della gratificazione di un rapporto «io-tu» che diviene esclusivo. Oppure può scivolare, nell’ottica della rivalità e della contrapposizione, dell’«io contro l’altro», dando vita a una missione che diviene imposizione e assumendo le sembianze di una setta aggressiva verso il mondo. O ancora può finire col porsi come soggetto di carità, come benefattrice, come ente filantropico. Nel primo caso la comunione si atrofizza e si isterilisce, nel secondo viene tradita e misconosciuta, nel terzo viene ridotta ad attivismo caritativo.
Non basta «l’altro», ma occorre «il Terzo» e la sua trascendenza, e dunque si deve aver chiaro che l’altro, nell’ottica cristiana, è rimando al Terzo che è il Signore, il Creatore di tutti, Colui che in ogni uomo ha impresso la propria immagine. Insomma, non sono le nostre parole che plasmano la koinonia, la comunione, ma la Parola di Dio che purifica le nostre parole, che ordina la nostra comunicazione, che presiede alle nostre relazioni. Karl Barth ha potuto scrivere: «La chiesa è la comunione sempre rinnovata di uomini e donne che ascoltano e testimoniano la Parola di Dio». La Parola di Dio convoca e raduna i credenti legandoli in un solo corpo, e questo è il centro sorgivo e dinamizzante della chiesa e della comunione ecclesiale. Questa la comunione che cercano di edificare anche i segni sacramentali del battesimo e dell’eucaristia. Infatti «siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo» (1 Corinti 12,13) e, «poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane» (1 Corinti 10,17).
Sì, i cristiani sono communicantes in Unum, nell’unico Dio, il Padre, per mezzo dell’unico Signore, Gesù Cristo, grazie all’unico Spirito (cfr. Efesini 4,4-6), e in questa comunione con Colui che è all’origine di ogni santità essi, che già vivono la solidarietà con i peccatori, possono anche ,conoscere la communio sanctorum, la comunione con i santi del cielo, con coloro che già vivono per sempre in Dio. Solo allora la chiesa è colta nella pienezza del suo mistero di comunione.
Enzo Bianchi
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