Don Juan Vecchi, colloquio con Vittorio Chiari.Editrice SEI, aprile 2002, p. 198
del 01 gennaio 2002
“In queste pagine, don Juan Vecchi ha affidato le sue confidenze a un confratello, don Vittorio Chiari, per dirgli quali erano le sue più vive preoccupazioni mentre guardava al variegato e complesso mondo dei giovani.
Lo ha fatto con semplicità, come il padre che, in partenza per un viaggio, vuol lasciare ai suoi figli non solo le memorie, ma quello che dovrebbero fare per mantenere viva la sua passione educativa, quella del successore di don Bosco, che non può cullarsi sulle tradizioni del passato, ma si slancia “sulla strada”, oggi crocevia della carità educativa, là dove ragazzi e giovani sono vittime di sfruttamento, usati e venduti, costretti a imbracciare le armi, mentre non sono altro che ragazzi che non hanno incontrato persone adulte in grado di prenderseli a cuore, donando loro quella “carità educativa” che li fa sentire vivi, contenti di vivere e di far vivere”.
“È educare, lasciandoci educare dai giovani, l’ultima parola di Dio, la patria nella quale dobbiamo porre la nostra tenda, pronti a tutto pur di camminare con loro, anche quando la strada si inerpica in salite vertiginose, sfiorando precipizi, nei quali potremmo precipitare se ci lasciamo abbagliare dalle «luci della città», nuova Babilonia dove tutto sorride … in superficie! No alla globalizzazione, che crea ingiustizia, abissi, che distrugge ponti!
Sì alla globalizzazione che cerca di rispondere alle domande più profonde dell’uomo, della donna, del giovane, del ragazzo, della ragazza, del bimbo, della bimba. Sono anche le nostre domande, i nostri desideri: la pace nel rispetto di ogni persona, di ogni nazione, di ogni razza, al di fuori di ogni discriminazione religiosa o rivalità aizzate ad arte; la terra, che deve essere divisa tra tutti, restituita ai poveri, secondo le indicazioni del Giubileo ebraico e di quello cristiano che vorrebbe continuarlo; il denaro, che non asserve nessuno, ma che viene condiviso tra chi non ha mai avuto uno straccio per coprirsi, una casa per vivere l’amore in famiglia; la natura, che rispettata, non calpestata, sfruttata, può dare gioia agli sguardi e sostentamento a tutti, ponendo fine allo scandalo della fame, durato fin troppo a lungo; un paese, che offra le condizioni minime per una vita dignitosa: lavoro, casa, partecipazione; una donna libera, responsabile che porti il suo «carisma» all’uomo, alla famiglia, allo stato, alla Chiesa; giovani e bimbi, che possano sorridere guardando a un’infanzia felice e a un futuro da costruire sulle fondamenta dell’istruzione e della formazione umana, religiosa e civile.
Utopie! Faccio parte anch’io della razza dei don Chisciotte, dei profeti, che non hanno visto realizzarsi i loro sogni? Sto indicando alla Famiglia Salesiana strade impercorribili? Spero di no, anzi, vorrei che sognasse con me e con me uscisse in alto mare …
Se rispondiamo sì, il miracolo non tarderà a venire. A Dio i nostri sogni, a Maria SS. la nostra fiducia e speranza, allo Spirito Santo il compito di vivificare il nostro agire, a Don Bosco indicarcene ogni giorno le strade”.
Don Juan Vecchi
MGS Triveneto
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