Dalla Germania: la sfida di Auschwitz ai giovani senza memoria

“Il tema ‘Auschwitz’ non può essere compreso, senza che esso colpisca nel centro la tua persona”. Cronaca e riflessioni su un viaggio di istruzione nel lager.

LIPSIA — “Il tema ‘Auschwitz’ non può essere compreso, senza che esso colpisca nel centro la tua persona”. Così si esprime Manfred Deselaers, un sacerdote cattolico tedesco che da 20 anni è responsabile di un centro di preghiera e dialogo in Oswiecim (Auschwitz) ed autore di una biografia su Rudolf Höß, comandante di Auschwitz e sulla la questione della sua responsabilità di fronte a Dio e agli uomini. 

A partire dal 1996, il 27 gennaio, giorno della liberazione del campo di sterminio Auschwitz-Birkenau, viene celebrato come il Giorno della memoria. Da anni la nostra scuola, che si trova in Sassonia-Anhalt — la regione che nelle ultime votazioni regionali ha votato con un clamoroso 24 per cento il partito nazionalista nascente “Alternative für Deutschland” (AfD) — va, per scelta degli insegnanti di storia, ad Auschwitz e Cracovia. Un viaggio di istruzione che facciamo normalmente d’inverno, anche per far comprendere ai ragazzi cosa significhi vivere in un campo di concentramento e di sterminio dove durante l’inverno il freddo tocca anche i meno 20 gradi. 

Il primo giorno lo abbiamo passato a visitare con una guida il quartiere ghetto degli ebrei poveri, che oggi, dopo il film del 1993 di Steven Spielberg Schindler’s Ark (che la sera in cui siamo arrivati abbiamo visto con gli studenti), sta rinascendo, con le sue sette sinagoghe e tanti piccoli locali, come un luogo in cui si può comprendere la vita quotidiana degli ebrei al tempo in cui cominciò lo sterminio. Il pomeriggio del primo giorno siamo poi stati nella fabbrica-museo di Oscar Schindler, che documenta lo sterminio degli ebrei ed è un sito frequentato da migliaia di turisti da tutto il mondo. Purtroppo non abbiamo avuto altrettanto tempo per il centro di Cracovia, con il suo castello del Wawel e con il palazzo in cui ha avuto la sua residenza san Giovanni Paolo II, allora arcivescovo di Cracovia.

Il secondo giorno è stato dedicato al campo di concentramento di Auschwitz, in cui con una guida abbiamo cercato di comprendere la tragedia che ha coinvolto anche tantissimi polacchi arrestati per motivi politici e religiosi. Il più famoso è stato Massimiliano Kolbe, di cui abbiamo visto la cella 22, in cui si trova la candela regalata da Papa Benedetto XVI in occasione della sua visita nel maggio del 2006. 

Gli ebrei vengono ricordati in uno dei blocchi in collaborazione con Yad Vashem, in una modalità che ha interessato molto gli studenti: vengono presentati con brevi documentari gli attori principali del crimine nazista — si può ascoltare un discorso di Hitler nel Reichstag sulla “soluzione finale” del problema ebraico — e anche, in lingua ebraica, inglese e polacca, alcune delle personalità più grandi tra le vittime del genocidio, per esempio la figura straordinaria di Etty Hillesum. Nel pomeriggio abbiamo visitato in Oswiecim l’Auschwitz Jewish Center, che documenta 500 anni di coesistenza tra ebrei e cattolici nella piccola città polacca. Nel terzo ed ultimo giorno abbiamo passato alcune ore nel luogo per me più “incomprensibile”, il campo di sterminio Auschwitz-Birkenau, in cui sono stati eliminati con una gigantesca organizzazione tecnica, militare e logistica quasi un milione di ebrei, tra cui Edith Stein, di cui è registrato l’ingresso nel campo di sterminio nel 1942. 

Come hanno vissuto e che cos’hanno compreso gli studenti di tutto ciò che abbiamo visto e sentito? Quello che ha scritto una mia ex allieva sulla mia bacheca di Fb commentando la frase di Manfred Deselaers con cui ho cominciato questo articolo, non corrisponde a ciò che ho visto in questi tre giorni. Lascio la parola a questa mia ex allieva:

La visita ad Auschwitz “è stata un’esperienza molto importante. Ci siamo abbracciati in silenzio ed abbiamo pianto ed abbiamo avuto bisogno di una vera e propria guida per assimilare una tale esperienza. In vero dopo Auschwitz la vita non può continuare ‘normalmente’, eppure lo fa”. 

I ragazzi di quest’anno sono stati attenti ed educati, alcuni — e forse tutti — certo anche colpiti, ma non ho avuto l’impressione di un grande coinvolgimento a livello di “sentimento”. Nel suo Senso religioso, Luigi Giussani scrive che “il problema non è che il sentimento venga eliminato, ma che il sentimento sia al posto giusto”. In un certo senso ciò vale anche per la “mancanza di sentimento”. La scommessa educativa sulla memoria dello sterminio di così tanti essere umani è una scommessa aperta, che riguarda l’emergenza educativa che coinvolge noi tutti, anche gli adulti; e proprio in Polonia, nei giorni della visita, ho sentito molto forte la presenza di san Giovanni Paolo II, che non ha mai smesso di educare i giovani, anche da Papa. 

Manfred Deselaers, in 45 intensi minuti, ha saputo far comprendere che ciò che è successo ad Auschwitz è un avvenimento che riguarda non solo la generazione che attivamente lo ha vissuto, ma anche noi, non come colpevoli, ma in quanto coinvolti con la domanda che egli si è posto lavorando alla biografia di Rudolf Höß: non ha mai avuto rimorsi di coscienza come comandante di Auschwitz? Molti ragazzi si sono accorti di aver davanti un uomo che non aveva una risposta preconfezionata, e che faceva fatica egli stesso a capire ciò che è incomprensibile. E quando dopo i primi tre quarti d’ora li ho lasciati liberi di lasciare l’aula, quelli che sono rimasti — poco meno della metà del gruppo — hanno posto domande serie, anche su AfD, che forse non è nazista, pur contenendo chiari riferimenti antisemiti, ma che alcuni ragazzi hanno associato, istintivamente, a ciò che avevano visto e ascoltato. Forse perché non si fidano di un partito che nega esserci un reale problema ad Aleppo e che quindi non si spiega perché così tanti siriani siano in Germania. 

La scommessa per la conservazione della memoria è aperta. Coinvolgiamoci in essa perché la “lealtà” e la “dignità morale” (Deselaers), certamente presenti anche nei nostri giovani e fino ad un certo punto anche nel comandante Rudolf Höß, diventi un percorso stabile di vita. Höß scrisse al figlio, pochi giorni prima di morire: “Diventa un uomo che in primo luogo si lascia guidare da un’umanità che sa gustare il calore umano. Impara a pensare e giudicare in modo indipendente. Non accettare tutto in modo acritico come verità irrevocabile. Impara dalla mia vita. Il mio errore più grande è stato di fidarmi ciecamente di tutto ciò che veniva dall’alto e di non aver osato nutrire il minimo dubbio sulla verità che mi veniva data. Cammina con occhi aperti sulla tua vita. Non diventare unilaterale, considera sempre il pro e il contro. In tutto ciò che fai non lasciar parlare solamente la ragione, ma ascolta principalmente la voce del tuo cuore” (cit. in Manfred Deselaers, “Und Sie hatten nie Gewissenbisse?”. Die Biographie von Rudolf Höß. Kommandant von Auschwitz und die Frage nach seiner Verantwortung vor Gott und den Menschen, Auschwitz Birkenau, 2014). 


di Roberto Graziotto

Tratto da ilsussidiario.net

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