Quando il peggio diventa il meglio. Quando il quartiere più oscuro diventa il più luminoso. Quando le luci rosse si spengono affinché se ne accendano di multicolori.
Quando il peggio diventa il meglio. Quando il quartiere più oscuro diventa il più luminoso. Quando le luci rosse si spengono affinché se ne accendano di multicolori. E quando il Bronx cambia volto e diventa un esempio. Quando il conflitto razziale si trasforma in occasione di confronto multiculturale. Due quartieri, altrettante metamorfosi.
Piccoli miracoli metropolitani. Copenaghen è cambiata, falciando l’erba cattiva per far crescere quella migliore. Vesterbro e Nørrebro, i luoghi del cambiamento. A contatto con la stazione centrale, il primo. Un tempo luogo sordido, di luci rosse che ne illuminavano la notte buia, di donne che offrivano se stesse a chi aprisse loro il portafogli, di loschi figuri dai visi squadrati e dal portamento tronfio che smerciavano le droghe più svariate a ogni angolo di strada. Verso il Nord della città, il secondo.
Prima rifugio della classe lavoratrice, poi approdo di gran parte degli immigrati, mai posto veramente tranquillo, non a caso conosciuto come NørreBronx solo fino a qualche anno fa: se anche l’ospitale capitale danese conosceva scontri interrazziali, era lì che la triste sfida andava in scena. Vesterbro, il quartiere che va a braccetto con la stazione, ha cambiato volto senza cancellare del tutto il passato. Ne restano restano luoghi, immagini, flash, che al visitatore richiamano i tempi andati, mai del tutto azzerati da una pur sostanziosa riconversione. Rari neon di colore rosso, vivaci mercati halal, bar e caffetterie privi di ogni riferimento al nuovo che avanza sono testimoni viventi di quel che è stato; ancor più le macellerie, quelle che ne hanno fatto per decenni il “Meatpaching District” meglio avviato d’Europa, non più numerose come un tempo, quando la loro densità non aveva eguali nel continente. Restano frammenti, qua e là, ma tanto è cambiato in un radicale processo di trasformazione.
Che poi per tutto c’è sempre un inizio, un punto di svolta, un evento che dà il la a un processo poi inarrestabile. Un evento datato, ormai, eppure significativo. La rigenerazione di Øksnehallen, prima mercato del bestiame, poi divenuto un immenso (cinquemila metri quadrati) centro culturale con un susseguirsi di mostre d’arte e fotografia, in cui luce e design sembrano aver soppiantato l’oscura e tenebrosa fama antica del quartiere. Evento datato, se è vero che risale alla seconda metà degli anni ’90, ma indubbio spartiacque tra vecchio e nuovo Vesterbro. Il bello del quartiere rinnovato è la capacità di attrarre gente (imperdibile punto di riferimento per gourmet modaioli è Værnedamsvej, la strada che allinea negozi, caffè e ristoranti che emanano profumi da giro del mondo gastronomico, toccando Cina, Giappone, Thailandia, Francia, Grecia, Italia e infiniti altri luoghi), ma forse ancor di più il quotidiano stile di vita di chi il quartiere lo vive. Perché la riuscita riqualificazione urbana la scorgi passeggiando senza meta, nelle architetture, nel verde pubblico, nelle iniziative ecologiche che ne hanno caratterizzato il rinnovamento, tanto da farne un esempio al Forum Nordeuropeo del 2009.
C’è sempre un evento, più o meno simbolico, a chiudere un’epoca e ad aprirne un’altra. Anche a Nørrebro, come a Vesterbro. Ungdomshuset, un simbolo centenario, poi spazzato via dalle ruspe. Lo storico edificio del movimento socialista, che rappresentava la forte (e storica) connotazione operaia del quartiere. Poi, divenuto centro sociale, luogo di controcultura giovanile, alfine sgomberato, in capo a rivolte e guerriglie. Era il marzo del 2007, una data simbolica. L’inizio di un lungo processo, che ha rivoltato Nørrebro come un calzino. I conflitti sociali lo tormentavano, il tasso di immigrati è rimasto più o meno intatto (non un caso se specialisti del kebab e della gastronomia internazionale si susseguono lungo marciapiedi rigorosamente alberati), la differenze sono state incanalate in un’esemplare convivenza pacifica.
Normale, del resto, in quello che è divenuto forse il quartiere più trendy di Copenaghen. Dicono che raggiungerlo sia facile, per il turista che abbia fatto visita al vicino cimitero di Assistens che ospita i resti di Søren Kierkegaard e Hans Christian Andersen, due figli illustri della città. Dicono che basti affidarsi all’olfatto, seguire l’aroma di caffè che conduce fino a Jægersborggade. Prendiamo l’indicazione alla lettera, fino a trovarci nella strada che di Nørrebro è fulcro e che (appunto) ha cominciato le sue fortune con lo sbarco di Coffee Collective, un gigante del settore.
È la strada dei caffè e dei ristoranti, del mercato di Torvehallerne, un gioiello dell’architettura moderna, del celebre Relæ, la creatura dello chef messinese Christian Puglisi, che s’è fatto alla scuola di René Redzepi, l’uomo del celebre Noma: «È come se il Noma avesse creato una scuola che ha fatto di Copenaghen una città molto attraente per chi vuol mangiar bene. E Nørrebro è uno dei quartieri più vivaci, in tal senso». Cucina e altro, tanto altro. Bar alla moda, negozi di design e di abbigliamento, antiquari, accessori tra l’originale e l’eccentrico, gallerie d’arte, botteghe di artigianato, discoteche e chi più ne ha più ne metta. Il tutto, in un’atmosfera multietnica e coinvolgente. Un altro brandello della Copenaghen che ha saputo rinnovarsi.
Ivo Romano
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