In un mondo contemporaneo con sempre maggiori disuguaglianze, con l'endemica marginalità economica nella disoccupazione e nel precariato, sarebbe ingenuo pensare che le apparenze esteriori di coloro che predicano la parola del Vangelo non condizionino la ricezione dell'insegnamento.
Quando Francesco Saverio, con altri due gesuiti, arrivò in Giappone, si presentò a uno dei più potenti signori delle nuove terre d’oriente: ≈åuchi Yoshitaka, il daimyo di Yamaguchi. L’incontro fu però un totale insuccesso: la povertà dei vestiti dei missionari e l’insistita lettura di passi biblici non suscitarono le simpatie del loro interlocutore abituato a ben altre cerimonie. Difatti poco dopo Saverio dovette ripartire da Yamaguchi perché gli venne negato il permesso di predicare in quella provincia. Si diresse dunque a Kyoto dove anche qui non ebbe molta fortuna. Non solo l’imperatore si rifiutò di riceverlo, ma suscitò perfino lo scherno della popolazione, la quale si fece beffe di quell’uomo vestito in quel modo così dimesso. Se Saverio attirava l’attenzione, non era certamente perché suscitasse ammirazione. Tutto il contrario. Ma non furono questi primi ostacoli a scoraggiarlo. Era intenzionato ad avvicinare i grandi signori del Giappone, i quali gestivano il potere locale e potevano decidere le sorti della fede cristiana, e non si sarebbe fermato prima di portare a termine questa sua missione.
Il gesuita non si perse d’animo e dopo una breve sosta ad Hirado decise di tornare a Yamaguchi. Questa volta però lo fece in tutt’altro stile. Si sbarazzò delle vecchie, e si immagina poco profumate, vesti e indossò un elegante abito di seta. Questa volta si presentò come ambasciatore del vicerè dell’India (quale era) e portò con sé, piuttosto che il catechismo, una serie di preziosi regali, tra cui un orologio e due telescopi che suscitarono vivo interesse e stupore da parte del daimyo. ≈åuchi Yoshitaka dimenticò immediatamente il primo e poco memorabile incontro con quell’occidentale venuto da lontano e immediatamente garantì a Francesco il permesso di predicare il Vangelo nel suo territorio. Non solo. Con un editto proibì chiunque di disturbare le attività del nuovo arrivato e per coronare questa nuova amicizia garantì l’uso di un vecchio tempio buddista abbandonato dove i gesuiti vennero invitati a risiedere.
Da questo momento Francesco Saverio cominciò a comprendere che per ottenere le simpatie e i favori dei daimyo doveva adattarsi a quelle che erano le usanze e — letteralmente — i costumi del luogo. L’idea di predicare in povertà non si addiceva ai suoi interlocutori. I giapponesi, molto sensibili ai segni formali e alle condizioni materiali esteriori, non vedevano alcun valore positivo nei segni di umiltà e di mortificazione incarnati dai missionari.
Questo racconto ancora oggi ci insegna qualcosa. Ovvero che nella comunicazione non è possibile prescindere dalle apparenze quando queste costituiscono parte integrale del messaggio. Nel caso di Saverio, rassicurare i nativi dell’autenticità della propria predicazione significava adottare una prassi del tutto alternativa e inusuale per i missionari, fatta di costosi regali e abiti di lusso. Insomma era assolutamente necessario abbracciare le caratteristiche di quella cultura per poter entrare in sintonia con la stessa. E in un mondo contemporaneo, in special modo quello occidentale, con sempre maggiori disuguaglianze, con l’endemica marginalità economica nella disoccupazione e nel precariato, sarebbe ingenuo pensare che le apparenze esteriori di coloro che predicano la parola del Vangelo non condizionino la ricezione dell’insegnamento.
Diventa sempre più arduo incuriosire un pubblico che mal digerisce lo «scarto morale» tra la ricchezza esteriore e lo spirito della predicazione cristiana. Saverio ebbe il problema opposto: come comunicare la povertà evangelica a un popolo che davanti agli «stracci» inorridisce o si volta dall’altra parte. Ed ebbe un’intuizione: per parlare al cuore doveva prima curare l’occhio. Per raccontare la “ricchezza” della povertà ai giapponesi bisognava sacrificare la dignitosa povertà missionaria. Tanto bastò perché Saverio ottenesse i successi che desiderava. Se ne andò dal Sol Levante lasciando centinaia di migliaia di convertiti.
La Chiesa oggi gode di una grandissima fortuna. Perché non sono stati necessari i calcoli strategici che occorsero a Francesco Saverio per orientare la sua missione verso una pratica di vita che lo rendesse credibile agli occhi degli interlocutori del suo tempo. Al soglio pontificio, oggi, c’è un uomo che è naturalmente portato a “confondersi” con i propri fedeli. Papa Francesco arriva dritto al cuore della gente perché ha già da tempo conquistato i loro occhi.
Cristian Martini Grimaldi
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