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Davanti alla Sindone con la nostalgia di Dio

L'uomo non sa darsi da solo risposte di senso di fronte al dolore e alla morte. Cristo risorto ci si presenta ancora con le sue piaghe: «Sono proprio io, guardate le mani e piedi e il costato, toccatemi».


Davanti alla Sindone con la nostalgia di Dio

da Teologo Borèl

del 14 aprile 2010

 

          La prima volta la vide dopo tre ore di coda, parroco in mezzo ai suoi parrocchiani, nel 1978. L’ultima volta l’ha vista nelle vesti di arcivescovo di Torino, solo davanti a quel volto per dieci minuti, che ancora gli sono indimenticabili. Nel giorno in cui un milione e mezzo di visitatori comincia ad affluire a Torino per vedere e venerare la Sacra Sindone – oggi – abbiamo chiesto al cardinale Severino Poletto, che della Sindone è anche custode, cosa cerca in quel volto questa moltitudine in arrivo dai più remoti angoli del mondo; e cosa dà la contemplazione di quel sudario, a chi gli si ponga davanti.

          «Io credo – risponde il cardinale – che questa immensa folla che convergerà verso Torino sia l’immagine di una umanità in cerca di salvezza, di conforto e di speranza. Una speranza che non viene dalle cose terrene – perché le cose terrene passano. Questa nostalgia, penso, può toccare anche coloro che non credono. È una nostalgia interiore e profonda, quella che spinge a voler vedere con i propri occhi il volto di quell’uomo crocifisso – che della Passione di Cristo è immagine impressionante, e, come disse Giovanni Paolo II, 'specchio dei Vangeli'.

          Quel telo infatti riporta tutti i segni dei patimenti di Cristo, così come sono stati narrati dagli apostoli. Impressiona il referto della medicina legale, secondo il quale il sangue delle ferite sul telo è sangue di un uomo vivente, mentre quello del costato è sangue cadaverico: esattamente come è scritto nel Vangelo di Giovanni. Naturalmente l’immagine della Sindone non fonda la fede, che è radicata invece sul Vangelo e sulla testimonianza degli apostoli. Però la contemplazione di quel corpo segnato esattamente dalle piaghe descritte da chi vide la Passione aiuta la riflessione e la preghiera, e quindi la fede».

Perché questa Ostensione, ben prima della prossima scadenza giubilare del 2025?          Molti, fedeli e comunità civile, chiedevano la possibilità di vedere la Sindone. Il 2025 sembrava una data davvero troppo lontana. Inoltre nel 2002 si è proceduto, con l’autorizzazione del Papa, a un importante restauro : il telo è stato ripulito e sono state rimosse le toppe che cinque secoli fa le Clarisse di Chambery avevano apposto per riparare le bruciature dell’incendio del 1532. Questa è dunque anche l’occasione per mostrare per la prima volta al pubblico la Sindone restaurata. Ma voglio ricordare che il motto scelto per l’ostensione del 2010 è «Passio Christi passio homini».

          Parole che vogliono sottolineare la simmetria fra la Passione di Cristo – cioè la sua sofferenza e il suo appassionarsi per la sorte dell’umanità –, e la sofferenza dell’umanità intera. La Passione di Cristo dà una luce nuova alla sofferenza degli uomini; che resta, nella sua dolorosità, e però ne viene confortata e redenta. Anche la sofferenza di un bambino innocente trae, sia pure in modo misterioso, valore spirituale e conforto dalla Croce: innocente era Gesù Cristo, l’Innocente per eccellenza. Se dunque pensiamo che Cristo ha scelto liberamente di soffrire, comprendiamo che la sofferenza deve avere un senso, pure per noi non sempre decifrabile, nel disegno di Dio.

L’Ostensione cade in un momento di difficoltà e amarezza per la Chiesa...          Mai, nella storia, la Chiesa ha conosciuto tempi privi di difficoltà. Le difficoltà e anche le persecuzioni ci sono state anzi promesse: «Beati voi quando vi perseguiteranno e vi malediranno». La Chiesa sarà sempre osteggiata perché propone un modello di umanità che è inaccettabile al mondo: la Chiesa santa in quanto corpo di Cristo, e peccatrice perché fatta da uomini peccatori. Il male compiuto da uomini di Chiesa va condannato senza riserve; ma non bisogna generalizzare. È invece onestà e verità non dimenticare il grande bene operato dai sacerdoti in tutti i tempi e in ogni parte del mondo. Gli attacchi tuttavia non frenano i pellegrini, che con sapienza cristiana sanno che il male c’è, fra noi, e però c’è anche il bene. Cerchiamo Cristo proprio perché siamo coscienti che c’è il male e il dolore. Per via del nostro male e dolore abbiamo sete di Lui. Infatti all’uscita dal Duomo abbiamo predisposto due grandi ambienti, uno per l’adorazione eucaristica e uno adibito a penitenzieria, con 12 confessori che conoscono diverse lingue. Già nel 2000 quest’ultimo spazio fu quasi preso d’assalto dai fedeli che avevano contemplato la Sindone.

Cos’è, per Torino e la sua Chiesa, quel telo gelosamente custodito?          È un grande dono. Perché proprio a Torino? Storicamente lo sappiamo, certo, ce lo portarono i Savoia. Ma dal punto di vista spirituale cosa significa questa presenza? È un continuo confronto con il silenzioso messaggio della sofferenza di Cristo. Mentre le parlo ho davanti a me una grande immagine di quel volto. La Chiesa, lo sappiamo, afferma che l’autenticità della Sindone può essere decretata solo dalla scienza. Ma la scienza finora non ha saputo spiegare come si sia formata questa immagine. Di certo non è un manufatto. Di certo, come dicevo, è specchio preciso del martirio di Cristo. La presenza di quel volto umano e divino fra noi è uno stimolo continuo a guardare la sofferenza di tanti nostri fratelli. E anche la sofferenza nostra e la nostra morte traggono speranza da quel volto.

Allora la contemplazione della Sindone è occasione di conversione? E in che modo bisogna avvicinarsi?          Già dall’Ostensione del ’98 si è dato ai pellegrini un percorso di pre-lettura, in modo da preparare i visitatori a guardare a quel sudario come a qualcosa che riguarda ognuno di noi. Se questa immedesimazione avviene, prepara il terreno alla conversione: capiamo quale prezzo ha pagato Cristo per noi, e quanto noi al confronto siamo meschini. Ecco perché molti escono e si confessano, in un desiderio di vita nuova.

«Sfida all’intelligenza»: così Giovanni Paolo II chiamò la Sindone. Qual è la sfida?           L’uomo non sa darsi da solo risposte di senso di fronte al dolore e alla morte. Cristo risorto ci si presenta ancora con le sue piaghe: «Sono proprio io, guardate le mani e piedi e il costato, toccatemi». La Pasqua dunque non cancella i segni della sofferenza per Gesù uomo. Ciò che ci disse Giovanni Paolo II era un appello a riconoscere che abbiamo bisogno di Cristo per capire il significato della vita, e il nostro destino. Abbiamo bisogno di fede e di ragione. Come si legge nella Fides et ratio, fede e ragione sono le due ali che conducono l’uomo alla verità.

Eminenza, lei che ricordo ha della Sindone?           La vidi per la prima volta da parroco, nel 1978, dopo una lunga coda. Poi da vescovo. Infine nel 2000 ebbi modo di assistere a una Ostensione destinata agli studiosi convenuti a Torino per un grande convegno. Quel giorno la Sindone era priva della teca, «nuda», diciamo. Chiesi di restare un quarto d’ora da solo. L’emozione fu indescrivibile. Io mi sono davvero sentito al cospetto di Cristo sofferente, morto per me. Le parole non bastano: posso dire solo che sono rimasto commosso nel profondo, e sono stato preso da una grande riconoscenza. Fa’ – ho detto dentro di me – che fino all’ultimo respiro io possa annunciare il tuo amore.

Marina Corradi

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