LA CRISI IN SUDANL'Oms ribadisce: «Da marzo c'è stata una media di 10mila morti al mese». Oltre alle violenze imputate ai gruppi islamici filo-governativi, fame e malattie stanno decimando i profughi.
del 01 gennaio 2002
Lo scontro fra governo sudanese e ribelli dell’Ovest, i raid sanguinari delle milizie arabe Janjaweed attive per mesi in tutto il Darfur, epidemie, fame e stenti durante l’esodo di un popolo di oltre un milione di disperati sparsi nel deserto in accampamenti di fortuna.
Sono questi e tanti altri i fattori che aggravano ora dopo ora il “tumore” umanitario esploso nel Sudan occidentale. Solo malnutrizione e malattie, invece, stanno dietro l’ultimo spaventoso bilancio comunicato ieri dall’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms): settantamila vittime da marzo in poi, quando gli operatori umanitari sono giunti per la prima volta nella zona. Diecimila nuovi morti inghiottiti ogni mese, compresi tantissimi bambini. In una crisi che si trascina e complica in realtà da oltre un anno e mezzo.
Dall’inizio degli scontri fra l’Esercito di Khartum e i due gruppi ribelli della regione. Un fronte “ufficiale” che ha fatto anche da scudo all’estendersi delle scorrerie genocidarie dei Janjaweed contro le popolazioni nere locali.
Si tratta del «peggior dramma umanitario in corso» come ha ribadito l’Onu. Ma l’impegno della comunità internazionale resta insufficiente. «Non siamo sempre capaci di trovare le risorse collettive necessarie per rispondere in modo adeguato, portando così il numero delle vittime a un livello “accettabile”», ha detto ieri David Nabarro, responsabile per le crisi dell’Oms. Secondo cui le agenzie umanitarie hanno finora ricevuto solo la metà dei 300 milioni di dollari chiesti per soccorrere quasi un milione e mezzo di sfollati. La malnutrizione e vaste epidemie di dissenteria, colera ed epatite continuano così a mietere ogni giorno centinaia di vittime. Come se nel Paese, a ogni tramonto, si schiantasse un grande aereo carico di passeggeri.
«È stupefacente constatare che non si può sempre ottenere il denaro necessario» per una crisi sotto gli occhi del mondo, ha continuato Nabarro. Spiegando anche che la stagione delle piogge complica l’organizzazione degli aiuti: «Cerchiamo di raggiungere i campi con i fuoristrada che annaspano o che si impantanano, quando avremmo bisogno di una ventina di elicotteri».
I fondi per il Darfur scarseggiano, dunque. Nonostante per raccoglierli si siano probabilmente trascurate negli ultimi mesi altre crisi del pianeta, come sosteneva ieri James Morris, direttore generale del Programma alimentare mondiale.
Sul fronte diplomatico, i progressi restano lenti e controversi. Domani, si terrà in Libia un nuovo vertice che riunirà i capi di Stato di Sudan, Egitto, Libia, Ciad e anche Nigeria. Proprio il nigeriano Olusegun Obasanjo, presidente di turno dell’Unione africana (Ua), ha annunciato ieri la partenza per il Darfur nelle prossime ore dei primi uomini di una forza di interposizione Ua di 4mila unità. Una missione accettata ufficialmente anche da Khartum. Ma, intanto, la strage quotidiana continua.
Daniele Zappalà
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