Ricorre oggi, 22 ottobre, la Giornata Mondiale Missionaria 2023
“Cari fratelli e sorelle!
Per la Giornata Missionaria Mondiale di quest’anno ho scelto un tema che prende spunto dal racconto dei discepoli di Emmaus, nel Vangelo di Luca (cfr 24,13-35): «Cuori ardenti, piedi in cammino». Quei due discepoli erano confusi e delusi, ma l’incontro con Cristo nella Parola e nel Pane spezzato accese in loro l’entusiasmo per rimettersi in cammino verso Gerusalemme e annunciare che il Signore era veramente risorto. Nel racconto evangelico cogliamo la trasformazione dei discepoli da alcune immagini suggestive: cuori ardenti per le Scritture spiegate da Gesù, occhi aperti nel riconoscerlo e, come culmine, piedi in cammino. Meditando su questi tre aspetti, che delineano l’itinerario dei discepoli missionari, possiamo rinnovare il nostro zelo per l’evangelizzazione nel mondo odierno.”
Cosi ci scrive papa Francesco nel Messaggio per la 97^ Giornata Missionaria Mondiale 2023. Le sue sono parole cariche di speranza e di amore che tracciano, in un motto breve ed efficace, l’identikit del discepolo-missionario. Anche noi, come i discepoli di Emmaus e come tutti i più grandi santi, siamo amati e chiamati a mantenere ardente e acceso il nostro cuore. Tra le centinaia di chiacchiere che sentiamo e tra le migliaia di promesse vuote che ci vengono fatte, solo la Scrittura è Parola viva che chiede di essere accolta, ascoltata per tagliare sul vivo le nostre certezze e trasformarci da dento in discepoli e missionari. E, una volta fatto nostro questo annuncio, siamo chiamati a credere alla promessa di Salvezza che ci viene donata e a mettere in cammino i nostri piedi su strade vicine e lontane, in cerca di fratelli e sorelle con cui crescere nella fede.
Ma per noi salesiani, il motto della giornata mondiale Missionaria 2023 riecheggia in maniera straordinaria il consiglio che don Bosco sempre suggerisce ai suoi giovani: “Camminate con i piedi per terra e abitate con il cuore in Cielo”.
Facciamo nostre allora questa parole! E vinciamo la paura e l’accidia. Nel cammino missionario, infatti, non siamo mai soli: siamo chiamati ad alzare lo sguardo verso la volta stellata della santità per scoprire alcuni astri che brillano luminosi e, come per i navigatori e per i pellegrini, orientano e indicano anche per noi la direzione giusta…quella che porta verso il Paradiso.
Questi astri così accesi sono i nostri santi missionari che, con le loro parole e ancora più con i loro gesti coraggiosi e le loro scelte controcorrente, ci precedono e ci indirizzano nei passi giusti da compiere. Ne abbiamo scelti alcuni di davvero straordinari: uomini e donne molto diversi tra loro che, vicino o lontano, hanno percepito la loro vita come una missione e hanno accolto l’invito di Cristo ad annunciarLo al mondo intero.
Può un combattente diventare un uomo mite? Questa storia, ragazzi, è davvero incredibile: un giovane studente indisciplinato e svogliato come tanti altri divenne un soldato e un esploratore … ma poi la sua vita fu ribaltata dall’esplosione di un Incontro. Ascoltate!
A Strasburgo, in Francia, nel 1858, nacque il visconte Charles de Foucauld.
Quando ebbe sei anni, sua mamma morì e poco dopo morì anche il papà. Allora si occupò di lui, il nonno, un colonnello in pensione, che si trasferì con il nipote a Nancy (sempre in Francia), dove Charles studiò senza impegnarsi molto. Ricevette la Prima Comunione e la Cresima, ma poi perse la fede: non credeva nemmeno più che Dio esistesse! Venne espulso dalla scuola perché era troppo pigro e si comportava male, ma poi riuscì a vincere un concorso e divenne un militare.
Quando morì suo nonno nel 1878, Charles ereditò le sue ricchezze. La vita da soldato lo annoiava, così si divertiva organizzando delle cene con le persone importanti che conosceva. Frequentò la scuola di Cavalleria e divenne sottotenente, ma per la sua cattiva condotta fu espulso dall’esercito. Si stabilì in Svizzera con una donna, ma quando seppe che il suo reggimento era entrato in guerra in Africa partì e lo raggiunse per combattere. Terminata la guerra, lasciò l’esercito e fece l’esploratore in Africa, ma per non essere ucciso dovette fingere di non essere cristiano: così imparò l’arabo e l’ebraico e si travestì da rabbino russo. Dopo undici mesi rientrò in Francia, ma ormai l’ambiente dei ricchi non gli piaceva più. Qualcosa dentro di lui era cambiato: cominciò ad andare in chiesa dove trascorreva ore intere a ripetere “Mio Dio, se esisti, fa’ che Ti conosca”. Nel 1886 andò da un sacerdote per chiedergli di essere istruito nella religione, ma il prete gli disse di confessarsi e di ricevere la Comunione. Charles ubbidì e da quel giorno la sua vita si capovolse e fu, come disse lui stesso, “una concatenazione di benedizioni”. In una lettera ad un amico scrisse: “Non appena ho creduto che ci fosse Dio, ho capito che potevo vivere soltanto per lui … Dio è grande … “. In seguito Charles andò in Terrasanta e a Nazareth scoprì l’umiltà di Gesù: “Il Signore ha proprio scelto l’ultimo posto” pensava. Per imitarlo, entrò in un monastero e divenne frate. Egli però voleva vivere in modo ancora più povero, umile e mite, più simile alla vita nascosta di Gesù. Tornò allora a Nazareth e abitò in un capanno nei pressi di un convento di suore, dove pregava e scriveva. In seguito divenne sacerdote e si stabilì sul confine tra Algeria e Marocco, per fare il cappellano militare. Lavorò per gli indigeni e cercò di opporsi allo schiavismo, ma riuscì a liberare ben pochi schiavi. Nel 1905 si trasferì a Tamanrasset, in un territorio abitato dai tuareg, dove si ammalò a causa della siccità e dovette lottare contro lo scoraggiamento: “Da dieci anni celebro la Messa a Tamanrasset, e non un solo tuareg si è convertito!” scrisse. Imparò allora a vincere il male con il bene e continuò ad essere sereno e amabile con tutti: pur essendo in mezzo a molte difficoltà si sentiva felice.
Il primo dicembre 1916, verso sera, mentre lavorava, sentì bussare alla porta: era un uomo che spesso lui aveva aiutato. Gli aprì tranquillamente, ma fu trascinato fuori e legato con delle redini di cammello, mentre altri uomini saccheggiavano la sua abitazione. Improvvisamente, al rumore provocato dall’arrivo di alcuni soldati, partì un colpo di fucile, che lo uccise. Il suo corpo fu gettato in un fossato. Sembrava tutto finito, invece la storia di Charles scosse coloro che la conobbero e ben presto i suoi seguaci si sparsero nel mondo, portando dovunque l’esempio della sua mitezza e della sua umiltà: l’uomo ricco che aveva rinunciato a tutto per trovare la felicità seguendo Gesù, il soldato che aveva lasciato il potere per diventare umile e mite ha davvero ereditato la Terra!
Giuseppe Puglisi, detto Pino, nacque a Palermo, il capoluogo della Sicilia, nel 1937. A 16 anni Gesù lo chiamò a diventare prete, così entrò in seminario e venne ordinato sacerdote nel 1960, a 23 anni.
Divenne coadiutore, rettore di una chiesa, cappellano presso un istituto per orfani… ma soprattutto seguì in modo particolare i ragazzi e s’interessò dei problemi dei poveri. Nel 1970 venne nominato parroco di Godrano, un piccolo paese in provincia di Palermo, dove era in atto una faida sanguinosa: don Pino riuscì a riconciliare le due famiglie in lotta, incitandole al perdono.
In seguito ricoprì molti incarichi importanti finché nel 1990 venne nominato parroco del suo luogo d’origine, il Brancaccio, un quartiere di Palermo gestito dalla mafia. Qui Don Pino incominciò a lavorare per la giustizia, lottando contro la criminalità organizzata: egli si occupava soprattutto dei bambini che rischiavano di farsi coinvolgere nelle azioni criminose, perché pensavano che i mafiosi fossero delle persone autorevoli e degne di rispetto. Grazie ai giochi che organizzava per loro, tolse dalla strada numerosi bimbi e ragazzi, i quali, senza la sua presenza, sarebbero stati sfruttati per spacciare droghe o per compiere rapine e quindi sarebbero irrimediabilmente caduti nella vita criminale. Ciò che faceva era segno visibile della potenza di salvezza del Signore, che con la sua croce ha vinto il male, e le sue azioni mostravano la tenerezza di Dio. Eppure, per questa sua attività a Don Puglisi vennero rivolte e recapitate numerose minacce di morte da parte di boss mafiosi, i quali non potevano tollerare di vedersi sottrarre dei potenziali complici e per questo lo perseguitavano con le loro intimidazioni. Dimostrando di non temere il potere dei mafiosi e la loro crudeltà, nel corso delle sue omelie li interpellò frequentemente e nel frattempo continuò la sua opera, professando apertamente e con dolcezza la sua fede senza preoccuparsi delle tensioni e incomprensioni che provocava.
Nel 1992 ricevette l'incarico di direttore spirituale del seminario arcivescovile di Palermo e pochi mesi più tardi inaugurò a Brancaccio il centro Padre Nostro, che divenne un punto di riferimento importante per i giovani e le loro famiglie.
Il 15 settembre del 1993, nel giorno del suo cinquantaseiesimo compleanno, Don Pino, dopo essere sceso dall’auto, mentre si avvicinava al portone di casa sua, si sentì chiamare. Si girò per rispondere, ma venne raggiunto da alcuni colpi di pistola che lo colpirono alla nuca. Sorridendo disse: "Vi aspettavo". Egli sapeva infatti che sarebbe stato ucciso, ma questa consapevolezza e la persecuzione mafiosa non avevano fermato la sua lotta per la giustizia contro la criminalità.
Ora don Pino abita nel Regno dei cieli. Sulla sua tomba sono state scritte queste parole di Gesù: Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici.
La vita di Santa Giuseppina Bakhita è avventurosa come un film.
Era una bambina africana di sette anni, nata intorno al 1869 in un piccolo villaggio del Sudan occidentale, quando fu rapita dai mercanti di schiavi. In quell’occasione si spaventò così tanto che dimenticò il suo nome e quello dei suoi famigliari. I rapitori la chiamarono Bakhita, che in arabo significa "fortunata".
Fu venduta più volte dai mercanti di schiavi e quindi cambiò frequentemente il padrone. La vita degli schiavi era terribile a quei tempi, piena di umiliazioni e di sofferenze fisiche. Ad esempio, mentre era a servizio di un generale turco, le furono tatuati con un rasoio e poi cosparsi di sale più di cento disegni sul petto, sulla pancia e sul braccio destro! Bakhita pianse e soffrì moltissimo, non solo per se stessa, ma anche per i suoi compagni di schiavitù.
A Karthoum, cioè nella capitale del Sudan, fu infine comperata da un console italiano e nella sua casa lavorò come domestica: nella famiglia di un cristiano Bakhita finalmente non era più una schiava! Nel 1884 però scoppiò una guerra e il console dovette scappare insieme ad un amico, che si chiamava Augusto Michieli. Quest’ultimo prese con sé Bakhita e la portò in Italia, nella sua casa, dove lei diventò la baby sitter della figlia Mimmina.
Dopo tre anni i coniugi Michieli si trasferirono in Africa e affidarono la figlia e Bakhita a un istituto di suore: lì la ragazza conobbe il Signore attraverso il catechismo e Lui la consolò e asciugò le lacrime che erano rimaste dentro di lei dai tempi della sua schiavitù. Quando la signora Michieli ritornò dall'Africa, Bakhita le disse che voleva restare con le suore: ormai si era innamorata di Gesù! La signora non la voleva lasciare, ma Bakhita fu irremovibile e nel 1890 ricevette i sacramenti dell'iniziazione cristiana: volle chiamarsi Giuseppina Margherita Fortunata.
Gesù però l’amava tanto e la voleva tutta per sé: fu così che Bakhita diventò una suora. Fece la cuciniera, la sagrestana, la portinaia e, durante la Prima guerra mondiale, svolse il compito di aiuto infermiera. Tra il 1937 e il 1939 visse a Vimercate, un paese della nostra diocesi.
Morì nel 1947 dopo una malattia lunga e dolorosa, durante la quale non le mancò mai la consolazione di Gesù: la sua presenza rendeva più leggera ogni sofferenza!
Carlo Gnocchi nacque a San Colombano al Lambro, in provincia di Milano, il 25 ottobre 1902. Suo papà faceva il marmista, mentre la mamma era una sarta. Quando morì il papà, Carlo si trasferì con la famiglia a Milano, dove ricevette il sacramento della Cresima. Era un ragazzo come tanti, quando, a tredici anni, sentì la chiamata di Gesù ad essere sacerdote, così entrò nel Seminario di Seveso. Tre anni dopo passò alla sede di Monza per frequentare il liceo, ma per ottenere il diploma di maturità dovette sostenere l’esame nel liceo statale Berchet di Milano. Nel 1921 si trasferì nel Seminario maggiore, nella sede di corso Venezia (sempre a Milano).
Venne ordinato sacerdote nel 1925 dall’arcivescovo di Milano, il cardinal Eugenio Tosi, e celebrò la prima Messa a Montesiro di Besana Brianza, il paese in cui trascorreva le vacanze e dove abitava sua mamma.
Divenne coadiutore e fu incaricato di seguire l’oratorio della parrocchia di Santa Maria Assunta a Cernusco sul Naviglio e poi a San Pietro in Sala, a Milano. In seguito il cardinal Schuster lo nominò direttore spirituale.
Il 10 giugno 1940, quando l’Italia entrò nella seconda guerra mondiale, Don Carlo si arruolò volontariamente come cappellano militare degli alpini e fu mandato prima in Grecia e poi in Russia.
La morte di tanti soldati lo colpì profondamente e lo spinse a riflettere sul significato della sofferenza degli innocenti. Avendo compreso l’ingiustizia della dittatura fascista e non potendo tollerarla, negli anni ’44 e 45 partecipò alla Resistenza italiana. Fu per questo arrestato, incarcerato a San Vittore e poi liberato. A un suo cugino scrisse: “Desidero e prego dal Signore una sola cosa: servire per tutta la vita i Suoi poveri. Ecco la mia “carriera”.
Quando gli portarono un bimbo di otto anni che aveva perso una gamba per lo scoppio di una bomba, decise di dedicarsi proprio a questi bambini mutilati, vittime della guerra, la più grande di tutte le ingiustizie. Per questo scopo non lasciò nulla d’intentato: non si rassegnava al male che colpiva i suoi bambini, lottava e lo contrastava con tutte le sue forze. Fondò per loro diverse istituzioni, in Lombardia e in altre regioni italiane, dove si viveva in pieno l’amore di Dio. Anche lui visse seguendo sempre la volontà del Signore e la sua vita fu il riflesso della perfezione divina.
Nel 1955 si ammalò gravemente e chiese di poter donare le sue cornee a uno dei suoi ragazzi, per ridargli la vista. Fu proprio così: quando morì le sue cornee furono trapiantate negli occhi di due bambini, che poterono così rivedere la luce del sole e i colori della natura.
I suoi funerali furono celebrati nel duomo di Milano il primo marzo 1956 dall’arcivescovo Giovanni Battista Montini (che divenne poi il papa Paolo VI) alla presenza di tantissima gente. Uno dei suoi mutilatini lo salutò così: “Prima ti dicevo - Ciao don Carlo. Adesso ti dico - Ciao, san Carlo”. Quel bambino ebbe ragione: nel 2009 don Carlo fu proclamato beato, durante la Messa presieduta dal cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano.
Ancora oggi la Fondazione istituita da lui continua a curare i bambini e i ragazzi disabili o malati, ma anche gli adulti che hanno bisogno di fisioterapia e di vari tipi di riabilitazione e assistenza, oltre agli anziani non autosufficienti e ai malati gravi: il Signore ha saziato (e sta ancora saziando abbondantemente) la fame e la sete di giustizia del suo amico Carlo!
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