Cosa farai da grande? No, grazie: Chi sarò da grande?!

Cerchiamo innanzitutto di capire il motivo del nostro titolo, la differenza fra il fare qualche cosa nella nostra vita e l'essere qualcuno nel grande progetto che Dio ha per ognuno di noi...

Cosa farai da grande? No, grazie: Chi sarò da grande?!

da Quaderni Cannibali

del 03 novembre 2009

 

 

Quante volte nella vostra vita qualcuno (parenti, amici, insegnanti,…) vi avrà posto alcune domande sul vostro futuro, chiedendovi la vostra professione preferita. E quante volte voi avrete risposto facendo riferimento a questo o quel mestiere, pensando alla cosa che vi piace di più.

 

 

 

 

Ma vi siete mai chiesti che tipo di persona volete essere facendo quel determinato mestiere?

Una persona che si interessa solamente alla propria vita oppure qualcuno che dedica parte del proprio tempo e energia agli altri? Una persona alla ricerca di una posizione economica e professionale o una persona alla ricerca di una vita vissuta in maniera più piena proprio perché aperta e con uno sguardo a 360°.

 

Mi ricordo, che fin da piccola, ho sempre pensato che avrei dovuto fare qualche cosa di bello e importante per dare un senso alla mia vita, per ricambiare la grande fortuna che io avevo avuto: una famiglia che mi ha amato, la possibilità di studiare e sempre tanta felicità. E così, ho deciso che avrei dedicato la mia vita agli altri, ai bambini e ai ragazzi più bisognosi. Ho studiato per questo e alla fine sono riuscita a fare della mia vita una donazione agli altri.

 

Di seguito potete trovare il racconto di quella che è stata la mia esperienza di volontariato in terra amazzonica (Brasile) per quattro anni e mezzo insieme a mio marito e a miei figli, ma prima vediamo insieme.

 

Chi è il volontario internazionale?

 

È una persona che cerca di dare un senso alla propria vita, di realizzare e vivere appieno la propria vocazione.

È una persona che sta facendo un cammino di fede e di crescita spirituale e che testimonia questo con la sua vita.

È una persona che trasforma la sua attitudine interiore di impegnarsi per il bene comune in uno stile di vita concreto in cui la propria realizzazione, il fine della propria esistenza e la propria maturità, trovano pienezza nell’essere a servizio dei fratelli.

È una persona che si impegna nella lotta alla povertà, all’ingiustizia nel mondo, per rafforzare la società civile.

È una persona che vuole un lavoro “più umano”, che vuole avere la possibilità di spendere le proprie competenze ed esperienze professionali (qualunque esse siano) condividendo al tempo stesso dei valori di vita.

È una persona che si sente cittadino del mondo e collabora alla realizzazione di un mondo più giusto e più equo lavorando in collaborazione con istituzioni internazionali, ONG, istituti religiosi e comunità locali.

 

Come diventare un volontario internazionale?

 

Se credi che la tua vita possa diventare uno strumento nelle mani di Dio per dedicarti agli altri, allora sei una persona che può pensare al volontariato internazionale come risposta a questa chiamata.

Innanzitutto devi avere più di 18 anni ed aver la disponibilità ad andare all’estero per due anni. Generalmente i volontari si inseriscono nei progetti di sviluppo con le loro competenze umane e professionali e lavorano in sinergia con gli operatori locali per lo sviluppo umano della popolazione beneficiaria del progetto.

 

A questo riguardo pur riconoscendo l’unitarietà dell’identità del volontario internazionale, si identificano differenti tipologie di volontari: volontari in servizio civile, volontari prevalentemente di tipo vocazionale, volontari prevalentemente di tipo professionale.

 

Il rapporto di collaborazione che si instaura con un volontario viene regolamentato con un contratto di collaborazione a progetto secondo le normative vigenti.

Dalle parole dei volontari emerge chiaramente l’importanza dell’incontro con le persone, dei momenti di comunione che si vivono, la partecipazione alla vita degli “altri” che si imparano a conoscere, la condivisione di un momento di svago o di lavoro, la partecipazione o anche la semplice vista della dura quotidianità di chi ti aspettavi diverso e scopri uguale a te, solo che è immerso in realtà che ne limitano drammaticamente le possibilità di futuro.

 

“Sono trascorsi ormai diversi anni dalla nostra partenza per il Brasile nell’ottobre del 2003 e solo pochi mesi dal nostro rientro qui in Italia. Non è facile scrivere quello che sono stati per noi tutti questi anni di esperienza missionaria, per ognuno di noi singolarmente e per la famiglia come gruppo anche perché siamo partiti in quattro e siamo rientrati in cinque dopo la nascita della piccola Josivanda Maria alla quale abbiamo voluto dare un nome della sua terra amazonense.

 

Sono trascorsi diversi anni, ma sembra ieri se ripensiamo a quando siamo arrivati a Manicorè per la prima volta dopo un viaggio di tre giorni sulla barca, passando per il Rio delle Amazzoni (Rio Amazonas) e il Rio Madeira…un viaggio indimenticabile che ci ha sbattuto in faccia la realtà dell’Amazzonia: le grandi distanze geografiche fra una città e l’altra (Manaus e Manicorè distano tra loro solo trecento chilometri in linea d’aria, ma con la barca ci vogliono come minimo due giorni e mezzo di viaggio), l’isolamento completo rispetto al mondo, ma un isolamento immerso nella fantastica natura della foresta amazzonica con i diversi verdi degli alberi, i colori dei fiori e delle variopinte farfalle e i rumori degli animali che spaventano soprattutto la notte quando la barca continua il suo viaggio alla sola luce delle stelle e la foresta sembra una grande ombra nera; e infine la gente con cui condividi il viaggio, molto semplice, spontanea, così aperta e senza preoccupazioni (apparentemente), forse troppo (per la mentalità con cui arrivavamo) pazienti e tolleranti se si pensa che la barca in tre giorni si è rotta tre volte e siamo arrivati a Manicorè con 12 ore di ritardo alle due di notte e nessuno dei viaggiatori si è scomposto o preoccupato per questo.

 

Che cosa è stata per noi questa esperienza? Tutto e di più: abbiamo vissuto donandoci completamente ai ragazzi e ai giovani del Centro Giovanile Salesiano di Manicorè, siamo diventati mamma e papà non solo di Gabriele e Chiara ( e poi Josivanda), ma di tantissimi altri bambini che ogni giorno accompagnavamo nelle attività del centro, ascoltavamo quando volevano sfogarsi, con cui parlavamo quando avevano bisogno di alcuni consigli, o semplicemente con cui ridevamo, scherzavamo e giocavamo assieme, come una grande famiglia. In quattro anni li abbiamo visti crescere, trasformarsi… qualcuno lo abbiamo perso per strada, ma molti sono diventati dei bravi giovani che stanno lottando giorno dopo giorno per costruirsi un futuro degno di essere vissuto.

 

Da Salesiani Cooperatori quali siamo, abbiamo vissuto quello che Don Bosco ci ha insegnato: educare i giovani per farli diventare protagonisti della propria vita, per renderli liberi e capaci di pensare con la propria testa. È difficile a volte perché i giovani sono abituati a non credere in loro stessi e a nulla, perché nessuno li considera e servono solo a fare confusione. È stata la forza dell’accompagnamento quotidiano, della presenza costante e del nostro amore a far capire loro che possono farcela e migliorare la propria condizione, con lo sforzo, la costanza e l’impegno… tutto condito con la classica allegria salesiana. È dunque l’aver compreso che da noi, al centro salesiano, potevano incontrare la loro seconda casa (che per molti era addirittura la prima) che li ha convinti ad ascoltarci e a seguire il cammino di Gesù e Don Bosco. Purtroppo non sempre tutto segue un percorso facile, sono varie le difficoltà che i ragazzi incontrano perché in casa, molto spesso, hanno una realtà opposta a quella che noi proponiamo… si scontrano due realtà, due modi di educare e due modi di dare amore; a volte ci sono falsi amici che cercano di portarli fuori dal centro giovanile, ricadono nella strada, ma poi tornano tristi e delusi e cercano rifugio, e come sempre trovano non solo la porta aperta, ma due calde braccia pronte a dare conforto.

 

Anche per noi non sempre è stato facile perché inserirsi in una nuova cultura, confrontarsi con persone differenti e adattarsi ad un clima e ad contesto tanto diverso dal nostro ti mette con le spalle al muro: devi imparare l’umiltà, armarti di pazienza, abituarti a mettere da parte le tue idee e convinzioni se in quel momento fanno più danno che bene. Andare a dormire stanchi morti per aver vissuto giornate tanto intense e piene di impegni, ma con la voglia ogni mattina di ricominciare e mettersi in gioco per amore dei giovani che abbiamo incontrato.

 

Chi ce lo ha fatto fare avendo anche due piccoli figli (quando siamo partiti Gabriele aveva quattro anni e Chiara tre) a cui pensare? La certezza che questo era il progetto di Dio per noi, la consapevolezza che noi eravamo stati tanto fortunati nelle nostre vite e che dovevamo condividere con altri questa fortuna e questo amore che era alla base della nostra famiglia. Partire con i nostri figli anche se può essere stato più difficile perché avevamo queste due creature a cui pensare, e quindi a volte anche i nostri tempi più lenti, ci ha senza dubbio aiutato in mezzo ai giovani di Manicorè. Loro vedevamo che tipo di mamma e papà eravamo e hanno compreso che potevano fidarsi di noi e pian piano aprire il proprio cuore. Ed è con questo tramite che siamo riusciti a farci voler bene perché hanno capito che eravamo lì solo per loro.

 

Sono tante le cose che abbiamo fatto insieme ai nostri ragazzi in questi quattro anni, i corsi professionali, i campionati, le feste, i giochi, gli studi e i compiti, e quello che resta, oltre ai ricordi, è un cuore pieno di felicità per aver partecipato alle loro vite e condiviso con loro tanti momenti. Certo, adesso c’è la sensazione di un vuoto nel nostro cuore perché l’esperienza è finita e probabilmente, se avessimo le condizioni, ripartiremo domani, ma come abbiamo detto è solo una sensazione perché l’amore condiviso non potrà mai lasciare un vuoto, ma solo una ricchezza in più che anche noi saremo in grado di riscoprire al più presto”.

 

Emma Francesco Gabriele Chiara Josivanda

 

 

Alcuni racconti di vita di volontari “sparsi” per il mondo

 

    *      Cammino per le strade rinnovando il mio senso di amore per questo paese che mi ha accolto un anno fa, per la sua bellezza, per tutto ciò che ha rappresentato per me, per tutto quello che mi ha dato. Tornare in Italia non è facile, è tempo di bilanci…Ho visto i risultati del mio lavoro nell’accoglienza riservatami da contadini, pastori, bambini, donne. Ho assaporato che cosa possa voler dire aiutare altre persone a vivere meglio una quotidianità difficile. (Daniela – Etiopia)

 

    *      Sono diventato famoso alla svelta quaggiù a Tonj, per il fatto di essere l’unico bianco che gioca a calcio, con 3 o 4cento persone che guardano la partita! Mentre gioco con questi ragazzi penso che ognuno ha una sua storia alle spalle: conosco quella di Deng, 22 anni, e fa la prima superiore…io a 22 anni ero all’università…eppure, oggi, siamo qui a giocare insieme: così diversi…così uguali. Deng ha vagabondato per tutto il Sudan, ed anche fuori, per cercare un po’ di pace; io invece me ne sono sempre  stato tranquillo, a casa con babbo, mamma, parenti e amici…eppure oggi sono qui a giocare insieme a Deng. (Cristiano – Sud Sudan)

 

    *      Il fine settimana scorso abbiamo deciso di portare i ragazzi di strada che partecipano al Techo Pinardi ad una specie di accampamento, è una soluzione economica per allontanarli dalle violenze della città. Ho aperto il cammino assieme a Carlos Alberto, un ragazzo di 14 anni, conosciuto al Techo 5 anni fa. Carlos mi ha raccontato la sua storia per la prima volta. In 5 anni siamo riusciti ad animarlo per entrare in 2 centri specializzati per ragazzi di strada, lui, bimbo difficile, aggressivo, immerso nelle violenze di strada tra droga, piccoli furti e brutalità di ogni tipo. Me lo ricordo nel 2003, quando non faceva mai un sorriso, nemmeno sotto tortura, e vederlo ora, così allegro mi ha impressionato. Carlos continua a partecipare alle nostre attività, ogni tanto sparisce e poi ritorna… e noi continuiamo a credere nelle sue potenzialità di uscire dal circolo vizioso della strada, pronti ad accoglierlo ed accompagnarlo a riscoprire la vita. (Paolo – Bolivia)

 

    * S   ono qui da circa 5 mesi…vivo in un piccolo quartiere che si chiama Buterere… Cerco di avvicinarmi alla gente del luogo…stare con le persone. Percepisco la gioia e la disponibilità dei giovani di questo posto che si entusiasmano nell’organizzare una partita di pallavolo e nel rendersi utili tagliando l’erba…ho avuto modo di osservare l’estrema povertà delle famiglie dei bambini che ora sono momentaneamente al Centro Don Bosco in attesa di poter essere ricongiunti con i propri cari. Umanamente penso che sia una grande opportunità abbracciare un’altra cultura rispetto alla propria…mettersi in gioco andando verso l’altro e continuando senza arrestarsi di fronte a qualcosa di poco piacevole e che possa ferire (Federica – Burundi)

 

Caratteristica indispensabile è il coinvolgimento personale, profondo e progressivo in uno stile di condivisione e di servizio che crei una personalità “solidale” con tutte le persone del mondo e concretamente impegnata sul territorio in cui vive.

 

 Dottoressa, insegnante, sportiva, biologa, …

No, VOLONTARIA INTERNAZIONALE

 è meglio!

 

Il volontariato internazionale è una scelta di condivisione, di solidarietà internazionale, di impegno politico e civile, di crescita umana e professionale, di scambio culturale, di impegno missionario e spirituale.

 

 

VIS

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