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Contemplazione e azione in Marta e Maria

Fra gli episodi evangelici che possono illuminare il cammino del cristiano e che ci pongono il problema del nostro atteggiamento dinanzi a Cristo, l'episodio di Marta e Maria ci fa riflettere sul modo di accogliere il Salvatore nella nostra esistenza.


Contemplazione e azione in Marta e Maria

da Teologo Borèl

del 21 giugno 2008

Il contesto

 

Il Vangelo di Luca non ci dà molte informazioni sull’identità di Marta e Maria. Il Vangelo di Giovanni ci presenta le due sorelle residenti a Betania, località vicina a Gerusalemme, e il racconto della risurrezione del loro fratello Lazzaro ci permette di conoscerle meglio. L’evangelista Giovanni sottolinea il legame di amicizia che esisteva fra loro e Gesù: «Gesù voleva molto bene a Marta, a sua sorella e a Lazzaro» (Gv 11,5). Questo legame era così manifesto che le due sorelle avevano fatto conoscere a Gesù la malattia del loro fratello mandandogli un messaggio: «Signore, ecco, il tuo amico è malato». Il più significativo miracolo della vita pubblica di Gesù è stato dunque operato su richiesta di Marta e Maria. Esso conferma l’affetto speciale di Gesù verso Lazzaro e le due sorelle di lui.

Alla luce di queste informazioni, possiamo capire meglio perché Gesù si sia fermato e sia stato ricevuto nella casa di Marta. Forse difficilmente avrebbe potuto passare a Betania senza fermarsi in questa casa. Vi riceveva una calorosa accoglienza; le due sorelle desideravano la sua visita. Il Maestro, che soffriva dell’ostilità che si scatenava spesso sulle strade della sua missione, si rallegrava per la sincera accoglienza che riceveva sempre a Betania. Dopo aver ascoltato parole poco benevole, che provenivano da nemici ostinati, egli entrava in un clima di simpatia. Poteva riposarsi e ritemprare le sue forze in vista di una nuova tappa nel suo itinerario. Poteva anche constatare in modo molto concreto la gioia che il suo arrivo provocava in molta gente, perché riceveva molti segni di gratitudine per la sua presenza e molte testimonianze di conforto per le sue parole.

La casa nella quale era ricevuto costituiva il segno che la sua venuta sulla terra non era unicamente occasione di rifiuto e di contraddizione: egli trovava anche ambienti favorevoli in cui la Buona Notizia penetrava nei cuori e li trasformava. I legami di amicizia che si erano formati a Betania erano la realtà che annunciava i legami di amore che ormai dovevano unire l’umanità con Dio. Gesù apprezzava l’ambiente di una casa che avrebbe potuto essere una prima cellula di Chiesa, casa che beneficiava della presenza di Gesù, riconosciuto e onorato come Maestro unico.

Questa casa era poi una casa di fede. Le persone che la abitavano o la frequentavano erano animate da una grande fede in Gesù. Possiamo ricordare che, prima della risurrezione di Lazzaro, Gesù ha chiesto a Marta un atto esplicito di fede nel miracolo che desiderava. Non bastava la fede nella risurrezione promessa per l’ultimo giorno; ci voleva la fede in una risurrezione immediata: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me non morrà in eterno. Credi tu questo?». La risposta esprime un’adesione totale: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo» (Gv 11,25-27). Già la domanda supponeva che Gesù conoscesse la forza della fede di Marta. La risposta conferma questa forza. L’episodio della visita di Gesù, riportato da Luca, non pone esplicitamente il problema della fede, ma implica, nel comportamento delle due sorelle, una disposizione fondamentale di fede: Maria, perché ascolta avidamente le parole del Maestro; Marta, perché si dedica totalmente all’accoglienza di Gesù.

Entrando nella casa di Betania, Gesù trovava dunque in Marta e in Maria esempi della nuova fede che voleva diffondere nel mondo. Le due sorelle non credevano soltanto in Dio, secondo la fede del popolo giudaico, ma credevano in Gesù stesso, riconoscendo in lui il Cristo, il Figlio di Dio, colui che aveva il potere di comunicare la vita eterna a tutti. Con la rivelazione che faceva della sua persona di Figlio nel compimento della sua missione, Gesù chiamava i suoi uditori alla fede e si rallegrava di avere uditori molto interessati e fedeli come le due sorelle di Lazzaro. La casa di Betania piaceva dunque a Gesù, che vi trovava un simbolo e una premessa della fede che nel corso della storia era destinata a imporsi nell’umanità.

 

 

Il ruolo della donna

 

Frequentando la casa di Betania, Gesù manifesta l’intenzione di ricevere da parte della donna un’accoglienza particolare. Quella ricevuta da parte di Marta e di Maria viene dopo la prima accoglienza offerta al Salvatore dalla Vergine di Nazaret. Al momento dell’Annunciazione, Maria aveva accolto il progetto divino della venuta del Messia con docilità e con una generosità pronta a ogni sacrificio; aveva perseverato in queste disposizioni di accoglienza in tutte le circostanze dell’esistenza terrena di Gesù. L’esempio di Maria come madre dedicata al servizio di suo figlio mostrava l’importanza del ruolo assegnato alla donna per favorire la crescita del bambino.

L’episodio evangelico di Marta e Maria conferma l’intenzione di Gesù di assicurare un contributo notevole della donna nello sviluppo della personalità del futuro Messia. È pure vero che in questo episodio non si tratta di un tentativo d’impegnare la donna nella missione di far conoscere la Buona Notizia della salvezza. Altri episodi testimoniano di un impegno di questo genere, come l’incontro con la Samaritana o il messaggio affidato a Maria Maddalena. Quando Gesù si rivolge alla Samaritana dicendo: «Dammi da bere» (Gv 4,7), chiede espressamente un servizio, pur sapendo che la richiesta non sarà gradita a questa donna straniera; mostra così la volontà di farla concorrere al compimento della sua missione.

La volontà di affidare un ruolo di cooperazione alla formazione del regno di Dio viene confermata ancora nel caso di Maria Maddalena. Il Signore risorto le affida espressamente un messaggio destinato ai discepoli: «Va’ dai miei fratelli e di’ loro: “Io salgo al Padre mio e Padre vostro”» (Gv 20,17). Gesù avrebbe avuto la possibilità di comunicare direttamente questo messaggio ai suoi discepoli, ma, ricorrendo a una donna per questa comunicazione, rivela la sua intenzione di affidare alla donna un ruolo importante nella diffusione della Buona Notizia: il messaggio che Maria Maddalena deve trasmettere ai discepoli è il primo del Salvatore risorto.

 

 

Diversi modi di accogliere Cristo

 

Il Vangelo ci mostra come le due sorelle di Lazzaro, Marta e Maria, accolgono Cristo nella loro casa, ognuna a proprio modo. Maria lo accoglie come un Maestro che desidera ascoltare: «Sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola» (Lc 10,39). Il discepolo che voleva ascoltare l’insegnamento dato da un Maestro si sedeva ai suoi piedi. Così poteva, con umile docilità, raccogliere fedelmente tutte le parole che uscivano dalla bocca del Maestro e assimilarne i contenuti. Nei discorsi pronunciati da Gesù, Maria riconosceva la parola di Dio, adattata alla sua comprensione. Si nutriva con avidità dell’insegnamento che riceveva e poteva dimenticare tutto il resto, perché era libera da ogni preoccupazione domestica: sua sorella Marta si dedicava alla preparazione della cena. Maria poteva pensare soltanto alle parole di luce che sollevavano il suo entusiasmo. Si sentiva privilegiata di avere come solo compito l’accoglienza del Maestro. Era un privilegio dovuto alle circostanze; capiva che era un dono che le veniva dall’alto. Questo privilegio corrispondeva alle tendenze del suo temperamento, portato alla contemplazione.

Il temperamento di Marta era molto diverso; era il temperamento di una padrona di casa. La diversità dei temperamenti fu sfruttata dal piano divino, perché esse si completavano per procurare a Gesù la più desiderabile accoglienza, da una parte con una ascoltatrice molto attenta per raccogliere tutte le parole che meritavano di essere conservate e meditate, dell’altra parte con una persona che poteva preparare un pasto degno di un ospite eccezionale.

Di solito, Marta preparava la cena da sola. Non aveva bisogno dell’aiuto della sorella. Ma nell’episodio riportato nel Vangelo, per un motivo particolare che non conosciamo, avrebbe desiderato ricevere questo aiuto. Vedendo sua sorella tranquillamente seduta presso Gesù, trovava che Maria sarebbe potuta intervenire nella preparazione del pasto. Avrebbe potuto rivolgere qualche rimprovero a Maria, ma la presenza di Gesù sembrava proteggere e giustificare il suo atteggiamento di pacifica ascoltatrice. Infatti, non c’era niente che potesse essere rimproverato a Maria. Rimaneva una soluzione per ottenere un aiuto: rivolgersi a Gesù stesso. Marta poteva chiedere il suo intervento; siccome egli era all’origine di questa situazione difficile, bastava una parola da parte sua per invitare Maria a recare soccorso a sua sorella.

Quando Marta interviene, lo fa con disappunto. Pone l’accento sul rimprovero, dicendo a Gesù: «Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire?». Poi, con l’autorità della padrona di casa che assegna ad ognuno ciò che deve fare: «Dille dunque che mi aiuti» (Lc 10,40). Queste parole manifestano lo stato di irritazione che si era impadronito di Marta e la spingeva a formulare accuse che superavano il suo pensiero. Faceva ricadere sul Maestro che venerava il cattivo umore che veniva dalle circostanze dell’incontro con lui.

La risposta di Gesù è quella di un amore superiore a ogni agitazione, amore che non accetta di lasciarsi trascinare da rivendicazioni della propria dignità e segue piuttosto la via della pazienza e della comprensione. Egli si comporta non solo come Maestro di luce che procura la soluzione dei problemi dell’esistenza umana e fa capire la risposta divina a tutti gli interrogativi, ma come colui che è venuto a fondare una società di pace e di amore. La risposta è essenzialmente serena e vuole evitare ogni inquietudine. Gesù pronuncia soltanto parole che fanno penetrare la pace nei cuori turbati o sconvolti. Per rispondere all’agitazione di Marta, la interpella due volte con il suo nome: «Marta, Marta!». Con questo modo affettuoso di chiamarla, fa capire che non le ha tolto niente del suo amore. Non consente a uno scambio di parole che farebbe posto all’irritazione. Nelle relazioni umane, l’irritazione porta con sé il pericolo di suscitare una catena di reazioni che rendono più vivi i conflitti. Le risposte mutue che si succedono comportano il rischio di rafforzare le divergenze quando dovrebbero superarle. Gesù non voleva entrare in una conflittualità di questo genere. All’irritazione di Marta egli non reagisce con severità. La sua prima preoccupazione è quella di ricordare il contesto di amore nel quale è venuto ed è stato ricevuto in questa casa.

Così prima di tutto pronuncia due volte il nome di Marta, per testimoniare che i rapporti di amicizia non sono rotti e che le parole di un momento d’irritazione non hanno tolto niente alla generosità del suo cuore. Il nome di Marta è quello di una persona amata, che può contare sulla fedeltà dell’amicizia del Maestro. Quando Gesù, con un’intenzione di verità, formula un rimprovero, lo fa con un accento notevole di simpatia: «Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose» (Lc 10,41). È un sentimento di pietà che lo anima verso Marta e vorrebbe risparmiare questa agitazione.

Conviene particolarmente sottolineare che Gesù non rimprovera Marta per l’attività al suo servizio. Egli trae benefici dalla sua ardente dedizione. Il torto di Marta è unicamente di cedere all’inquitudine e all’agitazione. Non conosciamo le circostanze che avevano provocato questa inquietudine; diverse circostanze possono causare un ritardo nella preparazione di un pasto. Il ritardo era penoso per Marta che, come padrona di casa, dava un valore alla puntualità e si sforzava di rispettare un orario. Ma in ogni caso, dobbiamo tenere presente la lezione data da Gesù, perché ha un’applicazione universale: ogni inquietudine dev’essere superata nella vita cristiana. Anche noi siamo tentati di agitarci per molte cose, ma dobbiamo resistere a questa tentazione che facilmente annullerebbe la nostra serenità. Per precisare il significato della posizione di Gesù, si tratta di evitare l’inquietudine che si ripiega su se stessa o più ancora quella che si chiude in se stessa. Il sentimento d’inquietudine può nascere spontaneamente, ma può essere orientato nel senso di una maggiore fiducia nel soccorso divino. Con tale orientamento, l’individuo inquieto supera se stesso e trova la via per liberarsi dall’oppressione dell’ansia; esce dalla propria prigione.

Nel caso di Marta, l’agitazione si era sviluppata poiché non poteva risolvere il problema del suo ritardo. Ma nella sua difficoltà possedeva una via di uscita, offerta dalla presenza benevola del Maestro. Avendo accolto Gesù nella sua casa, poteva contare sulla sua simpatia per superare tutte le difficoltà. Poteva aprire senza alcuna riserva la porta della fiducia. Marta credeva in Gesù, e con questa fede poteva intravedere la soluzione di tutti i problemi, perché aveva capito non soltanto che Gesù era Maestro di sapienza, ma che possedeva una onnipotenza senza limite. A questo Maestro che si era fatto molto vicino a tutti e che dimostrava la sua capacità di soccorrere le miserie umane era dovuto un massimo di fiducia: egli invitava tutti a un abbandono nelle sue mani.

 

 

«L’unico necessario»

 

Per l’affermazione del principio dell’unico necessario, esistono due varianti del testo. Nella versione più lunga viene detto: «Poche cose sono necessarie, o anche una sola». La versione breve dice soltanto: «Una sola è la cosa di cui c’è bisogno» (Lc 10,42). La versione lunga più probabilmente è quella autentica; sarebbe difficile supporre che la necessità di poche cose fosse stata inserita nel testo; rende il pensiero più complesso, più oscuro. Ma immaginiamo volentieri la semplificazione che lascia fuori la necessità di queste «poche cose» e afferma soltanto che una sola cosa è necessaria. La scelta che s’impone fra le due versioni non ha tuttavia molta importanza: in ogni modo è la necessità di una sola cosa che costituisce l’affermazione fondamentale nelle due versioni. I commentatori l’hanno capito: concentrano la loro riflessione sul significato dell’«unico necessario».

Tuttavia, per cogliere più esattamente il pensiero di Gesù secondo la versione lunga, dobbiamo precisare ciò che viene detto sulla necessità di «poche cose». Manifestamente, esse formano un contrasto con le «molte cose» che erano all’origine dell’inquietudine e dell’agitazione di Marta. Siccome si trattava della preparazione di un pasto, alcuni commentatori hanno interpretato queste parole nel senso del numero o dell’abbondanza dei piatti: «Pochi piatti sono necessari, o anche uno solo». Un valore molto concreto viene dunque attribuito all’affermazione. Ma possiamo dare questo significato alle parole di Gesù? Di solito, il Maestro non si preoccupa dell’abbondanza del cibo che riceve in occasione dei suoi spostamenti e viaggi. Nel compimento della sua missione, si preoccupa molto di più delle disposizioni e dell’apertura di animo dei suoi uditori. La verità che ha voluto inculcare a Marta non si riferisce alla quantità né alla qualità dell’alimentazione. Alla fine dell’episodio, quando fa l’elogio del comportamento di Maria, Gesù sottolinea l’eccellenza di una scelta che le ha permesso di essere spiritualmente più unita al Maestro.

L’affermazione: «Poche cose sono necessarie» aveva come scopo di far riflettere Marta sul valore di tutte le cose che la circondavano e le permettevano di rendere molti servizi. Siccome Marta era animata da una volontà di servizio, poteva capire che aveva bisogno di un certo numero di cose. Ma questa necessità ha dei limiti. Marta ha avuto torto nel lasciarsi dominare dalle «molte cose» che erano impegnate nel servizio e nel perdere la sua pace intima in mezzo a sollecitazioni alle quali non poteva rispondere. Il suo esempio è caratteristico: troppe cose diventano spesso necessarie nell’esistenza umana, al di là dei servizi che sarebbero destinate a rendere, con il rischio di superamento e di agitazione. Il rimprovero rivolto a Marta era quello di un’inquietudine e di un’agitazione «per molte cose». Era un invito a ridurre a «poche cose» tutto quello che poteva suscitare preoccupazioni. Aggiungendo a «poche cose» anche «una sola è necessaria», Gesù si alza a un livello superiore. C’è finalmente un unico necessario, essenziale al destino umano. È il destino che gli è stato affidato dall’amore sovrano del Padre. Fra tutte le preoccupazioni, il compimento di tale destino deve avere il posto principale.

Quando Gesù parla della propria esistenza terrena, la presenta come una necessità fondata sulla volontà del Padre: è il Padre che lo ha mandato nel mondo. Quando annuncia l’itinerario doloroso della sua passione, pone ancora l’accento sulla necessità: «Cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva molto  soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere» (Mc 8,31). Quella di soffrire e di morire è una necessità assoluta che viene dalla volontà suprema del Padre e manifesterà il suo carattere drammatico nel conflitto intimo del Getsemani.

Partendo dall’esempio del suo destino personale, Gesù ci fa capire la necessità che s’impone a tutta la nostra vita. C’è una sola cosa necessaria: fare la volontà del Padre. Talvolta, come nell’esempio del Getsemani, la sottomissione a questa volontà può diventare più penosa ed essere acquisita al prezzo di una lotta che scuote e sconvolge tutta la persona. L’unica soluzione del conflitto intimo consiste nell’accettazione della necessità imposta dal Padre e destinata a ristabilire la più profonda armonia al di sopra delle lacerazioni subite. L’unico necessario ci salva da ogni litigio.

 

 

Estensione dell’unico necessario

 

L’accoglienza del principio dell’unico necessario si estende a tutti i particolari dell’esistenza, perché tutta la vita umana è impegnata nello sviluppo della missione redentrice di Cristo. I cristiani sono chiamati a partecipare all’offerta dell’unico sacrificio del Calvario con l’offerta dei loro sacrifici personali. La presenza necessaria della sofferenza sotto diverse forme li aiuta a scoprire sempre meglio che cosa significa l’unico necessario. Con l’accettazione generosa di questa necessità, l’esistenza umana può raggiungere il suo livello massimo di ricchezza spirituale per ogni persona e il suo livello di fecondità più alto a beneficio di tutti.

Enunciando il principio dell’unico necessario, Gesù offre a Marta una luce che può illuminarla sul significato più profondo dell’episodio. È pure vero che la parola del Maestro comportava un significato misterioso che non poteva essere colto immediatamente, ma questa parola era consegnata alla meditazione futura di Marta. A poco a poco, Marta è stata invitata a scrutare il mistero dell’unico necessario. Come tutti i credenti, era chiamata a partecipare all’opera redentrice. Come sorella di Lazzaro, era destinata a condividere il lungo cammino verso il dramma finale, ampiamente annunciato. Lazzaro era stato scelto per vivere con la sua esperienza personale il mistero della morte e della risurrezione di Cristo. Marta era stata testimone dell’avvenimento. Legami di amicizia esistevano fra Gesù e Lazzaro; avvicinavano anche Gesù alle sorelle di Lazzaro. Le due sorelle furono dunque associate agli avvenimenti che hanno fatto entrare Gesù nell’offerta del sacrificio destinato a procurare all’umanità la salvezza. Con la luce ricevuta dal Maestro a Betania, Marta si sforzò di scoprire negli avvenimenti dolorosi l’unico necessario che esprimeva il mistero e dava la spiegazione di tutto.

 

 

La scelta di Maria

 

Ai rimproveri rivolti da Marta a sua sorella, Gesù risponde con un elogio del comportamento di Maria, che non può divenire oggetto di contestazione: «Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta» (Lc 10,42). Gesù parla espressamente di una scelta. Nel suo comportamento, Maria non si è lasciata andare semplicemente a un impulso istintivo, che le faceva desiderare la prossimità del Maestro e raccogliere tutto il suo insegnamento. Ha scelto di rimanere seduta ai piedi di Gesù per poter essere più attenta a parole che richiedevano uno sforzo particolare di comprensione. Voleva cogliere il profondo significato di questo insegnamento eccezionale. Desiderava sfruttare al massimo ciò che le era offerto dalla visita inaspettata di Gesù.

Scegliendo questo comportamento di uditrice piena di entusiasmo, Maria ha scelto la parte migliore. Era una scelta condizionata dalla diversità di temperamento e di attività fra le due sorelle. Il ruolo di padrona di casa assunto da Marta permetteva a Maria di lasciare a sua sorella tutta la responsabilità dell’accoglienza ai visitatori e di non intervenire nella preparazione dei pasti. Così Maria poteva dedicarsi pienamente alla presenza dell’ospite e ascoltare le parole del Maestro. Era la parte migliore, che favoriva lo sviluppo della fede di Maria e stimolava la speranza che faceva nascere la predicazione di Gesù. Nella sua missione, Gesù aveva desiderato trovare sulla terra uditori e uditrici che avessero il tempo di ascoltarlo, di aprirsi al suo insegnamento dottrinale per poterlo attuare. L’avidità con la quale Maria vuole capire e assimilare la dottrina divulgata da Gesù risponde all’intenso desiderio con il quale Gesù stesso vuole far penetrare la verità nello spirito e nel cuore degli uomini.

Possiamo affermare che, secondo la descrizione evangelica, Maria ha veramente un’anima di discepola. Nel linguaggio evangelico, il vocabolo «discepolo» viene usato per designare gli uomini che seguono Gesù e vogliono partecipare alla sua missione, dedicandosi al servizio del Regno. Nella sua anima, Maria manifesta le qualità del discepolo, di un discepolo che cerca tutta la luce nelle parole del Maestro. In un contatto più continuo con Gesù, Maria sperava di alzare il livello della sua vita profonda. Quando ascoltava il Maestro, cominciava a discernere meglio il punto di vista divino sulle situazioni umane. Il modo di vedere il mondo cambiava. Maria si apriva a un modo nuovo d’interpretare i fatti e le circostanze. Una trasformazione nel senso della speranza e della gioia le dava uno sguardo nuovo.

Conviene notare che Maria testimoniava così la possibilità per la donna di svolgere un ruolo importante nello sviluppo della vita spirituale della comunità cristiana. Alludendo alle donne che accompagnavano Gesù nei viaggi della sua missione, l’evangelista Luca si era limitato ad attribuire loro un ruolo marginale: queste donne «assistevano i discepoli con i loro beni» (Lc 8,3). Fra loro, Luca non cita Maria, sorella di Lazzaro, ma l’episodio della casa di Betania rivela la sua presenza e soprattutto il suo impegno in rapporti intensi di fede con il Salvatore.

Le parole rivolte da Gesù a Betania mostrano chiaramente la sua intenzione di chiedere la cooperazione della donna allo sviluppo spirituale del Regno. L’elogio del comportamento di Maria, che ha scelto la parte migliore, esprime la sincera stima del Maestro per questa iniziativa femminile che corrisponde al piano divino sulla diffusione del regno di Dio. Questa stima merita di essere particolarmente sottolineata; Gesù ha voluto esprimere la sua soddisfazione a proposito dell’atteggiamento di Maria, perché egli giudicava importante chiarire il valore di un comportamento contemplativo nel momento in cui egli dedicava tutta la sua attività al compimento della sua missione apostolica. Anche questa missione apostolica aveva bisogno del contributo generoso di una supplica nella preghiera per ottenere il massimo di frutti. Il principio della necessità della preghiera è confermato.

 

 

Valore della contemplazione

 

Giustificando la scelta di Maria, Gesù pone in luce il valore della contemplazione. Mostra che nella sua prospettiva, vuole impegnare tutte le forze della persona al servizio del Regno. Ma chiede prima di tutto il dono del cuore. Desidera l’omaggio più intimo della persona e non soltanto doni esterni. Apprezza ogni servizio generoso, ma vuole impegnare in primo luogo il dono dell’anima nella preghiera. La priorità della contemplazione sull’azione non significa una superiorità riconosciuta a uno stato di vita su un altro, cioè una vita completamente dedicata alla contemplazione su una vita che comporterebbe un’attività apostolica o caritativa. Dobbiamo soltanto ritenere, a questo proposito, che Cristo ha unito, nel compimento della sua missione, contemplazione e azione. I due aspetti devono dunque essere salvaguardati. Il modo concreto di conciliare in una vita consacrata contemplazione e azione viene precisato secondo le regole determinate in comunità. Non è il problema di questa conciliazione nello stato di vita che viene esplicitamente trattato nell’episodio di Betania.

L’episodio risponde semplicemente alla domanda: quale accoglienza viene desiderata da Gesù quando si rende presente nel mondo o quando nel suo amore per noi vuole diventare nostro ospite? In una circostanza nella quale aveva posto in luce la generosità divina che non può resistere alle suppliche umane e che invita alla preghiera perseverante, Gesù aveva formulato un interrogativo che mostrava bene che cosa sperava di trovare nella sua venuta sulla terra: «Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (Lc 18,8). Nel corso della vita pubblica, si è lamentato parecchie volte della mancanza di fede di quelli che imploravano il suo soccorso. I racconti evangelici riferiscono lo sviluppo della fede dei discepoli, sviluppo lento che progressivamente ha superato gli ostacoli e le esitazioni. Gesù stimolava questo sviluppo non solo con le parole che facevano riconoscere la sua identità di Figlio di Dio, ma con le numerose manifestazioni miracolose della sua onnipotenza nella guarigione delle malattie e infermità.

Il comportamento di Maria ha come prima caratteristica di essere un comportamento di fede. La fede in Cristo si esprime in un’adesione alla parola e alla persona di colui che ci rivela il mistero di Dio. Nell’incontro di Betania, Maria ha sentito vivamente l’attrazione della parola di Gesù e, attraverso essa, l’attrazione della sua persona. Desidera rimanere unita a questa persona, come all’assoluto della sua vita. Nel suo desiderio vuole approfondire il vincolo che la unisce a questo Maestro che s’impadronisce della sua esistenza per condurla più in alto.

Si tratta di un vincolo essenzialmente spirituale, che fa scoprire una verità più ampia. L’adesione alla persona di Cristo può essere definita adesione di fede, ma dando al vocabolo «fede» un significato ampio. Nella fede c’è un’affermazione di verità, verità rivelata. Cristo viene riconosciuto come Figlio di Dio, essendo Dio in quanto Figlio. Viene anche accolto come l’unico Salvatore, fonte di tutta la speranza dell’umanità. È questa speranza che animava Maria a Betania, quando si è seduta ai piedi di Gesù. Non aveva fatto studi di teologia e non conosceva i problemi che possono sorgere dalle ricerche di diverse religioni. Dai discepoli che avevano accolto il messaggio di Gesù e volevano diffonderlo nell’umanità, aveva ricevuto il tesoro essenziale della fede cristiana. Credeva in Gesù e aveva capito che nel suo insegnamento poteva trovare tutta la luce che aveva cercato fino a quel momento e che sarebbe stata preziosa per illuminare la propria vita e aiutarla a risolvere i problemi più fondamentali dell’esistenza.

L’arrivo di Gesù a Betania, visita del tutto occasionale, procurò a Maria la possibilità di avere un colloquio molto libero con il Maestro, che attirava molta gente e operava miracoli. Maria colse questa occasione e non volle perdere niente di ciò che le era offerto dalle circostanze. L’incontro di Maria con Gesù deve dunque essere ricollocato nel suo contesto se vogliamo capire meglio perché la sorella di Lazzaro manifestò una tale volontà di rimanere ai piedi di Gesù per ascoltare le sue parole, non lasciandosi disturbare dalle lagnanze di Marta. Dal colloquio si aspettava molto: sperava di ricevere luce per le scelte della propria vita. L’incontro con Gesù era un fatto eccezionale, che doveva essere pienamente sfruttato. Così dalla presenza di un Maestro che era a sua disposizione, Maria intendeva prendere e ricevere tutto ciò che poteva rendere migliore la sua vita. Gesù approvò espressamente questa scelta.

 

 

* Si tratta dell’ultimo testo scritto per la nostra rivista dall’Autore, morto lo scorso 18 aprile a Woluwe - St. Pierre, in Belgio.

 

© La Civiltà Cattolica 2008 II 534-545           quaderno 3792

 

Jean Galot S.I.

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